Giu atti persecutori e la prova dell'evento del delitto
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. V PENALE - 08 settembre 2023 N. 36994
Massima
In tema di atti persecutori, la prova dell'evento del delitto, in riferimento alla causazione nella persona offesa di un grave e perdurante stato di ansia o di paura, deve essere ancorata ad elementi sintomatici di tale turbamento psicologico ricavabili dalle dichiarazioni della stessa vittima del reato, dai suoi comportamenti conseguenti alla condotta posta in essere dall'agente ed anche da quest'ultima, considerando tanto la sua astratta idoneità a causare l'evento, quanto il suo profilo concreto in riferimento alle effettive condizioni di luogo e di tempo in cui è stata consumata.

Testo della sentenza
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. V PENALE - 08 settembre 2023 N. 36994

1. Ricorso del Procuratore generale.

1.1 I tre motivi di ricorso, esaminabili congiuntamente per la loro stretta connessione, sono fondati.

La giurisprudenza di questa Corte ha da tempo affermato, sulla scorta di risalenti approdi delle Sezioni Unite (Sez. U, n. 33748 del 12/07/2005, Mannino, Rv. 231679; Sez. U, n. 6682 del 04/02/1992, Musumeci, Rv. 191229), che il Giudice d'appello ha l'obbligo di approntare una nuova e compiuta struttura motivazionale che dia ragione delle difformi conclusioni raggiunte nel caso in cui riformi totalmente la decisione di primo grado.

Sez. U, n. 14800 del 21/12/2017, dep. 2018, Troise, Rv. 272430 - 01 hanno affermato, tra l'altro, che "assolvere l'obbligo di motivazione rafforzata significa: a) dimostrare di avere compiuto un'analisi stringente, approfondita, completa del provvedimento impugnato; b) spiegare, anche in ragione dei motivi di impugnazione e del perimetro cognitivo devoluto, perchè non si è condiviso il decisum; c) chiarire quali sono le ragioni fondanti - a livello logico, probatorio, giuridico - la nuova decisione assunta" (v. Sez. 6, n. 15869 del 16 dicembre 2021, dep. 2022, Tijani). Nel riformare una sentenza, è necessario dimostrare quindi di aver esaminato tutti gli elementi acquisiti e di avere compiuto, sulla base del devoluto, un confronto argomentativo serrato con essa al fine di evidenziarne le criticità (cfr., Sez. U., n. 33748 del 12/07/2005, Mannino, Rv. 231679), per poi procedere a formare una nuova motivazione che non si limiti ad inserire in quella argomentativa del primo giudice mere notazioni critiche di dissenso, "in una sorta di ideale montaggio di valutazioni ed argomentazioni fra loro dissonanti, ma riesamini il materiale probatorio vagliato dal giudice di primo grado, consideri quello eventualmente sfuggito alla sua delibazione e quello ulteriormente acquisito, per dare, riguardo alle parti della prima sentenza non condivise, una nuova e compiuta struttura argomentativa che spieghi le difformi conclusioni" (Sez. U., n. 6682 del 04/02/1992, Musumeci, Rv. 191229, ripresa, da ultimo, da Sez F., n. 48310 del 09/08/2022).

Tutto ciò fermo restando che il concreto modo di operare della regola della quale si tratta scaturisce dall'interazione della presunzione di innocenza e del canone del ragionevole dubbio con la peculiare tipologia di esito decisorio della pronuncia riformata. Il canone del ragionevole dubbio, infatti, per la sua immediata derivazione dal principio della presunzione di innocenza, esplica i suoi effetti conformativi non solo sull'applicazione delle regole di giudizio e sulle diverse basi argomentative della sentenza di appello che operi un'integrale riforma di quella di primo grado, ma anche, e più in generale, sui metodi di accertamento del fatto, imponendo protocolli logici del tutto diversi in tema di valutazione delle prove e delle contrapposte ipotesi ricostruttive in ordine alla fondatezza del tema d'accusa: la certezza della colpevolezza per la pronuncia di condanna, il dubbio originato dalla mera plausibilità processuale di una ricostruzione alternativa del fatto per l'assoluzione.

Nel caso di specie, ritiene il Collegio che la Corte d'appello non abbia adempiuto all'obbligo di motivare in maniera particolarmente stringente le ragioni fondanti a livello logico, probatorio, giuridico - le proprie difform,i-conclusioni.

Il punto nevralgico si rinviene, in particolare, ner in cui la Corte territoriale lega a filo doppio la mancata prova dell'evento del reato, nei confronti di A.A., C.C. e B.B., con la mancata diagnosi medica che certificasse, in questi ultimi, una patologia consimile a quella diagnosticata per la parte civile E.E. (v. pag. 26 della parte motiva dell'impugnata sentenza). Il fatto che soltanto quest'ultimo fosse in cura presso uno psichiatra, e che gli fosse stato diagnosticato un disturbo ansioso depressivo, non implica che gli altri membri della famiglia non abbiano subito, nel corso di molti anni, i contraccolpi derivanti dalla strategia di accanimento processuale dell'imputato, che si è tradotta nel reato di atti persecutori e che sono riconducibili ad uno degli eventi di danno descritti dalla fattispecie incriminatrice.

In primo luogo, va rilevato che l'assunto da cui muove la Corte territoriale è in netto contrasto con la consolidata giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale "in tema di atti persecutori, la prova dell'evento del delitto, in riferimento alla causazione nella persona offesa di un grave e perdurante stato di ansia o di paura, deve essere ancorata ad elementi sintomatici di tale turbamento psicologico ricavabili dalle dichiarazioni della stessa vittima del reato, dai suoi comportamenti conseguenti alla condotta posta in essere dall'agente ed anche da quest'ultima, considerando tanto la sua astratta idoneità a causare l'evento, quanto il suo profilo concreto in riferimento alle effettive condizioni di luogo e di tempo in cui è stata consumata" (Sez. 5, n. 17795 del 02/03/2017, S., Rv. 269621 - 01, ex plurimis).

Si osserva, inoltre, come siano gli stessi Giudici dell'appello a evidenziare, nel corso dell'intero e pur dettagliato iter motivazionale, i riflessi delle condotte dell'imputato su tutti i membri della famiglia Raho-Unito e, segnatamente, su ciò che -con formula per ora sintetica, il cui significato sarà esplicato più in dettaglio nell'immediato prosieguo - può definirsi la loro "tranquillità psichica". A tal proposito, deve ricordarsi quanto statuito da questa Corte, secondo cui "l'art. 612 bis c.p. è preordinato alla tutela della tranquillità psichica - ed in definitiva della persona nel suo insieme" (Sez. 5, n. 2283 del 11/11/2014, dep. 2015, C., Rv. 262727 - 01: "è configurabile il concorso tra il reato di violenza privata e quello di atti persecutori, trattandosi di reati che tutelano beni giuridici diversi, in quanto l'art. 610 c.p. protegge il processo di formazione e di attuazione della volontà personale, ovvero la libertà individuale come libertà di autodeterminazione e di azione; mentre l'art. 612 bis c.p. è preordinato alla tutela della tranquillità psichica - ed in definitiva della persona nel suo insieme - che costituisce condizione essenziale per la libera formazione ed estrinsecazione della predetta volontà") Più in particolare, nel richiamare la testimonianza dell'Avv. Fecchio -legale della parte civile Unito dal 2015- non senza specificare l'attendibilità della stessa (v. p. 19 della motivazione dell'impugnata sentenza), la Corte d'appello ha ricordato, per un verso, che la strategia di accanimento giudiziario si è rivolta nei confronti di tutti i membri della famiglia Unito-Raho e, per altro verso, ha fatto riferimento, in più passaggi motivazionali, a talune conseguenze delle condotte dell'imputato sulla vita -emotiva e pratica- di tutte le parti civili. E, infatti, i Giudici d'appello hanno indicato, in primo luogo, "la complicata situazione che si era venuta a creare nel corso degli anni a causa delle innumerevoli iniziative giudiziarie azionate dall'imputato nei confronti della famiglia Unito/Raho (il teste ha fatto riferimento a più di 200 cause)" (p. 19). Sulla base di tale testimonianza, la Corte territoriale ha dato conto del fatto che, di tali 200 azioni giudiziarie, "40 erano relative alla moglie" (di E.E.) "A.A. e 15 riguardavano i fratelli A.A.... quali soci della Fondermetal". Dalla testimonianza emergeva che, a fronte delle complessive richieste ammontanti (per la sola parte civile A.A.) a un milione e quattrocentomila Euro, il riconoscimento giudiziale si riduceva a 30 mila Euro, e, a fronte delle complessive richieste ammontanti (per i due fratelli Raho) a Euro 30.000, la liquidazione finale e complessiva era di Euro 3.200 Euro (p. 4 dell'impugnata sentenza).

In tale prospettiva, va ribadito che, "in tema di atti persecutori, costituiscono molestie, elemento costitutivo del reato, le azioni reiteratamente promosse in sede civile (nella specie, ventitrè in dieci anni), in base ad un'unica ragione contrattuale, da un asserito creditore che si era precostituito titoli esecutivi fondati su atti da lui falsificati e si era avvalso, quindi, di fatti consapevolmente inventati in funzione dell'unilaterale e ingiustificata modifica aggravativa della posizione del debitore, realizzata con abuso del processo, atteso che la falsificazione dei titoli e la reiterazione dell'azione giudiziaria risulta causativa di uno degli eventi alternativi previsti dall'art. 612 bis c.p." (Sez. 5, n. 17171 del 16/01/2023, Rv. 284399 - 02).

Si tratta di conclusioni -applicabili al caso di specie- razionalmente fondate sull'idoneità dello stillicidio di azioni giudiziarie ad alterare, anche in termini gravi, la serenità dei destinatari, per effetto del grave stato di ansia che possono provocare.

A questo riguardo, può essere utile anticipare, sin d'ora, che l'esatta descrizione dello specifico evento di danno provocato dalla condotta persecutoria, alla luce delle risultanze dell'istruttoria, non comporta alcuna violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza (v., mutatis mutandis, Sez. 5, n. 11931 del 28/01/2020, R. Rv. 278984 - 01: non costituisce violazione dell'art. 521 c.p.p. la qualificazione da parte del giudice di appello di uno degli eventi previsti dall'art. 612 bis c.p. in termini di "profondo stato di paura" piuttosto che di "perdurante e grave stato d'ansia", trattandosi di una qualificazione che lascia inalterato il nucleo essenziale di uno degli eventi alternativi, idonei ad integrare la fattispecie incriminatrice, rappresentato dallo stato di prostrazione psicologica della vittima delle condotte persecutorie).

In secondo luogo, la Corte territoriale ha sottolineato la pretestuosità della gran parte delle azioni giudiziarie, nonchè le modalità scorrette delle stesse, consistite, tra l'altro, nell'utilizzo di epiteti inappropriati. A tal proposito, va ricordato, in particolare per quel che ha riguardo alla persona offesa A.A., che, al numero spropositato di azioni giudiziarie intentate dall'imputato e, dunque, all'abuso dello strumento processuale, si è sovente affiancato un tipo di molestia ulteriore, contrassegnato dal gratuito riferimento a vicende personali e familiari prive di qualsivoglia nesso con le azioni giudiziarie, e dal tenore verbale anche offensivo.

In terzo luogo, nella prima parte della motivazione dell'impugnata sentenza, la Corte d'appello riporta stralci delle testimonianze dei ricorrenti B.B. e C.C., e della madre, A.A., (v. p. 7 e 8), relative allo sconvolgimento dell'equilibrio delle loro vite, della loro serenità, emotiva oltre che materiale, della perdita di prospettiva di un futuro: in breve, di malesseri e prostrazione diffusi che, soltanto per non essere stati attestati da un certificato medico, la Corte territoriale ha, per quanto sopra detto, erroneamente ritenuto non costituire prova di uno degli eventi alternativamente richiesti dall'art. 612 bis c.p..

In ogni caso, la dimostrazione dell'evento di danno va correlata, secondo la giurisprudenza di questa Corte, anche alle modalità della condotta e, nel caso di specie, alla strategia di accanimento giudiziale della quale s'è detto portata avanti dall'imputato.

Infatti, in tema di atti persecutori, la prova dello stato d'ansia o di paura denunciato dalla vittima del reato può essere dedotta anche dalla natura dei comportamenti tenuti dall'agente, qualora questi siano idonei a determinare in una persona comune tale effetto destabilizzante (cfr. Sez. 5, n. 24135 del 09/05/2012, G., Rv. 253764 - 01).

Quanto all'elemento soggettivo del reato, ossia quanto alla consapevolezza dei riflessi della condotta ascritta all'imputato sulle vite dei membri della famiglia destinataria di siffatte iniziative, va considerato che l'imputato è avvocato egli stesso: ciò che, peraltro, colora la condotta volta ad abusare dello strumento processuale -e ad abusare del diritto stesso, più generale; centrato, in tal senso, è il riferimento della Corte territoriale al divieto di atti emulativi, di cui all'art. 833 c.c.- di un disvalore ancora maggiore, come correttamente osservato dai Giudici di merito.

In particolare, l'errata interpretazione dell'art. 612 bis c.p. risalta ancora più visibilmente alla luce di quanto esposto dal Procuratore generale nel motivo terzo, con particolare riguardo alla critica che investe le ragioni esposte dai Giudici d'appello circa l'elemento psicologico del reato del quale si discorre. La Corte territoriale ha infatti riconosciuto come l'imputato abbia agito non già con la finalità di esercitare un preteso diritto, bensì di procurare nocumento alla persona offesa Unito, indirizzando la propria vis persecutoria anche nei confronti di soggetti terzi, quali testimoni, collaboratori di E.E. e magistrati. A fronte di tale quadro probatorio, è condivisibile il rilievo critico del ricorrente, teso a evidenziare che, con quei numerosi ‘soggetti terzì, anche gli altri membri della famiglia siano stati costretti a relazionarsi. Come si è già ricordato, infatti, anche gli altri componenti della famiglia, destinatari di molteplici iniziative giudiziarie, sia personalmente sia in qualità di membri del c.d.a. della Fondermetal (segnatamente B.B.), sono stati costretti a relazionarsi a tali "soggetti terzi", senza dimenticare i motteggi ed epiteti offensivi adoperati dall'imputato in molti atti concernenti le cause intentate nei confronti di tutte le persone offese.

2. Per le ragioni appena indicate, sono altresì fondati tutti e quattro i motivi del ricorso proposto nell'interesse di B.B., il primo motivo del ricorso proposto nell'interesse di C.C. e della Fondermetal Spa (il secondo restando evidentemente assorbito dall'accoglimento del primo) e, infine, l'unico motivo del ricorso proposto nell'interesse di A.A..

3. Ricorso D.D..

3.1. Il primo motivo è inammissibile per manifesta infondatezza, in quanto il delitto di atti persecutori configura un reato abituale di danno che si consuma nel momento e nel luogo della realizzazione di uno degli eventi previsti dalla norma incriminatrice, quale conseguenza della condotta unitaria costituita dalle diverse azioni causalmente orientate (Sez. 5, n. 16977 del 12/02/2020, S., Rv. 279178 01, in tema di competenza territoriale, ma enunciando principi di carattere generale). D'altra parte, posto che la consumazione del reato è nozione diversa dal suo perfezionamento, in quanto richiede il raggiungimento della massima gravità concreta dello stesso, occorre aver riguardo anche agli sviluppi successivi delle varie azioni, sul piano degli eventi (come si desume da Sez. 5, n. 3781 del 24/11/2020, dep. 2021, S., Rv. 280331 - 01, proprio in tema di tempestività della querela).

Ne discende che è del tutto irrilevante la data della visita operata dalla Dott.ssa F.F. e della conseguente certificazione.

Inoltre, va ribadito che, in tema di querela, è onere della parte che ne deduca l'intempestività fornire la prova di tale circostanza, sicchè l'eventuale situazione di incertezza deve essere risolta a favore del querelante (Sez. 2, n. 48027 del 18/10/2022, Spanò, Rv. 284168 - 01).

3.2. Il secondo motivo è inammissibile per manifesta infondatezza, dal momento che, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, rispetto alle cui argomentazioni il ricorrente non fornisce alcun contributo critico idoneo a giustificare un superamento delle conclusioni raggiunte, non integra una violazione del principio del ne bis in idem l'irrogazione, per il medesimo fatto oggetto di sanzione penale, di una sanzione disciplinare che, per qualificazione giuridica, natura e grado di severità non può essere equiparata a quella penale, secondo l'interpretazione data dalla sentenza emessa dalla Corte Europea dei diritti dell'uomo nella causa "Grande Stevens contro Italia" del 4 marzo 2014 (ex plurimis, v. Sez. 6, n. 1645 del 12/11/2019, dep. 2020, Montella, Rv. 278099 01).

3.3. Il terzo motivo è inammissibile per manifesta infondatezza, giacchè -come s'è esposto sopra (sub 1.1), esaminando i motivi di ricorso del P.g.- l'esatta descrizione dello specifico evento di danno provocato dalla condotta persecutoria, alla luce delle risultanze dell'istruttoria, non comporta alcuna violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza (v., mutatis mutandis, Sez. 5, n. 11931 del 28/01/2020, R. Rv. 278984 - 01: non costituisce violazione dell'art. 521 c.p.p. la qualificazione da parte del giudice di appello di uno degli eventi previsti dall'art. 612 bis c.p. in termini di "profondo stato di paura" piuttosto che di "perdurante e grave stato d'ansia", trattandosi di una qualificazione che lascia inalterato il nucleo essenziale di uno degli eventi alternativi, idonei ad integrare la fattispecie incriminatrice, rappresentato dallo stato di prostrazione psicologica della vittima delle condotte persecutorie).

3.4. Il quarto motivo è inammissibile per assenza di specificità, dal momento che la Corte territoriale non ha affatto individuato le spese legali come uno degli eventi del reato, piuttosto cogliendo in tale dato fattuale (ossia, i notevoli esborsi razionalmente correlati allo stillicidio di azioni giudiziarie promosse dall'imputato) il presupposto, unitamente al tempo sottratto per predisporre le attività difensive (con conseguente riduzione delle energie dedicate all'attività imprenditoriale), del mutamento delle ordinarie abitudini di vita. E questo, per tacere del fatto che la Corte d'appello ha valorizzato ben più gravi conseguenze sulla salute dell'Unito per fondare la pronuncia di condanna dell'imputato.

4. In conseguenza, la sentenza impugnata va annullata limitatamente alle statuizioni assolutorie, con rinvio per nuovo esame ad altra sezione della Corte di appello di Milano, alla quale è demandata anche la regolamentazione delle spese nel rapporto con le parti civili A.A., B.B. e C.C. - Fondermetal Spa Alla inammissibilità del ricorso proposto dal D.D., segue, ai sensi dell'art. 616 c.p.p., la condanna dello stesso al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende. L'imputato va, inoltre, condannato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile E.E., che, alla luce delle questioni trattate, si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente alle statuizioni assolutorie e rinvia per nuovo esame ad altra sezione della Corte di appello di Milano. Spese in favore delle parti civili A.A., B.B. e C.C. -Fondermetal Spa al definitivo. Dichiara inammissibile il ricorso di D.D. e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Condanna, inoltre, D.D. alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile E.E., che liquida in complessivi Euro 4000,00, oltre accessori di legge.

Conclusione

Così deciso in Roma, il 12 maggio 2023.

Depositato in Cancelleria il 8 settembre 2023