In particolare, fatti episodici lesivi di diritti fondamentali della persona, derivanti da situazioni contingenti e particolari, che possono verificarsi nei rapporti interpersonali di una convivenza familiare, non integrano il delitto di maltrattamenti, ma conservano la propria autonomia di reati contro la persona (Sez. 6, n. 37019 del 27/05/2003, Caruso, Rv. 226794).
1. Il ricorso è inammissibile perchè manifestamente infondato e, conseguentemente, non deve essere disposto rinvio del procedimento in attesa della decisione delle Sezioni Unite di questa Corte chiamate a pronunciarsi sulla applicazione retroattiva dell'art. 573, comma 1-bis c.p.p..
2. Deve preliminarmente evidenziarsi che la doglianza dell'imputato in relazione alla mancata notifica del ricorso di parte civile è inconferente, alla luce di quanto si dirà nel proseguo.
3. Occorre rilevare che, nel reato di maltrattamenti di cui all'art. 572 c.p., l'oggetto giuridico non è costituito solo dall'interesse dello Stato alla salvaguardia della famiglia da comportamenti vessatori e violenti, ma anche dalla difesa dell'incolumità fisica e psichica delle persone indicate nella norma, interessate al rispetto della loro personalità nello svolgimento di un rapporto fondato su vincoli familiari; tuttavia, deve escludersi che la compromissione del bene protetto si verifichi in presenza di semplici fatti che ledono ovvero mettono in pericolo l'incolumità personale, la libertà o l'onore di una persona della famiglia, essendo necessario, per la configurabilità del reato, che tali fatti siano la componente di una più ampia ed unitaria condotta abituale, idonea ad imporre un regime di vita vessatorio, mortificante e insostenibile.
In particolare, fatti episodici lesivi di diritti fondamentali della persona, derivanti da situazioni contingenti e particolari, che possono verificarsi nei rapporti interpersonali di una convivenza familiare, non integrano il delitto di maltrattamenti, ma conservano la propria autonomia di reati contro la persona (Sez. 6, n. 37019 del 27/05/2003, Caruso, Rv. 226794).
3.1.11 delitto in parola postula, dunque, il sistematico, cosciente e volontario compimento di atti di violenza fisica e morale in danno della vittima, che si risolvano in vere e proprie sofferenze morali per quest'ultima.
Ai fini della integrazione della fattispecie, è pertanto necessario - dal punto di vista fenomenologico - che il soggetto agente infligga abitualmente vessazioni e sofferenze fisiche o morali in danno di un altro, il quale ne rimanga succube.
Ne discende che, in presenza di atti sporadici di violenza fisica o morale, difettando l'abitualità del reato, non è configurabile la fattispecie di cui all'art. 572 c.p..
3.2.1 giudici di merito si sono correttamente conformati a tale regula iuris, sottolineando, all'esito dell'esame di tutto il compendio probatorio, l'assenza di prove che consentano di pervenire a una pronuncia di penale responsabilità dell'imputato, oltre ogni ragionevole dubbio, posto che, a fronte di elementi a carico indubbiamente sussistenti nei confronti dell'imputato, l'istruttoria dibattimentale ha offerto elementi di segno contrario non adeguatamente valutati dal giudice di primo grado.
3.3. Quanto alla genericità delle dichiarazioni della persona offesa la Corte di appello ha correttamente evidenziato che la stessa, pur richiamando vessazioni psicologiche continue, non ha dato sufficientemente conto della loro consistenza, limitandosi a evidenziare come la vita coniugale fosse contrassegnata da "alti e bassi" e come i dissapori si fossero intensificati a causa della dedizione del marito consumo di bevande alcoliche.
La A.A. ha ricostruito, con una certa precisione, solo due vicende ritenute degne di rilievo: quella verificatasi il (Omissis), allorquando, in epoca successiva alla separazione l'imputato si recò in piena notte presso la sua abitazione e la infastidì citofonando con insistenza al suo appartamento, e quella dell'(Omissis), allorquando B.B. si reco a casa della ex moglie per prendere il figlio, che però si rifiutò di seguirlo, così suscitando la sua reazione verbale.
Con motivazione logica e congrua, la Corte d'appello sottolinea che, anche a voler dar credito alla deposizione della vittima, se ne ricava che, nell'arco temporale dei nove anni oggetto di contestazione, le condotte vessatorie ai danni della vittima sono state sporadiche ed isolate e, quindi, del tutto inidonee a integrare la abitualità degli atti vessatori.
3.4. La motivazione della Corte territoriale è, del pari, ineccepibile, nella parte in cui puntualizza che, a prescindere dalla abitualità delle vessazioni, ciò che consente di escludere ragionevolmente la sussistenza del delitto in contestazione è che i risultanti istruttori non consentono di ritenere integrato a carico di A.A. quel clima di soggezione e vessazione della persona offesa che caratterizza la fattispecie incriminatrice in esame.
3.5. Correttamente viene, infine, evidenziato che la A.A., oltre ad avere abbandonato il marito, anche in costanza di convivenza per trasferirsi altrove con i figli, non certo per sfuggire ai maltrattamenti, quanto piuttosto allo scopo di intraprendere relazioni di convivenza con altri uomini, una volta esaurite le stesse si rivolgeva sempre all'imputato per ottenere aiuti di ogni tipo, anche economico. B.B. viene definito dalla donna come "una brava persona" e, soprattutto, come "l'unico punto di riferimento", del quale ella disponeva: se così è, bene ha fatto la Corte di appello a ritenere arduo sostenere che i comportamenti vessatori dell'imputato avessero determinato nella vittima quello stato di soggezione, che, come noto, caratterizza la fattispecie incriminatrice in esame.
4.Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna al pagamento delle spese processuali. In ragione delle statuizioni della sentenza della Corte costituzionale del 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che si ravvisano ragioni di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, deve, altresì, disporsi che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la parte civile ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila a favore della Cassa delle ammende.
Conclusione
Così deciso in Roma, il 14 marzo 2023.
Depositato in Cancelleria il 16 giugno 2023