Giu In tema di diffamazione, il giudice di legittimità può conoscere e valutare l'offensività della frase che si assume lesiva della altrui reputazione
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. V PENALE - 31 agosto 2023 N. 36468
Massima
In tema di diffamazione, il giudice di legittimità può conoscere e valutare l'offensività della frase che si assume lesiva della altrui reputazione perchè è suo compito considerare la sussistenza o meno della materialità della condotta contestata e, quindi, la portata offensiva delle frasi ritenute diffamatorie. (Sez. 5, n. 48698 del 19/09/2014, Dernofonti, Rv. 26128401), compito che deve svolgere anche con riferimento al profilo del dolo e della sussistenza della scriminante del diritto di critica, allorquando gli stessi elementi evidenziati nella sentenza impugnata depongono per il difetto della componente soggettiva del reato (Sez. 5, Sentenza n. 2473 del 10/10/2019, dep. 2020, Fabi, Rv. 278145).

Testo della sentenza
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. V PENALE - 31 agosto 2023 N. 36468

1. Preliminarmente va affrontato il tema della ricorribilità per cassazione del provvedimento con il quale il giudice per le indagini preliminari, a seguito di opposizione, dispone l'archiviazione per particolare tenuità del fatto, trattandosi di un provvedimento che non solo presuppone l'accertamento di un fatto di reato, ma che deve essere iscritto nel casellario giudiziale, fatta salva la non menzione nei certificati rilasciati a uso di terzi (Sez. U, n. 38954 del 30/05/2019, De Martino, Rv. 276463).

2. La ricorribilità in cassazione del provvedimento di archiviazione non può essere ravvisata sul rilievo che - in base al combinato disposto degli artt. 409, comma 1, 410, comma 3, e 411, comma 1, c.p.p. - il giudizio di opposizione "si svolge nelle forme previste dall'art. 127", in quanto il rinvio all'art. 127 c.p.p., operato in altre norme del codice di rito con la formula "secondo le forme previste" o con altre equivalenti, riguarda le regole di svolgimento dell'udienza camerale, ma non implica, ex se, la ricezione completa del modello procedimentale descritto in questa norma, ivi compreso il ricorso in sede di legittimità, atteso che per diverse disposizioni contenenti tale rinvio il legislatore ha previsto espressamente quel rimedio (Sez. U, n. 17 del 06/11/1992, Bernini, Rv. 191786 - 01).

Ne consegue che, in tema di ricorribilità per cassazione avverso il provvedimento emesso all'esito della camera di consiglio ex art. 127 c.p.p., è necessaria una esplicita previsione di impugnabilità, tutte le volte in cui il richiamo al rito carnerale sia espresso con riferimento alle forme previste dall'art. 127, o attraverso termini equipollenti come "secondo le forme", "con le forme", "osservando le forme", mentre a diversa soluzione si deve pervenire quando il legislatore adotta il termine "a norma dell'art. 127", perchè tale terminologia è da considerare comprensiva anche del ricorso in cassazione (Sez. 3, n. 5454 del 27/10/2022, dep. 2023, Pandolfi, Rv. 284139), in ossequio al principio di tassatività delle impugnazioni secondo cui nessun gravame è ammesso, in quanto non espressamente previsto.

3. Ciò posto, giova evidenziare che, sebbene non espressamente impugnabili, i provvedimenti che incidono sulla libertà personale sono ricorribili per cassazione per violazione di legge ai sensi dell'art. 111, comma 7, Cost., sicchè anche le ordinanze e i decreti motivati, pur non avendo la forma della sentenza, risultano impugnabili tutte le volte in cui assumono, in concreto, natura decisoria e, dunque, quando, indipendentemente dal nomen iuris, accertano l'esistenza di un fatto-reato, dovendosi intendere per "sentenza" non solo il provvedimento giurisdizionale avente detta forma, ma anche ogni altro provvedimento che, pur diversamente nominato, abbia "carattere decisorio e capacità di incidere in via definitiva su situazioni giuridiche di diritto soggettivo producendo, con efficacia di giudicato, effetti di diritto sostanziale e processuale sul piano contenzioso della composizione di interessi contrapposti e 1.1 non sia soggetto ad alcun altro mezzo di impugnazione (Sez. U, n. 25080 del 28/05/2003, Pellegrino, Rv. 224610).

3.1 E' il caso dell'ordinanza di archiviazione per particolare tenuità del fatto, pronunciata ai sensi dell'art. 411, comma 1-bis, c.p.p., cori la quale il legislatore ha realizzato un modello che "si distacca dall'iter tipo e questa particolarità giustifica, diversamente dagli altri epiloghi, la legittimazione attribuita alla persona sottoposta alle indagini di attivare il mezzo di impugnazione" (Sez. 3, Pandolfi, in motivazione).

L'ordinanza di archiviazione ex art. 131-bis c.p., invero, pur non avendo la forma della sentenza, di questa ha i caratteri costitutivi in quanto decide, in maniera definitiva, su questioni di diritto soggettivo.

Infatti, l'istituto della non punibilità per particolare tenuità del fatto ha natura sostanziale in quanto, richiedendo l'analisi e la considerazione della condotta, delle conseguenze del reato e del grado della colpevolezza, presuppone "ponderazioni che sono parte ineliminabile del giudizio di merito" (Sez. U, n. 13681 del 25/02/2016, Tushaj, Rv. 266593, in motivazione).

Dunque, sulla base di una lettura costituzionalmente orientata della disciplina che regola la materia dell'archiviazione per particolare tenuità del fatto, il giudice di legittimità è nella condizione di esperire il giudizio che gli è proprio, afferente all'applicazione della legge e, dunque, di accertare se la fattispecie concreta si colloca nel modello legale espresso dall'istituto di cui all'art. 131-bis c.p..

3.2 Ne deriva che l'ordinanza di archiviazione per particolare tenuità del fatto è impugnabile con il ricorso in sede di legittimità per violazione di legge e per motivazione mancante o meramente apparente e, dunque, per violazione della norma che impone l'obbligo della motivazione dei provvedimenti giurisdizionali.

4. Ciò premesso, le censure formulate sono manifestamente infondate.

5. Con il primo motivo il ricorrente eccepisce l'improcedibilità dell'azione penale per difetto di querela, in quanto proposta da soggetto non legittimato.

Agli atti del fascicolo - la cui consultazione è ammissibile in ragione della natura processuale della questione sollevata - risulta la delega a sporgere querela e alla rappresentanza in giudizio, rilasciata dal Sindaco del Comune di (Omissis) in favore del Comandante del Corpo di Polizia Locale, Dott. B.B., in data 19 gennaio 2018 e, dunque, in epoca antecedente ai fatti contestati, risalenti al 04 aprile 2020.

Ciò posto, poichè i documenti necessari alla verifica sulla procedibilità dell'azione penale possono essere acquisiti in qualunque momento del giudizio, allorchè sorga questione sull'accertamento della proposizione della querela (Sez. 5, n. 11429 del 04/02/2015, Bruno, Rv. 263040), non rileva la circostanza che, nel caso di specie, l'atl:o di querela sia stato acquisito solo in occasione della celebrazione dell'udienza camerale, fissata all'esito dell'opposizione.

6. Privo di pregio è anche il secondo motivo che involge l'assenza, nel corpo della querela, di una compiuta e analitica descrizione dei fatti denunciati, specificamente individuati solo a seguito di attività investigativa svolta dal Corpo di Polizia Locale di (Omissis).

Premesso che la querela deve contenere gli elementi di fatto essenziali, oltre che la manifestazione inequivoca della volontà di punire il colpevole, in quanto la sua funzione è 1 quella di consentire all'autorità giudiziaria l'esatta individuazione del fatto oggetto della querela e, in relazione ad esso, la tempestività della stessa, nel caso di specie l'atto di querela risulta suffientemente specifico e idoneo non solo ad assolvere alla sua funzione di condizione di procedibilità dell'azione, ma anche a consentire la formulazione di un capo di imputazione chiaro e preciso.

Invero, nel corpo dell'atto, il querelante riferiva di "commenti diffamatori" rivolti all'indirizzo della Polizia Locale, pubblicati sul soda network "Facebook" a seguito della diffusione di un articolo della testata giornalistica "(Omissis)", avente a oggetto la sanzione amministrativa elevata nei confronti di una cittadina per violazione delle prescrizioni volte al contenimento del contagio da Covid-19.

7. Manifestamente infondato è anche il terzo motivo con il quale il ricorrente censura la decisione impugnata, evidenziando che la locuzione incriminata ("che carogne") si profilava, in realtà, come manifestazione di solidarietà nei confronti della cittadina sanzionata e, dunque, come mera critica all'operato professionale della Polizia Municipale e non dei singoli verbalizzanti.

In tema di diffamazione, il giudice di legittimità può conoscere e valutare l'offensività della frase che si assume lesiva della altrui reputazione perchè è suo compito considerare la sussistenza o meno della materialità della condotta contestata e, quindi, la portata offensiva delle frasi ritenute diffamatorie. (Sez. 5, n. 48698 del 19/09/2014, Dernofonti, Rv. 26128401), compito che deve svolgere anche con riferimento al profilo del dolo e della sussistenza della scriminante del diritto di critica, allorquando gli stessi elementi evidenziati nella sentenza impugnata depongono per il difetto della componente soggettiva del reato (Sez. 5, Sentenza n. 2473 del 10/10/2019, dep. 2020, Fabi, Rv. 278145).

7.1 Nel caso di specie, il fatto ascritto all'imputato non può ritenersi scriminato dall'esercizio del diritto di critica.

Invero la locuzione "che carogne", collocata nel contesto cui inerisce, assume un valore nettamente offensivo nei confronti della funzione svolta dal Corpo della Polizia Locale non sostanziandosi in una semplice descrizione della situazione dalla quale era scaturita la sanzione inflitta alla cittadina, nè in una legittima valutazione critica sull'operato dei verbalizzanti, ma spingendosi a una denigrazione gratuita, esplicitamente lesiva non solo della dignità, ma anche delle prerogative lavorative dei destinatari, difettando la correlazione tra il comportamento assunto dai verbalizzanti e il commento pubblicato.

Nella valutazione del requisito della continenza, necessario ai fini del legittimo esercizio del diritto di critica, si deve tenere conto del complessivo contesto in cui si realizza la condotta e verificare che i toni utilizzati dall'agente, pur aspri e forti, non siano gravemente infamanti e gratuiti, ma siano, invece, pertinenti al tema in discussione.

Nel caso di specie, l'espressione incriminata si profila gratuitamente offensiva e non riferibile al comportamento, peraltro legittimo e non lesivo della dignità e dei diritti della cittadina, assunto dal Corpo della Polizia Locale nei confronti della stessa.

Il commento pubblicato, gratuito e offensivo, si rivela tutt'altro che funzionale alla denuncia dell'episodio e, pertanto, non può ritenersi compreso nei limiti di una continenza espressiva, sia pur aspra e pungente.

5. Le considerazioni svolte impongono la declaratoria di inammissibilità del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.

Conclusione

Così deciso in Roma, il 31 maggio 2023.

Depositato in Cancelleria il 31 agosto 2023