1. Il ricorso è fondato per le censure esposte nel primo motivo, per le ragioni di seguito precisate.
2. Il primo motivo contesta l'affermazione di colpevolezza per la contravvenzione di cui agli artt. 5, lett. d), e 6 L. n. 283 del 1962, integrata dall'aver detenuto per la vendita sostanze alimentari in stato di alterazione o comunque nocive, per la presenza di parassiti, deducendo la non corretta applicazione della causa limitativa della responsabilità in ordine a tali reati, prevista dall'art. 19 legge cit., per aver ritenuto l'illecito sussistente in ragione della "prospettiva della mera possibilità" dell'imputato di "rendersi conto della natura di quanto immesso in commercio", sebbene si trattasse di prodotto venduto in confezione originale e di vizio (la presenza di parassiti) non visibile dall'esterno della confezione.
3. La questione posta nel motivo concerne l'individuazione dell'area di operatività della disposizione di cui all'art. 19 L. n. 283 del 1962.
3.1. L'art. 19 legge cit. statuisce: "Le sanzioni previste dalla presente legge non si ò applicano al commerciante che vende, pone in vendita o comunque distribuisce per il consumo prodotti in confezioni originali, qualora la non corrispondenza alle prescrizioni della legge stessa riguardi i requisiti intrinseci o la composizione dei prodotti o le condizioni interne dei recipienti e sempre che il commerciante non sia a conoscenza della violazione o la confezione originale non presenti segni di alterazione".
3.2. Significativa, anche se in gran parte risalente, è la elaborazione della giurisprudenza in materia.
Innanzitutto, secondo l'indirizzo consolidato, in tema di disciplina degli alimenti, per "confezione originale" deve intendersi ogni recipiente o contenitore chiuso, destinato a garantire l'integrità originaria della sostanza alimentare da qualsiasi manomissione e ad essere aperto esclusivamente dal consumatore di essa (cfr. Sez. 3, n. 5975 del 05/12/2012, dep. 2013, Massaro, Rv. 254401-01, e Sez. 3, n. 8085 del 13/05/1999, Nerbi, Rv. 214654-01).
Inoltre, secondo un orientamento datato ma mai smentito, ferma restando la responsabilità del produttore, il rivenditore o utilizzatore non risponde della detenzione per la vendita o della somministrazione di sostanze alimentari insudiciate, invase da parassiti, in stato di alterazione o, comunque, nocive, se queste gli siano state consegnate in confezioni originali sigillate, destinate ad essere aperte solo dal consumatore, le quali non rivelino esteriormente alcun vizio e per le quali l'analisi o qualsiasi altro appropriato controllo si risolverebbe, per la facile deperibilità del prodotto, nella non commestibilità di esso e, in pratica, nell'impossibilità di immetterlo al consumo (così Sez. 3, n. 8085 del 13/05/1999, Nerbi, Rv. 214654-01, e Sez. 3, n. 12005 del 13/11/1997, Perini, Rv. 209195-01).
Nello stesso senso, sulla base di una riflessione di tipo sistematico, si era già osservato: "Il fondamento dell'art. 19 L. 30 aprile 1962, n. 283, sulla disciplina igienica della produzione e della vendita delle sostanze alimentari e delle bevande, va ricercato nell'inevitabilità del fatto addebitato, cioè nell'impossibilità materiale del commerciante rivenditore di accertare, mediante l'adozione della normale diligenza e prudenza, la rispondenza alle prescrizioni legali del prodotto posto in vendita. Questo principio si trae dall'art. 19 citato e dalla sempre maggiore importanza che viene attribuita in sede penale alla colpevolezza e si rinviene nella cosiddetta inesigibilità, che pur avendo una natura oggettiva e non essendo prevista nel nostro ordinamento, ma in quello tedesco, trova, nell'ambito della rilevanza dell'elemento psicologico, un primo riconoscimento nella sentenza n. 364 del 1988 della Corte costituzionale in tema di errore inevitabile su legge penale e viene ad avere, sia pure con tutte le limitazioni conseguenti all'inquadramento dogmatico delle cause di giustificazione, un ulteriore positivo riscontro nel cosiddetto stato di necessità. Pertanto, ferma restando la responsabilità del produttore, il rivenditore non può essere ritenuto colpevole non solo del procedimento di lavorazione e produzione per quegli alimenti che siano immessi al consumo in confezioni originali, tranne nei casi in cui i vizi si possano constatare all'esterno o il rivenditore ne sia a conoscenza, ma anche della composizione di tutti quei prodotti "imballati" o sfusi, che non rivelino esteriormente alcun vizio e per i quali l'analisi o qualsiasi appropriato controllo si risolverebbe per l'estrema deperibilità del prodotto, nell'incommestibilità di esso e in pratica nell'impossibilità di immetterlo al consumo. Tuttavia, è richiesto che il commerciante abbia adottato tutte le cautele necessarie, affinchè possa far affidamento sulla conformità a legge del prodotto, sia dal punto di vista igienico-sanitario per la sua conservazione ed esposizione alla vendita sia sotto il profilo dei controlli esperibili" (così Sez. 3, n. 2350 dl 01/02/1995, Profeta, Rv. 201962-01, secondo la massima ufficiale).
In linea con le pronunce precedentemente richiamate, sembrano porsi anche altre decisioni, ad avviso delle quali la responsabilità del rivenditore per il reato di somministrazione di sostanze alimentari insudiciate o invase da parassiti non è esclusa per il fatto che queste siano confezionate dal produttore con modalità tali da consentire l'apertura dell'involucro al solo consumatore, ove le condizioni di conservazione dell'alimento siano comunque agevolmente constatabili dall'esterno (così Sez. 3, n. 11998 del 02/02/2011, Lepore, Rv. 249657-01, e Sez. 3, n. 7344 del 05/03/1976, De Vita, Rv. 133932-01).
L'unico limite all'applicazione dell'art. 19 L. n. 283 del 1962 è individuato dalla giurisprudenza nel caso di prodotti alimentari provenienti da produttore straniero, non essendovi in tal caso la certezza del rispetto delle prescrizioni imposte dalla legge italiana per prevenire il pericolo di frode o di danno alla salute del consumatore (cfr. Sez. 3, n. 7383 del 04/11/2014, dep. 2015, Barile, Rv. 262407-01, e Sez. 3, n. 28375 del 11/07/2006, Sciacovelli, Rv. 234952-01).
3.3. Ad avviso del Collegio, deve darsi continuità ai principi giurisprudenziali precedentemente richiamati.
In effetti, le fattispecie previste dal combinato disposto degli artt. 5 e 6 L. n. 283 del 1962 costituiscono reati contravvenzionali, come tali punti anche a titolo di colpa (cfr., tra le tante, Sez. 3, n. 5975 del 05/12/2012, dep. 2013, Massaro, Rv. 254401-01, e Sez. 3, n. 12005 del 13/11/1997, Perini, Rv. 209195-01).
Di conseguenza, deve ritenersi che la disposizione di cui all'art. 19 legge cit., pena una sua interpretatio abrogans, ha la funzione di delimitare ulteriormente l'area della responsabilità penale, e di richiedere, per le ipotesi da essa previste, una colpevolezza "qualificata".
Appare ragionevole, perciò, ritenere che la previsione in esame, ai fini dell'affermazione di responsabilità per i reati di cui agli artt. 5 e 6 L. n. 283 del 1962, esige, in caso di prodotti distribuiti in confezioni originali affetti da vizi attinenti ai loro requisiti intrinseci o alla loro composizione o alle condizioni interne dei recipienti, come è fuori discussione nel caso di specie, una colpevolezza "qualifiCata", costituita dalla conoscenza della violazione delle prescrizioni in materia di igiene degli alimenti o dalla omessa considerazione di segni di alterazione presenti sulla confezione originale. Piuttosto, nella nozione di "segni di alterazione" presenti sulla confezione originale rientrano anche quegli elementi indicativi della violazione di prescrizioni in materia di igiene degli alimenti constatabili sulla base di un esame esterno della confezione, siccome desumibili dalla stessa e attraverso la stessa. Non può però rilevare, come elemento sufficiente ai fini della integrazione del necessario coefficiente di colpevolezza, la mera possibilità di constatazione di violazione delle prescrizioni in materia di igiene degli alimenti quando difettino percepibili "segni di alterazione".
4. La sentenza impugnata ha ritenuto inapplicabile la disposizione di cui all'art. 19 della L. n. 283 del 1962, secondo una valutazione possibilistica.
Precisamente, il Tribunale ha osservato: "Ora, nel caso in esame, tenuto conto della natura della confezione di pasta (sì di cartone ma con delle apposite finestrelle plastificate atte a permettere una verifica sulla consistenza del prodotto), ecco che non può escludersi la responsabilità del prevenuto che, quale direttore del punto vendita, non ha adottato le giuste precauzioni (o impartito opportune disposizioni) atte a riscontrare non solo l'integrità delle confezioni ma anche che le stesse fossero in normale stato di conservazione (o, più precisamente, non infestate da parassiti)".
5. Escludendo l'applicabilità della previsione di cui all'art. 19 legge cit. con la motivazione appena indicata al p. 4, la sentenza impugnata non ha proceduto alla corretta interpretazione di tale disposizione.
In ‘effetti, il Tribunale ha ritenuto colpevole il comportamento dell'imputato per non aver adottato le precauzioni "atte a riscontrare non solo l'integrità delle confezioni ma anche che le stesse fossero in normale stato di conservazione (o, più precisamente, non infestate da parassiti)". In questo modo, la sentenza impugnata, pur ritenendo applicabile la disciplina di cui all'art. 19 L. n. 283 del 1962, ha addebitato all'attuale ricorrente il fatto anche a causa della ritenuta violazione di regole cautelari ulteriori e diverse rispetto a quelle previste dall'art. 19 cit. Tale disposizione, infatti, come si è indicato in precedenza al p. 3.3, nel caso di commercializzazione di prodotti contenuti in confezioni originali, esclude la responsabilità per i reati di cui agli artt. 5 e 6 L. n. 283 del 1962 se non risulta, nel soggetto agente, la conoscenza della violazione delle prescrizioni ovvero l'omessa considerazione di segni di alterazione presenti sulla confezione originale o comunque rilevabili sulla base di un esame esterno di quest'ultima.
6. La fondatezza delle censure precedentemente esaminate impone l'annullamento della sentenza impugnata per nuovo esame con riguardo all'eventuale applicazione del limite alla responsabilità di cui all'art. 19 L. n. 283 del 1962.
Il Giudice del rinvio, alla luce di tutti gli accertamenti necessari, esaminerà se l'imputato abbia detenuto per la vendita le confezioni di pasta marca "(Omissis)" di cui all'imputazione in stato di alterazione o comunque nocive, sebbene fosse a conoscenza della violazione delle prescrizioni in materia di igiene degli alimenti o comunque abbia omesso di prendere in considerazione segni di alterazione presenti sulla confezione originale o rilevabili sulla base di un esame esterno di quest'ultima.
Le.ulteriori censure, esposte nel secondo e nel terzo motivo, concernenti, rispettivamente, la mancata applicazione della causa di non punibilità dell'art. 131-bis c.p., e la determinazione del trattamento sanzionatorio sono assorbite e non possono essere esaminate in questa sede, perchè il loro esame presuppone la non applicabilità della disciplina di cui all'art. 19 L. n. 283 del 1962.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di Messina, in diversa persona fisica.
Conclusione
Così deciso in Roma, il 26 aprile 2023.
Depositato in Cancelleria il 19 giugno 2023