Giu SS.UU.: l'art. 573, co. 1-bis, c.p.p., si applica alle impugnazioni per i soli interessi civili proposte relativamente ai giudizi nei quali la costituzione di parte civile sia intervenuta in epoca successiva al 30 dicembre 2022
Corte di Cassazione - Sezioni Unite - 21 settembre 2023 N. 38481
Massima
L'art. 573, comma 1-bis, c.p.p., introdotto dall'art. 33 del D.Lgs. n. 10 ottobre 2022, n. 150, si applica alle impugnazioni per i soli interessi civili proposte relativamente ai giudizi nei quali la costituzione di parte civile sia intervenuta in epoca successiva al 30 dicembre 2022, quale data di entrata in vigore della citata disposizione.

Casus Decisus
Quesito sottoposto alle SS.UU.: "Se l'art. 573, comma 1-bis, c.p.p., si applichi a tutte le impugnazioni per i soli interessi civili pendenti alla data del 30 dicembre 2022 o, invece, alle sole impugnazioni proposte avverso le sentenze pronunciate a decorrere dalla suddetta data".

Testo della sentenza
Corte di Cassazione - Sezioni Unite - 21 settembre 2023 N. 38481

1. L'esame delle pronunce di questa Corte complessivamente intervenute sulla questione rimessa consente anzitutto di focalizzare sinteticamente gli argomenti che l'uno e l'altro degli indirizzi, muovendo dalla mancanza di norme transitorie regolatrici della sorte delle impugnazioni proposte anteriormente alla entrata in vigore della nuova norma, espongono a supporto delle diverse conclusioni.

1.1. L'orientamento in ordine all'immediata applicabilità dell'art. 573, comma 1-bis, cit. esclude che nella specie possano venire in rilievo i principi affermati da Sez. U, Lista, cit. non versandosi in ipotesi di abolizione della possibilità di impugnazione oppure di mutamento del mezzo di impugnazione consentito, bensì venendo mantenuto lo stesso mezzo dinanzi allo stesso giudice e mutando solo l'epilogo del giudizio; conseguentemente, la parte conserverebbe inalterato il diritto all'accertamento del danno civile mutando solo la sede decisoria posto che il giudice civile, come chiarito dalla norma, decide utilizzando le prove acquisite in sede penale e quelle eventualmente acquisite in sede civile; inoltre l'oggetto dell'accertamento non cambierebbe, ma si restringerebbe posto che la domanda risarcitoria da illecito civile sarebbe implicita in quella risarcitoria da illecito penale.

La nuova e diversa sede della decisione del merito dell'impugnazione dipenderebbe allora dall'esito del vaglio di ammissibilità del ricorso che sarebbe dunque l'actus da considerare, nell'ottica del brocardo tempus regit actum, rilevante nella specie. Nè rileverebbe la modifica, di natura solo terminologica, dell'art. 78, comma 1, lett. d), c.p.p. operata sempre dalla cd. Riforma Cartabia con cui si è specificato che la esposizione delle ragioni della domanda civile deve essere fatta "agli effetti civili".

Si aggiunge che, anche ove si ritenesse di fare riferimento alla data della sentenza o della impugnazione quale momento discriminante, il giudice penale dovrebbe comunque sempre e solo decidere sulla fattispecie aquiliana senza contaminazioni derivanti dall'accertamento del fatto penale (soprattutto in caso di prescrizione) in conseguenza di quanto statuito dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 182 del 2021, come già chiarito da Sez. 4, n. 37193 del 15/09/2022, Ciccarelli, Rv. 283739-01 e da Sez. 2, n. 11808 del 14/01/2022, Restaino, Rv. 283377-01, e dunque in base al criterio civilistico della maggiore probabilità e non dell'alto grado di probabilità logica.

E in sede civilistica di rinvio troverebbero applicazione, come già chiarito da Sez. U, n. 20065 del 28/01/2021, Cremonini, Rv. 281228-01, le regole processuali e probatorie proprie del processo civile prescindendosi da ogni apprezzamento sulla responsabilità penale dell'imputato, nonchè sarebbe poi sempre possibile, sulla base della giurisprudenza civile, formulare nuove conclusioni o modificare la domanda ai fini della prospettazione degli elementi costitutivi dell'illecito civile in analogia con la transiatio iudicii in caso di annullamento ex art. 622 c.p.p. ai soli effetti civili, avendo già le Sez. U, Cremonini, cit., chiarito che il giudizio civile inizia con atto di riassunzione ex art. 392 c.p.c. Vengono infine richiamate, a conferma della soluzione invocata, le sentenze di Sez. U, n. 11586 del 30/09/2021, dep. 2022, D., Rv. 282808-01, Sez. U, n. 13539 del 30/01/2020, Perroni, Rv. 270270-01 e Sez. U, n. 3464 del 30/11/2017, Matrone, Rv. 275201-01, che hanno tutte affermato l'immediata applicabilità di nuove norme concernenti le impugnazioni in assenza di disposizioni transitorie.

1.2. L'orientamento di segno contrario, nel ritenere invece l'applicabilità, anche all'ipotesi in esame, dei principi affermati da Sez. U, Lista, cit., valorizza fondamentalmente le peculiarità del giudizio davanti al giudice civile rispetto a quello svolto, sia pure ai soli effetti civili, dinanzi al giudice penale, che renderebbero ragione dell'esigenza di tutela dell'affidamento dell'impugnante; tali peculiarità darebbero la possibilità, affermata dalle sezioni civili con riferimento al giudizio di rinvio a seguito dell'annullamento ex art. 622 c.p.p., di emendatio della domanda intesa anche come possibilità di chiedere, secondo i parametri del danno aquiliano, la pronuncia della condanna al risarcimento pur se emersa la sola colpa in luogo del dolo, poichè la variazione in me/ius dell'elemento psicologico dell'illecito non muterebbe i fatti costitutivi della domanda risarcitoria proposta con l'esercizio dell'azione civile in sede penale; già con riferimento al giudizio conseguente all'annullamento ex art. 622 c.p.p. si sarebbe dunque in presenza di un accertamento qualitativamente diverso rispetto a quello svolto in sede penale, sia pure nell'ambito delle statuizioni civili, perchè l'annullamento determinerebbe una vera e propria transiatio iudicii dinanzi al giudice competente per valore in grado di appello nel quale sarebbe consentito quindi modificare la domanda ai fini della prospettazione degli elementi costitutivi dell'illecito civile. Tali peculiarità, si aggiunge, sarebbero rinvenibili a maggior ragione nel giudizio di prosecuzione scaturente dalla nuova norma dell'art. 573, comma 1-bis, cit.

Si precisa anche che, mentre il vaglio di ammissibilità del giudice di legittimità penale è effettuato alla stregua delle regole penalistiche, il vaglio del giudice di legittimità civile è svolto alla stregua di quelle civilistiche, sicchè l'impugnante secondo i criteri penali avrebbe, in ogni caso, l'interesse ad un termine onde "costruire" il proprio atto di impugnazione in modo da poter affrontare un giudizio di legittimità retto da regole divenute diverse.

2. Così riassunti i termini del contrasto, la risoluzione della questione rimessa, seppur inerente ad un profilo di carattere essenzialmente intertemporale, impone di soffermarsi preliminarmente sul contenuto e sul significato delle norme con cui il D.Lgs. n. 10 ottobre 2020, n. 150 è intervenuto a disciplinare l'ipotesi della impugnazione della sentenza per gli interessi civili: solo apprezzando la portata delle modifiche intervenute sul punto, la loro ragione e il loro "innesto" nel sistema processuale preesistente, è infatti possibile dare una corretta risposta al quesito rimesso dalla Quinta Sezione penale.

Come infatti è agevole ricavare dalla disamina degli indirizzi tra loro in contrasto sopra riassunti, il differente epilogo cui gli stessi giungono dipende essenzialmente dalla risposta che, nella pacifica mancanza da parte del legislatore di ogni regolamentazione transitoria delle nuove disposizioni, si dia sul grado di portata innovativa delle stesse: se, cioè, le modifiche intervenute abbiano o meno condotto alla configurazione di un quadro normativo la cui diversità, rispetto al precedente assetto, sia tale da ledere le aspettative di colui che abbia presentato l'impugnazione nel precedente regime, con conseguente necessità di tutelarne il legittimo affidamento nella immutabilità dello stesso secondo quanto meglio si specificherà oltre.

Del resto, il richiamo, nel secondo orientamento considerato, alla necessità di fare applicazione, nella specie, dei principi affermati da Sez. U, Lista, cit. e l'esclusione, di converso, nel primo, della incidenza degli stessi nella ipotesi in esame, presuppongono, in entrambe le prospettive, un comune, astratto, dato di partenza, ovvero l'esigenza che non vengano appunto "tradite" le ovvie aspettative di chi, confidando, nel compimento di un atto processuale, in un determinato assetto normativo, veda tale quadro mutato in itinere in ragione della introduzione di elementi che, ove presenti in precedenza, avrebbero condotto a diverse determinazioni sullo stesso an o sul quomodo dell'atto compiuto.

Non è, dunque, sulla condivisione dei principi di tutela appena ricordati che si è formata la divaricazione giurisprudenziale, bensì sulla rilevanza dei medesimi nella questione dedotta.

2.1. Tanto, dunque, premesso, il legislatore, come richiesto dall'art. 1, comma 13, lett. d), della L. 27 settembre 2021 n. 134 (Delega al Governo per l'efficienza del processo penale nonchè in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari), con cui si prescriveva, tra l'altro, di "adeguare (...) la disciplina delle impugnazioni per i soli interessi civili, assicurando una regolamentazione coerente della materia" in conseguenza, peraltro, della necessità di disciplinare i rapporti tra il nuovo istituto dell'improcedibilità dell'azione penale per superamento dei termini di durata massima del giudizio di impugnazione e l'azione civile esercitata nel processo penale, ha modificato l'art. 573 c.p.p.; e ciò ha fatto, sia variando il comma 1, riferito alle impugnazioni "per gli interessi civili" e non più, come in precedenza, "per i soli interessi civili" sia, soprattutto, introducendo un comma 1-bis di nuovo conio nel quale si prevede che "quando la sentenza è impugnata per i soli interessi civili, il giudice di appello e la Corte di cassazione, se l'impugnazione non è inammissibile, rinviano per la prosecuzione, rispettivamente, al giudice o alla sezione civile competente, che decide sulle questioni civili utilizzando le prove acquisite nel processo penale e quelle eventualmente acquisite nel giudizio civile" (art. 33, comma 1, lett. a), n. 2, del D.Lgs. n. 150 del 2022).

Una ulteriore modifica, da ricondurre evidentemente sempre nell'alveo della direttiva sopra ricordata, ha avuto poi ad oggetto l'art. 78 c.p.p., relativo, come da rubrica, alle formalità della costituzione di parte civile, ove, al comma 1, lett. d), si è previsto che, tra i requisiti formali della dichiarazione di costituzione, l'esposizione delle ragioni che giustificano la domanda debba essere specificamente svolta "agli effetti civili" (art. 5 del D.Lgs. n. 150 del 2022).

2.2. La introduzione, in particolare, del comma 1-bis dell'art. 573 cit. è stata spiegata, dalla Relazione illustrativa al decreto legislativo recante attuazione della L. 27 settembre 2021, n. 134, come espressione, con riguardo all'ipotesi in cui sia assente un'impugnazione anche agli effetti penali, della "innovativa regola del trasferimento della decisione al giudice civile, dopo la verifica imprescindibile sulla non inammissibilità dell'atto svolta dal giudice penale", così determinandosi "un ulteriore risparmio di risorse, nell'ottica di implementare l'efficienza giudiziaria nella fase delle impugnazioni". La Relazione ha aggiunto che "con il rinvio dell'appello o del ricorso al giudice civile l'oggetto di accertamento non cambierebbe, ma si restringerebbe, dal momento che la domanda risarcitoria da illecito civile è già implicita alla domanda risarcitoria da illecito penale", concludendo poi che "non vi sarebbe pertanto una modificazione della domanda risarcitoria nel passaggio dal giudizio penale a quello civile" e che "ragionevolmente, l'eventualità dovrà essere prevista dal danneggiato dal reato sin dal momento della costituzione di parte civile, atto che pertanto dovrà contenere l'esposizione delle ragioni che giustificano ‘la domanda agli effetti civilì, secondo l'innovata formulazione dell'art. 78, lett. d)" (v. pag. 164 della Relazione pubblicata in Gazzetta Ufficiale, Serie Generale n. 245 del 19 ottobre 2022 - Suppl. Straordinario n. 5).

2.3. Risulta pertanto evidente, sulla base della piana lettura del dato testuale delle nuove norme, e del significato sistematico appena ricordato, il mutamento di coordinate operato rispetto al "pregresso" quadro: mentre in precedenza anche l'impugnazione ai soli effetti civili (ovvero, in altri termini, quella svolta in assenza di ogni altra censura, da parte del medesimo impugnante ovvero dalle altre parti, riguardante i profili penali della decisione) era comunque destinata ad essere decisa dal giudice del processo penale nel quale era stata esercitata l'azione civile, benchè non residuassero più aspetti di ordine penale (e a tale piano apparteneva pur sempre, per il giudizio di legittimità, l'epilogo eccezionale rappresentato dall'art. 622 c.p.p.), all'esito della modifica in oggetto l'impugnazione (proposta, secondo la immutata regola generale di cui al comma 1 dell'art. 573 c.p.p., valevole anche nel caso di censure ai soli fini civili, nelle "forme ordinarie del giudizio penale") viene oggi ad essere decisa dal giudice civile, restando attribuito al giudice penale il solo compito di valutare la non inammissibilità dell'impugnazione stessa: la necessità di accelerazione dei tempi di decisione, che ha rappresentato, nell'impostazione della riforma, uno dei parametri ispiratori della stessa, e la naturale dismissione, allorquando non siano più in gioco, per effetto del relativo giudicato, profili penali, della ordinaria regola di "attrazione" nel campo penale anche delle questioni civilistiche nascenti dal reato, ha comportato che, una volta esclusa, dal giudice penale, la inammissibilità dell'impugnazione (che, per ragioni evidenti di economia processuale, determinerebbe, altrimenti, la definitiva conclusione del giudizio), il medesimo giudizio debba essere rinviato innanzi al giudice civile per la "prosecuzione" dello stesso e la decisione, nel merito, dell'impugnazione.

Nè può condurre a diverse conclusioni il fatto che, con riguardo in particolare al giudizio di legittimità, di "rinvio", segnatamente al giudice civile competente per valore in grado di appello, già si occupasse l'art. 622 c.p.p., e che tale rinvio sia stato letto, da ultimo, anche dalle Sezioni Unite (Sez. U, n. 2265 del 28/01/2022, Cremonini, Rv. 281228-01), come introduttivo di un giudizio del tutto autonomo e svincolato rispetto a quello penale, conseguentemente richiedente un atto di impulso di parte attraverso l'istituto della riassunzione ex art. 392 c.p.p. evocato dallo stesso termine di "rinvio" (v. anche, nella più recente giurisprudenza civile della Corte, nel senso che il giudizio di rinvio ex art. 622 c.p.p. si configura come una sostanziale transiatio iudicii dinanzi al giudice civile, regolato dagli artt. 392-394 c.p.c., Sez. 3 civ., n. 30496 del 18/10/2022, Rv. 666267-01; Sez. 3. civ., n. 8997 del 21/03/2022, Rv. 66457903; Sez. 3 civ., n. 517 del 15/01/2020, Rv. 656811-01; Sez. 3 civ., n. 16916 del 25/06/2019, Rv. 654433-01).

E' significativa infatti, sul punto, onde distinguere nettamente le due ipotesi, la ben diversa portata del "rinvio" come emergente dalla stessa concatenazione dei passaggi delle due norme: mentre il rinvio dell'art. 622 cit. segue a pronuncia di "annullamento", ovvero, in altri termini, alla stessa decisione sull'impugnazione ad opera della Corte penale (giustificandosi il rinvio al giudice civile d'appello essenzialmente allorquando la decisione impugnata sia priva di motivazione ovvero debbano essere svolti accertamenti e valutazioni in fatto non esperibili nel giudizio di legittimità), il rinvio introdotto dal nuovo art. 573, comma 1-bis, cit. è funzionale alla "prosecuzione" in sede civile del medesimo giudizio iniziato in sede penale senza cesure o soluzioni di continuità (cesure date invece, nell'art. 622 cit., proprio dalla pronuncia di annullamento e che impediscono, tra l'altro, secondo la costante giurisprudenza civile, l'enunciazione di un principio di diritto cui il giudice civile del rinvio sia tenuto ad uniformarsi).

2.4. Anche la disciplina posta dallo stesso art. 573, comma 1-bis, cit. in ordine al regime di utilizzazione delle prove non smentisce ma, anzi conferma, l'unicità del giudizio: da un lato continuano, per espressa disposizione, ad essere utilizzate in sede civile le prove già acquisite in sede penale e, dall'altro, confluiscono, nello stesso giudizio, le prove eventualmente acquisende nel giudizio di rinvio.

2.5. Se, dunque, di medesimo giudizio "rinviato" per la decisione al giudice o alla sezione civile competente si tratta, pare evidente come non siano in alcun modo replicabili, nel nuovo assetto, i postulati appena ricordati, ed innanzitutto quello della natura "autonoma", rispetto al giudizio penale, del giudizio da svolgersi in sede civile.

Neppure appare conciliabile, con il nuovo assetto scaturente dalla norma in oggetto, la necessità, affermata dalla giurisprudenza sempre con riguardo al giudizio di rinvio "da annullamento", di emendati() libelli al fine di coordinare la domanda presentata in sede penale ai parametri propri del giudizio civile sia con riferimento (quanto meno nel sistema precedente alla lettura data dalla sentenza della Corte Cost. n. 182 del 2021) ai requisiti della responsabilità aquiliana, sia con riguardo alle diverse regole attinenti al nesso di causalità, da un lato, e alle prove, dall'altro (v., per tutte, da ultimo, Sez. 1 civ., n. 7474 del 08/03/2022, Rv. 664524-01; Sez. 3 civ., n. 517 del 15/01/2020, Rv. 656811-01); infatti, la necessità di un tale adeguamento nel passaggio tra i due giudizi è ormai superata dalla già iniziale impostazione, oggi richiesta dal nuovo art. 78, comma 1, lett. d), cit. della pretesa civile secondo le più estese coordinate dell'atto introduttivo di cui all'art. 360 c.p.c. nella previsione di un simile, possibile, epilogo.

Anzi, e di più, proprio la comparazione tra l'art. 573, comma 1-bis, c.p.p. e l'art. 622 c.p.p. (quale norma che continua a presupporre pur sempre un ordinario quadro che attribuisce alla Corte di cassazione penale la decisione sull'impugnazione anche agli effetti civili) sembra rivelare come l'unica lettura possibile della nuova disciplina sia quella appena considerata, giacchè, ove il legislatore della cd. Riforma Cartabia avesse invece inteso lasciare sostanzialmente immutato il quadro normativo come letto dalla costante giurisprudenza di legittimità, ben poco senso avrebbe avuto l'adozione del nuovo art. 573, comma 1-bis, cit., finendo quest'ultima norma per sovrapporsi irrazionalmente, negli esiti, proprio a quella dell'art. 622 cit.

Dunque, è proprio il ben diverso rapporto cronologico a fondamento della nuova norma rispetto a quello posto alla base dell'art. 622 cit. (tra decisione e successivo rinvio, nell'art. 622, e tra rinvio e successiva decisione, nell'art. 573, comma 1-bis) a rendere non assimilabili tra loro l'assetto attuale e quello precedente di cui l'art. 622 cit. rappresenta pur sempre, come detto, nell'eccezione così introdotta alla regola dell'attrazione dell'azione civile al processo penale, una esplicazione.

Sì che, è bene aggiungere, appaiono altresì improponibili, proprio perchè il giudizio che prosegue è sempre e solo il medesimo iniziato dinanzi al giudice penale, le esegesi (di cui è traccia in alcune delle ordinanze della Quinta Sezione adesive all'indirizzo di differita applicabilità del nuovo comma 1-bis) che hanno posto, accanto al vaglio di ammissibilità o meno del ricorso per cassazione affidato dalla nuova norma al solo giudice penale, un ulteriore e successivo vaglio di ammissibilità, secondo le regole processual-civilistiche, in capo alla sezione civile di rinvio; e ciò senza, peraltro, che ancora qui si consideri, come si farà subito oltre, la insostenibilità di una simile opzione - peraltro già poco compatibile con l'esigenza di semplificazione del processo penale espressamente enunciata dall'art. 1, comma 1 della legge delega n. 134 del 2021 - alla luce della regola della mutata formulazione dell'art. 78, comma 1, lett. d), cit.

2.6. Come infatti or ora anticipato, la modifica di tale ultima norma non può restare indifferente ai fini della spiegazione del significato del nuovo comma 1-bis dell'art. 573 al quale offre, invece, un necessario completamento, ed assume, anzi, un rilievo decisivo proprio agli effetti della risoluzione del contrasto giurisprudenziale su cui le Sezioni Unite sono chiamate ad intervenire.

Va anzitutto rilevato che la necessità di tale modifica, riguardante una norma contenuta all'interno del Titolo V del Libro I del codice di rito penale, riguardante la disciplina relativa a parte civile, responsabile civile e civilmente obbligato per la pena pecuniaria, non risulta direttamente derivante da alcuna delle direttive della legge delega già citata che, infatti, non hanno riguardato la posizione della parte civile, sì da dovere indurre a ritenere che, quindi, la sua ragione sia esattamente da rinvenirsi nel collegamento con ambiti diversi, oggetto di specifica regolamentazione. Ed un tale collegamento è stato individuato, dalla già ricordata Relazione illustrativa al decreto legislativo, proprio con la disciplina della impugnazione ai soli effetti civili, essendosi chiarita la funzione della necessaria specificazione, nell'atto di costituzione, delle ragioni della domanda "agli effetti civili" in correlazione con la mutata attribuzione della decisione di detta impugnazione al giudice o alla sezione civile competente cui il giudizio deve essere rinviato in prosecuzione.

Se, dunque, in altri termini, il giudizio è sempre quello iniziale che prosegue, senza soluzione di continuità, dalla sede penale a quella civile, il possibile epilogo decisorio oggi rappresentato, in caso di impugnazione residuata per i soli effetti civili, dall'art. 573, comma 1-bis, cit., dovrà essere contemplato dalla parte civile sin dal momento dell'atto di costituzione e a tale epilogo la stessa dovrà dunque far fronte strutturando le ragioni della domanda in necessaria sintonia con i requisiti richiesti dal rito civile.

Ciò significa, allora, che, se nella vigenza del precedente tenore della norma, secondo la costante giurisprudenza di legittimità, era del tutto sufficiente, ad integrare la causa petendi cui si riferisce l'art. 78, comma 1, lett. d) cit., il mero richiamo al capo d'imputazione descrittivo del fatto allorquando il nesso tra il reato contestato e la pretesa risarcitoria azionata risultasse con immediatezza (tra le altre, Sez. 2, n. 23940 del 15/07/2020, Rosati, Rv.279490-01; Sez. 6, n. 32705 del 17/04/2014, Coccia, Rv. 260325-01; Sez. 5, n. 22034 del 07/03/2013, Boscolo, Rv. 256500-01), ciò non può più bastare a fronte della nuova disciplina. Sarà infatti necessaria una precisa determinazione della causa petendi similmente "alle forme prescritte per la domanda proposta nel giudizio civile", come già affermato da una sola iniziale pronuncia di questa Corte, poi rimasta superata dalle pronunce appena ricordate, e che ora, per effetto del mutato quadro, riprende evidentemente vigore; cosicchè, ai fini dell'ammissibilità della costituzione, non sarà più sufficiente "fare riferimento all'avvenuta commissione di un reato bensì sarà necessario richiamare le ragioni in forza delle quali si pretende che dal reato siano scaturite conseguenze pregiudizievoli nonchè il titolo che legittima a far valere la pretesa" (Sez. 2, n. 8723 del 07/05/1996, Schiavo, Rv. 205872-01).

In altre parole, dunque, sarà necessario che le ragioni della domanda vengano illustrate secondo gli stilemi dell'atto di citazione nel processo civile, ovvero, secondo quanto prevede oggi l'art. 163, comma 3, n. 4, c.p.c. con "l'esposizione in modo chiaro e specifico" delle stesse (alla stregua del testo attualmente risultante a seguito delle modifiche apportate dall'art. 3, comma 12, lett. a), n. 2, D.Lgs. n. 10 ottobre 2022 n. 149, decorrenti dal 28 febbraio 2023 ed applicabili ai procedimenti instaurati successivamente alla data del 29 dicembre 2022 per effetto dell'art. 35, comma 1, di detto decreto, come modificato dall'art. 1, comma 380, lett. a), L. 29 dicembre 2022, n. 197, con le quali si è inserito appunto l'inciso "in modo chiaro e specifico").

Non, dunque, in un mero "aggiustamento cosmetico" si è risolta la specificazione inserita nell'art. 78 cit., bensì nella necessaria proiezione, sul piano della domanda di parte civile, della mutata regolamentazione della impugnazione della sentenza agli effetti civili.

E tutto ciò è stato appunto riassunto dalla Relazione illustrativa menzionata laddove, come già ricordato in principio, si è fatto riferimento all'onere del danneggiato di prevedere l'eventualità del rinvio di cui all'art. 573 comma 1 bis sin dal momento della costituzione di parte civile.

E' inoltre bene aggiungere che la nuova disciplina non può non incidere, sia pure non direttamente come nel caso della parte civile, anche sull'impugnazione, effettuata sempre ai soli effetti civili, dall'imputato, atteso che le stesse ragioni che richiedono alla parte civile di impostare l'atto di costituzione già considerando un possibile epilogo decisorio in sede civile finiscono inevitabilmente per trasmettersi, in una strategia processuale necessariamente contrassegnata dal contraddittorio, anche al titolare di interessi contrastanti con l'accoglimento della pretesa civile.

3. Gli esiti dell'analisi delle nuove norme sin qui condotta consente dunque di rispondere al quesito posto.

Riprendendo le mosse dai principi già affermati da questa Corte in ordine ai termini di operatività, in caso di modifiche delle norme processuali, del principio tempus regit actum ove, come nella specie, difettino disposizioni che regolino il passaggio da vecchia a nuova norma, l'aspetto di maggior criticità, già considerato dalle sentenze dell'uno e dell'altro orientamento citate dalla ordinanza rimettente, è rappresentato dalla corretta individuazione dell'actus al quale, per l'applicabilità del canone ricordato, occorre fare riferimento; ciò in particolare laddove si consideri che, naturalmente, il processo non è un fenomeno isolato ed istantaneo, ma si compone di una serie concatenata di atti che si sviluppano nel tempo posti in essere da soggetti distinti, e dalla compresenza di norme regolatrici aventi contenuto e finalità molto diverse tra di loro.

Ne consegue che il principio regolatore deve essere necessariamente modulato in relazione alla variegata tipologia degli atti processuali ed alla differente situazione sulla quale essi incidono e che occorre di volta in volta governare.

Appare dunque indispensabile ricordare come le Sezioni Unite abbiano avvertito che "per actus non può intendersi l'intero processo, che è concatenazione di atti - e di fasi - tutti tra loro legati dal perseguimento del fine ultimo dell'accertamento definitivo dei fatti; una tale concatenazione comporterebbe la conseguenza che il processo ‘continuerebbe ad essere regolato sempre e soltanto dalle norme vigenti al momento della sua instaurazionè, il che contrasterebbe con l'immediata operatività del novum prescritta dall'art. 11, comma 1, prel." (Sez. U, Lista, cit.). E d'altra parte, come segnalato anche dalla dottrina, ove, invece, per actus si considerasse il singolo atto via via compiuto, il principio comporterebbe che, in tutti i processi ancora in corso, ai nuovi atti dovrebbero essere applicate immediatamente, sempre e comunque, le nuove norme, con conseguente rischio, tuttavia, di trascurare aspettative consolidatesi in ragione di atti precedenti strettamente collegati a quello atomisticamente considerato.

E' questa, del resto, la ragione per cui possibili limiti o mitigazioni rispetto ad un'assolutizzazione delle regole meramente desumibili dal brocardo tempus regit actum sono stati ricavati dalla Corte costituzionale non solo dal principio di "ragionevolezza" (Corte Cost., ord. n. 560 del 2000), ma anche dall'esigenza di tutela dell'"affidamento" che il singolo dovrebbe poter nutrire nella stabilità di un determinato quadro normativo: affidamento che, almeno quando si trovi, a sua volta, "qualificato dal suo intimo legame con l'effettività del diritto di difesa", riceve, anch'esso, il riconoscimento di principio "costituzionalmente protetto" (Corte Cost., sent. n. 394 del 2002).

Del resto, sul richiamo all'"affidamento del cittadino nella sicurezza giuridica", in quanto costituente "elemento fondamentale e indispensabile dello Stato di diritto", sempre la Corte costituzionale ha avuto modo di far leva più volte, anche per risolvere questioni attinenti alla successione di leggi in materia diversa da quella processuale penale. Ad esempio, ha ribadito che la tutela dell'affidamento non comporta che, nel nostro sistema costituzionale, sia assolutamente interdetto al legislatore di emanare disposizioni le quali modifichino sfavorevolmente la disciplina dei rapporti di durata, e ciò "anche se il loro oggetto sia costituito dai diritti soggettivi perfetti, salvo, qualora si tratti di disposizioni retroattive, il limite costituzionale della materia penale (art. 25, comma 2, Cost.)". Con non minor nettezza si è tuttavia sottolineato che dette disposizioni, "al pari di qualsiasi precetto legislativo, non possono trasmodare in un regolamento irrazionale e arbitrariamente incidere sulle situazioni sostanziali poste in essere da leggi precedenti, frustrando così anche l'affidamento del cittadino nella sicurezza pubblica (recte: giuridica)" (Corte Cost., sent. n. 16 del 2017 e sent. n. 822 del 1988).

Nè, più in generale, possono trascurarsi i riferimenti, talora evidenziati dalla Corte Europea dei diritti dell'uomo, alla "accessibilità" ed alla "prevedibilità" come connotati essenziali del diritto penale, in una prospettiva che guarda non soltanto allo ius scriptum, ma altresì al "diritto vivente" espresso dalla giurisprudenza (ex plurimis, Corte EDU, 14/04/2015, Contrada c. Italia).

In definitiva, nella operazione di individuazione di quale norma, tra quelle succedutesi, vada applicata all'atto o alla sequenza di atti da disciplinare, possono venire in rilevo plurime istanze di rilievo costituzionale la cui composizione e armonizzazione è affidata ad un ricorso, equilibrato, attento, e ragionevole, da parte dell'interprete, ai criteri appena sopra ricordati.

Del resto, quello appena richiamato è anche lo sfondo tenuto ben presente dalla decisione, più volte richiamata, delle Sez. U, Lista allorquando è stato necessario in particolare regolare, in via interpretativa, la applicabilità della norma di cui all'art. 9 L. 20 febbraio 2006, n. 46, soppressiva della facoltà di appello della parte civile, ex art. 577 c.p.p., agli atti di impugnazione pendenti al momento dell'entrata in vigore della nuova disposizione.

Anche in quell'occasione le Sezioni Unite, interrogandosi su quale fosse l'actus cui fare in concreto riferimento per l'individuazione della disciplina applicabile in materia di impugnazione della parte civile, ebbero, a ben vedere, a ritenere insoddisfacente il mero richiamo alla regola tempus regit actum, che avrebbe portato ad "esiti irragionevoli" (in particolare con riferimento all'aleatorietà affidata alla tempestività o meno del deposito della sentenza da impugnare o agli adempimenti di cancelleria o ancora alla iniziativa più o meno tempestiva della parte interessata) ed optarono per ancorare il regime delle impugnazioni non alla disciplina vigente al momento della loro presentazione ma a quella in essere all'atto della pronuncia della sentenza; e ciò fecero facendo richiamo, al riguardo, proprio "all'esigenza di tutela dell'affidamento maturato dalla parte in relazione alla fissità del quadro normativo", sottolineando che "tale affidamento come valore essenziale della giurisdizione che va ad integrarsi con l'altro, di rango costituzionale, della parità delle armi, soddisfa l'esigenza di assicurare ai protagonisti del processo la certezza delle regole processuali e dei diritti eventualmente già maturati senza il timore che tali diritti, pur non ancora esercitati, subiscano l'incidenza di mutamenti legislativi, improvvisi e non sempre coerenti col sistema, che vanno a depauperare o disarticolare posizioni processuali già acquisite".

3.1. Tali principi, dunque, non possono non valere anche in una situazione, come quella di specie, parimenti connotata, in ragione di quanto sopra precisato, dalla intervenuta variazione di aspetti che, pur legati formalmente alla sola fase decisoria dell'impugnazione, finiscono, tuttavia, per riverberarsi sugli atti indirettamente, ma logicamente, propedeutici alla impugnazione stessa mutandone imprevedibilmente i connotati in maniera tale da lasciare "indifesa" la parte che tali atti abbia già svolto secondo quanto prescritto dalla normativa pregressa anche nella costante interpretazione, sopra ricordata, della Corte.

E ciò anche non considerando il requisito della "chiarezza e specificità" della redazione delle ragioni della domanda nell'atto di citazione ex art. 360 c.p.c. come introdotto dalla L. n. 149 del 2022 cit., cui dovrebbe essere omologato il requisito della causa petendi nell'atto di costituzione di parte civile, posto che, come già ricordato sopra, per volontà del legislatore tali caratteristiche sarebbero richieste, secondo quanto disposto dalla L. n. 197 del 2022 per i soli procedimenti civili instaurati successivamente alla data del 28 febbraio 2023, continuando, per i procedimenti pendenti a tale data, ad applicarsi le disposizioni anteriormente vigenti: già la sola necessità sostanziale di adozione, nell'atto di costituzione di parte civile, del testo dell'art. 360 c.p.c. nella versione anteriore alle modifiche suddette, non potrebbe non riverberarsi sulle legittime aspettative della parte civile che abbia presentato l'impugnazione prima dell'entrata in vigore del D.Lgs. n. 150 del 2022.

3.2. Il necessario rispetto delle ragioni di affidamento dell'impugnante nella non variazione del quadro di sistema coesistente al momento dell'impugnazione, ragioni evidentemente dirimenti anche nel caso di specie, deve dunque indurre inevitabilmente ad individuare nel momento del deposito dell'atto di costituzione di parte civile lo spartiacque di delimitazione tra impugnazioni soggette al regime previgente e impugnazioni assoggettate, invece, alla nuova normativa.

E ciò per le ragioni che sopra si sono precisate.

3.3. Non pare infine ostativo alla conclusione qui prescelta neppure l'art. 34, comma 1, lett. g), del D.Lgs. n. 150 del 2022, con cui si è eliminato, nell'art. 601, comma 1, c.p.p., l'obbligo, per il presidente del collegio, di ordinare la citazione dell'imputato non appellante quando l'appello sia proposto per i soli interessi civili (norma che, pur in assenza di esplicitazioni sul punto nella Relazione allo schema di decreto legislativo, parrebbe essere conseguente alla stessa introduzione dell'art. 573, comma 1-bis, cit.); se infatti si ritenga che, anche con riguardo ad essa, difetti una specifica norma transitoria ove si reputi inapplicabile l'art. 94 D.Lgs. n. 150 del 2022, (che avrebbe infatti prorogato, per le impugnazioni proposte entro il 30 giugno 2023, l'applicazione delle norme "emergenziali" Covid con stretto riferimento alla sola disciplina dell'udienza camerale cartolare), dovrebbe anche per essa, proprio in quanto collegata al nuovo comma 1-bis, operare il medesimo momento temporale di delimitazione rappresentato dall'atto di costituzione di parte civile.

4. Nessuno dei due orientamenti in contrasto può, dunque, essere condiviso: non, anzitutto, quello dell'immediata applicabilità della nuova norma a tutte le impugnazioni comunque pervenute alla Corte d'appello e alla Corte di cassazione successivamente all'entrata in vigore della stessa, essendosi essenzialmente trascurato, nell'analisi della nuova disciplina, il decisivo segno di cambiamento rappresentato dall'attribuzione della decisione sull'impugnazione non più al giudice penale bensì al giudice di appello civile o alla sezione civile della Corte di cassazione e la incidenza di detto novum sulle ragioni di affidamento dell'impugnante originate dall'assetto precedente.

Il significato della innovazione rispetto al precedente assetto, rappresentata dal combinato disposto degli artt. 78 e 573, comma 1-bis, cit., non può essere "vanificato" neppure argomentando sulla base della considerazione, sostanzialmente presente in tutte le pronunce rappresentative di detto indirizzo, per cui, già a decorrere dalla pronuncia della Corte Cost., n. 182 del 2021, l'accertamento dell'illecito che sarebbe richiesto al giudice, anche in sede penale, ai fini delle statuizioni sul risarcimento dei danni, avrebbe sempre natura civilistica; più in particolare, affermandosi che il giudice penale dell'impugnazione sarebbe chiamato ad accertare solo la fattispecie aquiliana, senza alcun riferimento a profili inerenti alla responsabilità penale dell'imputato, detto orientamento ha richiamato, come si è visto, quelle pronunce secondo cui il giudice penale dovrebbe comunque utilizzare il giudizio della probabilità prevalente in luogo di quella fissata dall'art. 533, comma 1, c.p.p., facendo utilizzazione della "lettura" dell'art. 578 c.p.p. operata dalla suddetta pronuncia della Corte costituzionale (Sez. 4, n. 37193 del 15/09/2022, Ciccarelli, Rv. 283739-01 e Sez. 2, n. 11808 del 14/01/2022, Restaino, Rv. 283377).

Dunque, si è aggiunto, la prosecuzione in sede civile del giudizio non comporterebbe, rispetto al passato, alcuna modificazione nell'applicazione delle regole processuali e probatorie con conseguente insussistenza di un "affidamento" da tutelare e immediata applicabilità della nuova disposizione di cui all'art. 573, comma 1-bis, cit.

Va tuttavia osservato che, nella impostazione della sentenza n. 182 del 2021 della Corte costituzionale, il "contenimento" dell'accertamento del danno all'interno della responsabilità da atto illecito ex art. 2043 c.c., con le conseguenze processuali e probatorie da esso derivanti, è disceso dalla necessità di non violare il diritto dell'imputato alla presunzione di innocenza tutte le volte in cui la responsabilità penale di quest'ultimo non possa più formare oggetto di accertamento; ma un tale presupposto, invocato non a caso con riguardo ad intervenuta estinzione del reato per amnistia o prescrizione (come è infatti delle sentenze di Sez. 4, n. 37193 del 15/09/2022, Ciccarelli, cit. e Sez. 2, n. 11808 del 14/01/2022, Restaino, cit.) o ad ipotesi in qualche modo a questa equiparabili (come quella dell'impugnazione di parte civile ai soli effetti civili con conseguente passaggio in giudicato della eventuale assoluzione ai fini penali, tanto che proprio a quest'ultima hanno avuto riguardo alcune delle pronunce di cui all'indirizzo in esame), non pare potere valere nel caso di specie; ivi, infatti, passata in giudicato la sentenza di condanna, l'impugnazione ha avuto riguardo ai soli aspetti civili, ben potendo l'accertamento del danno, proprio perchè ormai accertata la responsabilità penale, estendersi all'ambito del reato.

Se anche, dunque, si guardasse alle ipotesi per le quali le coordinate dell'attuale giudizio di responsabilità potrebbero già coincidere, per effetto della citata lettura costituzionale, con quelle introdotte dagli artt. 78 e 573, comma 1-bis cit., non per questo perderebbe di valore l'esigenza di assicurare, nelle altre ipotesi, la tutela dell'affidamento della parte impugnante; e poichè evidenti ragioni di certezza anche del diritto processuale impongono l'adozione, sia pure in via interpretativa, di una regola "transitoria" di carattere generale, si dovrebbe comunque sempre pervenire alla conclusione che individua nella presentazione dell'atto di costituzione di parte civile il momento discriminante tra applicazione delle norme previgenti e applicazione di quelle nuove.

Del resto, mentre il ricorso alla qui prescelta regola nei casi ricadenti nella ratio della sentenza della Corte costituzionale comporterebbe un "eccesso" di garanzia, al più non dovuto ma certo non lesivo dei diritti difensivi, viceversa, l'applicazione immediata delle nuove norme ai casi diversi da quelli si tradurrebbe, come visto, in una lesione dell'aspettativa della parte impugnante a non vedere variato il quadro normativo preesistente che affonda le proprie radici in un quadro di carattere anche costituzionale.

In definitiva, l'operazione di graduazione, appena vista, dei costi e dei benefici relativi, ove si tratti di dettare regole di transizione da un sistema all'altro necessariamente uniformi, non potrebbe evidentemente prescindere dall'osservanza del criterio di proporzionalità o ragionevolezza, insito nell'art. 3 Cost. e certamente applicabile anche in tal caso.

Nè a conclusioni diverse possono condurre la ritenuta possibilità di modificare la domanda in sede di giudizio di rinvio civile, possibilità che, mutuata dalla lettura giurisprudenziale in particolare dell'art. 622 c.p.p., non è invece esperibile con riferimento al nuovo art. 573, comma 1-bis, introduttivo non già, come visto, di un giudizio autonomo rispetto al primo ma di una prosecuzione sempre del medesimo originario giudizio.

Così come non appaiono conducenti i richiami a precedenti pronunce delle Sezioni Unite onde individuare già in esse i prodromi del principio dell'immediata applicabilità della nuova norma.

Non pertinente appare, infatti, il richiamo anzitutto alla sentenza di Sez. U, n. 11586 del 30/09/2021, dep. 2022, D., Rv. 282808-01, affermativa dell'applicabilità, anche ai giudizi relativi a sentenze pronunciate prima della entrata in vigore della L. 23 giugno 2017, n. 103, del nuovo comma 3-bis dell'art. 603 c.p.p., stante la diversità dell'actus colà considerato (ovvero la rinnovazione dell'istruzione dibattimentale), non inserito, come nella specie, in una sequenza iniziata già in precedenza e non scindibile in singoli momenti.

Neppure rilevante appare la decisione di Sez. U, n. 3464 del 30/11/2017, Matrone, Rv. 275201, implicitamente affermativa dell'applicabilità, in un procedimento iniziato nel 2016, della nuova ipotesi di annullamento senza rinvio di cui all'art. 620, comma 1, lett. I), c.p.p., introdotta con la L. n. 103 del 2017 in un momento temporale successivo, anche in tal caso essendosi evidentemente in presenza di un atto (la decisione di annullamento senza rinvio anzichè di annullamento con rinvio) privo di effetti pregiudizievoli sulle legittime aspettative dell'impugnante, con piana applicazione del principio di cui all'art. 11 preleggi.

Da ultimo, neppure la pronuncia di Sez. U, n. 13539 del 30/01/2020, Perroni, Rv. 270270, appare probante nel senso invocato dall'indirizzo esaminato, posto che l'applicabilità dell'art. 578-bis c.p.p. alle sentenze pronunciate prima dell'entrata in vigore di tale norma, introdotta dall'art. 6, comma 4, del D.Lgs. n. 1 marzo 2018, n. 21, è stata chiaramente determinata proprio dalla linea di continuità della disposizione, pur formalmente nuova, rispetto alla possibilità di operare, anche in precedenza, la confisca edilizia pur in presenza di intervenuta prescrizione del reato alla luce della costante interpretazione dell'art. 44 del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (cfr. Sez. 3, n. 21910 del 07/04/2022, Licata, Rv. 28332502) 4.1. Neppure può essere seguito l'orientamento della applicabilità della norma alle sole impugnazioni relative alle sentenze pronunciate o depositate dopo la data del 30 dicembre 2022, seppur fondato su un'impostazione preoccupata, in linea con la limitazione del principio del tempus regit actum, di non arrecare lesioni alle legittime aspettative della parte impugnante.

Tale indirizzo appare, infatti, avere limitato impropriamente in tal modo l'ambito di applicazione del principio di affidamento dell'impugnante senza, anch'esso, considerare il riflesso della sequenza impugnatoria sui collegati requisiti di redazione dell'atto di costituzione di parte civile, in una necessaria visuale di complessiva considerazione dell'actus interessato e finendo per arrestarsi, anch'esso, su una linea di cesura tra giudizio di impugnazione instaurato dinanzi al giudice penale e giudizio proseguito dinanzi al giudice civile smentita dalla lettera e dalla ratio della nuova norma.

5. Va conseguentemente affermato il seguente principio di diritto: "l'art. 573, comma 1-bis, c.p.p., introdotto dall'art. 33 del D.Lgs. n. 10 ottobre 2022, n. 150, si applica alle impugnazioni per i soli interessi civili proposte relativamente ai giudizi nei quali la costituzione di parte civile sia intervenuta in epoca successiva al 30 dicembre 2022, quale data di entrata in vigore della citata disposizione".

6. Venendosi dunque ad esaminare l'unico motivo di ricorso, con cui si lamenta che il giudice di appello abbia fatto luogo alla compensazione per intero tra le parti delle spese di lite a fronte della ritenuta parziale soccombenza della parte civile derivata dalla liquidazione dei danni in misura inferiore a quella richiesta, va anzitutto chiarito che l'impugnazione svolta nella specie deve ritenersi rientrare tra quelle svolte "per i soli interessi civili", con conseguente rilevanza della questione posta dalla Sezione rimettente.

Infatti, pur venendo nella specie dedotta, oltre alla mancanza di motivazione, la violazione di legge processuale formalmente di natura penale, ovvero, in particolare, dell'art. 541 c.p.p., la stessa appare riguardare indubitabilmente i soli effetti civili della sentenza impugnata, derivando la regolamentazione delle spese in oggetto proprio dalla intervenuta costituzione di parte civile e, dunque, dalla responsabilità per i danni civili arrecati.

Del resto, è evidente come nella nozione di "interessi civili" impiegata dall'art. 573 c.p.p. e che giustifica in astratto, ove non siano più residuate questioni di natura penale, l'applicazione della nuova norma del comma 1-bis, non rientrino anche le questioni processuali che, pur presidiate (posto che l'azione viene esercitata nell'ambito del processo penale) anche da norme di rito penale, trovano la propria causa, come nell'ipotesi in esame, nella domanda di parte civile esercitata per il ristoro dei danni subiti.

In altri termini, affinchè l'impugnazione sia svolta "per i soli interessi civili", la stessa deve riguardare capi della decisione di contenuto extrapenale, ossia concernenti, fondamentalmente, la richiesta di risarcimento dei danni, le spese sostenute dalla parte civile e i danni conseguenti a lite temeraria.

E non pare dubbio che, nella fattispecie in esame, proprio uno di detti capi sia stato attinto dall'impugnazione della parte civile.

7. Una volta dunque ritenuta la rilevanza della questione dedotta, e atteso che, in forza del principio di diritto appena affermato sopra e, dunque, della inapplicabilità all'impugnazione de qua, relativa a procedimento nel quale l'atto di costituzione di parte civile è intervenuto anteriormente all'entrata in vigore del D.Lgs. n. 130 del 2022, dell'art. 573, comma 1-bis, c.p.p., la censura svolta con il ricorso deve essere decisa dalla Corte di cassazione penale, va osservato che il motivo di ricorso è fondato.

Va infatti sottolineato che, come già affermato da queste Sezioni Unite, il parziale accoglimento dell'impugnazione dell'imputato non elimina la affermazione di responsabilità, sicchè è consentita la condanna dello stesso alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile nel giudizio di impugnazione, in base alla decisiva circostanza della mancata esclusione del diritto della parte civile, salvo che il giudice non ritenga di disporne, per giusti motivi, la compensazione totale o parziale, sulla base di un potere discrezionale attribuito dalla legge e il cui esercizio non è censurabile in sede di legittimità, se congruamente motivato (Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone, Rv. 207946-01); successivamente, e analogamente, si è poi confermato che la violazione del principio della soccombenza, in ordine al regolamento delle spese da parte del giudice di merito, deve ravvisarsi soltanto nell'ipotesi in cui l'imputato sia totalmente vittorioso, nel senso che egli sia assolto con formula preclusiva dell'azione civile, mentre è legittima la condanna dell'imputato al pagamento delle spese sostenute dalla parte civile quando la responsabilità sia stata confermata, pur in presenza di un accoglimento dell'impugnazione sotto altri profili (tra le altre, Sez. 4, n. 25846 del 15/03/2018, Santoro, Rv. 273079; Sez. 5, n. 6419 del 19/11/2014, Arrigone, Rv. 262685).

Risulta dunque non legittima, sulla base di tali principi, la decisione della Corte territoriale che, per il solo fatto, espressamente enunciato, della riduzione dell'entità del risarcimento dei danni conseguita alla operata riqualificazione giuridica dei reati ritenuti in sede di giudizio di primo grado, ha disposto la compensazione integrale delle spese di lite tra le parti.

Infatti, considerato che, come già affermato da questa Corte, la riqualificazione dei reati, ricondotti peraltro a quelli già originariamente contestati, non fa venir meno il diritto alla restituzione e al risarcimento del danno in favore della parte civile costituita, purchè il fatto sia rimasto qualificato quale illecito penale anche al momento della pronuncia delle sentenze di primo e secondo grado (Sez. 6, n. 27087 del 19/04/2017, Fiorenza, Rv. 270400-01), tale operata compensazione, anche in forma solo parziale, non può trovare comunque giustificazione.

8. Ne consegue, in applicazione dell'art. 620, lett. /), c.p.p., applicabile anche ove si tratti di annullamento ai soli effettivi civili, come evidenziato dal fatto che l'art. 622 c.p.p. prescrive il rinvio per la decisione al giudice civile competente in grado di appello solo "ove occorra", l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata limitatamente alla disposta compensazione tra le parti delle spese di parte civile relative ai giudizi di primo e di secondo grado, conseguendo la liquidazione delle stesse in favore della stessa parte civile in complessivi Euro ottomilacinquecento oltre accessori di legge.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla disposta compensazione tra le parti delle spese di parte civile relative ai giudizi di primo e di secondo grado, spese che liquida in complessivi Euro ottomilacinquecento, oltre accessori di legge. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi a norma dell'art. 52 D.Lgs. n. 196 del 2003 in quanto imposto dalla legge.

Conclusione

Così deciso in Roma, il 25 maggio 2023.

Depositato in Cancelleria il 21 settembre 2023