1. Il ricorso è manifestamente infondato e deve pertanto essere dichiarato inammissibile.
2. Il profilo di censura concernente la mancata concessione delle attenuanti generiche è inammissibile per genericità, non avendo la difesa prospettato elementi valutabili a favore dell'imputato, al di là del mero stato di tossicodipendenza. In ogni caso, la Corte d'appello ha correttamente evidenziato le ragioni del diniego del riconoscimento circostanze, individuandole nella mancanza di elementi positivi e di resipiscenza. Così argomentando, i giudici del gravame hanno correttamente applicato i principi secondo cui la concessione delle circostanze attenuanti generiche non impone che siano esaminati tutti i parametri di cui all'art. 133 c.p., essendo sufficiente che si specifichi a quale di esso si sia inteso fare riferimento (ex plurimis, Sez. 5., n. 43952 del 13/04/2017): Inoltre, al fine di ritenere o escludere le circostanze attenuanti generiche il giudice può limitarsi a prendere in esame, tra gli elementi indicati dall'art. 133 c.p., quello che ritiene prevalente ed atto a determinare o meno il riconoscimento del beneficio, sicchè anche un solo elemento attinente alla personalità del colpevole o all'entità del reato ed alle modalità di esecuzione di esso può risultare all'uopo sufficiente. (Sez. 2, n. 23903 del 15/07/2020, Rv. 279549 - 02).
Si è, altresì, affermato che in tema di diniego della concessione delle attenuanti generiche, la ratio della disposizione di cui all'art. 62 bis c.p. non impone al giudice di merito di esprimere una valutazione circa ogni singola deduzione difensiva, essendo, invece, sufficiente l'indicazione degli elementi di preponderante rilevanza ritenuti ostativi alla concessione delle attenuanti; ne deriva che queste ultime possono essere negate anche soltanto in base ai precedenti penali dell'imputato, perchè in tal modo viene formulato comunque, sia pure implicitamente, un giudizio di disvalore sulla sua personalità. (Sez. 2, n. 3896 del 20/01/2016, Rv. 265826 - 01).
Nella specie, il giudice di primo grado aveva escluso la concessione delle generiche in considerazione dei gravi precedenti penali e della condotta processuale tenuta dal A.A., ed in particolare del fatto che non merita apprezzamento la giustificazione fornita in ordine alla assenza da casa. La Corte d'appello ha confermato tale valutazione non rinvenendo elementi positivi nel comportamento dell'imputato, nè sintomi di un ripensamento critico delle proprie condotte.
2.2. Anche la censura concernente il difetto di motivazione in ordine alla quantificazione del trattamento sanzionatorio risulta manifestamente infondata.
Invero, è inammissibile la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una nuova valutazione della congruità della pena, la cui determinazione non sia frutto di un mero arbitrio o di un ragionamento illogico (ex multis Sez. 2, n. 53266 del 23/11/2017).
D'altra parte, nel caso in cui la pena venga irrogata in misura prossima al minimo edittale, non è necessaria un'argomentazione specifica e dettagliata da parte del giudice, che ottempera all'obbligo motivazionale di cui all'art. 125, comma 3, c.p.p. anche ove adoperi espressioni che facciano comunque riferimento all'equità e congruità della pena stessa (ex plurimis, Sez. 1, n. 16691 del 22/01/2009, Santaiti, Rv. 243168-01; Sez. 3, n. 33773 del 29/05/2007, Ruggieri, Rv. 237402-01; Sez. 2, n. 43596 del 07/10/2003, Iunco, Rv. 22768501).
Il Tribunale monocratico di Napoli aveva ritenuto congruo determinare la pena base in anni uno e mesi sei di reclusioni, così distaccandosi di poco dal minimo edittale, e applicando su di essa l'aumento di sei mesi per la contestata recidiva, e quindi la riduzione per la scelta del rito.
La sentenza impugnata ha confermato tale trattamento sanzionatorio, dando conto del fatto che esso si era attestato sul minimo edittale, sul quale era stato poi calcolato l'aumento per la recidiva.
Trattasi di motivazione congrua ed adeguata la quale si sottrae alle censure del ricorrente.
3. Alla declaratoria di inammissibilità dell'impugnazione consegue ex lege, ai sensi dell'art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento, nonchè al versamento in favore della Cassa delle ammende di una somma determinata, equamente, in Euro 3.000,00, tenuto conto che non sussistono elementi per ritenere che "la parte abbia proposto ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità" (Corte Cost. n. 186 del 13/06/2000).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
Conclusione
Così deciso in Roma, il 1 marzo 2023.
Depositato in Cancelleria il 19 settembre 2023