Giu discrimen tra la fattispecie di truffa e quella di indebita percezione di erogazioni pubbliche
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. II PENALE - 14 settembre 2023 N. 37655
Massima
Al fine di individuare il discrimen tra la fattispecie di truffa e quella di indebita percezione di erogazioni pubbliche, occorre muovere dall'insegnamento delle Sezioni Unite di cui alla citata sentenza n. 16568 del 19/04/2007, Carchivi, che ha stabilito in primis che l'applicazione dell'art. 316-ter c.p. deve avere carattere residuale e consono alla sua natura di norma volta ad "estendere la punibilità a condotte decettive non incluse nella fattispecie di truffa" (fg. 7 della sentenza Carchivi), come dimostra anche il fatto che il legislatore, nel delineare la fattispecie, ha previsto una apposita clausola di riserva ("salvo che il fatto costituisca il reato previsto dall'art. 640-bis c.p. "). E tale carattere residuale, indirizzato a limitare la portata applicativa dell'art. 316-ter c.p. a "situazioni del tutto marginali", ne riduce l'ambito a condotte come "il silenzio antidoveroso", ovvero a quelle che non inducano "effettivamente in errore l'autore della disposizione patrimoniale".

La successiva sentenza delle Sezioni unite di questa Suprema Corte (n. 7537 del 16/12/2010, dep. 2011, Pizzuto) ha ribadito tutti i citati principi, rimarcando ancora il carattere sussidiario e residuale dell'art. 316-ter c.p. rispetto alla truffa (anche citando, in proposito, l'ordinanza della Corte Cost. n. 95 del 2004), la valutazione in concreto e caso per caso dell'accertamento in ordine alla sussistenza degli artifici e raggiri e della induzione in errore, stabilendo che "l'art. 316-ter c.p. punisce condotte decettive non incluse nella fattispecie di truffa, caratterizzate (oltre che dal silenzio antidoveroso) da false dichiarazioni o dall'uso di atti o documenti falsi, ma nelle quali l'erogazione non discende da una falsa rappresentazione dei suoi presupposti da parte dell'ente pubblico erogatore, che non viene indotto in errore perchè in realtà si rappresenta solo l'esistenza della formale attestazione del richiedente" (fgg. 7 e 8 della sentenza SS.UU. Pizzuto).

Alla stregua di questi parametri valutativi, deve concludersi che le attività realizzate dai coimputati, concordando un meccanismo di restituzioni eventuali e successive alla rendicontazione ed omettendo di darne comunicazione al Ministero, integrano la fattispecie meno grave di cui all'art. 316 ter c.p. poichè la predisposizione di una clausola come quella pattuita tra le parti dimostra l'accordo teso a presentare una rendicontazione che potrebbe in ipotesi non corrispondere alla realtà dei costi; ma nel caso specifico gli imputati hanno realizzato l'ingiusto profitto attraverso una condotta successiva alla rendicontazione e meramente omissiva, non comunicando al Ministero la parziale restituzione delle somme già fatturate dalle società e inserite come costi nel rendiconto. Non residuano dubbi al riguardo in ordine alla consapevolezza da parte di tutti gli imputati dell'omessa comunicazione al Ministero di tale successiva riduzione dei costi, poichè la clausola poteva realizzare il proprio scopo di tutela degli interessi del beneficiario rispetto al rischio di una minore contribuzione solo attraverso tale omissione.

Testo della sentenza
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. II PENALE - 14 settembre 2023 N. 37655

1.I ricorsi sono fondati e comportano l'annullannentq/ senza rinvio, della sentenza impugnata per le ragioni che verranno esposte.

La vicenda processuale ha per oggetto finanziamenti pubblici destinati allo specifico settore degli autotrasporti con vincolo di destinazione alla formazione professionale.

Il fatto da cui è scaturito il procedimento è pacifico e non è oggetto di contestazione da parte dei ricorrenti: in forza di una precisa clausola contrattuale intercorsa tra la (Omissis) (Omissis), di cui è rappresentante legale A.A., e le società (Omissis) Srl ., di cui è rappresentante legale B.B., e (Omissis), di cui è rappresentante legale C.C., che hanno realizzato e coordinato i corsi di formazione professionale in favore del personale della (Omissis), nell'ipotesi in cui all'esito della rendicontazione il contributo versato dal Ministero fosse stato inferiore al 70 per cento dei costi affrontati e rendicontati, le società (Omissis) e (Omissis) avrebbero restituito una parte delle somme ricevute dalla (Omissis) e da questa fatturate come costi. Poichè nell'anno 2012 il contributo del Ministero venne erogato in misura inferiore al 70% dei costi rendicontati, le due società (Omissis) e (Omissis) emisero note di credito restituendo alla (Omissis) una somma complessiva pari a circa 80.000 Euro; in tal modo consentirono a quest'ultima società di ricevere un contributo in proporzione maggiore di Euro 38.858,10, rispetto ai costi già comunicati al Ministero come effettivamente sostenuti.

La sentenza di primo grado aveva assolto gli imputati affermando che mancava la prova della fittizietà dei costi indicati nel rendiconto e che le note di credito erano la parte terminale di un contratto legittimo, in quanto i due enti creditori della (Omissis) avevano ridotto a posteriori, rispetto all'erogazione del finanziamento concesso, l'ammontare del loro profitto.

La corte, accogliendo l'appello proposto dal pubblico ministero ha ritenuto, previa rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale, di ribaltare il giudizio assolutorio in quanto è emerso pacificamente che la somma erogata a (Omissis) e a (Omissis) Srl . dalla (Omissis) per la prestazione svolta, attraverso il meccanismo preventivamente concordato delle note di credito emesse successivamente alla rendicontazione, è risultata inferiore a quella già comunicata al Ministero, in relazione alla quale era stato determinato e liquidato il contributo.

2. Per evitare inutili appesantimenti nell'esposizione, sembra opportuno esaminare per primo il ricorso B.B., che propone diversi motivi di censura comuni anche agli altri ricorrenti.

2.1 II primo motivo di ricorso relativo alla pretesa inammissibilità della impugnazione del pubblico ministero (quarto motivo del ricorso A.A.; primo motivo del ricorso (Omissis); secondo motivo del ricorso (Omissis)) è manifestamente infondato poichè il pubblico ministero, dopo avere riportato nell'atto di appello integralmente la motivazione di altra pronuncia di questa Corte, resa su analoga questione in sede cautelare, ha sinteticamente esposto le ragioni a sostegno dell'impugnazione, sottolineando la rilevanza penale della condotta posta in essere dagli imputati. Al riguardo ha osservato che la responsabilità prescinde dal fatto che i corsi sono stati svolti e i pagamenti sono stati effettuati, in quanto ai fini penali rileva il fatto indiscutibilmente provato che le parti si fossero previamente accordate nel senso che le società organizzatrici dei corsi avrebbero restituito parte delle somme, fatturate e rendicontate come costi da parte della (Omissis) al Ministero; grazie a questo meccanismo quest'ultima società aveva usufruito del contributo statale in misura superiore a quanto in effetti gli sarebbe spettato, poichè aveva esposto costi che poi non aveva sostenuto, grazie al sistema concordato delle successive restituzioni ed emissioni di note di credito, che non sono state comunicate al Ministero. La lettura dell'atto di appello consentiva di comprendere le ragioni poste a sostegno dell'impugnazione, e tanto basta a ritenerla ammissibile.

2.2 L'eccezione processuale dedotta con il secondo motivo di ricorso è manifestamente infondata.

La decisione della Corte Edu nel procedimento Maestri c. Italia del 8 luglio 2021 ha affermato il principio della necessità di assumere l'esame dell'imputato in caso di ribaltamento nel giudizio di appello della pronuncia assolutoria, in forza della necessità di una nuova valutazione delle dichiarazioni rese in primo grado che siano state ritenute decisive ai fini dell'assoluzione. In linea con la giurisprudenza Europea, questa Corte ha già affermato il principio secondo cui la necessità per il giudice dell'appello di procedere, anche d'ufficio, alla rinnovazione dibattimentale della prova dichiarativa nel caso di riforma della sentenza di assoluzione sulla base di un diverso apprezzamento dell'attendibilità di una dichiarazione ritenuta decisiva, non consente distinzioni a seconda della qualità soggettiva del dichiarante e vale anche per l'imputato che abbia reso dichiarazioni "in causa propria" e dal cui rifiuto non potrebbe, tuttavia, conseguire alcuna preclusione all'accoglimento della impugnazione (Sez. U, n. 27620 del 28/04/2016, Dasgupta, Rv. 267488).

E' stato tuttavia precisato, in tema di rinnovazione della prova dichiarativa, che la necessità di assumere l'esame dell'imputato in caso di riforma della sentenza assolutoria rientra in quella, più generale, di rinnovazione della prova dichiarativa di natura decisiva, sicchè la stessa non sussiste ove, nel corso del giudizio di primo grado, sia mancata l'assunzione delle dichiarazioni dell'imputato o la valutazione probatoria da parte dei giudici dei due gradi di merito sia stata incentrata su risultanze istruttorie diverse rispetto a tale atto, non oggetto di esame alcuno. (Sez. 6 -, Sentenza n. 27163 del 05/05/2022 Ud. (dep. 13/07/2022) Rv. 283631 - 01; Sez. 3 -, Sentenza n. 16131 del 20/12/2022 Ud. (dep. 17/04/2023) Rv. 284493 - 02).

Nel caso in esame, invece, il ribaltamento della pronunzia di primo grado dipende da una diversa valutazione giuridica della condotta ascritta e non da una diversa ricostruzione in punto di fatto, sicchè la riapertura dell'istruttoria dibattimentale effettuata dai giudici di appello non si pone in contrasto con alcuna sentenza o principio affermato dalla Corte di giustizia e nel contempo non rende necessario l'esame dell'imputato, neppure alla stregua dei principi convenzionali. B.B. peraltro non ha reso esame nel corso del giudizio, nè le sue dichiarazioni hanno assunto rilevanza ai fini del ribaltamento della pronunzia assolutoria.

2.3 Anche la terza censura proposta con il ricorso B.B. è manifestamente infondata. Va rilevato che l'ordinanza di rimessione alle Sezioni Unite della Prima Sezione penale sugli effetti della sentenza Maestri c. Italia della Corte EDU è stata restituita alla Sezione dal Presidente aggiunto con provvedimento emesso in data 17 gennaio 2022, sulla base del rilievo fondamentale, che si condivide, secondo cui non si possono ravvisare nell'anzidetta decisione della Corte di Strasburgo i requisiti per ritenere affermato un nuovo diverso principio in ordine al fatto che l'art. 6 della CEDU imponga sempre la citazione dell'imputato per rendere esame, anche quando nel corso del giudizio di primo grado sia mancata l'assunzione delle dichiarazioni dell'imputato e la valutazione da parte dei giudici dei due gradi di merito sia stata incentrata su risultanze istruttorie diverse rispetto a tale atto istruttorio, non oggetto di alcuna valutazione.

Una differente interpretazione del principio affermato nella citata sentenza Maestri si porrebbe anche in contrasto con i criteri indicati dalla Corte Costituzionale n. 49 del 2015 per attribuire valenza generale vincolante alle decisioni della Corte Edu, che hanno come punto di riferimento imprescindibile il caso concreto specificamente trattato e che solo rispetto a casi analoghi potrebbero assumere il valore di affermazione di un principio generale, tenuto conto delle peculiarità del caso deciso e sempre che la decisione adottata sia espressione di un orientamento definitivo, che costituisce "diritto consolidato" generato dalla giurisprudenza Europea.

Nel caso oggetto del presente giudizio, il cd. overturning da parte della corte di merito è stato basato sulla diversa valutazione giuridica del compendio documentale, senza alcuna correlazione con dichiarazioni rese dall'imputato, neppure assunte nel corso del giudizio di primo grado. Risultano evidenti, quindi, la diversità del caso in esame da quello deciso dalla Corte Edu richiamata dal ricorrente e l'assenza di ragioni per ritenere necessario che nel giudizio di appello si dovesse sollecitare o disporre l'esame dell'imputato per la valutazione delle prove documentali poste a fondamento della decisione di condanna.

La denunzia di contrasto con il dettato costituzionale non ha pertanto alcun fondamento. 2.4 II quarto motivo è manifestamente infondato poichè è evidente e non è affatto congetturale che i costi sostenuti dal A.A. sono stati inferiori a quelli rendicontati al Ministero, nel rispetto della clausola sottoscritta e quindi di un accordo intervenuto precedentemente, in forza del quale i soggetti attuatori dei corsi di formazione dopo la rendicontazione hanno restituito parte del denaro che avevano già ricevuto rilasciando fattura, così consentendo a A.A. di ridurre a posteriori l'importo di costi già comunicati al Ministero.

La corte ha osservato che il finanziamento veniva liquidato sulla base dei costi rendicontati e la parziale restituzione delle somme fatturate dalle società (Omissis) e (Omissis) non è stata comunicata al ministero, e ne ha desunto la conclusione, logicamente ineccepibile, che la cooperativa citata, grazie al consapevole contributo dei coimputati, preventivamente concordato, ha usufruito di un contributo statale in misura superiore a quanto effettivamente dovutogli. Di conseguenza tutte le censure di merito alla sussistenza del dolo da parte dei ricorrenti sono manifestamente infondate poichè gli stessi hanno concordato e poi dato esecuzione ad una specifica clausola dei cui effetti erano a perfetta conoscenza.

2.5 La quinta censura è infondata poichè la corte di appello ha sviluppato un proprio ragionamento per pervenire all'affermazione di responsabilità penale dei ricorrenti, nel rispetto dei principi e criteri stabiliti da questa Corte Suprema di Cassazione, e ha richiamato la decisione della Corte dei conti, che ha ritenuto la responsabilità contabile del soggetto che aveva percepito il contributo, per aver omesso di trasmettere al Ministero le informazioni dovute in ordine all'effettivo ammontare dei costi sostenuti. Quanto alla posizione dell'B.B. è evidente che proprio la predisposizione della clausola contrattuale palesa la consapevolezza da parte del predetto e del C.C. dell'accordo fraudolento preventivo, riproposto anche in altre contrattazioni relative a corsi di formazione, a riprova di un meccanismo illecito consolidato che consentiva al singolo imprenditore di attenuare il rischio di una riduzione del contributo e ai soggetti attuatori di proporsi con un'offerta contrattuale maggiormente competitiva ed appetibile, proprio in ragione di questo meccanismo delle restituzioni a posteriori. La costatazione che la clausola sia stata ab origine concordata conferma la precipua volontà di aggirare il rischio di una riduzione del contributo pubblico, attivando un meccanismo fraudolento.

2.6 Anche la sesta censura è manifestamente infondata poichè la corte di appello ha affermato la rilevanza penale della condotta ascritta e, nel ribaltare la pronunzia assolutoria di primo grado, ha fornito adeguata contezza delle ragioni poste a sostegno del proprio ragionamento, che risulta conforme ai principi dettati dalla giurisprudenza di legittimità, il cui compito è quello di garantire l'omogeneità delle decisioni e di stabilire i principi generali che i singoli giudici di merito devono poi applicare alle diverse fattispecie concrete sottoposte al loro giudizio.

2.7 in settimo motivo è fondato.

Al fine di individuare il discrimen tra la fattispecie di truffa e quella di indebita percezione di erogazioni pubbliche, occorre muovere dall'insegnamento delle Sezioni Unite di cui alla citata sentenza n. 16568 del 19/04/2007, Carchivi, che ha stabilito in primis che l'applicazione dell'art. 316-ter c.p. deve avere carattere residuale e consono alla sua natura di norma volta ad "estendere la punibilità a condotte decettive non incluse nella fattispecie di truffa" (fg. 7 della sentenza Carchivi), come dimostra anche il fatto che il legislatore, nel delineare la fattispecie, ha previsto una apposita clausola di riserva ("salvo che il fatto costituisca il reato previsto dall'art. 640-bis c.p. "). E tale carattere residuale, indirizzato a limitare la portata applicativa dell'art. 316-ter c.p. a "situazioni del tutto marginali", ne riduce l'ambito a condotte come "il silenzio antidoveroso", ovvero a quelle che non inducano "effettivamente in errore l'autore della disposizione patrimoniale".

La successiva sentenza delle Sezioni unite di questa Suprema Corte (n. 7537 del 16/12/2010, dep. 2011, Pizzuto) ha ribadito tutti i citati principi, rimarcando ancora il carattere sussidiario e residuale dell'art. 316-ter c.p. rispetto alla truffa (anche citando, in proposito, l'ordinanza della Corte Cost. n. 95 del 2004), la valutazione in concreto e caso per caso dell'accertamento in ordine alla sussistenza degli artifici e raggiri e della induzione in errore, stabilendo che "l'art. 316-ter c.p. punisce condotte decettive non incluse nella fattispecie di truffa, caratterizzate (oltre che dal silenzio antidoveroso) da false dichiarazioni o dall'uso di atti o documenti falsi, ma nelle quali l'erogazione non discende da una falsa rappresentazione dei suoi presupposti da parte dell'ente pubblico erogatore, che non viene indotto in errore perchè in realtà si rappresenta solo l'esistenza della formale attestazione del richiedente" (fgg. 7 e 8 della sentenza SS.UU. Pizzuto).

Alla stregua di questi parametri valutativi, deve concludersi che le attività realizzate dai coimputati, concordando un meccanismo di restituzioni eventuali e successive alla rendicontazione ed omettendo di darne comunicazione al Ministero, integrano la fattispecie meno grave di cui all'art. 316 ter c.p. poichè la predisposizione di una clausola come quella pattuita tra le parti dimostra l'accordo teso a presentare una rendicontazione che potrebbe in ipotesi non corrispondere alla realtà dei costi; ma nel caso specifico gli imputati hanno realizzato l'ingiusto profitto attraverso una condotta successiva alla rendicontazione e meramente omissiva, non comunicando al Ministero la parziale restituzione delle somme già fatturate dalle società e inserite come costi nel rendiconto. Non residuano dubbi al riguardo in ordine alla consapevolezza da parte di tutti gli imputati dell'omessa comunicazione al Ministero di tale successiva riduzione dei costi, poichè la clausola poteva realizzare il proprio scopo di tutela degli interessi del beneficiario rispetto al rischio di una minore contribuzione solo attraverso tale omissione.

La diversa qualificazione giuridica ex art. 316 ter c.p. della condotta ascritta agli imputati, che hanno contribuito a rendere possibile l'indebita percezione da parte del A.A. e della (Omissis) di un contributo statale in misura superiore a quanto il beneficiario avrebbe avuto diritto, comporta l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata in quanto incide sui termini di prescrizione che sono maturati nell'agosto 2022, considerando anche le sospensioni intervenute nel corso del giudizio.

2.8 Per completezza di esposizione, va osservato che la quinta censura del ricorso A.A. e il primo motivo del ricorso C.C., con cui si deduce la pretesa violazione dell'art. 699 c.p.p. sono infondati, poichè il giudice di merito non è tenuto ad uniformarsi ai pronunciamenti di altre autorità giudiziarie se non in punto di fatto, mentre nel caso in questione i fatti contestati sono pacifici e non sono stati oggetto di censura e la diversa valutazione attiene alla rilevanza penale della condotta posta in essere.

Le censure relative al trattamento sanzionatorio rimangono assorbite dalla intervenuta prescrizione del reato.

2.9 Fondate risultano anche le censure in ordine alla quantificazione della confisca avanzate da parte di tutti i ricorrenti.

Al riguardo va osservato che la corte di appello non offre adeguata motivazione in quanto si limita a richiamare la pronunzia di questa Corte resa nella fase cautelare di altro analogo procedimento, che aveva ritenuto la legittimità del sequestro preventivo dell'intero importo del contributo erogato in favore del beneficiario.

Va di contro rilevato che anche quella pronunzia ribadiva la necessità di rapportare le statuizioni e il quantum della confisca alla concreta situazione oggetto del giudizio e, nel caso in esame, all'esito dell'istruttoria dibattimentale non può trascurarsi che il contributo era stato erogato in relazione a costi rendicontati ed effettivamente sostenuti e soltanto in una fase successiva, sia pure in forza di un preventivo accordo con le società delegate alla realizzazione dei corsi, il beneficiario del contributo aveva potuto indebitamente recuperare somme già versate e rendicontate al MIT come costi, omettendo di darne debita comunicazione e così usufruendo di una indebita maggiore percentuale del contributo riscosso nella misura indicata nel capo di imputazione.

Alla stregua di queste considerazioni e in ragione della diversa qualificazione giuridica della condotta ascritta agli imputati, l'entità della confisca deve essere ridotta alla somma di Euro 38.858,10, che corrisponde all'effettiva indebita percezione della erogazione pubblica procurata dalla condotta illecita, determinata, come si è già esposto, dalla restituzione di somme già inserite come costi nella rendicontazione finale della Società (Omissis).

3.Passando ora ad esaminare i ricorsi proposti dagli enti, deve preliminarmente rilevarsi che dagli accertamenti eseguiti risulta che l'avv. Nitti, procuratore speciale che sottoscrive il ricorso della (Omissis), non risulta iscritto all'albo dei difensori abilitati a svolgere il patrocinio legale dinanzi alle giurisdizioni superiori; ne consegue l'inammissibilità del ricorso da lui sottoscritto.

Ed infatti in forza dell'art. 613 c.p.p., l'atto di ricorso, salvo che la parte non vi provveda personalmente, deve essere sottoscritto, a pena d'inammissibilità, da difensore iscritto nell'albo speciale della corte di cassazione (comma 1). La causa d'inammissibilità del ricorso, che consegue al difetto del titolo abilitativo e, pertanto, della legittimazione del difensore, è ritenuta, secondo costante orientamento di legittimità, dipendente da vizio originario dell'atto, che lo rende inidoneo alla finalità processuale perseguita e non è sanato anche dal successivo conseguimento da parte del difensore della particolare legittimazione richiesta, nè dai motivi nuovi presentati da difensore cassazionista dopo la scadenza del termine per impugnare (tra le altre, Sez. 1, n. 45393 del 16/11/2011, Tedeschi, Rv. 251464; Sez. 4, n. 35830 del 27/06/2013, Hasani, Rv. 256835).

Conseguentemente, l'omessa abilitazione al patrocinio di legittimità impedisce al difensore di proporre il ricorso e di esercitare le facoltà correlate all'esercizio del mandato difensivo, in essa compresa l'investitura di altro difensore del potere di patrocinio di legittimità, che non ha, e al difensore -non legittimamente investito di tale potere e non titolare, in quanto sostituto, di soggettività difensiva autonoma- di esercitarlo.

4.Ricorso (Omissis):

4.1 Il primo motivo di ricorso non può trovare accoglimento poichè secondo la più recente giurisprudenza di questa Corte, che il collegio condivide, la cancellazione dell'ente dal registro delle imprese non determina l'estinzione dell'illecito previsto dal D.Lgs. n. 8 giugno 2001, n. 231, commesso nell'interesse ed a vantaggio dello stesso. (Fattispecie relativa alla responsabilità di una società di capitali per l'illecito previsto dall'art. 25-septies, comma 3, del citato D.Lgs., in relazione al reato di cui all'art. 590 c.p., in cui la Corte ha precisato che all'estinzione della persona giuridica consegue il passaggio diretto della titolarità dell'impresa ai singoli soci, non venendo meno i rapporti sorti anteriormente allo scioglimento). (Sez. 4 -, Sentenza n. 9006 del 22/02/2022 Ud. (dep. 17/03/2022) Rv. 282763 - 01) Tale affermazione sembra porsi in contrasto con la sentenza richiamata dal ricorso, la n. 41082 resa da questa Corte il 10 settembre 2019, in quanto quest'ultima pronunzia valorizzando l'art. 35 del citato decreto legislativo/che estende all'ente le disposizioni relative all'imputato, ha ritenuto che la cancellazione dal registro delle imprese comporta il venir meno della persona giuridica e quindi la conseguente impraticabilità di quelle sanzioni relative e connesse alla sua attività.

Va tuttavia precisato che quella pronunzia si riferiva ad un'ipotesi di cancellazione fisiologica per chiusura del fallimento della società, in cui non poteva neppure darsi luogo al fenomeno successorio in forza del quale i rapporti obbligatori facenti capo all'ente non si estinguono, ma si trasferiscono ai soci, che ne rispondono nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione. Nel caso in esame la cancellazione non risulta cagionata da motivazioni fisiologiche e potrebbe anzi costituire un commodus discessus per sottrarsi alle conseguenze di una pronunzia giudiziaria. Il collegio ritiene preferibile il principio affermato dalla più recente pronunzia in quanto la cancellazione della società può certamente porre un problema di soddisfacimento del relativo credito, ma non un problema di accertamento della responsabilità dell'ente per fatti anteriori, responsabilità che nessuna norma autorizza a ritenere elisa per effetto della cancellazione dell'ente stesso.

4.2 Le censure con cui si deducono l'inammissibilità dell'appello proposto dal pubblico ministero e l'insussistenza della prova in ordine alla fittizietà del rendiconto non possono trovare accoglimento per le ragioni già esposte in relazione al ricorso proposto da B.B.. 4.3 Il quarto motivo di ricorso è fondato.

La giurisprudenza di legittimità ha già chiarito, quanto ai rapporti strutturali tra illecito ascritto alla persona giuridica e il reato-presupposto compiuto dalla persona fisica, che all'accertamento del reato commesso dalla persona fisica deve necessariamente seguire la verifica sul tipo di inserimento di questa nella compagine societaria e sulla sussistenza dell'interesse ovvero del vantaggio derivato all'ente: solo in presenza di tali elementi la responsabilità si estende dall'individuo all'ente collettivo, solo, cioè, in presenza di criteri di collegamento teleologico dell'azione del primo all'interesse o al vantaggio dell'altro, che risponde autonomamente dell'illecito "amministrativo".

La giurisprudenza di legittimità ha chiarito che l'illecito dell'ente non si identifica con il reato commesso dalla persona fisica, ma semplicemente lo presuppone e che l'illecito "amministrativo" ascrivibile all'ente non coincide con il reato, ma costituisce qualcosa di diverso, che addirittura lo ricomprende (così, Sez. 6, n. 2251 del 05/10/2010, Fenu, Rv. 248791).

L'ente, soggetto diverso dalla persona, è quindi responsabile di un fatto illecito proprio, costruito nella forma di fattispecie complessa, della quale il reato è un presupposto, unitamente alla qualifica soggettiva della persona fisica e alla sussistenza dell'interesse o del vantaggio.

Partendo da tali premesse, si è aggiunto che il reato commesso dal soggetto inserito nella compagine dell'ente, in vista del perseguimento dell'interesse o del vantaggio di questo, è sicuramente qualificabile come "proprio" anche della persona giuridica; tuttavia la responsabilità della persona fisica si estende dall'individuo all'ente collettivo solo a condizione che siano individuati "precisi canali che colleghino teleologicamente l'azione dell'uno all'interesse dell'altro e, quindi, gli elementi indicativi della colpa di organizzazione dell'ente, che rendono autonoma la responsabilità del medesimo ente". Nel caso in esame la corte di merito ha reso una motivazione apparente, poichè si è limitata ad affermare apoditticamente che gli imputati, essendo legali rappresentanti degli enti, hanno certamente operato nell'esclusivo interesse degli stessi, senza fornire adeguata argomentazione atta ad escludere che i detti rappresentanti abbiano agito nel proprio esclusivo interesse e senza valutare come il reato presupposto abbia procurato vantaggio alla persona giuridica.

Si impone pertanto l'annullamento della motivazione in ordine alla responsabilità della società (Omissis), con rinvio alla Corte di appello di (Omissis) che rivaluterà la sussistenza dei requisiti necessari per affermare la responsabilità giuridica dell'ente ricorrente.

L'accoglimento del quarto motivo di ricorso assorbe le altre censure proposte da (Omissis) Srl . in ordine alla sanzione e alla confisca.

Giova comunque al riguardo ricordare che in tema di responsabilità da reato degli enti, qualora l'illecito penale presupposto sia quello di indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato, è obbligatorio procedere alla confisca per equivalente del profitto del reato (ed è quindi legittimo il sequestro preventivo funzionale alla medesima), non trovando applicazione il disposto di cui al comma 1 dell'art. 322 ter c.p., per cui, in relazione ai delitti contro la P.A., può procedersi alla confisca di valore solo in riferimento al prezzo del reato. (Sez. 6, Sentenza n. 14973 del 18/03/2009 Cc. (dep. 07/04/2009) Rv. 243507 - 01).

5. (Omissis):

Il secondo motivo di ricorso è fondato per le medesime ragioni già esposte al paragrafo 4.3, poichè la corte di appello ha reso una motivazione apodittica in ordine alla affermazione di responsabilità amministrativa della persona giuridica, senza argomentare circa la sussistenza del vantaggio conseguito dal (Omissis) in relazione alla condotta illecita posta in essere dal C.C., anche in ragione del suo ruolo nell'ambito dell'ente, e dagli altri imputati.

Si impone l'annullamento della sentenza limitatamente all'affermazione di responsabilità amministrativa dell'ente ricorrente con rinvio alla Corte di appello di (Omissis) per le sue determinazioni.

6. Poichè la sentenza è stata annullata relativamente alla responsabilità delle persone giuridiche per motivi non soggettivi, in ragione dell'effetto estensivo dell'impugnazione, va disposto l'annullamento della sentenza anche nei confronti della Società (Omissis) (Omissis), il cui ricorso è inammissibile, con rinvio alla Corte di appello di (Omissis) che rivaluterà anche nei confronti della detta società la sussistenza dei presupposti per affermare la responsabilità amministrativa dell'ente.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di A.A., B.B. e C.C. perchè il reato loro ascritto, riqualificato ai sensi dell'art. 316 ter c.p., è estinto per prescrizione.

Ridetermina la confisca disposta nei loro confronti nella misura di Euro 38.858,10. Rigetta nel resto i ricorsi di A.A., B.B. e C.C..

Annulla la sentenza impugnata nei confronti della società (Omissis) e (Omissis) Srl e, per l'effetto estensivo, della (Omissis) con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di (Omissis).

Conclusione

Così deciso in Roma, il 8 giugno 2023.

Depositato in Cancelleria il 14 settembre 2023