1. Deve essere preliminarmente rilevato che il fascicolo n. 18305/2023, poi riunito al presente procedimento, pur convertito in ricorso per cassazione dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere sulla base del contenuto delle deduzioni in esso enunciate, poichè redatto da avvocato non cassazionista - e, pertanto, qualora autonomamente proposto da dichiarare inammissibile con procedura de plano - non implica la necessità di effettuare la notifica della citazione all'udienza del difensore (avv. Ida Piccolo). La conversione in ricorso per cassazione dell'istanza presentata al giudice del merito e redatta da avvocato non abilitato al patrocinio dinanzi alle giurisdizioni superiori non impedisce, infatti, la dichiarazione di inammissibilità ai sensi dell'art. 613 c.p.p., in quanto il principio di conservazione degli atti processuali, sotteso al meccanismo della conversione, non giustifica la deroga ai requisiti formali e sostanziali previsti per ciascun mezzo di gravame (Sez. 6, n. 42385 del 17/09/2019, Maslova Vera, Rv. 277208 - 01).
2. Ciò premesso il Collegio osserva che il ricorso presentato dall'avv. Andrea Abbagnano Trione è inammissibile poichè generico oltre che manifestamente infondato.
3. Sulla base degli atti a disposizione di questa Corte - nel caso di specie consultabili in ragione della dedotta questione in rito (Sez. U, n. 42792 del 31/10/2001, Policastro, Rv. 220092 - 01) - emerge che il 31 gennaio 2023 il Funzionario Giudiziario del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere attestava che il file contenente l'atto di appello proveniente dall'indirizzo di posta elettronica del mittente avv. Ida Piccolo, pur correttamente depositato presso la corrispondente mali dell'Ufficio a ciò deputata, non risultava firmato digitalmente. Il sistema, che aveva invece contestualmente accertato la regolare firma digitale contenuta nel mandato rilasciato da A.A. in favore del difensore, rilevava (testualmente): "nessuna firma presente" e "non è stata rilevata alcuna firma apposta sul documento passato in imput". Il fascicolo processuale trasmesso contiene il "CD" con l'originale della PEC dell'atto di appello, copia dei file riprodotti in formato cartaceo del controllo da cui risulta l'omessa firma digitale.
4. Il Collegio osserva che la disciplina che regola l'attuale sistema delle impugnazioni effettuate in via digitale trova la sua origine in quella che il legislatore aveva previsto durante la fase emergenziale per il contrasto della pandemia da Covid-19 che aveva, proprio nell'ambito di una autonoma regolamentazione dello specifico settore interessato dall'intervento normativo, introdotto cause di inammissibilità ulteriori rispetto a quelle già disciplinate, quanto a regime delle impugnazioni, dall'art. 591 c.p.p..
L'art. 24, comma 6-sexies, D.L. n 137 del 2020, il cui contenuto è sovrapponibile a quanto previsto dall'art. 5-quinquies del D.L. n. 162 del 2022, con cui è stato introdotto "a regime" l'art. 87-bis D.Lgs. n. 150 del 2022, prevede che "Fermo quanto previsto dall'art. 591 del codice di procedura penale, nel caso di proposizione dell'atto ai sensi del comma 6-bis l'impugnazione è altresì inammissibile: a) quando l'atto di impugnazione non è sottoscritto digitalmente dal difensore; b) quando le copie informatiche per immagine di cui al comma 6-bis non sono sottoscritte digitalmente dal difensore per conformità all'originale; c) quando l'atto è trasmesso da un indirizzo di posta elettronica certificata che non è presente nel Registro generale degli indirizzi certificati di cui al comma 4; d) quando l'atto è trasmesso da un indirizzo di posta elettronica certificata che non è intestato al difensore; e) quando l'atto è trasmesso a un indirizzo di posta elettronica certificata diverso da quello indicato per l'ufficio che ha emesso il provvedimento impugnato dal provvedimento del Direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati di cui al comma 4 o, nel caso di richiesta di riesame o di appello contro ordinanze in materia di misure cautelari personali e reali, a un indirizzo di posta elettronica certificata diverso da quello indicato per il tribunale di cui all'art. 309, comma 7, del codice di procedura penale dal provvedimento del Direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati di cui al comma 4".
5. Corretto, quindi, risulta l'operato del Tribunale che, dopo aver preso atto del rapporto di verifica effettuato dalla Cancelleria che aveva accertato che l'impugnazione della sentenza non era firmata digitalmente, si è attenuto alla previsione normativa sopra citata ed emesso ordinanza con cui è stata dichiarata inammissibile l'impugnazione, disponendo l'esecuzione del provvedimento impugnato ex art. 24, comma 6-septies, D.L. n 137 del 2020.
A fronte del citato accertamento, la questione sottoposta dal ricorrente (che ne contesta l'esito, prospettando un errore del sistema informatico della cancelleria) implica un accertamento di fatto che presuppone una verifica (ora per allora) sulla validità legale della firma digitale, che avrebbe dovuto essere sostenuta con adeguate allegazioni di consistenza tale da rendere evidente l'errore in cui sarebbe incorso il Tribunale.
Nel caso di specie il ricorrente ha rappresenta di aver effettuato detta verifica attraverso l'utilizzo di applicativi riconosciuti dall'Agenzia per l'Italia Digitale (AGID) giusta deliberazione del Centro nazionale per l'informatica della Pubblica amministrazione ("CNIPA") del 21 maggio 2009, n. 45 che avrebbe rilevato la validità e l'integrità della firma in conformità con l'attuale disciplina.
La verifica effettuata dal ricorrente "in proprio", certamente sulla base di atti - di cui ha e mantiene la disponibilità - non necessariamente corrispondenti a quelli che, a mezzo mail risultano trasmessi, ricevuti ed accettati dalla Cancelleria del Tribunale (aspetto determinante che il ricorso non valuta), non risulta sufficiente a confutare l'attestazione della Cancelleria che - è bene puntualizzare - non ha rilevato l'invalidità o l'irregolarità della firma digitale, ma la sua assenza.
6. Non sovrapponibile, quindi, risulta il principio di diritto espresso da questa Corte, che il Collegio condivide, secondo cui non costituisce causa di inammissibilità dell'impugnazione di un provvedimento cautelare la mera irregolarità della sottoscrizione digitale che si era realizzata con il mancato valido riconoscimento da parte del sistema di verifica dell'ufficio giudiziario destinatario, con esito di "certificato non attendibile" (Sez. 5, n. 22992 del 28/04/2022, Rv. 283399 - 01).
Il caso esaminato nella citata decisione è estraneo all'ambito applicativo del citato art. 24, comma 6-sexies, lett. a), che tassativamente prevede l'inammissibilità (alla lett. a) unicamente in ipotesi di mancata sottoscrizione dell'atto di impugnazione da parte del difensore e non anche allorchè la stessa risulti invalida o irregolare.
7. Illogico si palesa, inoltre, il rappresentato erroneo o inadeguato funzionamento del sistema di verifica del Tribunale, visto che lo stesso sistema è stato in grado di rilevare la corretta apposizione della firma digitale sul mandato conferito dal ricorrente all'avv. Ida Piccolo, evenienza che dimostra come nessun problema afferente alla tipologia di applicativo utilizzato dall'Ufficio giudiziario e al suo funzionamento possa logicamente aver interessato, in maniera eccentricamente selettiva, proprio la firma digitale apposta sull'impugnazione tenendo indenne il mandato conferito al difensore.
8. Nè può ritenersi applicabile, nel caso di specie, il principio del favor impugnationis sulla base di argomentazioni di natura sostanziale (quali la firma riprodotta sul cartaceo e la sua certa provenienza dall'autore), la cui portata non può certo spingersi sino al punto di sterilizzare le tassative disposizioni che censurano con l'inammissibilità il mancato rispetto della disciplina in ordine alla necessaria presenza della firma digitale che regola la trasmissione delle impugnazioni i cui requisiti di forma sovraintendono alla tutela della certezza della provenienza dell'atto dal suo autore non diversamente declinabile.
9. All'inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende, secondo quanto previsto dall'art. 616, comma 1, c.p.p..
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Conclusione
Così deciso in Roma, il 03 luglio 2023.
Depositato in Cancelleria il 2 agosto 2023