(Sez. 5, n. 5509 dei 08/01/2019, Castello, Rv. 275344; Sez. 3, n. 27120 del 05/03/2015, Ottonello, Rv. 264033; Sez. 5, n. 29358 del 22/03/2019 Miah, Rv. 276207 e Sez. 5, n. 42329 del 20/10/2022, Russo, Rv. 283877).
1. Il ricorso è in parte fondato, così da imporre un nuovo annullamento con rinvio.
2. Ai fini del corretto inquadramento della questione in diritto, giova premettere quanto segue. Il titolo IV del Codice antimafia all'interno del procedimento volto, a seguito dell'apprensione dei beni in cui si trasfonde la pericolosità sociale del proposto - è specificamente finalizzato all'acquisizione di tali beni, mediante la confisca definitiva "al patrimonio dello Stato liberi da oneri e pesi" (così il testo dei primo periodo dei comma 1 dell'art. 45 dei Codice antimafia). Tale insieme di norme è funzionale, quindi, all'accertamento ed all'immediata realizzazione dei diritti che eventualmente i terzi possano vantare, pur se non direttamente sui beni stessi, comunque nei confronti del proposto, sul presupposto della loro appartenenza ai suo patrimonio.
2.1. La tutela delle ragioni dei terzi si sostanzia, allora, nell'accordare rilevanza a posizioni soggettive propriamente privatistiche, poste a raffronto con l'interesse pubblico invece sotteso all'espropriazione - ai fini del ripristino della condizione di legalità e quindi, in concreto, in vista del recupero alla disponibilità della collettività - di beni che sono connotati dalla medesima forma di pericolosità sociale, che viene rimproverata al proposto (cd. pericolosità reale). In altri termini l'ordinamento, a mezzo delle norme inserite nel titolo IV del Codice antimafia, si prende cura degli interessi dei privati - in maniera addirittura prioritaria, rispetto all'interesse pubblico - apparendo meritevole di tutela, sotto il profilo intrinseco, il valore rappresentato dalla possibilità di riporre uno stabile affidamento, nella stabilità dei rapporti giuridici. Una forma di affidamento che assurge, quindi, immediatamente al rango di interesse pubblico, paritariamente concorrente con quello sotteso al procedimento ablativo.
La giurisprudenza della Corte costituzionale (n. 94 dell'11/02/2015 e n. 26 del 27/02/2019) offre conferma di come il titolo IV del Codice antimafia - frutto dell'innovativa scelta del Legislatore, di estendere la tutela a tutti i creditori del proposto - rappresenti il frutto di un ponderato bilanciamento, operato direttamente dal dettato normativo, tra i due contrapposti interessi (dei creditori da una parte, dello Stato dall'altra). Tale bilanciamento è di per sè idoneo, attraverso la "verifica dei crediti" (ex D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 59), che rappresenta il proprium della procedura di accertamento di cui ai capo II, ad impedire "manovre collusive" tra alcun (apparente) creditore (ccl. creditore di comodo) ed il proposto (apparente) debitore.
2.2. Giova poi precisare - con riguardo all'aspetto della verifica di legittimità, inerente alle decisioni rese a norma del d.l.gs. n. 159 del 2011, art. 59, comma 7, - che non vigono le ordinarie limitazioni previste per il ricorso in cassazione in materia di prevenzione, sancite dall'art. 10 dello stesso decreto (Sezione 6, n. 28350 del 15/07/2020, INTESA SANPAOLO Spa (già MEDIOCREDITO ITALIANO Spa Rv. 279627). Possono dunque essere dedotti anche vizi diversi, rispetto alla violazione di legge (si veda anche, sul punto, Sez. 6, n. 525 del 11/11/2022, dep. 2023, M.P.S. LEASING & FACTORING Spa Rv. 284106, a mente della quale: "In tema di impugnazioni di misure di prevenzione patrimoniaii, ii ricorso per cassazione avverso il decreto che decide sulle opposizioni allo stato passivo e sulle impugnazioni dei crediti ammessi nel procedimento di accertamento dei diritti dei terzi può essere proposto, ex D.Lgs. n. 6 settembre 2011, n. 159, art. 59, comma 9, per tutti i motivi di cui all'art. 606 c.p.p., non essendo, in tal caso, applicabiii gli arti. 10 e 27, stesso decreto, che limitano i vizi deducibili alla sola violazione di legge").
3. Integrando quanto sussunto nella precedente parte narrativa, occorre solo precisare che - nel provvedimento impugnato - può leggersi come, con sentenza del 26/06/2020, il Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Roma abbia disposto la confisca di beni (società e immobili), già oggetto di sequestro preventivo ex art. 321 c.p.p., nell'ambito di procedimento pendente presso ii Tribunale di Roma (beni oggetto di confisca nell'ambito della presente procedura di prevenzione), ritenendo C.C. responsabile - tra l'altro - dei reati di bancarotta fraudolenta per distrazione e di emissione di fatture per operazioni inesistenti, relativamente al patrimonio di ATI Srl , in favore anche di società facenti capo ai "(Omissis)". Alcune delie incoipazioni inerivano - stando a quanto sussunto nel provvedimento impugnato - appunto al progetto di spoliazione della ATI, culminato nel fallimento della stessa, dichiarato con sentenza dei 17/04/2013.
4. Quanto alle doglianze specificamente dedotte in sede di ricorso, viene lamentata - con il primo motivo - la violazione del principio del potere dispositivo delle parti, nonchè dell'effetto devoiutivo delle impugnazioni. Il Giudice del rinvio, non adeguandosi al perimetro decisionale oggetto del mandato conferito dalla Corte di cassazione in sede rescindente, avrebbe impropriamente ampliato il thema decidendum, devoluto attraverso l'originaria opposizione del ricorrente. Il vuinus di carattere dogmatico e sistematico, in particolare, si anniderebbe nell'avere il Tribunale inopinatamente esteso la propria cognizione, valutando anche l'attività di consulenza stragiudiziale espletata da A.A.: tale ultimo tema, però, non rappresentava l'oggetto del giudizio.
L'argomentazione prospettata dalla difesa non è fondata.
4.1. Già nel decreto del Tribunale di Roma del 12/10/2020, che decideva in ordine alle opposizioni presentate avverso lo stato passivo reso esecutivo dal Giudice delegato, può leggersi il riferimento di carattere estremamente ampio e onnicomprensivo - ai contratti di incarico professionale, sottoscritti dal legale rappresentante p.t. di ATI, negli anni 2010, 2011 e 2012 e in favore del A.A.. Chiaro è, pertanto, che la valutazione circa la riconducibilità delle attività professionali espletate da A.A., nell'interesse di ATI, non potesse essere limitata ai patrocinio espietato da quest'ultimo, dinanzi agii organi della giustizia tributaria, dovendosi essa del tutto comprensibilmente estendere all'intera attività di consulenza. E la stessa Corte di cassazione, in sede di giudizio rescindente, ha arrestato la propria valutazione al tema inerente alla motivazione offerta dal Tribunale, in ordine alla indicazione della data certa degli incarichi professionali svolti dal A.A.; non ha circoscritto, però, l'esame della strumentalità al solo alveo degli incarichi professionali.
4.2. Secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, nel caso in cui la Corte di cassazione accolga alcuni motivi di ricorso, dichiarando assorbiti gli altri, il giudice del rinvio è tenuto a riesaminare ed a decidere senza alcun vincolo le questioni oggetto dei motivi assorbiti, purchè queste siano state ritualmente devolute alla cognizione del giudice di secondo grado, attraverso i motivi di appello (Sez. 5, n. 5509 dei 08/01/2019, Castello, Rv. 275344; Sez. 3, n. 27120 del 05/03/2015, Ottonello, Rv. 264033; Sez. 5, n. 29358 del 22/03/2019 Miah, Rv. 276207 e Sez. 5, n. 42329 del 20/10/2022, Russo, Rv. 283877). Nella concreta fattispecie, A.A. aveva lamentato - dinanzi alla Corte di cassazione - la violazione di legge in relazione all'art. 52 f.). Lgs. n. 159 dei 2011 (nella veste precedente, rispetto alla novella di cui alla L. n. 161 del 2017, applicabile ratione temporis, per essere il sequestro di prevenzione intervenuto in data 27/07/2016) assumendo come il Tribunale avesse errato, nel non ammettere il credito del ricorrente in base all'esclusione della sua buona fede, senza procedere ad accertare il nesso di strumentalità del credito professionale, rispetto alle attività illecite contestate al C.C.. Aveva poi dedotto la violazione di legge in relazione al D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 52, avendo il Tribunale disatteso l'istanza di ammissione del credito del ricorrente, in ragione dell'assenza di prova certa, circa la data dei conferimenti degli incarichi professionali per gli anni 2010- 2012.
La doglianza concernente la natura stessa degli incarichi professionali conferiti ai A.A. - e il connesso tema della strumentalità del credito (rectius, dell'attività dal cui espletamento ha trovato scaturigine il credito vantato dal A.A.) rispetto all'attività illecita posta in essere dal preposta - o a quella che ne rappresentava il frutto o il reimpiego - era stata, pertanto, oggetto di specifica doglianza in sede di legittimità. La decisione rescindente, infatti, contiene un ampio riferimento al contenuto stesso dei succitati incarichi professionali, sottoscritti dal legale rappresentante dell'ATI nei giorni 05/01/2010, 05/01/2011 e 09/01/2012; conclude per l'annullamento con rinvio della decisione impugnata, facendo riferimento tanto ai tema della data certa, quanto alla questione della ritenuta malafede del A.A., specificamente richiamando le circostanze già evidenziate in altra parte del provvedimento impugnato, con riguardo alla richiesta di ammissione del credito nei confronti della società Porto di Roma Immobiliare Srl Tanto ciò vero, che ii rinvio per nuovo esame concerne - con dizione volutamente onnicomprensiva - i crediti azionati dal A.A. nei confronti di ATI Srl .
4.3. L'esame del tema attinente alla natura stessa degli incarichi, pertanto, non era precluso al Giudice del rinvio. La prima censura difensiva, quindi, non può che essere disattesa.
5. La seconda doglianza è in parte relativa del primo motivo, nella parte in cui contesta che al Tribunale fosse precluso valutare se il credito azionato dal ricorrente fosse - in via esclusiva - attinente all'espletata attività di difesa dinanzi agli organi della giustizia tributaria. Sul punto, ci si può limitare a richiamare quanto esposto al punto precedente.
5.1. Con il medesimo motivo, la difesa si duole della ritenuta sussistenza del nesso di strumentalità, fra l'opera professionale svolta dai A.A. e l'attività illecita posta in essere dal proposto, in quanto conclusione sfornita di affidabili elementi probatori a sostegno. Il terzo e il quarto motivo presentano poi una matrice sostanzialmente comune, rispetto al secondo; appare quindi possibile una trattazione congiunta di tali censure. La doglianza da assoggettare a lettura unitaria, nonostante la strutturazione particolarmente articolata deve ritenersi in parte fondata.
5.2. Si deve allora rammentare che, nell'apprezzamento delle fonti di prova, il compito del giudice di legittimità non è di sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici di merito, ma solo di stabilire se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se abbiano fornito una corretta interpretazione di essi, dando esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti, e se abbiano esattamente applicato le regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre (così Sez. un., n. 930 dei 13/12/1995, Rv 203428; per una compiuta e completa enucleazione della deducibilità del vizio di motivazione, Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016, dep. 2017, Rv 269217; Sez. 6, n. 47204, del 7/10/2015, Rv. 265482; Sez. 1, n, 42369 del 16/11/2006, Rv 235507). Esula quindi dall'alveo dei poteri riservati alla Corte di cassazione, nell'ambito dei controllo della motivazione del provvedimento impugnato, la formulazione di una nuova e diversa valutazione degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, giacchè tale attività è riservata esclusivamente al giudice di merito, potendo riguardare il giudizio di legittimità solo la verifica dell'iter" argomentativo di tale giudice, accertando se quest'ultimo abbia o meno dato conto adeguatamente delle ragioni che lo hanno condotto ad emettere la decisione (Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016, dep. 2017, Rv 269217);
Quanto al vizio di manifesta illogicità della motivazione, va osservato che il relativo controllo viene esercitato esclusivamente sul fronte della coordinazione delle proposizioni e dei passaggi attraverso i quali si sviluppa il tessuto argomentativo del provvedimento impugnato, senza la possibilità, per il giudice di iegittimità, di verificare se i risultati dell'interpretazione delle prove siano effettivamente corrispondenti alle acquisizioni probatorie risultanti dagli atti del processo; sicchè nella verifica della fondatezza, o meno, del motivo di ricorso ex art. 606, comma 1, lett. e) c.p.p., il compito della Corte di Cassazione non consiste nell'accertare la plausibilità e l'intrinseca adeguatezza dei risultati dell'interpretazione delle prove, coessenziale al giudizio di merito, ma quello, ben diverso, di stabilire se i giudici di merito: a) abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione; b) abbiano dato esauriente risposta alle deduzioni delle parti; c) nell'interpretazione delle prove abbiano esattamente applicato le regole della logica, le massime di comune esperienza e i criteri legali dettati in tema di valutazione delle prove, in modo da fornire la giustificazione razionale della scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre. Ne consegue che, ai fini della denuncia del vizio in esame, è indispensabile dimostrare che il testo dei provvedimento sia manifestamente carente di motivazione e/o di logica, per cui non può essere ritenuto legittimo l'opporre alla valutazione dei fatti contenuta nel provvedimento impugnato una diversa ricostruzione degli stessi, magari altrettanto logica, dato che in quest'ultima ipotesi verrebbe inevitabilmente invasa l'area degli apprezzamenti riservati al giudice di merito. Il controllo di legittimità operato dalla Corte di Cassazione, infatti, non deve stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la migliore possibile ricostruzione dei fatti, nè deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se tale giustificazione sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento (Sez. 4, n. 4842 del 2/12/2003, Elia, Rv 229368).
5.3. Tanto premesso ai fini dell'inquadramento dei principi ermeneutici ai quali attenersi, pare utile precisare come nell'ordinanza Impugnata - venga specificamente affrontato il tema della natura e della connotazione funzionale, dell'attività professionale prestata da A.A. per la ATI. Si sostiene, infatti, che il ricorrente non si occupasse esclusivamente del patrocinio della società, nell'ambito dei processi instaurati dinanzi agli organi della giurisdizione tributaria, al fine di resistere alle pretese di natura fiscale, contenute nei vari avvisi di accertamento o cartelle di pagamento (trattasi di giudizi il cui valore, in sede di ricorso, ia difesa ha quantificato in una somma complessivamente superiore a cento milioni di Euro). Gli incarichi professionali conferiti al A.A. negli anni che vanno dal 2010 al 2012 - prosegue il Tribunale - avevano infatti come oggetto l'espletamento di servizi di consulenza, che spaziavano dal campo legale a quello amministrativo, per giungere al settore societario, a queiio fiscale, tributario e, infine, lavoristico.
La natura multiforme di tali incarichi consentiva al A.A. stando alle conclusioni raggiunte dal Tribunale di essere costantemente a conoscenza di tutte ie vicende societarie indifferentemente riguardanti la ATI; ciò con particolare riferimento all'insieme delle contestazioni formulate dalla Guardia di Finanza, incentrate sugli episodi di falso in bilancio, sui fatti di false comunicazioni sociali derivanti da omessa iscrizione in bilancio dei rilevanti debiti tributari e, per finire, attinenti all'ingravescente stato di dissesto societario. La conclusione alla quale perviene il Tribunale, pertanto, è nel senso che l'attività professionale svolta dal ricorrente presentasse una netta connotazione di strumentalità, rispetto all'attività illecita posta in essere dal proposto. Si sarebbe in tal modo procrastinata, infatti, la sussistenza di uno stato di insolvenza, direttamente connesso all'attività distrattiva, fondata sulla realizzazione di operazioni fittizie e volte al mascheramento della effettiva situazione debitoria; consequenziale a ciò, sarebbe stato l'aggravio dello stato di dissesto e della stessa esposizione debitoria.
5.4. Occorre allora operare una netta demarcazione di tipo teorico, fra i diversi profili della vicenda. Dato per assodato che l'attività professionale, svolta dal A.A. per conto di ATI Srl , non si sia esaurita nel patrocinio delle ragioni di quest'ultima, dinanzi agii organi della giurisdizione tributaria, ma si sia invece estesa ad un ambito molto largo, coinvolgente gli interessi societari, sono restati sostanzialmente privi di spiegazione logica - nel provvedimento impugnato diversi profili particolarmente rilevanti.
Mancando di dialogare in maniera sostanziale e concreta con ie deduzioni difensive, il Tribunale non ha chiarito, infatti, in cosa si sia concretizzato il nesso di strumentalità, fra l'attività di patrocinatore in giudizio svolto dal ricorrente e le attività illecite poste in essere dal proposto. Sul punto specifico, l'affermazione del Tribunale, secondo cui l'attività professionale avrebbe protratto e aggravato il dissesto societario e il danno per i creditori, appare assertiva e congetturale, oltre che del tutto generica e priva di un attendibile substrato contenutistico. Non si è minimamente confrontato, il Tribunale, con la deduzione difensiva, secondo la quale - ai contrario - l'esito vittorioso dii alcuni ricorsi non può che aver rimpinguato le casse della società, quantomeno in termini di mancato versamento di imposte e sanzioni (argomentazione sulla quale sarebbe stato vieppiù opportuno soffermarsi, stante il valore economico estremamente ingente, delle cause patrocinate dai A.A. per conto di ATI).
Del resto, che il beneficio patrimoniale connesso all'esito vittorioso di alcuno dei ricorsi si sia verificato, è un fatto da reputarsi storicamente acclarato, in quanto affermato dallo stesso Tribunale (così, testualmente, alla pagine numero 51 del provvedimento impugnato: "si è scelta unicamente la strada di coltivare i ricorsi tributari tra il 2010 e il 2014 per un valore secondo i rilievi difensivi di oltre 100 milioni di Euro ottenendo benefici per alcuni milioni di Euro come emerge anche dallo stralcio della relazione della curatela del fallimento ATI..."). Ma non vi è chi non rilevi come - a monte di tale considerazione - non risulti nemmeno ben spiegata, nel provvedimento impugnato, la ragione per la quale un patrocinatore in sede giudiziale dovesse essere a conoscenza della situazione societaria nella sua interezza, tanto addirittura da risolversi a consigliare la proposizione di una istanza di fallimento.
Un evidente profilo di contraddittorietà del provvedimento oggetto di ricorso quindi, si annida proprio nell'aver ritenuto sussistente il sopra indicato nesso di strumentalità, fra il patrocinio in giudizio espletato dal A.A. e l'attività illecita del preposto, pur a fronte dell'affermazione circa l'esistenza di un beneficio per le casse della società approssimativamente valutabile nell'ordine di alcuni milioni di Euro.
5.5. A difformi lumi conduce, invece, l'esame della motivazione adottata dai Tribunale, in merito alla esistenza di una attività di consulenza attinente a problematiche genericamente definibili di carattere legale, amministrativo, societario e lavoristico. La motivazione dell'ordinanza impugnata si rivela - sul punto specifico - esaustiva e coerente, laddove ritiene che urta attività di portata tanto vasta non potesse che postulare la perfetta e continua conoscenza, da parte del A.A., delle dinamiche societarie, della situazione finanziaria della ATI, dei rapporti esterni, della situazione di esposizione debitoria. Da tale punto di vista, è dei tutto corretto reputare provata la sussistenza dei contestato nesso di strumentalità.
Trattasi, in definitiva, di una motivazione che - su tale versante - si sottrae a qualunque stigma di illogicità, incompletezza o contraddittorietà e che, pertanto, resta incensurabile in sede di legittimità.
6. Con il quinto motivo, la difesa stigmatizza la ritenuta mancanza di buona fede in capo al A.A., in relazione all'attività professionale da questi svolta in favore della ATI, nell'ambito dei vari giudizi tributari, relativi all'impugnazione e annullamento di atti tributari. Trattasi di una doglianza che può ritenersi fondata, stante la sopra analizzata correttezza delle censure difensive attinenti, in toto, alla sussistenza del nesso di strumentalità, fra attività di patrocinio in campo tributario e attività illecita del preposto.
Il Tribunale esclude la buona fede del A.A., operando un richiamo alle argomentazioni svolte con riferimento alla posizione di D.D.; sul versante della buona fede, tale posizione soggettiva è testualmente analizzata dal Tribunale in questo modo: "In relazione ai profilo della buona fede dei creditore ritiene il Tribunale che essa debba essere esclusa in quanto profondamente legata alla questione relativa al nesso di strumentalità. Non si può sostenere che il Dott. D.D. si fosse trovato in una situazione di ignoranza o affidamento incolpevole generato da un'oggettiva apparenza tale da rendere scusabile il proprio difetto di diligenza, in quanto l'oggetto dell'incarico era specificamente rivolto allo studio della situazione aziendale, con gli strumenti propri della diligenza professionale".
Coglie allora nel segno la critica difensiva. L'integrale richiamo al convincimento precedentemente espresso, in relazione alla posizione dell'altro consulente D.D., conduce a ritenere che il Tribunale abbia ritenuto la insussistenza della buona fede, in capo (anche) al A.A., deducendola attraverso una intrinseca equipollenza, fra tale concetto e quello della strumentalità rispetto all'attività delittuosa. In altri termini, la natura stessa dell'attività svolta dai creditore - stante l'ampia e onnicomprensiva tipologia della stessa, profondamente inserita nella complessiva vita societaria di ATI - rendeva impensabile l'esistenza della buona fede, in capo all'opponente.
L'errore concettuale, però, è ancora una volta riscontrabile nella premessa di tale sillogismo, che muove dalla illogica sovrapposizione di due profili tra loro nettamente distinti. Mentre pare ragionevole, nonchè coerente e corrispondente alla comune pratica giudiziaria, operare tale assimilazione, laddove si discorra di consulenze aziendali "ad ampio raggio" (attività che, inevitabilmente e notoriamente, postulano una conoscenza della situazione societaria nella sua interezza) ciò non pare ipso facto consentito, allorquando l'oggetto dell'incarico sia ristretto al campo del patrocinio in giudizio.
Sul punto specifico, il Tribunale resta del tutto silente. Pare pertanto condivisibile l'affermazione della difesa, laddove taccia di irragionevolezza l'assunto sul quale si impernia la decisione impugnata, che effettivamente sembra condurre ad una incongrua commistione, fra l'attività defensionale e la consapevolezza - in capo al patrocinatore - in ordine a eventuali attività non lecite.
7. Alla luce delle considerazioni che precedono, si disporrà l'annullamento del provvedimento impugnato, con esclusivo riferimento al tema del credito vantato dal A.A. in dipendenza dei mandati difensivi, con rinvio per nuovo giudizio - sul punto specifico - al Tribunale di Roma. Il ricorso sarà rigettato nel resto.
P.Q.M.
Annulla l'ordinanza impugnata limitatamente al credito relativo ai mandati difensivi con rinvio per nuovo giudizio sul punto al Tribunale di Roma. Rigetta nel resto il ricorso.
Conclusione
Così deciso in Roma, il 18 aprile 2023.
Depositato in Cancelleria il 8 agosto 2023