Giu valutazione della chiamata in correità o in reità
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. I PENALE - 15 settembre 2023 N. 37855
Massima
Nella valutazione della chiamata in correità o in reità, il giudice, ancora prima di accertare l'esistenza di riscontri esterni, deve verificare la credibilità soggettiva del dichiarante e l'attendibilità oggettiva delle sue dichiarazioni, ma tale percorso valutativo non deve muoversi attraverso passaggi rigidamente separati, in quanto la credibilità soggettiva del dichiarante e l'attendibilità oggettiva del suo racconto devono essere vagliate unitariamente, non indicando l'art. 192, comma 3, c.p.p., alcuna specifica tassativa sequenza logico-temporale (tra le altre, Sez. U, n. 20804 del 29/11/2012, dep. (Omissis), Aquilina, Rv. 255145; Sez. 1, n. 41238 del 26/06/2019, Vaccaro, Rv. 277134; Sez. 6, n. 40899 del 14/06/2018, C., Rv. 274149).

Con riferimento all'esame degli elementi indiziari, va richiamata la costante giurisprudenza di legittimità secondo la quale è solo l'esame del complessivo compendio entro il quale ogni elemento è contestualizzato che consente di verificare la consistenza e la decisività degli elementi medesimi oppure la loro ininfluenza ai fini della compattezza logica dell'impianto argomentativo della motivazione (Sez. 2, n. 18163 del 22/04/2008, Ferdico, Rv. 239789), posto che nella valutazione complessiva ciascun indizio si somma e si integra con gli altri, così che l'insieme può assumere quel pregnante ed univoco significato dimostrativo che consente di ritenere provato il fatto (Sez. U, n. 6682 del 04/02/1992, Musumeci, Rv. 191230).

Testo della sentenza
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. I PENALE - 15 settembre 2023 N. 37855

1. I ricorsi sono infondati.

2. Gli atti di impugnazione proposti nell'interesse di A.A. vanno nel loro complesso rigettati.

2.1. Il ricorso principale proposto dall'avv. Staiano nell'interesse dell'imputato e i motivi aggiunti delle difese sono infondati, mentre il motivo nuovo, introdotto dal difensore all'udienza di discussione del 3 febbraio 2023, è inammissibile per le ragioni di seguito illustrate.

La difesa eccepisce l'inutilizzabilità dei risultati relativi all'acquisizione dei tabulati telefonici, tenuto conto della disposizione di cui all'art. 1, comma 1-bis, D.L. 30 settembre 2021, n. 132, convertito, con modificazioni, dalla L. 23 novembre 2021, n. 178, la quale ha disposto, in deroga al principio tempus regit actum, che i tabulati acquisiti prima dell'entrata in vigore del predetto decreto legge possono essere utilizzati a carico dell'imputato "solo unitamente ad altri elementi di prova".

A parere del Collegio si tratta di norma dettata dal legislatore in tema di acquisizione dei dati esterni del traffico telefonico e telematico, che non ha sancito l'inutilizzabilità patologica dei tabulati non riscontrati, vizio deducibile in ogni tempo e rilevabile d'ufficio anche dal giudice di legittimità, ma ha introdotto una regola legale di valutazione della prova, la cui violazione deve essere tempestivamente e specificamente dedotta da chi vi ha interesse.

In tale senso si è espressa la recente giurisprudenza di legittimità, cui il Collegio intende dare continuità (Sez. 5, 8968 del 24/02/2022, Fusco, Rv. 282989; Sez. 5, n. 38213 del 15/09/2022, Rv. 283875, fattispecie in cui la questione era stata sollevata per la prima volta in sede di discussione del ricorso per cassazione) secondo cui la norma ha introdotto una nuova regola legale di valutazione della prova e non la previsione di una causa di inutilizzabilità patologica dei tabulati telefonici; sicchè il tema può essere introdotto per la prima volta in cassazione quando è stato devoluto il vizio di motivazione in relazione all'idoneità dei tabulati a provare l'affermazione di responsabilità dell'imputato.

Tema, in verità, non devoluto in tali specifici termini nemmeno con i motivi aggiunti, peraltro successivi all'entrata in vigore della norma transitoria.

Ne consegue che, in assenza di una questione di inutilizzabilità patologica, deducibile in ogni tempo e rilevabile d'ufficio anche dal giudice di legittimità ai sensi dell'art. 609, comma 2, c.p.p. (tra le altre, Sez. 3, n. 32866 del 29/04/2021, Fenili, Rv. 281880), la questione prospettata dal ricorrente è tardivamente proposta, perchè l'eccepita violazione dell'art. 1, comma 1-bis del D.L. n. 132 del 2021, convertito dalla L. n. 178 del 2021, non può essere dedotta per la prima volta nel corso della discussione del ricorso di legittimità, trattandosi di previsione che non ha introdotto la sanzione processuale dell'inutilizzabilità, ma ha delineato una regola legale di valutazione della prova, la cui violazione non è rilevabile d'ufficio.

In ogni caso, si osserva che l'eccezione è genericamente prospettata perchè, dalla sentenza di secondo grado impugnata, risulta anche che le utenze di B.B., A.A. e C.C., all'epoca dell'omicidio, erano oggetto di intercettazione disposta, dal (Omissis), dal GOA della Guardia di finanza in diverso procedimento (vedi pag. 70); quindi le informazioni sulle rispettive utenze erano desumibili dai tabulati telefonici, ma erano arricchite dai (Omissis), in grado di fornire il posizionamento degli apparecchi mobili.

Va, poi, precisato che, nel presente procedimento, non si esaminano tout court gli esiti riportati nei tabulati, ma questi transitano nella cognizione dei giudici di merito attraverso l'esame del consulente tecnico del Pubblico ministero, di quello della difesa e del perito, con accertamento tecnico disposto già nel primo grado di giudizio.

Infine, si rileva che la Corte territoriale afferma di procedere alla valutazione degli esiti dell'esame dei tabulati utilizzandoli quali elementi di riscontro e non come prova autonoma.

La motivazione, invero, afferma trattarsi di indizi e indica il criterio di valutazione della prova (cfr. pag. 79) richiamando giurisprudenza sull'art. 192, comma 2, c.p.p., in termini di convergenza, precisione e concordanza, sicchè non valuta il singolo dato che emerge dai tabulati come prova diretta del fatto da reputarsi provato.

2.2. Ciò posto, si rileva l'infondatezza del motivo unico di ricorso principale dell'avv. Staiano, del primo motivo proposto dall'avv. Foti (in larga parte sovrapponibile al primo), nonchè dei motivi aggiunti introdotti dai difensori di A.A., con memoria trasmessa a mezzo p. e. c. del 12 gennaio 2023, con i quali si è ribadito il dedotto vizio di motivazione in ordine al giudizio di attendibilità delle dichiarazioni del collaboratore di giustizia C.C..

2.2.1. Osserva, in via generale, il Collegio, con ragionamento che deve essere esteso anche all'imputato B.B., che la sentenza rescindente della sezione Quinta penale indica come da ripetere, a cura del giudice del rinvio, perchè rimasti irrisolti, anche all'esito del secondo giudizio di appello:

- l'esame della credibilità soggettiva di C.C. (rilevando che la seconda sentenza della Corte di assise di appello ha attribuito a C.C. la qualità di "mentitore professionista", rilevando però l'assenza di motivi di rancore con gli accusati, senza lasciar intendere da quale parte propenda il suo convincimento finale sullo specifico punto della credibilità del dichiarante);

- l'esame dell'attendibilità oggettiva delle dichiarazioni (perchè esaminata in maniera non combinata rispetto al punto della credibilità soggettiva) indicando che si tratta di elemento inscindibile ed indispensabile per pervenire ad un reale assolvimento del vincolo del primo rinvio, relativo proprio al difetto di motivazione sulla posizione complessiva della prova dichiarativa rappresentata dalle dichiarazioni del chiamante in correità;

- la verifica della compatibilità tra le dichiarazioni di C.C., avuto riguardo alla partecipazione di W.W. alla fase organizzativa dell'omicidio ed il suo arrivo a (Omissis) due giorni prima del delitto (la motivazione della sentenza assolutoria si risolveva, per la Corte di cassazione, in una serie di affermazioni perplesse, in ipotesi e congetture);

- l'aporia sull'indicazione da parte di C.C. del mandante dell'omicidio in B.E. - così come la stessa rivalutazione del movente, che è stato ritenuto non provato dal giudice del primo giudizio di rinvio - tenuto conto di elementi, non considerati, con i quali si è travolta l'attendibilità dell'intero narrato del collaboratore, confondendo, in tal modo, il piano di verifica della credibilità soggettiva con quello dell'attendibilità, appunto, non tenendo conto del parametro interpretativo, fissato quale regula iuris, secondo cui la credibilità del dichiarante può essere compromessa eventualmente solo da un'inattendibilità macroscopica derivante dal conclamato contrasto con altre sicure emergenze probatorie;

- la valutazione degli indizi complessivamente presenti nel processo, esaminati, invece, in modo disorganico e parcellizzato, perdendo di vista la loro valenza unitaria e senza decisiva fase valutativa: quella destinata a far convergere il molteplice in una visione unica;

- l'omessa valutazione della specifica circostanza del ritrovamento di armi nel garage di C.C., del tutto trascurata nella motivazione, nonchè l'esame dei rapporti telefonici tra A.A. e L.L., intercorsi tra i due nel contesto temporale dell'omicidio, dati già segnalati con la prima sentenza di annullamento con rinvio.

Dunque, osserva il Collegio che le regulae iuris cui attenersi nello svolgere il nuovo esame da parte della Corte di assise di appello dettate dalla sentenza rescindente - la quale, invero, richiama anche il contenuto della prima sentenza di annullamento con rinvio nei termini appresso delineati - rendevano necessario per il giudice del rinvio:

- rivalutare la credibilità soggettiva e l'attendibilità oggettiva di C.C. in maniera combinata, nonchè riconsiderare la compatibilità della chiamata nei confronti di W.W. come partecipe alla fase organizzativa, con la comprovata assenza di questi da (Omissis) fino al (Omissis);

- rivalutare la credibilità del chiamante tenendo presente che questa può essere compromessa solo da inattendibilità macroscopica derivante dal contrasto con altre emergenze probatorie;

- valutare gli indizi raccolti complessivamente e non in modo parcellizzato;

- considerare, a tal fine, anche la circostanza del ritrovamento dell'arma usata per l'omicidio nel garage di C.C. nonchè i rapporti telefonici tra A.A. e L.L., nel contesto temporale dell'omicidio.

Ciò posto, questo Collegio richiama il consolidato il principio affermato da questa Corte (tra le altre, Sez. 3, n. 34794 del 19/05/2017, F., Rv. 271345) secondo il quale, a seguito di annullamento per vizio di motivazione, il giudice del rinvio è chiamato a compiere un nuovo completo esame del materiale probatorio con i medesimi poteri che aveva il giudice la cui sentenza è stata annullata, salve le sole limitazioni previste dalla legge consistenti nel non ripetere il percorso logico già censurato, spettandogli il compito esclusivo di ricostruire i dati di fatto risultanti dalle emergenze processuali e di apprezzare il significato e il valore delle relative fonti di prova (conf. Sez. 2, n. 27116 del 2014, Rv. 259811; Sez. 5, n. 42814 del 2014, Rv. 261760; Sez. 5, n. 36080 del 2015 Rv. 264861).

Peraltro, va considerato che nel giudizio di rinvio (cfr. Sez. 2, n. 8733 del 22/11/2019, dep., 2020, Le Voci, Rv. 278629) a seguito di annullamento per vizio di motivazione, il giudice di merito non è vincolato nè condizionato da eventuali valutazioni in fatto formulate dalla Corte di cassazione con la sentenza rescindente, spettando al solo giudice di merito il compito di ricostruire i dati di fatto risultanti dalle emergenze processuali e di apprezzare il significato e il valore delle relative fonti di prova (conf. Sez. 4, n. 43720 del 2003, Rv. 226418; Sez. 5, n. 36080 del 2015, Rv. 264861; Sez. 4, n. 20044 del 2015, Rv. 263864; Sez. 3, n. 34794 del 2017, Rv. 271345).

Inoltre, si sottolinea che, secondo l'ormai consolidato insegnamento di questa Corte, cui il Collegio intende dare continuità ed al quale si è attenuta la sentenza rescindente, nella valutazione della chiamata in correità o in reità, il giudice, ancora prima di accertare l'esistenza di riscontri esterni, deve verificare la credibilità soggettiva del dichiarante e l'attendibilità oggettiva delle sue dichiarazioni, ma tale percorso valutativo non deve muoversi attraverso passaggi rigidamente separati, in quanto la credibilità soggettiva del dichiarante e l'attendibilità oggettiva del suo racconto devono essere vagliate unitariamente, non indicando l'art. 192, comma 3, c.p.p., alcuna specifica tassativa sequenza logico-temporale (tra le altre, Sez. U, n. 20804 del 29/11/2012, dep. (Omissis), Aquilina, Rv. 255145; Sez. 1, n. 41238 del 26/06/2019, Vaccaro, Rv. 277134; Sez. 6, n. 40899 del 14/06/2018, C., Rv. 274149).

Con riferimento all'esame degli elementi indiziari, va richiamata la costante giurisprudenza di legittimità secondo la quale è solo l'esame del complessivo compendio entro il quale ogni elemento è contestualizzato che consente di verificare la consistenza e la decisività degli elementi medesimi oppure la loro ininfluenza ai fini della compattezza logica dell'impianto argomentativo della motivazione (Sez. 2, n. 18163 del 22/04/2008, Ferdico, Rv. 239789), posto che nella valutazione complessiva ciascun indizio si somma e si integra con gli altri, così che l'insieme può assumere quel pregnante ed univoco significato dimostrativo che consente di ritenere provato il fatto (Sez. U, n. 6682 del 04/02/1992, Musumeci, Rv. 191230).

Orbene, delimitato l'ambito del giudizio rimesso dalla seconda sentenza rescindente al giudice del rinvio, si osserva che la pronuncia impugnata (cfr. pag. 16 e ss.) oggetto del presente procedimento, riesamina in modo completo e conforme ai canoni interpretativi dettati da questa Corte di legittimità, la credibilità di C.C., in un giudizio combinato con quello della sua attendibilità, tanto in ossequio alle precise indicazioni che si ricavano dalla sentenza rescindente.

Secondo i giudici della sentenza impugnata, il dichiarante, tratto in arresto il 15 luglio (Omissis) perchè indagato dell'omicidio D.D., abitava in (Omissis), dove gli inquirenti avevano reperito, al momento del suo arresto, modeste quantità di plurime sostanze stupefacenti.

Questi aveva in uso un garage, sito in (Omissis), in zona (Omissis), dove, nei giorni immediatamente successivi all'omicidio D.D., verrà reperito dagli inquirenti un vero e proprio arsenale di armi, tra cui una parte di quella risultata usata per l'omicidio, sostanze stupefacenti e telefoni cellulari oltre a un personal computer risultato in uso esclusivo a A.A., rinvenimento che precede l'inizio della collaborazione del dichiarante.

C.C., infatti, inizierà a collaborare nei primi giorni di agosto (Omissis), mentre in data 22 luglio (Omissis), era stata emessa nei suoi confronti diversa ordinanza cautelare, con riferimento alla detenzione di quanto reperito nel descritto garage.

La sentenza impugnata (cfr. pag. 17) esamina la credibilità soggettiva (motivi della scelta collaborativa, l'affiliazione alla ‘ndrangheta, simulazione dello stato di infermità mentale in altro procedimento) e indica C.C. come affiliato alla ‘ndrangheta proprio tramite A.A., in quanto conosciuto durante una comune detenzione.

Questi, secondo quanto esposto nella sentenza impugnata, negli anni 2007-2008 aveva ricevuto, in un primo momento, doti di picciotto e di camorra di sangue e A.A. era stato il puntaiolo nella cerimonia della sua affiliazione, per poi ottenere, in un secondo momento, doti di sgarro, santa e vangelo.

Si specifica che, nel processo a carico di C.C. per l'omicidio di S.S , il collaboratore si era finto pazzo, tanto da ottenere la seminfermità al momento del fatto, inducendo in errore anche il perito nominato dall'Autorità giudiziaria procedente e da aver riportato la pena di anni quindici e mesi quattro di reclusione e non quella dell'ergastolo (cfr. pag. 20 e ss.) proprio per la riconosciuta seminfermità al momento del fatto.

Per giungere a tale risultato, secondo quanto esposto nella sentenza impugnata, C.C. racconta di aver seguito i consigli di altri detenuti suoi compagni di cella e, solo successivamente, anche quanto suggerito da , con il quale, aveva condiviso, per un breve periodo trascorso in infermeria, la detenzione in carcere. Lo stesso C.C. narra di aver simulato, anche su suggerimento dei compagni di cella, un finto suicidio all'esito del quale racconta di aver ottenuto di essere collocato in una clinica.

Su tali punti, i motivi di ricorso evidenziano che C.C. è abile simulatore, ha tratto dalle ordinanze emesse a suo carico i dettagli relativi all'omicidio narrati e, dunque, non è credibile, anche perchè spinto dall'intento di ottenere per sè, rispetto alla confessata partecipazione all'omicidio D.D., benefici premiali.

Inoltre, si rimarca che la Corte di appello di Genova, nel procedimento svolto a carico di P.P., con sentenza del 10 dicembre 2015, attribuisce a C.C. dichiarazioni che danno adito a oggettivi sospetti e il dichiarante viene descritto come persona dalla sfacciata arroganza, anche per aver raggirato periti e magistrati, ponendo in essere comportamenti positivi, quindi considerato collaboratore non credibile.

Sul punto il Collegio rileva che la motivazione, non manifestamente illogica e aderente alle indicazioni della sentenza rescindente, conclude, invece, nel senso della credibilità di C.C. quanto alle dichiarazioni etero accusatorie rese nel presente procedimento a carico degli odierni ricorrenti (cfr. pag. 22) escludendo che la credibilità del dichiarante sia stata minata da macroscopica inattendibilità.

La Corte territoriale, a tal fine, sottolinea che il dichiarante accusa, nonostante saldi vincoli di amicizia che li legavano (con A.A. in particolare), i concorrenti nel reato continuando, peraltro, a mostrare segnali di ammirazione e riverenza verso i capi del sodalizio.

Questi, per la sentenza impugnata, non ha manifestato intenti calunniatori (invero neppure paventati dalle difese con i motivi di impugnazione).

C.C., secondo quanto valorizzato dal giudice del rinvio, inoltre, si autoaccusa anche di altri fatti, oltre all'omicidio D.D., per il quale era già stato tratto in arresto al momento della sua collaborazione, rimarcando che sono nati, dalle sue dichiarazioni, plurimi procedimenti, alcuni dei quali già conclusi con condanna definitiva dei soggetti destinatari delle sue accuse.

Il dato dell'affiliazione viene ritenuto, poi, riscontrato a fronte del rinvenimento, nel container in (Omissis), di un quadernetto dal quale si trae conferma della formula per l'affiliazione che C.C. narra aver pronunciato all'atto della sua investitura. A ciò, peraltro, la Corte di assise di appello aggiunge il dato specifico secondo il quale il teste di polizia giudiziaria esaminato sul punto, è indicato come dichiarante che ha reso conto di tale ritrovamento e che ha confermato la contestuale detenzione, per un dato periodo, con .

In ordine alle denunciate capacità simulatorie di C.C., la Corte di assise di appello elenca alcuni precedenti, passati in cosa giudicata, in cui viene rivisto il giudizio della Corte di appello di Genova sull'affidabilità delle affermazioni di C.C. (pag. 25 e ss.: Sez. 3, n. 34396 del 18.6.2021 tra gli altri nei confronti di A.A., per i reati di cui agli artt. 74, 73 TU Stup., estorsioni, lesioni, armi).

Inoltre, i giudici del rinvio evidenziano (pag. 27) che C.C., nel diverso procedimento, finge il suicidio seguendo le indicazioni dei suoi compagni di cella con lui detenuti, segue gli incoraggiamenti di questi anche a proseguire nella sua condotta, finisce per mantenere un silenzio ostinato, alterando l'esito dei test diagnostici che, pure, gli erano stati somministrati. Si precisa, peraltro, che P.P. era giunto nello stesso carcere soltanto dopo che le simulazioni di C.C. erano iniziate e si rimarca che i due si erano conosciuti di persona, quando C.C. era stato collocato in infermeria, ove era stato incoraggiato a proseguire nella sua condotta, secondo lo stesso narrato del collaboratore, confermato da ulteriori elementi di riscontro.

La Corte di assise di appello non sfugge, dunque, al tema introdotto dalle difese e devoluto dalla sentenza rescindente ma, anzi, si confronta anche con la motivazione della Corte di appello di Genova sulle ritenute capacità simulatorie del C.C. (cfr. pag. 28) circa la genesi della collaborazione, concludendo nel senso della credibilità del dichiarante, con ragionamento non manifestamente illogico, completo ed in conformità alle regulae iuris dettate dalla sentenza di annullamento con rinvio.

Peraltro, l'operazione della Corte territoriale risulta in linea con l'insegnamento di questa Corte di legittimità secondo il quale (tra le altre, Sez. 1, n. 8799 del 23/01/2018, dep. 2019, Petruolo, Rv. 276166) il giudizio di credibilità del dichiarante e di attendibilità delle dichiarazioni deve essere l'esito di una motivata valutazione autonoma del giudicante e non può essere soddisfatto dal mero rinvio a quanto avvenuto in separati procedimenti che si risolva in un acritico recepimento di valutazioni operate da altri giudicanti.

Con riferimento al connesso giudizio di attendibilità di C.C. (cfr. pag. 30 e ss.) i giudici del secondo rinvio ripercorrono, puntualmente, tutti gli argomenti rimessi alla loro cognizioni dalla Corte di legittimità ed osservano che, dopo la scarcerazione per l'omicidio S.S , C.C. si era stabilito a (Omissis), dove era in contatto con A.A. e con B.E. il quale voleva creare una ‘ndrina a (Omissis), egemone nello smercio di cocaina, fumo e armi.

Il collaboratore, secondo la ricostruzione della sentenza impugnata, ha narrato di accordi con B.E. e A.A. riguardanti il commercio di cocaina e di un momento a partire dal quale lui stesso aveva cominciato a rapportarsi, in via esclusiva, con B.E..

A.A., su indicazione di B.E., è indicato, poi, come colui che teneva la bacinella e la contabilità del gruppo di riferimento.

La sentenza impugnata specifica che C.C. aveva riferito di 160 chili di cocaina squama che erano giunti a (Omissis) dalla (Omissis), ad agosto 2012, di cui 30 chili sarebbero stati riservati a A.A. e C.C. dallo stesso B.E.. C.C., che in quel momento era a (Omissis), aveva avuto indicazione da A.A. di rientrare a (Omissis) per ricevere il carico (pari a 40 chili come era stato verificato all'interno del box di (Omissis) dall'effettiva "pesata" che era stata effettuata).

Ancora, C.C. quanto a D.D. (cfr. pag. 34) secondo la sentenza impugnata, afferma di conoscerlo dal 2010 e narra di essersi rivolto a lui, dopo la consegna dei 40 chili di stupefacente per trovare acquirenti, precisando di averlo incontrato nel mese di agosto 2012.

Dopo alcuni contrasti dovuti al prezzo proposto, ritenuto da D.D. non concorrenziale e ai rimproveri che aveva ricevuto lo stesso D.D. da B.E. (per espressioni usate da D.D. verso T.T., nel parlare con C.C. e da questi riportate a B.B.) viene esposto che B.E. aveva dovuto rendere a Q.Q. (indicato dal teste di polizia giudiziaria come contiguo a D.D., cfr. pag. 39) 39 chili di cocaina (uno dei 40 era stato usato per prova) e che C.C. aveva incontrato nuovamente D.D. nella prima decade del (Omissis), assieme e H.H., quando D.D. gli aveva chiesto di acquistare cinque chili di cocaina.

Questi ultimi, dunque, secondo la ricostruzione non manifestamente illogica della Corte territoriale, non sono parte dei 160 chili di stupefacente, oggetto dell'altra trattativa, in relazione ai quali vi è stata pronuncia assolutoria riportata anche dalle difese, richiesta di cui C.C. aveva informato A.A..

Invero, risulta che il processo per associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, di illecita importazione di 160 chili di cocaina, di illecita detenzione di 10 chili di marijuana, di illecita detenzione di 1,5 chili di cocaina, si è concluso con l'assoluzione perchè il fatto non sussiste di A.A. e W.W., in relazione alla condotta di illecita importazione di 160 chili di cocaina.

Ma tale dato, documentato dalle difese anche nel presente procedimento, secondo il ragionamento non manifestamente illogico della Corte territoriale, non travolge il riferito movente dell'omicidio D.D. (cfr. pag. 45).

Secondo la complessiva ricostruzione dei giudici del rinvio, infatti, non risulta, dalle dichiarazioni di C.C., che i cinque chili che voleva acquistare D.D. fossero stati tratti dai 39 facenti parte della più ingente partita di 160 chili per la detenzione della quale è stata pronunciata assoluzione.

Quindi, rispetto al movente riferito in relazione al reato di omicidio per il quale si procede, la sentenza impugnata evidenzia che, secondo C.C., tramite W.W., era arrivata la notizia a A.A. che B.E. (che nel frattempo era stato ricollocato in carcere a (Omissis), per revoca della semilibertà) aveva avvertito che D.D. non era persona in grado di pagare in contanti i cinque chili di cocaina e che quella si sarebbe rivelata una "trappola", che avrebbero dovuto non farsi sorprendere e, anzi, fingendo di attivarsi per la vendita, avrebbero dovuto ucciderlo prima che lo stesso D.D. avesse, a sua volta, ucciso C.C..

Su tali punti della motivazione le difese hanno rilevato che:

- sul movente C.C. mente per proteggere la famiglia di I.I., risultando in atti un movente alternativo, a quest'ultimo riferibile, del tutto ignorato dai giudici di merito.

- W.W. non potrebbe essere stato latore del mandato omicidiario perchè giunto a (Omissis) solo nella mattina del (Omissis), risultando, peraltro, dai tabulati che il suo cellulare era in (Omissis) dal 22 dicembre 2012 al (Omissis);

- B.E., A.A. e W.W. sono stati assolti dall'accusa relativa al presunto traffico di 160 chili di stupefacente con sentenza definitiva.

Sul movente alternativo le difese valorizzano due telefonate del 6 febbraio (Omissis) tra un confidente della polizia e il militare dei Carabinieri U.U. (cfr. pag. 37).

C.C. afferma che D.D. aveva avuto contrasti con la famiglia I.I. perchè questa voleva aprire una locale di ‘ndrangheta a (Omissis) senza interpellarlo quindi, secondo i difensori, tale omicidio dovrebbe ritenersi una ritorsione per la mancata autorizzazione da parte di D.D. ed essere riferibile, dunque, ad altri soggetti.

Il Collegio osserva, su tali punti, che la Corte territoriale non trascura le censure difensive, anche quelle già contenute nell'originario atto di appello, quanto al movente alternativo e, anzi, rende conto, in ossequio alle indicazioni della sentenza rescindente, con ragionamento completo, non manifestamente illogico nè contraddittorio, delle indagini successivamente svolte su detta possibile pista alternativa, nonchè circa il monitoraggio attivato dalle forze dell'ordine su I.I..

La Corte territoriale rende conto della circostanza che questa attività investigativa aveva dato esito negativo (cfr. pag. 38, in particolare si rende conto della circostanza acclarata secondo la quale I.I. aveva provato ripetutamente, proprio all'ora del delitto, a chiamare D.D., da una cabina). Inoltre, la Corte di assise di appello ribadisce, con ragionamento immune da illogicità manifesta, la concretezza del movente indicato da C.C. (a pag. 39 e ss.) e richiama, all'uopo, il contenuto di due conversazioni telefoniche del 7 e del giorno 8 agosto 2012 tra D.D. e C.C..

Circa l'esame, demandato dalla sentenza rescindente, della compatibilità della ricostruzione del dichiarante con la riscontrata assenza di W.W. da (Omissis) (cfr. pag. 41 e ss. e pag. 49), anche ai fini dell'attendibilità di C.C., si osserva che la sentenza impugnata non sfugge al tema e, seguendo le indicazioni della sentenza di annullamento, evidenzia con ragionamento immune da illogicità manifesta, che C.C. non ha mai affermato che l'"imbasciata" di W.W. era arrivata direttamente dal padre; anzi C.C., per la Corte territoriale, ha affermato di non sapere chi avesse riferito a W.W. che il padre aveva disposto di uccidere D.D. anticipandolo.

Dunque, C.C., secondo il ragionamento immune da illogicità manifesta della Corte territoriale, non aveva affermato che W.W. aveva incontrato il padre E.E. in carcere nei primi giorni di gennaio (ed anzi, anche il verbale di esame di C.C. che produce la difesa, avv. Caiazza, in uno al ricorso, non rende conto di detta affermazione, nè la difesa che ha prodotto a questa Corte l'atto in allegato, sottolinea, specificamente, il punto o il passaggio in cui il dichiarante riferirebbe tale circostanza).

Si comprende, secondo il complessivo ragionamento immune da illogicità manifesta della Corte territoriale, che il mandato viene recapitato a W.W. in (Omissis) e si sottolinea un dato che conclude il complessivo ragionamento del giudice del rinvio, secondo il quale dai tabulati emerge che le comunicazioni tra appartenenti alla stessa famiglia o a famiglie diverse non avvenivano direttamente ma sempre per interposta persona (tra D.D. e C.C., ad esempio, viene indicato che interveniva H.H., utilizzando un telefono con fittizia intestazione).

Dunque, tale affermazione della Corte di assise di appello, diversamente da quanto eccepito dalle difese, non appare meramente congetturale o in contrasto con massime di esperienza, ma è fondata, quanto ai contatti che sono stati indagati nel presente procedimento, proprio sulla base del complessivo esame delle modalità con le quali, di norma, questi si mettevano in comunicazione tra loro (come, ad esempio, è indicato per D.D. e C.C.) cioè tramite terzi.

Ancora, si rimarca da parte del giudice del rinvio che C.C. e A.A. (cfr. pag. 49) erano a (Omissis) stabilmente e A.A. conosceva il luogo dell'agguato (sito in zona (Omissis)) perchè, nel passato, aveva soggiornato presso la Comunità di recupero (Omissis), in (Omissis), la stessa ove C.C. aveva fruito di permessi premio.

L'istruttoria, poi, secondo la Corte territoriale, ha consentito di concludere nel senso che D.D. era giunto all'incontro disarmato perchè gli era stato fatto credere che avrebbe avuto un assaggio dello stupefacente da acquistare.

Anche C.C., secondo la Corte di assise di appello, era disarmato, perchè sul posto sarebbero stati presenti i killer armati.

Dunque, la Corte territoriale finisce per valutare gli indizi a carico in modo unitario, con operazione del tutto conforme ai canoni dettati dalla giurisprudenza di legittimità sul punto.

In definitiva, il Collegio rimarca che il complesso dei riscontri analizzati nel presente giudizio, di cui la Corte territoriale rende conto con ragionamento completo ed in linea con l'esame demandato dalla sentenza rescindente, confliggono apertamente con le versioni difensive e anche il resto degli elementi sottolineati, come la ricerca dell'alternativo movente o l'incontro di A.A. con L.L., al momento dell'omicidio, sono stati oggetto di accertamenti, di cui il giudice del rinvio rende conto, sottolineando con motivazione immune da manifesta illogicità, che hanno dato risultati in direzione opposta a quella prospettata dalle difese.

In particolare, la Corte territoriale, quanto ai riscontri esterni (cfr. pag. 65 e ss.) valorizza, tra gli altri, i contatti telefonici, di cui espone il teste di Polizia giudiziaria V.V. (cfr. pag. 63) quanto ai contatti tra C.C. e D.D., nonchè in ordine al costante uso di cellulari intestati a terzi apparentemente estranei ai fatti.

Si richiamano, peraltro, le dichiarazioni di H.H. e di altri testi sull'uso, da parte di C.C., di due utenze una delle quali intestata a un terzo, che usava normalmente proprio per comunicare con D.D..

I giudici del rinvio, inoltre, evidenziano di aver verificato anche gli spostamenti dei telefoni cellulari, in base alle celle che risultano agganciate da tali apparecchi.

La sentenza sottolinea, altresì, che il dato secondo cui alla data dell'omicidio il telefono intestato a C.C., già soggetto a intercettazione, era risultato aver agganciato, ininterrottamente, la cella che dà copertura a (Omissis).

Per A.A., poi, (pagg. 65 e 76) la sentenza oggetto di ricorso rimarca che questi aveva in uso un telefono a lui intestato, che, alla data dell'omicidio, questo era già intercettato e che il (Omissis), tale telefono risulta aver agganciato in (Omissis) due celle, entrambe compatibili con (Omissis) (ove è collocata, appunto, l'abitazione di C.C.).

Sicchè non è riportato soltanto il dato (pur significativo ma confutato dalla difesa) che l'utenza di A.A. era risultata accesa ma inattiva dall'ultimo sms delle ore 17:23 del giorno dell'omicidio, sino alle ore 19:16, ma anche quello che tale telefono impegnava continuativamente la cella di (Omissis).

Infine, quanto all'ipotetico incontro tra A.A. e L.L. (cfr. pag. 72 e ss.) la Corte territoriale rende motivazione non manifestamente illogica e completa secondo la quale vi è prova che L.L. aveva cercato A.A. e che il chiamante si era avvicinato, progressivamente, nel corso di ripetute chiamate, alla (Omissis), ma anche del fatto che questi, quel giorno, non gli aveva mai risposto, anche dopo il preannunciato arrivo, senza quindi alcuna conferma del presunto incontro.

Il giudice del rinvio conclude, dunque, per l'assenza di prova dell'incontro tra i due, in orario coincidente con la fase immediatamente precedente all'esecuzione dell'omicidio.

Quanto osservato con i motivi nuovi, depositati dalle difese di A.A., circa la diversa interpretazione del contenuto dell'ultimo messaggio di L.L. (nel senso che questi stava arrivando a riprova, quindi, del successivo incontro tra i due) è censura in fatto che non può essere esaminata nella presente sede di legittimità a fronte di ricostruzione congrua, immune da illogicità manifesta e coerente con il complesso della motivazione resa dai giudici del rinvio a pag. 73 della sentenza.

Alla luce del complessivo compendio indiziario, preciso, concordante, valorizzato dalla Corte territoriale, anche a titolo di riscontro delle dichiarazioni eteroaccusatorie di C.C., a pag. 78 e ss. della sentenza impugnata, va peraltro ritenuto non decisivo l'argomento svolto dalla difesa rispetto al risalto attribuito alla latitanza di A.A., avviata il (Omissis), immediatamente dopo l'inizio della collaborazione di C.C..

Sul punto, peraltro, la Corte di assise di appello non valuta in modo atomistico la latitanza intrapresa dal ricorrente dopo la collaborazione di C.C. ma la colloca in un contesto unitario di elementi indicati come a carico.

Questi sono rappresentati, secondo il giudice del rinvio, dal rinvenimento, all'esito di perquisizione del box di (Omissis), nei giorni successivi all'arresto di C.C., di un telefono cellulare marca Samsung, indicato come usato da A.A. per contatti con acquirenti di stupefacente, nonchè di un personal computer in uso esclusivo a A.A., trovato nel container di (Omissis) e rinvenuto il giorno successivo al primo arresto di C.C., il 15 luglio (Omissis), la cui memoria era risultata cancellata da mano ignota (cfr. pag. 82 della sentenza impugnata ove i giudici del rinvio indicano come riferibile al medesimo A.A. detta condotta) ad eccezione di cinque fogli Excel recuperati dalla Polizia di Stato.

2.2.2.11 secondo motivo dell'avv. Foti è inammissibile.

Si deve rilevare la genericità della censura, posto che i giudici di merito hanno ritenuto la circostanza aggravante speciale, non soltanto sotto il profilo dell'agevolazione al clan assicurata attraverso l'omicidio di D.D., per le ragioni già espresse, collegate al movente dell'omicidio, ma anche quanto al metodo, tenuto conto che già la sentenza di primo grado, sul punto, aveva descritto modalità tipiche di organizzazioni criminali, tenuto conto dell'impiego di fuoco definito micidiale derivando l'evidente metodo mafioso dalle modalità di attuazione della condotta omicidiaria.

Ciò comporta l'inammissibilità della censura richiamando l'indirizzo interpretativo di questa Corte secondo il quale è inammissibile, per difetto di specificità, il motivo di ricorso per cassazione che si limiti alla critica di una sola delle rationes decidendi poste a fondamento della decisione, ove siano, come nella specie, entrambe autonome ed autosufficienti (Sez. 5, n. 2952, del 29/11/2019, Grinn Karim, Sidal, non massimata; Sez. 3, ord. n. 30021 del 14/07/2011, F., Rv. 250972).

2.2.3.11 terzo motivo del ricorso a firma dell'avv. Foti è inammissibile.

Si rileva che il diniego delle circostanze attenuanti generiche è motivato dal giudice del rinvio, con ragionamento esauriente e non arbitrario, avversato da censura in fatto, non consentita in sede di legittimità.

Invero, la Corte territoriale, con apprezzamento di fatto immune da illogicità manifesta e, dunque, incensurabile in sede di legittimità, ha motivato il diniego in ragione anche dei precedenti penali (Sez. 2, n. 3896 del 20/01/2016, De Cotiis, Rv. 265826: nel senso che in tema di diniego delle circostanze attenuanti generiche, la ratio della disposizione non impone al giudice di merito di esprimere una valutazione in ordine a ciascuno degli elementi indicati dalla difesa, essendo sufficiente indicare gli indici di preponderante rilevanza, ritenuti ostativi, tanto da poter fondare il diniego anche soltanto in base ai precedenti penali perchè in tal modo viene formulato, comunque, un giudizio di disvalore della personalità).

Del resto, è noto che diversa è la valutazione dei precedenti penali ai fini di riconoscere la recidiva, in quanto connessi a giudizio di incrementata pericolosità dell'imputato, rispetto a quella che si svolge, quanto al pronunciato diniego delle circostanze di cui all'art. 62-bis c.p., espressione di una più ampia valutazione di disvalore della personalità.

3. Gli atti di impugnazione proposti nell'interesse di W.W. vanno rigettati.

3.1. Il ricorso proposto dal difensore, avv. Caiazza, è nel complesso privo di fondamento.

3.1.1. Il primo motivo è infondato.

Va preliminarmente richiamato il ragionamento svolto dal Collegio al S 2.2.1. in relazione alla posizione del A.A. che qui si richiama integralmente, anche quanto alla valutazione dei riscontri esterni rispetto alla chiamata in correità del collaboratore C.C..

Non sussiste la dedotta violazione dell'art. 192, comma 3, c.p.p., derivante dal mancato, congruo esame dell'intervenuta assoluzione di P.P. dall'accusa di essere stato capo e promotore della locale di (Omissis) della ‘ndrangheta e, dunque, circa la carente credibilità di C.C. nella parte in cui narra le modalità di affiliazione per la quale, secondo la descrizione del collaboratore, sarebbe stato proprio P.P. a dare il benestare.

Invero, osserva il Collegio che con sentenza di questa Corte, sezione Sesta penale del 14 settembre 2017, è stata resa definitiva l'assoluzione di P.P. pronunciata nel procedimento a carico di Z.Z. ed altri, relativamente al reato di cui all'art. 416-bis c.p. ed è proprio questa sentenza che si sofferma sulle dichiarazioni di C.C. giudicando coerente e pertinente la motivazione della Corte territoriale che le aveva reputate non credibili.

La Corte di cassazione condivide la pronuncia della Corte di appello impugnata dalla parte pubblica (pp. 337-341), ove è messa in dubbio, con motivazione considerata specifica e pertinente, la credibilità del C.C. e sono smentiti, con dati cronologici certi, sia il riferito coinvolgimento del P.P. nel suo "battesimo" che il consiglio dato dallo stesso P.P. in carcere, di fingersi pazzo.

Tuttavia, i giudici del secondo giudizio di rinvio (cfr. pag. 28) in ossequio alle indicazioni impartite dalla sentenza rescindente che ha considerato necessario il riesame complessivo della prova dichiarativa, dunque anche rispetto a tale parte del narrato del collaboratore, si fa carico delle censure difensive, rivaluta e riesamina le dichiarazioni di C.C., anche alla luce dell'intervenuta pronuncia assolutoria di P.P., affermando, in primo luogo, che non era stato quest'ultimo a suggerire a C.C. di fingersi pazzo, ma i suoi compagni di cella di allora, avendo questi, soltanto in un secondo momento, incontrato P.P. durante una comune detenzione.

Quest'ultimo, secondo C.C., gli aveva soltanto detto di continuare nei comportamenti intrapresi, circostanza ritenuta confermata in base alle dichiarazioni del teste di polizia giudiziaria che aveva accertato l'esistenza, tra i due, di un periodo detentivo comune.

In secondo luogo, quanto al "battesimo" di C.C., la sentenza impugnata specifica (cfr. pag. 18 e ss.) il ruolo rivestito, in ordine all'investitura del collaboratore, da A.A. e sottolinea, con ragionamento immune da illogicità manifesta, a conferma della narrazione di C.C., il dato del rinvenimento di un libretto, nel corso della prima perquisizione a suo carico svolta all'atto del suo arresto, che conferma la formula per l'affiliazione che lo stesso C.C. aveva raccontato di aver dovuto pronunciare nel corso del suo "battesimo".

Del resto, il percorso argomentativo seguito dalla Corte territoriale appare in linea non soltanto con i margini dettati dalla sentenza rescindente, ma anche con l'indirizzo di questa Corte di legittimità secondo il quale una valutazione negativa dell'attendibilità e credibilità del chiamante in correità, non esclude che, in altro contesto processuale, al di là della frazionabilità delle dichiarazioni, sia formulato un giudizio positivo su credibilità e attendibilità della chiamata (cfr. Sez. 1, n. 8799 del 23/01/2018, dep. 2019, Petruolo, Rv. cit.), all'esito di una motivata valutazione autonoma del giudicante.

3.1.2. Il secondo motivo di ricorso è infondato.

L'intervenuta assoluzione definitiva di B.E. nel parallelo procedimento relativo, tra l'altro, al traffico di 160 chili di stupefacente non incide sull'esito del presente processo, quanto al diverso giudizio di attendibilità e credibilità della chiamata in correità di W.W., svolta da C.C. in questo procedimento.

Sul punto si richiamano integralmente gli argomenti svolti in relazione alla posizione del coimputato, al S 2.1.2.

Inoltre, si osserva che la Corte di appello di (Omissis) con la sentenza del (Omissis) 2020, con la quale sono stati assolti A.A. e B.E. dall'accusa relativa al traffico di 160 chili di cocaina non scredita integralmente la chiamata di C.C. che, anzi, reputa credibile (pag. 37 e ss. della pronuncia prodotta in atti).

Questo giudizio è stato confermato dalla pronuncia di questa Corte, sezione Terza penale, del 18 giugno 2021 n. 34396-21.

In tale sede, invero, si svolge un ragionamento che deve essere in questa sede richiamato in quanto condivisibile.

Con riferimento al giudizio di attendibilità del narrato di C.C., è ovvio che si impone, anche alla stregua della sentenza rescindente, da parte del giudice del rinvio, un accertamento rigoroso, soprattutto considerando che C.C. è stato dichiarato inattendibile dalla Corte di appello di Genova, con valutazione confermata dalla citata pronuncia di questa Corte di cassazione, è stato parzialmente dichiarato inattendibile dalla Corte di assise di appello di (Omissis) e, comunque, ha mostrato una capacità ingannatoria dell'Autorità giudiziaria, come da lui stesso dichiarato.

Tale accertamento rigoroso, però, non è mancato quanto alla rivalutazione della attendibilità generale del collaboratore di giustizia e circa l'esame svolto in ordine alla sua credibilità, nel secondo giudizio di rinvio.

Va, poi, ricordato che, secondo la giurisprudenza di legittimità richiamata anche dalla sentenza rescindente, è possibile un esame frazionato dei singoli fatti narrati, sempre che, però, non sussista un'interferenza fattuale e logica tra la parte del narrato ritenuta falsa e le rimanenti parti e l'inattendibilità non sia talmente macroscopica, per accertato contrasto con altre sicure risultanze di prova, da compromettere la stessa credibilità del dichiarante (cfr. Sez. 1 n. 56692 del 19/09/2018, B.B., in motivazione, che richiama Sez. 6 del 20/04/2005, Aglieri, Rv. 233956; Sez. 6 del 18/12/2009, Caramuscio, Rv. 246527).

Peraltro, va ribadito che, ove sia accertata la falsità di parte del contenuto dichiarativo, ciò non comporta automaticamente la totale inattendibilità del compendio dichiarativo del collaboratore, ma si impone una verifica ancor più rigorosa, sia in ordine all'eventuale sussistenza di uno specifico motivo che abbia determinato la falsità, sia in ordine ad un più consistente spessore probatorio dei riscontri esterni (cfr. Sez. 1 n. 56692 del 19/09/2018, B.B., in motivazione, che richiama Sez. 6 del 28/04/2010, Arnnan Ahmed, Rv. 247346; Sez. 5 del 15/07/2008, Palo, Rv. 241638).

Orbene, osserva il Collegio che l'analisi è stata svolta con il provvedimento impugnato con il necessario rigore, seguendo le linee tracciate dalla sentenza rescindente e osservando le regulae iuris da questa individuate, essendo risultati, peraltro, solidi riscontri esterni, senz'altro individualizzanti anche rispetto alla posizione di W.W. quanto al ruolo a questo contestato, come si dirà al S 3.1.4.

Infine, non può assumere il rilievo liberatorio per la posizione di W.W. attribuito dalla difesa il dato della mancata iscrizione nel registro degli indagati del padre E.E., circostanza non conferente perchè riferibile a scelte processuali che non sono idonee a incidere, nella presente sede, sulla posizione dell'odierno ricorrente, raggiunto, invece, da precise dichiarazioni eteroaccusatorie di C.C. e da numerosi elementi indiziari, convergenti e precisi, utilizzati anche a titolo di riscontro della chiamata in correità.

3.1.3. Il terzo motivo di ricorso è infondato.

Diversamente da quanto dedotto, la sentenza impugnata non fonda la condanna di B.B. sul dato, riportato da C.C., della partecipazione di C.A. al delitto, con il ruolo indicato dalla difesa (di autista dei killer ed incaricato di celare l'arma del delitto).

La Corte di assise di appello (cfr. pag. 75 e ss.) esamina le circostanze di fatto relative all'arrivo dei fratelli B.B. a (Omissis), accertate attraverso l'esame delle celle di copertura agganciate dai loro telefoni cellulari, nonchè al colloquio intrapreso in carcere con il padre in data (Omissis), rimarcando l'elemento emerso dalla deposizione del teste di polizia giudiziaria secondo il quale mai, prima e dopo quella significativa data, entrambi i figli di B.E. si sarebbero recati, contemporaneamente, a colloquio con il padre detenuto.

Si tratta di elementi di fatto emersi nel presente procedimento non soltanto sulla base della prova dichiarativa raccolta, ma anche in virtù delle indagini di tipo tecnico eseguite sui telefoni cellulari e sulle celle da questi risultate agganciate nei giorni a ridosso di quello del delitto, nonchè in quello stesso giorno; dati di fatto rispetto alla cui utilizzabilità non costituisce limite l'intervenuta sentenza assolutoria emessa nei confronti del coimputato C.A., fondata, come emerge dall'esame della pronuncia della Corte di assise di appello del 26 giugno 2017, sull'assenza di prova certa a suo carico, ricavabile dalle dichiarazioni di C.C..

Il giudice del rinvio ha operato, invero, in ossequio all'indirizzo di legittimità secondo il quale, in tema di sentenze irrevocabili acquisite ai fini di prova del fatto in esse accertato, in assenza di pregiudizialità penale e fermo restando l'obbligo motivazionale vigente in presenza di un giudicato assolutorio per il medesimo fatto, la differenza tra le acquisizioni processuali di un procedimento già definito e di altro in corso può condurre il giudice di merito a epiloghi diversi, in ciò consistendo il richiamo operato dall'art. 238-bis c.p.p. alle regole interpretative fissate dagli artt. 187 e 192, comma 3, c.p.p. (in tal senso, tra le altre, Sez. 2, n. 38184 del 06/07/2022, Cospito, Rv. 283904).

Peraltro, nel caso al vaglio, si tratta di diverso imputato accusato di concorso in omicidio, giudicato con sentenza assolutoria non avente quale formula "il fatto non sussiste", ma quella di "non aver commesso il fatto".

Invero C.A. viene assolto dalla prima sentenza di appello del 26 giugno 2017 cfr. pag. 23) non impugnata dalla parte pubblica, divenuta definitiva, dunque, già prima della pronuncia della sezione Prima penale che ha disposto il primo annullamento con rinvio a carico di A.A. e W.W..

Le dichiarazioni di C.C. sul ruolo di C.A., rese nel giudizio di merito erano state considerate da quella Corte territoriale, incerte perchè questi non aveva affermato di aver visto C.A. sul luogo del delitto, dove, invece, senz'altro si trovava lo stesso C.C..

Così come sono state considerate incerte le dichiarazioni del collaboratore sulla partecipazione di C.A. alla fase precedente, rilevando l'assenza di riscontro quanto ai dati emersi attraverso la perizia balistica e fonica (si tratta di accertamenti relativi al rinvenimento di una delle due pistole usate per l'omicidio in (Omissis) il 31 maggio (Omissis) e all'esame dell'intercettazione ambientale n. 152 del 31 maggio (Omissis), registrata in occasione dell'occultamento della (Omissis) nell'autovettura condotta da F.F., in cui parla tale G.G.).

Dunque, risultano valorizzati numerosi dati di riscontro a carico del ricorrente che sono compiutamente considerati dal secondo giudice del rinvio, con motivazione puntuale ed immune da illogicità manifesta.

3.1.4. Il quarto motivo di ricorso è infondato.

Va preliminarmente rimarcato che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, che il Collegio richiama in quanto condivisibile (Sez. 1, n. 34712 del 02/02/2016, Ausilio, Rv. 267528; Sez. 2, Sez. 2, n. 35923 del 11/07/2019, Campo, Rv. 276744), in tema di chiamata in correità, gli altri elementi di prova da valutare, ai sensi dell'art. 192, comma 3, c.p.p., unitamente alle dichiarazioni del chiamante, non devono avere necessariamente i requisiti richiesti per gli indizi a norma dell'art. 192, comma 2, c.p.p., essendo sufficiente che essi siano precisi nella loro oggettiva consistenza e idonei a confermare, in un apprezzamento unitario, la prova dichiarativa dotata di propria autonomia rispetto a quella indiziaria.

Detti riscontri possono essere costituiti da qualsiasi elemento o dato probatorio, sia rappresentativo che logico, a condizione che sia indipendente anche da altre chiamate in correità, purchè la conoscenza del fatto da provare sia autonoma e non appresa dalla fonte che occorre riscontrare, ed a condizione che abbia valenza individualizzante, dovendo cioè riguardare non soltanto il fatto-reato, ma anche la riferibilità dello stesso all'imputato, mentre non è richiesto che i riscontri abbiano lo spessore di una prova "autosufficiente" perchè, in caso contrario, la chiamata non avrebbe alcun rilievo, in quanto la prova si fonderebbe su tali elementi esterni e non sulla chiamata di correità (conf. Sez. 6, n. 45733 del 2018, Rv. 274151; Sez. 4, n. 5821 del 2004, dep. 2005, Rv. 231301; Sez. U, n. 20804 del (Omissis), Rv. 255143).

Così delimitata la nozione di riscontro, si osserva che, nel caso di specie, la Corte territoriale ha esaminato, puntualmente, elementi di fatto aventi tale spessore, non soltanto trovando in questi diretta conferma del narrato del collaboratore rispetto alla posizione del medesimo C.C., ma anche rispetto a quella dei concorrenti nel reato, A.A. e W.W., raggiunti dalle sue dichiarazioni accusatorie.

La Corte territoriale valorizza, a tal fine, i contatti telefonici, di cui rende conto il teste di polizia giudiziaria V.V. (vedi pag. 63) quanto a quelli intercorsi tra C.C. e D.D., nonchè l'uso di cellulari intestati a terzi apparentemente estranei ai fatti.

Si verificano anche, da parte della Corte d'assise di appello, gli spostamenti dei telefoni cellulari, in base alle celle di copertura che risultano agganciate da tali apparecchi. Si richiamano le dichiarazioni di H.H. e di altri testi sull'uso, da parte di C.C., di due utenze una delle quali intestata a W.W. che usava normalmente i per contatti con D.D..

La Corte territoriale, con ragionamento non manifestamente illogico, poi, evidenzia che (cfr. pag. 77 e ss.):

- alla data dell'omicidio, risulta che il telefono intestato a C.C., già oggetto di intercettazione, aveva agganciato, ininterrottamente, la cella che dà copertura a (Omissis);

- i tre telefoni in uso a C.C., A.A. e W.W., quando erano spenti, nelle prime ore del pomeriggio del (Omissis), erano risultati tutti nella cella di copertura di via Togliatti e, dato molto significativo quale riscontro oggettivo, quando erano accesi o utilizzati, erano tutti aggancianti le medesime celle di copertura;

- al mattino del giorno del delitto, i due fratelli B.B., G.G. e B.B., avevano avuto colloquio con il padre simultaneamente, circostanza che secondo il teste di polizia giudiziaria V.V. non si era mai verificato prima e non capiterà mai più, dopo l'indicata data;

- i tre non usano il telefono tutti nello stesso spazio orario.(compreso tra le 16:30 e le 19:15 del (Omissis)), momento temporale che si colloca in orario compatibile con quello in cui si è accertato essere avvenuta la morte di D.D.;

- A.A. e W.W. si trovano, dopo le ore 19:15 in (Omissis), ove era collocato il container ritenuto base logistica e dove vengono raggiunti da C.C. (cfr. pag. 78 e ss. della sentenza impugnata), luogo dal quale era risultata la ripresa del funzionamento dei rispettivi cellulari, da parte di B.B. e A.A., alle ore 19:16.

Si tratta di dati che, unitamente alle dichiarazioni eteroaccusatorie di C.C. e agli altri accertamenti svolti, sono considerati con ragionamento immune da vizi e non manifestamente illogico, convergere verso la certezza del coinvolgimento di A.A. e W.W., quali esecutori materiali, nell'omicidio di D.D..

3.1.5. Il quinto motivo di ricorso è inammissibile perchè manifestamente infondato e, comunque, generico.

Invero, la difesa assume che la possibilità di agganciare una data cella di copertura, da parte di un telefono cellulare non equivale alla certezza della presenza fisica di quell'apparecchio in un determinato luogo, potendo i segnali di una cella sovrapporsi a quelli di un'altra, anche distante dalla prima.

Di qui l'inconsistenza della ricostruzione della pronuncia impugnata, nella parte in cui valorizza, ai fini di individuare il luogo in cui si sarebbe trovato il ricorrente, nel giorno dell'omicidio e, comunque, elementi di riscontro al racconto di C.C., l'aggancio dei telefoni a questi in uso, di una determinata cella di copertura.

Su tale punto, invero, la censura non è specifica e, comunque, non si confronta con il dato tecnico, riportato dalla sentenza impugnata (cfr. pag. 70 e ss.), secondo il quale nel caso di specie, gli accertamenti svolti avevano consentito di acclarare che le aree considerate, quella di (Omissis) (ove al civico (Omissis) era sito il container di C.C.) e quella di (Omissis) (ove al (Omissis) si trovava l'abitazione di B.B.) erano distanti tra loro e che su di esse non si verificava alcuna sovrapposizione delle celle serventi quelle due zone (cfr. anche relazione del perito Topazi riportata dalla Corte territoriale a pag. 71 della sentenza impugnata con contenuto indicato come conforme alle conclusioni del consulente tecnico del Pubblico ministero).

Si è specificato, poi, da parte dei giudici del rinvio che la cella di (Omissis) non forniva servizio radiomobile in (Omissis) e che la cella di (Omissis) non forniva servizio radiomobile in (Omissis), confutando specificamente i rilievi svolti, sul punto, dal tecnico officiato dalla difesa (cfr. pag. 72).

Infine, non risulta decisivo, ai fini di giungere a diversa, più favorevole conclusione per il ricorrente, la circostanza dedotta dalla difesa relativa all'esistenza dell'abitudine da parte del B.B. di spegnere il telefono cellulare, non risultando tale dato determinante nelle conclusioni cui è giunto il giudice del rinvio.

3.2. Il ricorso principale del difensore, avv. Rampioni, è infondato.

3.2.1. Il primo motivo è infondato.

Preliminarmente il Collegio osserva che non sussiste alcuna violazione, nel caso al vaglio, del canone dell'oltre ogni ragionevole dubbio.

Coerente, rispetto a detto canone fissato dall'art. 533 c.p.p., risulta la motivazione, sia nel contenuto che nella forma utilizzata dall'estensore. Il criterio di attribuzione della responsabilità, cui ha fatto ricorso la Corte d'assise di appello, si fonda, infatti, su parametri del tutto in linea con quello normativo di indispensabile valutazione della colpevolezza penale.

Si tratta, come è noto, di parametro di verifica, obbligatoriamente prescritto dall'art. 533 c.p.p. che, connesso alla presunzione di innocenza o non colpevolezza, richiede il superamento dell'oltre ogni ragionevole dubbio e non già la mera plausibilità o la semplice verosimiglianza, sia pur dotata di forte plausibilità, della ricostruzione adottata, così assicurando lo standard richiesto dal legislatore, in conformità all'art. 27 Cost. (Sez. U, n. 14800 del 21/12/2017, dep. 2018, Troise, Rv. 272430, in motivazione).

Proprio in adesione a tale canone di giudizio, i giudici del rinvio hanno ragionato in termini di certezza della colpevolezza di B.B., senza accedere ad alcun dubbio. Certa, infatti, viene indicata la partecipazione all'omicidio, nonchè il ruolo da questi assunto, sulla base di un ragionamento che non procede in termini di mera verosimiglianza, criterio insufficiente all'affermazione di responsabilità, ma conclude per la penale responsabilità in termini di assoluta certezza, in base alla rinnovata valutazione di attendibilità e credibilità del collaboratore che lo accusa, a solidi riscontri esterni e ad un complesso di elementi ulteriori, anche indiziari che il giudice del rinvio esamina in modo congiunto e non atomistico.

Quanto alla prospettiva premiale tenuta presente dal collaboratore, che sarebbe stata trascurata dai giudici del rinvio, si osserva che è principio pacificamente affermato da questa Corte di legittimità quello secondo il quale (tra le altre, Sez. 1, n. 11179 del 31/10/2018, dep. 2019, Patanè, Rv. 274921) in tema di valutazione dell'attendibilità intrinseca delle dichiarazioni accusatorie di un collaboratore di giustizia, il generico interesse a fruire dei benefici premiali non è di per sè solo elemento idoneo ad intaccare l'affidabilità delle dichiarazioni ove il giudice le abbia doverosamente sottoposte a vaglio critico, operazione che risulta congruamente espletata dal giudice del rinvio.

La Corte territoriale, infatti, in linea con tale indirizzo, rende conto nell'ambito dell'autonomo giudizio di attendibilità e credibilità del chiamante, svolto nel giudizio di rinvio, della genesi della collaborazione, dei rapporti con gli accusati, della sua ammissione di aver preso parte non solo all'omicidio D.D. per il quale era già stato sottoposto a misura cautelare, ma anche ad altri episodi delittuosi, comprendenti fatti anche di estrema gravità.

Non risulta, poi, apodittico il ragionamento del giudice del rinvio in relazione all'esame delle condotte simulatorie svolte da C.C. in altro procedimento. Sul punto si richiamano le osservazioni del Collegio circa la posizione del coimputato al S 2.1.2.

Nè detto esame si esaurisce nella mera sovrapposizione del ragionamento già svolto dalla prima sentenza di appello, avendo il giudice del secondo rinvio riesaminato in toto il punto devoluto, con dovizia di argomenti, immuni da vizi e da illogicità manifesta, confrontandosi, peraltro, anche con le originarie censure devolute con il gravame.

Così come la sentenza impugnata, secondo quanto sin qui già ampiamente esposto, si è confrontata, compiutamente, con gli esiti di precedenti giudicati e con l'esito assolutorio di alcuni di questi, anche a carico di concorrente nel medesimo reato ascritto al ricorrente.

3.2.2. Il secondo motivo è inammissibile perchè manifestamente infondato.

Il secondo giudice del rinvio si è attenuto, puntualmente, alle indicazioni della sentenza rescindente, riesaminando, quanto alle dichiarazioni di C.C., tutti i punti devoluti, con argomenti concludenti, esaurienti e immuni da illogicità manifesta, confrontandosi, in conformità alle regulae iuris fissate dalla seconda pronuncia di annullamento con rinvio, con tutti gli argomenti della motivazione assolutoria conclusiva del primo giudizio di rinvio che avevano lasciato dubbi rispetto a fatti di sicura valenza indiziaria e ad elementi di riscontro delle dichiarazioni etero accusatorie rese da C.C..

Tanto, rispondendo anche ai rilievi difensivi relativi alla condotta di comunicazione del mandato da parte di W.W. e, dunque, alla sua partecipazione alla fase preparatoria dell'omicidio.

Sul punto si osserva, in primo luogo, che secondo la pronuncia impugnata mai C.C. aveva affermato che era stato direttamente W.W. a ricevere, i primi giorni di (Omissis), da suo padre la notizia del mandato di morte, svolgendo un ragionamento che non è espressione di illogicità manifesta quanto alle conclusioni cui giunge. Anzi, si ricava dalla motivazione che proprio l'uso di terzi intermediari di fiducia era una modalità operativa ordinaria per veicolare messaggi tra familiari e adepti.

In secondo luogo, comunque, la sentenza di secondo grado impugnata (cfr. pag. 41 e ss. e pag. 49) giunge a detta conclusione riportando per esteso brani della deposizione resa, rimarcando che C.C. aveva riferito di non sapere chi avesse riferito a W.W. che suo padre aveva decretando l'uccisione di D.D. con lo scopo di anticiparne le mosse.

Si comprende, quindi, secondo la motivazione della Corte territoriale, che il mandato di morte era stato recapitato a W.W. in (Omissis), tramite persona di fiducia, con affermazione del giudice del rinvio che, lungi dall'apparire congetturale, risulta immune da illogicità manifesta, perchè fondata, tra l'altro, quanto ai contatti che sono indagati nel presente procedimento, proprio sulla descrizione delle ordinarie modalità con le quali i soggetti coinvolti si interfacciavano tra loro (tramite terzi di fiducia).

Infine, è appena il caso di ribadire che la conclusione cui giunge il giudice del rinvio circa la ritenuta attendibilità estrinseca della chiamata in correità, tiene conto anche degli esiti assolutori nei confronti del concorrente nel reato (C.A.) ed al mancato esercizio dell'azione penale a carico di B.E..

Non va trascurato, in ogni caso, che la condotta contestata al capo 1 della rubrica al ricorrente è quella di aver preso parte all'omicidio in qualità di esecutore materiale e che, dunque, sono significativi tutti i riscontri esterni individuati dalla Corte d'assise di appello rispetto alle affermazioni di C.C. relativamente a detta fase della condotta.

3.2.3. I due motivi aggiunti sono infondati.

Il primo motivo relativo al giudizio di attendibilità intrinseca del collaboratore non tiene conto che la sentenza impugnata conclude, con riferimento al movente individuato da C.C., in termini non di mera verosimiglianza.

La Corte territoriale, infatti, (cfr. pag. 39 e ss.) al di là delle singole espressioni usate dall'estensore, si pronuncia complessivamente nel senso della concretezza del movente indicato da C.C., richiamando anche due decisive conversazioni telefoniche del 7 e del giorno 8 agosto 2012 tra D.D. e il collaboratore, indicate quale riscontro, reperito attraverso l'esame dei tabulati, circa l'affermazione di C.C. di aver chiamato D.D. dopo aver ricevuto i 40 chili di cocaina squama il 6 agosto 2012, per sapere se fosse interessato all'acquisto dello stupefacente.

Convergono verso la concretezza di detto movente, poi, a parere della Corte territoriale, anche i rapporti acclarati tra D.D. e Q.Q. (in quanto D.D. era risultato lontano parente, attraverso la famiglia A.C., di colui che aveva chiesto la restituzione della cocaina a B.E.) nonchè l'assoluta inconsistenza del movente alternativo introdotto dalle difese.

Il secondo motivo aggiunto quanto all'attendibilità estrinseca del collaboratore è, del pari, infondato.

La Corte d'assise di appello rende conto, invero (cfr. pag. 38) delle indagini svolte sul versante del movente alternativo, descrivendo gli approfondimenti svolti sulla possibile pista alternativa e sul monitoraggio attivato dalle forze dell'ordine in relazione ad I.I., con esito negativo.

In particolare, si fa riferimento all'esame dei tabulati relativi all'utenza di I.I., sottoposta, come tutti gli esponenti della famiglia, ad intercettazione successivamente all'omicidio D.D., nonchè a perquisizioni svolte e alle sommarie informazioni testimoniali raccolte, tutti elementi che, secondo il teste di polizia giudiziaria escusso nel presente processo, non avevano riscontrato il movente alternativo prospettato, ò giungendo soltanto ad acclarare che, al momento dell'omicidio I.I., che si trovava in zona Anagnina, aveva provato, più volte, a contattare da una cabina telefonica D.D..

Anzi, la pronuncia rende conto del riscontro negativo quanto al coinvolgimento nell'omicidio di I.I., tratto dalla deposizione del teste H.H., circa il contenuto della conversazione intercettata il 2 febbraio (Omissis) alle ore 12:17.

Infine, si richiama quanto già esposto circa l'incidenza delle pronunciate assoluzioni rispetto al rinnovato giudizio di attendibilità del chiamante C.C. e in ordine al compiuto e completo esame, svolto dai giudici del rinvio, come demandato dalla sentenza rescindente, circa la compatibilità del narrato del collaboratore con l'assenza di W.W. da (Omissis) sino al giorno del suo arrivo sul posto e circa le modalità di trasmissione del mandato.

Del resto, completato da parte dei giudici del rinvio, l'esame dei punti rimessi al suo giudizio dalla seconda sentenza rescindente, la complessiva motivazione resa si è espressa concludendo, in modo razionale e immune da illogicità manifesta, in senso che risulta assolutamente incompatibile con la diversa ricostruzione prospettata dalle difese, anche rispetto agli originari rilievi svolti con i motivi di appello richiamati per esteso in più punti del ricorso per cassazione.

4. Segue il rigetto dei ricorsi e la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali del presente giudizio.

P.Q.M.

All'esito del differimento per la deliberazione disposto all'udienza del 3 febbraio 2023, rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Conclusione

Così deciso in Roma, il 28 febbraio 2023.

Depositato in Cancelleria il 15 settembre 2023