Giu la media edittale deve essere calcolata non dimezzando il massimo edittale previsto per il reato, ma dividendo per due il numero di mesi o anni che separano il minimo dal massimo edittale ed aggiungendo il risultato così ottenuto al minimo
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. V PENALE - 23 agosto 2023 N. 35277
Massima
Solo l'irrogazione di una pena base pari o superiore al medio edittale richiede una specifica motivazione in ordine ai criteri soggettivi ed oggettivi elencati dall'art. 133 c.p., valutati ed apprezzati tenendo conto della funzione rieducativa, retributiva e preventiva della pena (Sez. 5, n. 35100 del 27/06/2019, Torre, Rv. 276932), mentre per una pena base contenuta entro tale limite è sufficiente un generico rinvio all'adeguatezza della pena (Sez. 4, n. 46412 del 05/11/2015, Scaramozzino, Rv. 265283) e quindi agli elementi di cui all'art. 133 c.p. (Sez. 3, n. 29968 del 22/02/2019, Del Papa Giorgio, Rv. 276288).

Peraltro, la media edittale deve essere calcolata non dimezzando il massimo edittale previsto per il reato, ma dividendo per due il numero di mesi o anni che separano il minimo dal massimo edittale ed aggiungendo il risultato così ottenuto al minimo (Sez. 3, n. 29968 del 22/02/2019, Del Papa, Rv. 276288).

Testo della sentenza
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. V PENALE - 23 agosto 2023 N. 35277

1. Il terzo motivo del ricorso di A.A. è inammissibile, poichè esso, deducendo che erroneamente la Corte di assise di appello avrebbe ritenuto chè che i fratelli R.R , capi dell'associazione di cui quella oggetto di contestazione nel presente processo costituiva la prosecuzione, fossero stati arrestati e a cagione del loro arresto egli avesse assunto il ruolo di organizzatore, appare volto a denunciare non il travisamento di una prova, ma il travisamento del fatto - come del resto esplicitamente affermato nella intestazione del motivo -, che costituisce una censura non consentita dall'art. 606 c.p.p., comma 1.

Anche a seguito della modifica apportata alla L. n. 46 del 2006, art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), resta non deducibile nel giudizio di legittimità il travisamento del fatto, stante la preclusione per la Corte di cassazione di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito (Sez. 3, n. 18521 del 11/01/2018, Ferri, Rv. 273217).

Peraltro il motivo di ricorso risulta inammissibile anche per la sua genericità, poichè non si confronta con gli argomenti posti a fondamento della decisione (vedi pagg. 55-62 della sentenza di secondo grado) dalla Corte di assise di appello, che ha affermato, anche citando un precedente di questa Corte di cassazione, che, ai fini della configurazione della condotta di organizzatore in un'associazione a delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, non è sufficiente che il soggetto si occupi e gestisca il traffico di droga, ma è necessario che esso svolga compiti di coordinamento dell'attività degli associati, in modo da assicurare, attraverso una continua assistenza, la piena funzionalità dell'organismo criminale e non è richiesto che l'assunzione del ruolo coincida temporalmente con la formazione del sodalizio, dovendo tuttavia l'organizzatore essere un soggetto molto vicino a chi l'organizzazione dirige (Sez. 6, n. 38240 del 07/12/2017, dep. 2018, Anioke, Rv. 273737).

Per la Corte di assise di appello è, quindi, irrilevante che l'organizzazione criminale eventualmente continuasse ad essere diretta, in posizione di vertice, dai fratelli R.R , mentre assume rilievo il ruolo svolto all'interno del sodalizio dal A.A., che, sulla base dell'accertamento fattuale operato dai giudici del merito, comunque svolgeva compiti di coordinamento degli altri associati provvedendo ad assicurare che la piazza di spaccio fosse continuamente rifornita, ripartendo i compiti tra i vari associati e stabilendo i vari turni di lavoro, provvedendo a reclutare i nuovi membri dell'associazione e decidendo le sanzioni, anche corporali, che dovevano essere inflitte ai membri che non rispettavano gli impegni assunti o si appropriavano di somme di denaro o della sostanza stupefacente.

2. Analoghe ragioni conducono all'inammissibilità del quarto motivo del ricorso di A.A. e del ricorso di D.D..

Anche con detti motivi i ricorrenti invocano una diversa ricostruzione fattuale sulla base di una rivalutazione del materiale probatorio non consentita in questa sede di legittimità.

In particolare, deve osservarsi che in sede di legittimità è possibile prospettare un'interpretazione del significato di un'intercettazione diversa da quella proposta dal giudice di merito solo in presenza di travisamento della prova, ossia nel caso in cui il giudice di merito ne abbia indicato il contenuto in modo difforme da quello reale e la difformità risulti decisiva ed incontestabile (Sez. 3, n. 6722 del 21/11/2017, dep. 2018, Di Maro, Rv. 272558; Sez. 6, n. 11189 del 08/03/2012, Asaro, Rv. 252190; Sez. 2, n. 38915 del 17/10/2007, Donno, Rv. 237994).

Nel caso di specie, entrambi i ricorrenti invocano piuttosto una rivalutazione del contenuto delle conversazioni intercettate e poste dai giudici del merito a fondamento della decisione, operazione non consentita in questa sede di legittimità. In particolare, il A.A. riporta nel testo del ricorso una conversazione intercettata sostenendo che da essa emergerebbe la prova che egli non ha istigato alcuno a commettere il reato di omicidio preterintenzionale.

Quanto all'attribuzione al A.A. del ruolo di organizzatore, essa, per quanto sopra esposto, appare correttamente motivata sulla base delle emergenze processuali ed in particolare delle dichiarazioni accusatorie rese dai collaboratori di giustizia N.N. e S.S , che hanno descritto il funzionamento della piazza di spaccio, i ruoli dei vari associati ed in particolare quello del A.A..

Peraltro, ai fini della affermazione della penale responsabilità del A.A. per il delitto di omicidio preterintenzionale rilevano non tanto il ruolo di organizzatore da lui assunto in seno all'associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, quanto il potere, riconosciutogli dagli altri associati, di infliggere sanzioni anche corporali nei confronti di pusher e vedette che non si attenevano alla disposizioni impartite da coloro che occupavano, in seno al sodalizio, una posizione gerarchicamente sovraordinata e la Corte di assise di appello ha fatto riferimento alle convergenti dichiarazioni di coloro che avevano subito il potere sanzionatorio del A.A., ossia la S.S e dell'N.N., che avevano subito pene corporali in conseguenza delle quali avevano riportato anche lesioni personali.

Anche le altre censure sollevate dal A.A., in particolare nella parte in cui afferma l'inattendibilità delle dichiarazioni accusatorie rese dal genero della vittima, attengono al merito e non sono consentite in questa sede.

Contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente D.D., la Corte di assise di appello ha ben esplicitato nella sentenza qui impugnata (vedi pagg. 122-123 della sentenza di secondo grado) l'iter logico, privo di illogicità o contraddizioni, che l'ha condotta a ritenere, confermando sul punto la sentenza di primo grado, che quando il A.A. ha invitato D.D., che gli aveva appena evidenziato che il M.M. si era appropriato della sostanza stupefacente destinata allo spaccio per farne uso personale, a "fare una bella cosa" voleva intendere che bisognava dare al M.M. una "bella lezione" pestandolo con le medesime modalità con le quali era già stato pestato l'N.N., che era stato colpito più volte con una mazza da baseball, e che D.D. abbia dato esecuzione all'ordine ricevuto procedendo al pestaggio che ha dato origine alle lesioni che hanno condotto il M.M. al decesso.

Quanto alla rilevanza dei colloqui telefonici successivi al pestaggio, che vengono richiamati nella sentenza qui impugnata facendo riferimento alla sentenza di primo grado ed all'ordinanza applicativa della misura cautelare (vedi pag. 123 della sentenza di appello), deve osservarsi che il richiamo deve intendersi operato in relazione al loro contenuto, atteso che la Corte di assise di appello motiva in ordine alla loro rilevanza, evidenziando che la decisione del A.A. di coprire D.D. e di aiutarlo a sottrarsi alla cattura vale ulteriormente a riscontrare la loro partecipazione all'omicidio. Peraltro, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, il giudice di primo grado ha ben spiegato (vedi pagg. 76 e 85-86) perchè dalle predette conversazioni si ricava il ruolo di mandante del A.A. e di esecutore del D.D. Celio in relazione al delitto di omicidio preterintenzionale.

Il ricorso di D.D. è inammissibile anche laddove lamenta l'inutilizzabilità delle dichiarazioni rese da U.U..

In tema di ricorso per cassazione, è onere della parte che eccepisce l'inutilizzabilità di atti processuali indicare, pena l'inammissibilità del ricorso per genericità del motivo, gli atti specificamente affetti dal vizio e chiarirne altresì la incidenza sul complessivo compendio indiziario già valutato, sì da potersene inferire la decisività in riferimento al provvedimento impugnato (Sez. U, n. 23868 del 23/04/2009, Fruci, Rv. 243416).

Nell'ipotesi in cui con il ricorso per cassazione si lamenti l'inutilizzabilità di un elemento a carico, il motivo di impugnazione deve illustrare, a pena di inammissibilità per aspecificità, l'incidenza dell'eventuale eliminazione del predetto elemento ai fini della cosiddetta "prova di resistenza", in quanto gli elementi di prova acquisiti illegittimamente diventano irrilevanti ed ininfluenti se, nonostante la loro espunzione, le residue risultanze risultino sufficienti a giustificare l'identico convincimento (Sez. 3, n. 3207 del 02/10/2014 - dep. 2015, Calabrese, Rv. 262011).

Nel caso in esame, il ricorrente non specifica quale sia la rilevanza ai fini del giudizio delle dichiarazioni rese da U.U. delle quali lamenta la in utilizzabilità.

Nel resto, le censure sollevate dal ricorrente D.D. attengono al merito, in quanto dirette a sovrapporre all'interpretazione delle risultanze probatorie operata dal giudice una diversa valutazione dello stesso materiale probatorio per arrivare ad una decisione diversa, e come tali si pongono all'esterno dei limiti del sindacato di legittimità. La decisione del giudice di merito non può essere invalidata da ricostruzioni alternative che si risolvano in una "mirata rilettura" degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, ovvero nell'autonoma assunzione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, da preferirsi a quelli adottati dal giudice del merito, perchè illustrati come maggiormente plausibili o perchè assertivamente dotati di una migliore capacità esplicativa nel contesto in cui la condotta delittuosa si è in concreto realizzata (Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Musso, Rv. 265482; Sez. 6, n. 22256 del 26/04/2006, Bosco, Rv. 234148; Sez. 1, n. 42369 del 16/11/2006, De Vita, Rv. 235507).

Questa Corte di cassazione ha affermato, in tema di motivi di ricorso per cassazione, che non sono deducibili censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicità, dalla sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali ad imporre diversa conclusione del processo, sicchè sono inammissibili tutte le doglianze che attaccano la persuasività, l'inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell'attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento (Sez. 2, n. 9106 del 12/02/2021, Caradonna, Rv. 280747).

Le doglianze dei ricorrenti, invero, si risolvono nel dissenso sulla ricostruzione dei fatti e sulla valutazione delle emergenze processuali svolta dai giudici di merito, operazione vietata in sede di legittimità, attingendo la sentenza impugnata e tacciandola per presunte violazioni di legge e per vizi motivazionali con cui, in realtà, si propongono doglianze non suscettibile di sindacato da parte di questa Corte. Deve, sul punto, ribadirsi infatti che il controllo di legittimità operato dalla Corte di cassazione non deve stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la migliore possibile ricostruzione dei fatti, nè deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se tale giustificazione sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento (v., tra le tante: Sez. 5, n. 1004 del 30/11/1999 - dep. 2000, Moro, Rv. 215745).

3. Anche il primo motivo del ricorso di B.B. è manifestamente infondato, atteso che la Corte di assise di appello ha fornito adeguata risposta (vedi pag. 113-114 della sentenza di secondo grado) al motivo di gravame con il quale si contestava la contraddizione tra le dichiarazioni di S.S e quelle di N.N..

In particolare, i giudici di appello hanno segnalato che il contrasto è solo apparente poichè entrambi i collaboratori di giustizia collocano B.B. all'interno del sodalizio criminale dedito all'attività di spaccio. Più precisamente, la Corte di assise di appello segnala che N.N., pur avendo espresso alcune incertezze sul ruolo del ricorrente nel novembre del 2019, ha comunque precisato che B.B. e A.A. nel mese di febbraio dello stesso anno si erano scambiati i ruoli, nel senso che A.A. aveva iniziato ad occuparsi del controllo dell'attività dei pusher e dei "pali" mentre B.B. era passato all'attività di confezionamento della sostanza; l'N.N. si era limitato ad affermare di non essere certo che dal mese di settembre 2019 il B.B. avesse continuato a partecipare all'attività di spaccio. Deve allora ricordarsi che il reato di cui al capo 2) è stato contestato come commesso dal giugno al novembre 2019 e quindi, quantomeno fino al settembre 2019, le dichiarazioni dei due collaboranti sono convergenti.

Peraltro, le dichiarazioni di S.S sono state ritenute riscontrate anche dal rinvenimento dell'autovettura sottratta alla collaboratrice di giustizia e dagli accertamenti effettuati dalla polizia giudiziaria nel luogo ove veniva attuata l'attività di spaccio.

Il ricorrente si è, invece, limitato a ribadire la sussistenza del contrasto tra le dichiarazioni dei due collaboranti, reiterando il contenuto del motivo di appello senza confrontarsi con le ragioni poste dai giudici di appello a fondamento della decisione, non muovendo alla sentenza qui impugnata una critica argomentata, cosicchè il motivo di ricorso risulta inammissibile per genericità.

E' inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che ripropongono le stesse ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame, dovendosi gli stessi considerare non specifici. La mancanza di specificità del motivo, invero, dev'essere apprezzata non solo per la sua genericità, come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell'impugnazione, questa non potendo ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità conducente, a mente dell'art. 591 comma 1 lett. c), all'inammissibilità (Sez. 4, n. 256 del 18/09/1997 - dep. 1998, Ahmetovic, Rv. 210157; Sez. 2, n. 11951 del 29/01/2014, Lavorato, Rv. 259425).

4. E', invece, fondato il secondo motivo di ricorso di B.B..

Il Giudice dell'udienza preliminare ha espressamente posto a fondamento dell'affermazione di penale responsabilità del ricorrente per i reati a lui ascritti al capo 12) le sole dichiarazioni di S.S , ritenute attendibili.

Il ricorrente con l'atto di appello ha dedotto una serie di elementi a sostegno dell'inattendibilità delle dichiarazioni della collaboratrice di giustizia in relazione alle dichiarazioni accusatorie concernenti il capo 12) a lui ascritto.

La Corte di assise di appello si è limitata ad affermare che le dichiarazioni della collaboratrice di giustizia concernenti i fatti contestati al B.B. ai capi 1) e 12) sono attendibili sia perchè specifiche e circostanziate, perchè riscontrate dagli accertamenti effettuati dalla polizia giudiziaria sul luogo di spaccio, dal rinvenimento dell'autovettura sottratta alla collaboratrice, dal clima di violenza ed intimidazione che caratterizzava l'associazione e dalle dichiarazioni rese da N.N. in relazione alla partecipazione dell'imputato al sodalizio criminoso.

Non viene, tuttavia, data risposta agli specifici rilievi formulati dal B.B., nel suo atto di appello in ordine alla attendibilità della collaboratrice di giustizia.

Peraltro, le dichiarazioni della S.S , in quanto tale, essendosi proceduto nei suoi confronti per la sua partecipazione all'attività di spaccio dell'associazione criminale, devono essere valutate ai sensi dell'art. 192, commi 3 e 4, c.p.p. e la Corte di assise di appello non chiarisce quali dei riscontri da essa indicati si riferiscono specificamente ai reati di cui al capo 12), anzichè al capo 2), e quali tra questi avrebbero valore di riscontri individualizzanti.

Ai fini dell'affermazione di responsabilità dell'imputato, il riscontro alla chiamata in correità può dirsi individualizzante quando non consiste semplicemente nell'oggettiva conferma del fatto riferito dal chiamante, ma offre elementi che collegano il fatto stesso alla persona del chiamato, fornendo un preciso contributo dimostrativo dell'attribuzione a quest'ultimo del reato contestato (Sez. 6, n. 45733 del 11/07/2018, P., Rv. 274151).

Non avendo la Corte di assise di appello dato risposta ai suddetti rilievi, la carenza di motivazione denunciata dal ricorrente appare sussistente e la sentenza impugnata deve, quindi, essere annullata nei confronti di B.B. quanto all'affermazione della sua responsabilità per i reati di cui al capo 12) con rinvio per nuovo esame ad altra Sezione della Corte di assise di appello di Roma.

Poichè, peraltro, il reato di sequestro di persona è divenuto procedibile a querela, il giudice del rinvio valuterà anche se i fatti contestati al capo 12 sono procedibili.

5. Il ricorso di C.C. è inammissibile.

5.1. Il primo motivo di impugnazione è inammissibile per la sua estrema genericità, in quanto la ricorrente si limita a sostenere che il contenuto delle conversazioni intercettate è equivoco e che da queste non è possibile stabilire con certezza se effettivamente fosse stata prelevata sostanza stupefacente custodita presso l'abitazione della C.C. e del T.T..

Deve allora ribadirsi che, come già sopra esposto in relazione ai ricorsi di A.A. e D.D., in sede di legittimità è possibile prospettare un'interpretazione del significato di un'intercettazione diversa da quella proposta dal giudice di merito solo in presenza di travisamento della prova, ossia nel caso in cui il giudice di merito ne abbia indicato il contenuto in modo difforme da quello reale e la difformità risulti decisiva ed incontestabile (Sez. 3, n. 6722 del 21/11/2017, dep. 2018, Di Maro, Rv. 272558; Sez. 6, n. 11189 del 08/03/2012, Asaro, Rv. 252190; Sez. 2, n. 38915 del 17/10/2007, Donno, Rv. 237994), ipotesi che non ricorre nel caso di specie.

In sostanza, la ricorrente invoca una rivalutazione del materiale istruttorio onde pervenire ad una diversa ricostruzione fattuale.

5.2. Il secondo motivo di ricorso appare manifestamente infondato, atteso che, sulla base della ricostruzione fattuale operata dai giudici del merito, nonostante la brevità del lasso temporale in cui sono state captate le conversazioni tra l'imputata ad il A.A. ed il G.G., emerge che la C.C. e il T.T. svolgevano in modo stabile il ruolo di custodi della sostanza stupefacente nell'interesse dell'associazione, onde limitare il rischio che la stessa venisse sequestrata in occasione di controlli da parte delle forze dell'ordine presso la piazza di spaccio, e del tutto correttamente e logicamente la Corte di assise di appello ha desunto l'affectio societatis dalla conversazione intercettata tra l'odierna ricorrente e il G.G., in cui la prima invita il secondo a sostenere l'onere economico occorrente alla difesa del T.T., suo compagno da poco arrestato.

Contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, non ha alcun rilievo che la somma di Euro 1000,00 richiesta a tal fine dalla Paris sia stata poi effettivamente versata, poichè già la richiesta di siffatta corresponsione esprime di per se stessa la appartenenza della ricorrente al sodalizio criminale; laddove l'imputata non avesse fatto parte dell'associazione, non avrebbe avuto titolo per avanzare siffatta richiesta, dovendo altrimenti i rischi della attività illecita della coppia T.T. e C.C. gravare esclusivamente sugli stessi.

Nel resto, la ricorrente, con i motivi di ricorso, invoca una rivalutazione del fatto e del materiale istruttorio non consentita in sede di legittimità.

6. Anche il primo motivo del ricorso di E.E., nella parte in cui lo stesso si duole della carenza di motivazione in ordine ai motivi di appello con i quali si contestava l'affermazione di penale responsabilità per il reato di cessione di sostanza stupefacente di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, contestato al capo 8) commesso in data (Omissis), è manifestamente infondato.

Ai fini della consumazione del reato di cessione di sostanze stupefacenti, è sufficiente l'accordo delle parti sull'oggetto e sulle condizioni di vendita, non essendo necessaria la materiale consegna all'acquirente della sostanza (Sez. 4, n. 14276 del 02/12/2022, dep. 2023, A., Rv. 284604; Sez. 4, n. 3950 del 11/10/2011, dep. 2012, Conti, Rv. 251736).

La Corte di assise di appello ha evidenziato che dalla conversazione del (Omissis) emerge un accordo tra il E.E. ed il G.G. in base al quale il primo si impegna a consegnare sostanza stupefacente al secondo.

Tanto basta per ritenere integrato il reato di cessione di sostanza stupefacente.

Peraltro, la Corte di assise di appello si è comunque spinta a dare adeguata risposta al motivo di appello dell'odierno ricorrente, osservando che dalla successiva conversazione tra i due intercettata in data (Omissis) risulta finanche l'avvenuto pagamento della sostanza stupefacente, circostanza che lascia logicamente supporre l'avvenuta cessione.

7. Anche il ricorso di F.F. è inammissibile laddove egli lamenta la mancanza o manifesta illogicità della motivazione della sentenza di secondo grado in relazione all'affermazione della sua penale responsabilità per il reato associativo.

La Corte di assise di appello ha fornito adeguata motivazione affermando che il suo stabile ruolo di depositario della sostanza stupefacente nell'interesse dell'associazione criminale risulta dai seguenti elementi. Risulta, innanzitutto, accertato che egli deteneva la sostanza stupefacente presso la sua abitazione, ove sono stati rinvenuti e sequestrati g. 90 di cocaina; per la detenzione di detta sostanza egli è stato separatamente giudicato. Risulta, inoltre, che egli immediatamente prima del suo arresto aveva ceduto altro consistente quantitativo di sostanza stupefacente a V.V., soggetto che a sua volta era stato incaricato del prelievo della sostanza da G.G., interessato a rifornire la piazza di spaccio gestita dall'associazione criminale; tale circostanza viene desunta dalla circostanza (riportata alla pag. 45 della sentenza di primo grado) che le modalità di confezionamento della sostanza sequestrata a V.V. erano le stesse utilizzate per il confezionamento della sostanza sequestrata al F.F.. Nel trattare della posizione di V.V. i giudici di appello evidenziano che sull'autovettura in uso allo stesso era stato collocato un localizzatore satellitare che ha consentito di ricostruire i tragitti percorsi presso le varie località ove veniva custodita la sostanza stupefacente di pertinenza del sodalizio criminale. Trattando le posizioni di G.G. e V.V. (vedi pag. 81 della sentenza qui impugnata), la Corte di assise di appello riporta le conversazioni intercettate tra i due dalle quali emerge che, come anche riferito da N.N., V.V. era un associato al quale era affidato il ruolo di "pallettaro" con il compito di prelevare, con la propria vettura, la sostanza stupefacente da coloro che sempre nell'interesse del sodalizio criminale la detenevano (vedi pag. 87 della sentenza di appello).

Che il F.F. detenesse lo stupefacente nell'interesse del G.G. e del sodalizio criminale viene ricavato dai giudici del merito dalle conversazioni intercettate all'interno del carcere tra il F.F. ed i suoi congiunti in cui il primo riferiva ai secondi di essere convinto che V.V. e la sua compagna avevano collaborato con le forze dell'ordine permettendo il suo arresto ed il sequestro della sostanza ("sono degli infami") e che tale circostanza doveva essere portata a conoscenza dei vertici del sodalizio affinchè fossero adottate le necessarie contromisure. Da detta conversazione viene desunta dalla Corte di assise di appello la affectio societatis in capo al F.F..

Trattasi di motivazione adeguata e completa, priva di contraddizioni o manifeste illogicità.

Nè le conclusioni alle quali sono pervenuti i giudici del merito possono essere smentite dalla circostanza che il collaboratore di giustizia N.N. abbia affermato di non sapere riferire cosa avvenisse nella "baracca" ossia nei luoghi ove veniva custodita la sostanza stupefacente o venivano confezionate le dosi, trattandosi di circostanza neutra ed essendo verosimile che i pusher, incaricati dello spaccio al minuto, non sapessero riferire delle fasi anteriori relative alla custodia della sostanza ed alla preparazione delle dosi, attività che venivano svolte in località diverse dalla piazza di spaccio al fine di ridurre i rischi connessi ad un possibile intervento delle forze dell'ordine presso la piazza di spaccio.

Quanto alla inidoneità della sostanza sequestrata al F.F., soli g. 90 di cocaina, a rifornire una piazza di spaccio, il ricorrente non si confronta con la complessiva motivazione emergente dalle due sentenze di merito, in cui si attesta che i luoghi in cui la sostanza veniva custodita erano plurimi, onde ridurre il rischio che le forze dell'ordine potessero sequestrare tutta la sostanza posseduta dal sodalizio criminale.

Relativamente all'interpretazione delle conversazioni intercettate, deve ribadirsi quanto sopra esposto in relazione ad altri coimputati in ordine all'impossibilità per questa Corte di apprezzarne il contenuto.

8. Il primo ed il secondo motivo del ricorso di G.G., entrambi attinenti all'affermazione della sua penale responsabilità, possono essere trattati congiuntamente e sono inammissibili.

8.1 II primo motivo è inammissibile per genericità, atteso che il ricorrente non si confronta con le ragioni della decisione tornando a ribadire le censure già sollevate con l'atto di appello.

Si è già detto che è inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che ripropongono le stesse ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame, dovendosi gli stessi considerare non specifici. La mancanza di specificità del motivo, invero, dev'essere apprezzata non solo per la sua genericità, come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell'impugnazione, questa non potendo ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità conducente, a mente dell'art. 591 comma 1 lett. c), all'inammissibilità (Sez. 4, n. 256 del 18/09/1997 - dep. 1998, Ahmetovic, Rv. 210157; Sez. 2, n. 11951 del 29/01/2014, Lavorato, Rv. 259425).

Nel caso di specie il ricorrente torna a ribadire che le dichiarazioni di N.N. non sono attendibili e non sono riscontrate da quelle di S.S , mentre la Corte di assise di appello ha affermato che la penale responsabilità di G.G. emerge anche dalle dichiarazioni del collaboratore di giustizia che, tuttavia, non appaiono indispensabili, in quanto le conversazioni oggetto di intercettazione sono da sole sufficienti a sostenere la condanna, cosicchè questa permarrebbe anche laddove si escludesse il contributo istruttorio fornito dal collaborante. La Corte di assise di appello ha, infatti, affermato che i colloqui intercettati, oltre a riscontrare le dichiarazioni dell'N.N., "costituiscono, nel contempo, già di per sè, fonte di prova autonoma della sua responsabilità in ordine al reato associativo e a quelli connessi ascrittigli".

Peraltro, la Corte di assise di appello indica nel corpo della motivazione il testo delle singole conversazioni intercettate (da pag. 79 a pag. 85 della sentenza di appello) dalle quali emergerebbe con certezza, secondo l'interpretazione offerta dai giudici di appello, il ruolo di organizzatore svolto da G.G., che si evincerebbe dall'attività di coordinamento da lui svolta in attesa dell'arrivo del rifornimento della sostanza stupefacente nella piazza di spaccio, dalla sua attività di organizzazione dei turni dei vari pusher operanti in seno al sodalizio, dall'avere egli assoldato un ex pugile per punire gli associati resisi colpevoli di varie mancanze, dall'attività organizzativa da lui svolta per approvvigionare di sostanza stupefacente la piazza di spaccio.

Sulla base della ricostruzione fattuale operata dalla Corte di assise di appello, G.G. occupa una posizione di stretta collaborazione con A.A. nell'attività di gestione della piazza di spaccio.

Del tutto correttamente, quindi, la Corte di assise di appello ha ritenuto applicabile l'art. 416 c.p., comma 1, dovendo ribadirsi il principio, già sopra richiamato in relazione alla posizione di A.A., che ai fini della configurazione della condotta di organizzatore in un'associazione a delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, non è sufficiente che il soggetto si occupi e gestisca il traffico di droga, ma è necessario che esso svolga compiti di coordinamento dell'attività degli associati, in modo da assicurare, attraverso una continua assistenza, la piena funzionalità dell'organismo criminale e non è richiesto che l'assunzione del ruolo coincida temporalmente con la formazione del sodalizio, dovendo tuttavia l'organizzatore essere un soggetto molto vicino a chi l'organizzazione dirige (Sez. 6, n. 38240 del 07/12/2017, dep. 2018, Anioke, Rv. 273737).

A fronte della articolata e specifica motivazione fornita dalla Corte di assise di appello, i rilievi formulati nel secondo motivo del ricorso per cassazione appaiono estremamente generici e comunque manifestamente infondati.

9. Il primo motivo del ricorso di H.H. è inammissibile perchè generico e comunque manifestamente infondato.

Il Giudice dell'udienza preliminare e la Corte di assise di appello hanno posto a base dell'affermazione di penale responsabilità il contenuto di diverse conversazioni telefoniche intercettate dalle quali, secondo la convergente interpretazione dei due giudici di merito, risulta che la coppia U.U. e W.W. custodivano sostanza stupefacente nell'interesse dell'odierno ricorrente; i due provvedevano a consegnare di volta in volta la sostanza a soggetti che venivano loro indicati dall'odierno imputato o allo stesso Y.Y., indicato nelle conversazioni intercettate con il soprannome (Omissis); le quantità prelevate venivano annotate in un foglio rinvenuto, e quindi sequestrato, nell'abitazione del U.U. e della M.M.. In particolare, secondo la ricostruzione operata dai giudici del merito, il Santoro e la M.M., su disposizione del H.H. e seguendo le indicazioni dallo stesso ricevute, hanno prelevato in zona (Omissis) kg. 2,18 di cocaina, quantitativo dal quale erano ricavabili oltre 11.000 dosi. La Corte di assise di appello segnala che è il H.H. che indica telefonicamente alla M.M. il luogo in cui la sostanza deve essere prelevata e che la donna, dopo il prelievo, comunica al H.H. di avere la sostanza nella automobile da lei condotta, dove viene rinvenuta poco dopo a seguito del controllo delle forze dell'ordine e quindi sequestrata.

Anche in relazione alla posizione del ricorrente H.H., quindi, a fronte della dettagliata e specifica motivazione fornita dalla Corte di assise di appello, priva di contraddizioni o manifeste illogicità, il motivo di ricorso appare estremamente generico e comunque del tutto infondato.

Laddove, poi, si sostiene che le conversazioni intercettate sarebbero state mal interpretate, il ricorrente invoca una rivalutazione del materiale istruttorio non consentita in questa sede di legittimità.

10. E', invece, fondato il secondo motivo del ricorso di H.H., relativo al trattamento sanzionatorio.

La Corte di assise di appello ha accolto il gravame proposto dal Pubblico ministero avverso la sentenza di primo grado, riqualificando ai sensi del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 1, uno dei reati contestati all'odierno ricorrente al capo 14) dell'imputazione e precisamente quello avente ad oggetto kg. 2,18 di cocaina commesso in data (Omissis), e ha quindi provveduto a ricalcolare in aumento la pena.

Quanto alla pena per il più grave reato come sopra riqualificato, la Corte territoriale la indica in anni cinque e mesi sei di reclusione ed Euro 33.000,00 di multa, tenendo conto della riduzione per le circostanze attenuanti generiche; quindi la pena così determinata viene ridotta di un terzo per la scelta del rito abbreviato.

In sostanza, la Corte territoriale non ha indicato l'entità della pena base sulla quale si è proceduto ad applicare la diminuzione di pena per le attenuanti generiche e neppure sono stati calcolati gli aumenti di pena per i reati satellite, atteso che con il capo 14 sono stati contestati al Merafino più delitti in materia di sostanza stupefacenti unificati dal vincolo della continuazione.

In tal modo, la motivazione della sentenza qui impugnata non consente di ricostruire e controllare il percorso logico giuridico seguito nella determinazione della pena, come invece prescritto dall'art. 546 c.p.p., comma 1, lett. e), n. 2), che a sua volta richiama le modalità di cui all'art. 533 c.p.p., comma 2, cosicchè il motivo con il quale si deduce una carenza di motivazione quanto al trattamento sanzionatorio risulta fondato (vedi Sez. U., n. 47127 del 24/06/2021, Pizzone, Rv. 282269, che afferma che "sia nello stabilire la pena che sarebbe da infliggere secondo le norme che precedono l'art. 81 c.p. che nel determinarla in forza di quest'ultima disposizione, il giudice esercita un potere discrezionale che deve essere giustificato nei suoi fondamenti razionali per la correlazione che deve esistere tra la pena e quella funzione rieducativa che alla stessa è assegnata dall'art. 27 Cost. Finalità rieducativa che può essere perseguita solo a condizione che la pena abbia una sua intrinseca razionalità e proporzionalità; carattere questo che consente di assicurarle anche il carattere non discriminatorio e quindi la coerenza al principio di uguaglianza").

Ne deriva che la sentenza impugnata deve essere annullata nei confronti di H.H., limitatamente al trattamento sanzionatorio con rinvio per nuovo esame sul punto ad altra Sezione della Corte di assise di appello di Roma.

11. Anche il primo motivo del ricorso di A.A. è fondato.

La Corte di assise di appello, alla quale era stata chiesta dall'odierno ricorrente l'esclusione della recidiva sia per la inidoneità - o meglio l'insussistenza - dei precedenti penali dell'imputato, che aveva beneficiato del perdono giudiziale, sia perchè la sua applicazione non era giustificata dal disvalore e dalla offensività dei nuovi reati per i quali era stata pronunciata condanna, ha confermato l'applicazione della recidiva affermando che a tal fine rilevano i precedenti penali anche specifici evincibili dal certificato del casellario giudiziale in atti, per i quali non era possibile la concessione del perdono giudiziale.

In contrario deve osservarsi che la concessione del perdono giudiziale, pur presupponendo un accertamento della colpevolezza dell'imputato, si sostanzia nella rinuncia da parte dello Stato alla condanna che avrebbe meritato per il reato commesso e ne determina il proscioglimento, cosicchè non può valere come sentenza di condanna agli effetti della recidiva (Sez. 5, n. 2655 del 16/10/2015, dep. 2016, Halilovic, Rv. 265709; Sez. 6, n. 41231 del 28/09/2012, Augliera, Rv. 253495).

Analoghe considerazioni valgono per la condanna per un reato del quale è stata dichiarata l'estinzione per l'esito positivo dell'affidamento in prova al servizio sociale.

12. E', invece, infondato il secondo motivo del ricorso di A.A..

Nel dispositivo della sentenza di primo grado non viene fatta menzione dell'attenuante di cui all'art. 114 c.p.p.; solo nella motivazione della sentenza di primo grado si afferma che all'imputato può essere applicata la predetta attenuante in relazione al delitto di omicidio preterintenzionale.

Deve, allora, osservarsi che, in caso di contrasto tra dispositivo e motivazione della sentenza, la regola della prevalenza del dispositivo può essere derogata a condizione che questo sia viziato da un errore materiale obiettivamente rilevabile e che da esso, quale espressione della volontà decisoria del giudice, non derivi un risultato più favorevole per l'imputato (Sez. 3, n. 2351 del 18/11/2022, dep. 2023, Almanza, Rv. 284057), mentre quest'ultima ipotesi non ricorre nel caso di specie.

Del tutto correttamente, quindi, la Corte di assise di appello ha attribuito prevalenza al dispositivo, escludendo che il Giudice dell'udienza preliminare avesse applicato, in relazione al delitto di omicidio preterintenzionale, l'attenuante di cui all'art. 114 c.p..

Il motivo di ricorso è manifestamente infondato laddove il ricorrente si duole dell'omessa motivazione in ordine alla sua richiesta di riduzione della pena al minimo applicando anche l'attenuante di cui all'art. 114 c.p., atteso che la pena per il più grave delitto di cui al capo 11) risulta fissata in anni dieci di reclusione, ossia in misura corrispondente al minimo edittale, e la Corte di assise di appello ha illustrato le ragioni per le quali non può applicarsi l'attenuante di cui all'art. 114 c.p., avendo A.A. istigato D.D. a commettere il delitto (vedi pag. 122 e ss. della sentenza di secondo grado) 13. Il primo motivo del ricorso di E.E., nella parte in cui il ricorrente si duole dell'omessa motivazione del trattamento sanzionatorio, è manifestamente infondato.

Solo l'irrogazione di una pena base pari o superiore al medio edittale richiede una specifica motivazione in ordine ai criteri soggettivi ed oggettivi elencati dall'art. 133 c.p., valutati ed apprezzati tenendo conto della funzione rieducativa, retributiva e preventiva della pena (Sez. 5, n. 35100 del 27/06/2019, Torre, Rv. 276932), mentre per una pena base contenuta entro tale limite è sufficiente un generico rinvio all'adeguatezza della pena (Sez. 4, n. 46412 del 05/11/2015, Scaramozzino, Rv. 265283) e quindi agli elementi di cui all'art. 133 c.p. (Sez. 3, n. 29968 del 22/02/2019, Del Papa Giorgio, Rv. 276288).

Peraltro, la media edittale deve essere calcolata non dimezzando il massimo edittale previsto per il reato, ma dividendo per due il numero di mesi o anni che separano il minimo dal massimo edittale ed aggiungendo il risultato così ottenuto al minimo (Sez. 3, n. 29968 del 22/02/2019, Del Papa, Rv. 276288).

Nel caso di specie, per il reato per il quale il ricorrente è stato condannato il D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, prevede una pena compresa tra i sei mesi ed i quattro anni di reclusione oltre alla multa da Euro 1.032 ad Euro 10.329,00, mentre la Corte di assise di appello ha fissato la pena base in anni due di reclusione ed Euro 4.500,00 di multa, che risulta inferiore alla media edittale; quindi ha ridotto la pena ad anno uno e mesi di reclusione ed Euro 3000,00 di multa per le attenuanti generiche e poi ha ridotto di un terzo la pena per la scelta del rito.

In applicazione del principio sopra esposto, la Corte di assise di appello, affermando la congruità della pena così determinata, ha adeguatamente motivato il trattamento sanzionatorio.

14. Il secondo motivo del ricorso di E.E. è infondato.

In tema di applicazione della diminuzione per le attenuanti generiche, non sussiste l'obbligo del giudice di merito, nel caso di reato punito con pena detentiva congiunta a pena pecuniaria, di seguire il medesimo criterio nella determinazione della pena base detentiva e di quella pecuniaria (Sez. 4, n. 20228 del 15/03/2012, Lucky, Rv. 252682).

Nel caso di reati puniti con pene congiunte, la riduzione derivante dalla presenza di circostanze attenuanti deve essere operata su entrambe le pene da irrogare, ma il giudice non è obbligato a seguire il medesimo criterio nella determinazione della sanzione detentiva e di quella pecuniaria (Sez. 3, n. 37849 del 19/05/2015 D G., Rv. 265184).

Ne consegue che la Corte di assise di appello, operando la diminuzione per le attenuanti generiche anche sulla pena detentiva, non era tenuta a rispettare la medesima proporzione della riduzione applicata dal giudice di primo grado alla pena pecuniaria e, conseguentemente, la scelta della Corte territoriale di applicare alla pena detentiva una diminuzione proporzionalmente inferiore a quella già operata in primo grado alla pena pecuniaria neppure costituisce violazione del divieto di reformatio in peius.

15. Il ricorso di F.F. è fondato laddove egli si duole del trattamento sanzionatorio.

Quanto al bilanciamento delle circostanze attenuanti generiche con le aggravanti contestate in relazione al delitto associativo, nella sentenza di appello si dà espressamente atto (vedi pag. 12 della sentenza di secondo grado) che l'imputato si è lamentato della equivalenza delle attenuanti generiche alle aggravanti, ritenuta dal giudice di primo grado sebbene nella motivazione venisse esclusa la possibilità di applicare le aggravanti contestate in relazione al reato associativo.

La Corte di assise di appello, nel trattare la posizione di altri imputati (vedi pag. 127 della sentenza di appello in relazione alla posizione di J.J.) ha escluso la applicabilità delle aggravanti di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, commi 3 e 4 al reato associativo di cui al comma 6 della medesima disposizione e, tuttavia, ha confermato, in relazione alla posizione del ricorrente, la sentenza di primo grado e quindi il giudizio di equivalenza tra dette aggravanti e le circostanze attenuanti generiche già formulato dal Giudice dell'udienza preliminare.

La sentenza di appello neppure motiva in ordine alla doglianza formulata con l'atto di appello.

In ogni caso, la Corte di assise di appello, avendo escluso la possibilità di applicare dette aggravanti, avrebbe dovuto estendere all'odierno ricorrente gli effetti dell'accoglimento dei motivi di appello con i quali i coimputati invocavano l'esclusione delle predette aggravanti ed applicare al F.F. la riduzione di pena per le circostanze attenuanti.

La sentenza di secondo grado neppure motiva in ordine al mancato accoglimento della richiesta, pure formulata con l'atto di appello, di applicare il beneficio della sospensione condizionale della pena.

Ne consegue che la sentenza impugnata deve essere annullata nei confronti del ricorrente F.F., limitatamente al trattamento sanzionatorio, con rinvio per nuovo esame sul punto ad altra sezione della Corte di appello di Roma.

16. Il terzo ed il quarto motivo del ricorso di G.G. sono fondati nei termini di seguito esposti.

16.1. Con l'atto di appello il ricorrente ha segnalato un contrasto tra il dispositivo della sentenza di primo grado, in cui si afferma che le circostanze attenuanti generiche sono state ritenute equivalenti alle aggravanti ed alla recidiva, e la motivazione della stessa sentenza in cui si affermava che non potevano essere applicate le aggravanti del reato associativo e neppure doveva essere applicato l'aumento per la recidiva.

La Corte di assise di appello ha escluso, come per l'imputato J.J., le aggravanti contestate in relazione al reato associativo, ma ha confermato la applicazione della recidiva.

A fronte della illogicità della motivazione, contrastante con il dispositivo, la Corte di assise di appello ben avrebbe potuto confermare la applicazione della recidiva, dovendo la stessa ritenersi applicata dal Giudice dell'udienza preliminare, in virtù del già sopra citato principio di prevalenza del dispositivo sulla motivazione, laddove questa non sia contestuale (vedi Sez. 2, n. 46856 del 03/11/2021, Ogundein, Rv. 282440), e tuttavia avrebbe dovuto porre rimedio alla denunciata illogicità, fornendo adeguata motivazione in ordine all'esercizio del potere discrezionale di applicazione della recidiva.

Nel caso di specie siffatta motivazione è stata omessa, cosicchè il motivo di ricorso, nella parte in cui detta carenza viene denunciata, è fondato.

16.2. Fondato risulta anche il quarto motivo di ricorso, atteso che la Corte di assise di appello non ha in alcun modo motivato, neppure attraverso un generico riferimento ai criteri di cui all'art. 133 c.p., gli aumenti di pena applicati ex art. 81 c.p. per i reati satellite, in violazione dei principi affermati dalle Sezioni Unite con la sentenza Pizzone già sopra citata (Sez. U., n. 47127 del 24/06/2021, Pizzone, Rv. 282269).

17. Concludendo, la sentenza impugnata deve essere annullata nei confronti di B.B. in relazione all'affermazione della sua penale responsabilità per il reato di cui al capo 12) e, limitatamente al trattamento sanzionatorio, nei confronti di H.H., A.A., F.F. e G.G..

Nel resto, devono essere dichiarati inammissibili i ricorsi di B.B., G.G., F.F. e Y.Y. e deve essere rigettato il ricorso di A.A..

Devono essere dichiarati inammissibili i ricorsi di D.D. e C.C., mentre deve essere rigettato il ricorso di E.E..

Ai sensi dell'art. 616 c.p.p., comma 1, D.D., C.C. e E.E. devono essere condannati al pagamento delle spese processuali e D.D. e C.C. devono essere condannati anche al pagamento in favore della Cassa delle ammende di una somma che si reputa equo fissare in Euro 3.000,00 per ciascun ricorrente.

18. Ai sensi dell'art. 541 c.p.p., A.A. e D.D., rimasti soccombenti, devono anche essere condannati, in solido tra loro, alla rifusione delle spese processuali in favore delle parti civili, liquidate in Euro 3.840,00, oltre accessori di legge, per ciascuna parte civile.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata, nei confronti di B.B.', limitatamente al capo 12, con rinvio per nuovo esame ad altra sezione della Corte di assise d'appello di Roma.

Annulla la medesima sentenza, nei confronti di H.H., A.A., F.F. e G.G., limitatamente al trattamento sanzionatorio, con rinvio per nuovo esame ad altra sezione della Corte di assise d'appello di Roma. Dichiara inammissibili, nel resto, l'ricorsi di B.B.', G.G., F.F. e H.H.. Rigetta nel resto il ricorso di A.A..

Rigetta il ricorso di E.E. che condanna al pagamento delle spese processuali. Dichiara inammissibili i ricorsi di C.C. e di D.D., che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

Condanna A.A. e D.D., in solido tra loro, alla rifusione delle spese sostenute da ciascuna delle due parti civili nel giudizio di legittimità, che liquida in 3.840,00 Euro oltre accessori come per legge.

Conclusione

Così deciso in Roma, il 12 luglio 2023.

Depositato in Cancelleria il 21 agosto 2023