Giu l'eventuale negligenza o imperizia dei medici, ancorché di elevata gravità, non elide, di per sé, il nesso causale tra la condotta lesiva e l'evento morte
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. IV PENALE - 06 ottobre 2023 N. 40723
Massima
Con specifico riguardo a comportamenti negligenti dei sanitari nelle cure praticate alla vittima di un precedente evento lesivo, l'eventuale negligenza o imperizia dei medici, ancorché di elevata gravità, non elide, di per sé, il nesso causale tra la condotta lesiva e l'evento morte, in quanto l'intervento dei sanitari costituisce, rispetto al soggetto leso, un fatto tipico e prevedibile, anche nei potenziali errori di cura, mentre ai fini dell'esclusione del nesso di causalità occorre un errore del tutto eccezionale, abnorme, da solo determinante l'evento letale.

Testo della sentenza
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. IV PENALE - 06 ottobre 2023 N. 40723

1. Il ricorso è inammissibile, essendo i motivi proposti largamente versati in fatto e prospettando la difesa una non consentita alternativa ricostruzione della complessiva vicenda in esame.

2. Quanto al primo motivo di ricorso, occorre premettere come ci si trovi al cospetto di una ipotesi di "doppia conforme" pronuncia di condanna, avendo la Corte di merito, nel confermare la sentenza del Tribunale, pienamente condiviso le argomentazioni illustrate dal primo giudice ed i criteri interpretativi da questi adottati.

Come è noto, per giurisprudenza pacifica di questa Corte, in caso di c.d. "doppia conforme", la sentenza di primo grado e quella di appello si integrano vicendevolmente, formando una sola entità logico-giuridica alla quale occorre fare riferimento per valutare la congruità e la completezza della motivazione offerta (Sez. 1, 22/11/1993, dep. 4/2/1994, n. 1309, Albergamo, Rv. 197250; Sez. 3, 14/2/1994, n. 4700, Scauri, Rv. 197497; Sez. 2, 2/3/1994, n. 5112, Palazzotto, Riv. 198487; Sez. 2 del 13/11/1997, n. 11220, Ambrosino, Rv. 209145; Sez. 6, 20/11/2003, n. 224079).

I diffusi rilievi mossi alla sentenza di appello riguardanti l'acritico recepimento delle argomentazioni illustrate nella sentenza di primo grado sono destituiti di fondamento: la Corte di appello, avendo condiviso l'impianto motivazionale del primo giudice, ha provveduto ad offrire risposta alle specifiche doglianze proposte con l'atto di appello, riportandosi per il resto al contenuto della prima sentenza.

Occorre rilevare come sia consentito al giudice di appello di esprimere una motivazione per relationem allorquando condivida le ragioni giustificatrici del primo giudice, sia nella ricostruzione del fatto, sia nelle parti non oggetto di specifiche censure, dovendo soltanto rispondere in modo congruo alle singole doglianze prospettate dall'appellante. In questo caso, il controllo del giudice di legittimità si estende alla verifica della congruità e logicità delle risposte fornite alte predette censure.

Deve aggiungersi come, sempre nella ricorrenza dell'ipotesi della c.d. "doppia conforme", non sia prospettabile in sede di legittimità il travisamento della prova in assenza della rigorosa dimostrazione che il dato asseritamente travisato sia stato introdotto ed utilizzato dalla Corte di appello per la prima volta ai fini della decisione (si veda Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016, La Gumina, Rv. 269217: "Nel caso di cosiddetta "doppia conforme", il vizio del travisamento della prova, per utilizzazione di un'informazione inesistente nel materiale processuale o per omessa valutazione di una prova decisiva, può essere dedotto con il ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. e) c.p.p. solo nel caso in cui il ricorrente rappresenti - con specifica deduzione - che il dato probatorio asseritamente travisato è stato per la prima volta introdotto come oggetto di valutazione nella motivazione del provvedimento di secondo grado").

2.1 Tutto ciò premesso, è d'uopo rilevare come i giudici di merito abbiano offerto congrua motivazione in ordine al maturato convincimento della penale responsabilità dell'imputata per il reato contestato, svolgendo considerazioni scevre dai vizi logici segnalati dalla difesa e sostenute da puntuali riferimenti alle emergenze probatorie in atti.

Quanto alla dinamica del sinistro, fortemente avversata dalla difesa, il giudice di primo grado, nell'analizzare le risultanze della consulenza disposta dal P.M., ha avuto modo di evidenziare significative circostanze a sostegno delle conclusioni a cui è pervenuto in ordine alle modalità del fatto.

A pagina 7 della pronuncia di primo grado, si evidenzia quanto segue.

L'urto tra il pedone ed il motociclo è avvenuto in corrispondenza della parte sinistra del motociclo, avendo il mezzo in sequestro riportato danni allo scudo ed al gruppo ottico anteriore lato sinistro.

Il pedone, al momento dell'impatto, era in fase di attraversamento della strada (larga solo tre metri) da destra verso sinistra. Tale circostanza era desumibile dai rilievi della Polizia giudiziaria e dall'esame necroscopico, che aveva evidenziato un'ampia linea di frattura a sinistra del bacino.

La velocità del motociclo è stata stimata dal consulente nominato dalla Procura intorno a 40 km/h, valore di poco inferiore al limite massimo di 50 km/h previsto nel centro cittadino.

Il punto d'urto tra il pedone ed il motociclo è stato individuato in corrispondenza del centro della carreggiata, circostanza desunta dalla presenza di detriti in prossimità della posizione statica finale del veicolo, risultante dalle fotografie effettuate dalla Polizia municipale sul luogo dell'accaduto.

Tale ultima osservazione permette di sgombrare immediatamente il campo dalla eccezione riguardante l'inutilizzabilità delle dichiarazioni rese dalla imputata in sede di sommarie informazioni raccolte dalla Polizia giudiziaria subito dopo il fatto.

Ed invero, l'accertamento della posizione dei pedone sulla carreggiata non è stata desunta esclusivamente dalle dichiarazioni autoindizianti della ricorrente, ma è dipeso dalla considerazione di una circostanza fattuale, documentata in atti (localizzazione dei detriti sulla strada), logicamente interpretata dal giudice di primo grado. Il rilievo riguardante il riferimento alle dichiarazioni dell'imputata, dichiarazioni effettivamente non utilizzabili, stante il divieto del disposto di cui all'art. 63, comma 2, c.p.p., risulta ininfluente sulla decisione assunta nei gradi di merito..

Eliminando infatti dal discorso giustificativo il riferimento alle predette dichiarazioni (c.d. "prova di resistenza"), le rimanenti risultanze si appalesano sufficienti a giustificare l'identico convincimento espresso nelle sentenze di merito.

Pertanto, la censura difensiva riguardante tale profilo non ha efficacia disarticolante del ragionamento sostenuto dai giudici in ordine alla posizione del pedone sulla strada ed al punto in cui è avvenuto l'urto.

2.2 Passando alle numerose ulteriori doglianze di cui si compone il primo motivo di ricorso, è d'uopo rilevare come abbiano trovato congrua risposta nella motivazione offerta dalla Corte territoriale - la quale ha richiamato le diffuse argomentazioni illustrate nella sentenza di primo grado - le molteplici censure avanzate dalla difesa nell'atto di appello, qui riprodotte sostanzialmente nei medesimi termini.

Quanto alla prevedibilità ed evitabilità dell'evento, il giudice di primo grado ha evidenziato come l'attraversamento del pedone, nelle concrete circostanze in cui si è verificato il fatto, fosse del tutto prevedibile. Il sinistro, si legge nella motivazione, si è infatti verificato in una strada situata in pieno centro cittadino, caratterizzata dalla presenza di numerosi esercizi commerciali, in un momento di alta affluenza di passanti e traffico veicolare, essendo avvenuto nell'orario che precedeva la chiusura dei negozi, in un periodo prenatalizio.

Tali circostanze, ha rimarcato il giudice, avrebbero dovuto imporre particolari cautele nella guida del motociclo, poichè l'eventualità di imbattersi in un pedone che attraversasse la strada, anche in modo incauto, era elevatissima.

Quanto all'evitabilità, facendo ricorso a massime di esperienza in alcun modo censurabili in questa sede, perchè rispondenti a criteri comunemente accettati sulla base dell'id quod plerumeque accidit, i giudici hanno posto in rilievo come l'età avanzata della vittima, di (Omissis), consentisse di ritenere che egli non potesse avere attraversato in modo repentino la strada, comparendo all'improvviso nel campo di visibilità della conducente e privandola della possibilità di arrestare la marcia in un tempo di reazione utile (si vedano le argomentazioni riportate alle pagine 15 e seguenti della sentenza di primo grado, argomentazioni riprese a pag. 8 della sentenza di appello).

In proposito, sempre la sentenza di primo grado, ha avuto modo di precisare, argomentando in modo logico e coerente, come la conducente, in considerazione del punto di impatto tra veicolo e pedone, avesse avuto modo di avvistare per tempo l'anziano passante.

Essendo l'investimento avvenuto al centro della carreggiata, l'attraversamento - in mancanza di ostacoli che intralciassero la visibilità, non rilevati in sede di sopralluogo della Polizia giudiziaria - era in fase già avanzata quando il motociclo colpì il pedone. Tale circostanza ha indotto i giudici di merito a condividere le conclusioni a cui era giunto il consulente nominato dal P.M., che aveva rimarcato la piena avvistabilità del pedone da parte della conducente, la quale, se avesse serbato una velocità inferiore a quella tenuta, avrebbe avuto tempo sufficiente per evitare l'impatto.

Quanto alla stima della velocità del motociclo, è destituita di fondamento la censura riguardante la lacunosa motivazione offerta dai giudici di merito in ordine alla individuazione della velocità del mezzo.

Nella sentenza di primo grado il giudice ha ritenuto condivisibile la stima effettuata dal consulente nominato dalla Procura, che, sulla base delle risultanze in atti, ha individuato in 40 km/h la velocità mantenuta dalla ricorrente al momento del fatto. Tale affermazione è rimasta sostanzialmente incontestata nel ricorso: benchè la difesa, nella parte iniziale del ricorso, abbia genericamente criticato il profilo dell'accertamento della velocità, nel corpo della impugnazione ha mostrato di ritenere acquisito il dato della stima di 40 km/h, spostando il baricentro delle critiche sulla mancata analisi del tempo necessario alla ricorrente per arrestare il veicolo nelle circostanze del sinistro.

A questo proposito, la difesa riporta nel ricorso alcune tabelle elaborate dal consulente di parte, contenenti calcoli che riguardano i tempi necessari per l'arresto dello scooter, riferiti alla velocità di 40 km/h (la mancanza di numerazione dell'atto non consente di indicare il numero di pagina del ricorso in cui le tabelle sono riprodotte).

Il rilievo sui tempi di arresto del veicolo ha trovato puntuale risposta nella motivazione della sentenza impugnata ed in quella di primo grado, avendo i giudici di merito rimarcato come il tratto rettilineo della strada, la mancanza di intralci alla visibilità (assenza di veicoli parcheggiati irregolarmente sui lati della strada), la individuazione del punto d'urto e l'andatura del pedone, rivelassero che la conducente avesse avuto modo di avvistare utilmente l'attraversamento della vittima.

Le doglianze difensive, in realtà, non si confrontano con la principale argomentazione riguardante l'eccessiva velocità a cui viaggiava la ricorrente, la quale, sulla base di quanto logicamente illustrato dai giudici di merito, avrebbe dovuto tenere un'andatura certamente inferiore a quella stimata, che le avrebbe consentito di arrestare la marcia davanti al prevedibile ostacolo.

L'ulteriore doglianza difensiva riguardante la scarsa illuminazione presente sulla strada è stata già valutata nei gradi di merito e disattesa con motivazione congrua. Le riflessioni difensive sul punto, palesemente versate in fatto, richiamano l'attenzione della Corte di legittimità su aspetti valutativi di merito, la cui considerazione non è ammessa in questa sede. E' sufficiente osservare che la censura è stata delibata dai giudici di merito, i quali hanno posto in rilievo come sia da escludersi che la zona teatro dell'evento fosse avvolta da totale oscurità, posto che il lampione fulminato non rappresentava l'unica fonte di luce presente sul posto. Anche ammettendo che vi fosse scarsa illuminazione, come sostenuto dalla difesa, i giudici hanno evidenziato che la ricorrente avrebbe dovuto serbare un comportamento ancora più cauto e prudente.

All'esito dell'attenta disamina dei fatti, fondata su argomentazioni non manifestamente illogiche e coerenti con le emergenze probatorie rappresentate in motivazione, legittimamente i giudici di merito hanno individuato la regola cautelare violata nella contravvenzione dell'art. 141, commi, 1 e 2, C.d.S..

Da tale percorso emerge con chiarezza quale comportamento alternativo l'imputata avrebbe dovuto tenere rispetto ad un ostacolo prevedibile ed avvistabile usando la necessaria attenzione e diligenza.

In pieno centro cittadino, in orario tardo pomeridiano, lungo una strada intensamente frequentata era doveroso mantenere una condotta di guida ed una velocità tale da consentire l'immediato arresto del mezzo, a nulla rilevando il fatto che la conducente avesse rispettato il limite di velocità. L'art. 141 C.d.S., invero, stabilisce essere obbligo del conducente "regolare la velocità del veicolo in modo che avuto riguardo alle caratteristiche ed alle condizioni della strada...sia evitato ogni pericolo per la sicurezza delle persone", ed ancora, al comma 2, essere obbligo del conducente "sempre conservare il controllo del proprio veicolo ed essere in grado di compiere tutte le manovre necessarie in condizione di sicurezza, specialmente l'arresto tempestivo del veicolo entro i limiti del suo campo di visibilità e dinanzi a qualsiasi ostacolo prevedibile".

2.3 II ricorso contesta i risultati della consulenza disposta dal P.M. e la ricostruzioni dei fatti in essi accreditata, trascurando di considerare che l'ambito del sindacato di legittimità non può estendersi alla valutazione della maggiore o minore attendibilità di una tesi scientifica rispetto ad un'altra.

Invero, in tema di prova, costituisce giudizio di fatto, incensurabile in sede di legittimità, la scelta operata dal giudice di preferire una tra le diverse tesi prospettate da periti e consulenti di parte, purchè la sentenza dia conto delle ragioni di tale scelta, del contenuto dell'opinione disattesa e delle deduzioni contrarie delle parti (cfr. Sez. 4 n. 8527 del 13/2/2015, Sartori, Rv. 263435).

Il complessivo discorso giustificativo contenuto nelle sentenze di merito ha dato conto in maniera adeguata delle ragioni della preferenza accordata alle conclusioni a cui è pervenuto il consulente nominato dal P.M. Diversamente da quanto sostenuto nel ricorso, i giudici di merito, come risulta da quanto sin qui esposto, non hanno trascurato di considerare l'opposta tesi difensiva.

Deve comunque rilevarsi che in sede di legittimità non sia censurabile una sentenza per il suo silenzio su alcune specifiche deduzioni prospettate con il gravame quando le stesse risultino disattese dalla motivazione della sentenza complessivamente considerata. Infatti, per la validità della decisione non è necessario che il giudice di merito sviluppi nella motivazione una specifica ed esplicita confutazione della tesi difensiva in ogni sua articolazione, essendo sufficiente per escludere la ricorrenza del vizio che la sentenza evidenzi una ricostruzione dei fatti che conduca alla implicita reiezione della deduzione difensiva, senza lasciare spazio ad una alternativa valida (Sez. 6, n. 49970 del 19/10/2012, Muià, Rv. 254107).

3. Il giudizio sin qui espresso in ordine alla congruità ed alla correttezza logico-giuridica della motivazione deve estendersi anche alla parte riguardante la tematica afferente alla prospettata interruzione del nesso causale tra la condotta serbata dalla ricorrente e l'evento.

La difesa sostiene che i giudici di merito non abbiano adeguatamente valutato la possibilità che la morte di B.B. non sia dipesa dall'investimento, ma dalla negligente condotta dei sanitari che lo ebbero in cura dopo il sinistro stradale.

Con argomentare logico, i giudici di merito hanno posto in rilievo come la consulenza medico legale effettuata dalla Procura abbia evidenziato la esistenza di condizioni di salute altamente compromesse già all'atto dell'ingresso della vittima in ospedale.

Si è affermato in motivazione, alla stregua delle conclusioni rassegnate dai consulenti medici, che, attesa la gravità delle lesioni, il mancato intervento tempestivo dei sanitari nei confronti della parte lesa non avrebbe avuto alcuna efficacia risolutiva del caso, suscettibile di scongiurare certamente l'esito infausto.

Deve evidenziarsi che la interruzione del nesso causale tra condotta ed evento, nella interpretazione costante sostenuta da questa Corte dell'art. 41, comma 2, c.p. sia ipotizzabile solo in presenza di condizioni del tutto eccezionali ed anomale, suscettibili di realizzare ex se una causa generatrice dell'evento in via del tutto autonoma.

Con specifico riguardo a comportamenti negligenti dei sanitari nelle cure praticate alla vittima di un precedente evento lesivo, deve rammentarsi che l'eventuale negligenza o imperizia dei medici, ancorchè di elevata gravità, non elida, di per sè, il nesso causale tra la condotta lesiva e l'evento morte, in quanto l'intervento dei sanitari costituisce, rispetto al soggetto leso, un fatto tipico e prevedibile, anche nei potenziali errori di cura, mentre ai fini dell'esclusione del nesso di causalità occorre un errore del tutto eccezionale, abnorme, da solo determinante l'evento letale (in argomento Sez. 4, n. 25560 del 02/05/2017, Schiavone, Rv. 269976; Sez. 4, n. 41943 del 04/10/2006, Lestingi ed altri, Rv. 235537; Sez. 4, n. 41293 del 04/10/2007, Taborelli, Rv. 237838).

4. Quanto al terzo motivo di ricorso, riguardante l'asserita violazione degli artt. 441, comma 5 e 606, comma 3, c.p.p., è sufficiente rammentare come la decisione di non procedere alla rinnovazione istruttoria d'ufficio, in entrambi i casi, sia insindacabile in sede di legittimità ove il giudice ritenga superflua l'acquisizione della prova sollecitata dalla difesa (cfr. Sez. 2, n. 5629 del 30/11/2021, dep. 17/02/2022, Rv. 282585 così massimata: "Nel giudizio abbreviato d'appello le parti sono titolari di una mera facoltà di sollecitazione del potere di integrazione istruttoria, esercitabile dal giudice "ex officio" nei limiti della assoluta necessità ai sensi dell'art. 603, comma 3, c.p.p., atteso che in sede di appello non può riconoscersi alle parti la titolarità di un diritto alla raccolta della prova in termini diversi e più ampi rispetto a quelli che incidono su tale facoltà nel giudizio di primo grado").

5. Esente da censure, infine, è l'iter motivazionale che ha sostenuto la scelta del primo giudice di individuare la pena base in misura di poco superiore al minimo edittale.

Essendo la dosimetria della pena interamente rimessa all'apprezzamento del giudice di merito, è inammissibile la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una nuova valutazione della congruità della pena la cui determinazione, come nel caso in esame, non sia frutto di mero arbitrio o di un ragionamento illogico (Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013 04/02/2014, Ferrario, Rv. 259142).

Quanto alla durata della sospensione della patente di guida, fissata in anni due, i giudici di merito hanno adeguatamente argomentato la decisione adottata; il motivo di ricorso si rivela peraltro aspecifico, non essendo sostenuto da argomentazioni volte ad illustrare le ragioni della doglianza.

6. Consegue alla declaratoria d'inammissibilità del ricorso la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000).

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

Conclusione

Così deciso in Roma, il 28 giugno 2023.

Depositato in Cancelleria il 6 ottobre 2023