Giu La confisca del denaro costituente profitto o prezzo del reato va sempre qualificata come diretta
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. III PENALE - 19 aprile 2023 N. 16576
Massima
La confisca del denaro costituente profitto o prezzo del reato, comunque rinvenuto nel patrimonio dell'autore della condotta e che rappresenti l'effettivo accrescimento patrimoniale monetario conseguito, va sempre qualificata come diretta, e non per equivalente, in considerazione della natura fungibile del bene, con la conseguenza che non è ostativa alla sua adozione l'allegazione o la prova dell'origine lecita della specifica somma di denaro oggetto di apprensione. Tale principio trova applicazione anche in relazione ai reati tributari di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000 per i quali la confisca ex art. 12-bis D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, delle somme di denaro affluite sul conto corrente intestato alla persona giuridica anche successivamente alla commissione del reato da parte del suo legale rappresentante, ha natura di confisca diretta in quanto le stesse costituiscono comunque profitto del reato, risolvendosi in un vantaggio per il suo autore il risparmio di spesa conseguente all'omesso versamento delle imposte.

Testo della sentenza
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. III PENALE - 19 aprile 2023 N. 16576

1. Il ricorso è inammissibile nella parte relativa al reato per il quale è stata pronunciata condanna, fondato nella parte in cui denuncia l'illegittimità della previsione della confisca per equivalente in relazione ai reati dichiarati estinti per prescrizione dalla Corte d'appello, ed inammissibile nella parte concernente l'applicazione, in ordine ai medesimi delitti, della confisca diretta.

2. Manifestamente infondate sono le censure esposte nel primo motivo, e nel primo motivo nuovo, le quali contestano la affermazione di responsabilità per il reato di emissione di fatture per operazioni inesistenti di cui al capo E), in particolare avendo riguardo alla sussistenza dell'elemento soggettivo richiesto dalla legge, deducendo che non è stata accertata la finalità di consentire a terzi l'evasione dell'IVA, così come contestato, in quanto le fatture indicate nell'imputazione sono solo soggettivamente inesistenti, ed i reali esecutori dei lavori non sono stati individuati, e che, comunque, nella specie, sarebbero configurabili, il reato di cui all'art. 10-ter o quello di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 5, essendo stata l'imposta incamerata dall'attuale ricorrente.

2.1. E' utile innanzitutto chiarire perchè l'emissione di fatture per operazioni "solo" soggettivamente inesistenti è funzionale, sotto il profilo oggettivo, a consentire a terzi l'evasione anche dell'IVA, come specificamente contestato nella specie.

2.1.1. Si è già affermato in giurisprudenza che il delitto di emissione di fatture od altri documenti per operazioni inesistenti è configurabile anche in caso di fatturazione solo soggettivamente falsa, quando cioè l'operazione oggetto di imposizione fiscale sia stata effettivamente eseguita e tuttavia non vi sia corrispondenza soggettiva tra il prestatore indicato nella fattura od altro documento fiscalmente rilevante e il soggetto giuridico che abbia erogato la prestazione, in quanto anche in tal caso è possibile conseguire il fine illecito indicato dalla norma in esame, ovvero consentire a terzi l'evasione delle imposte sui redditi e sul valore aggiunto (così Sez. 3, n. 24307 del 19/01/2017, Cortella, Rv. 269986-01).

A fondamento di questo principio, si è significativamente affermato: "Tale interpretazione, infatti, è consentita, innanzitutto, sia dall'argomento testuale, fondato sull'ampiezza della previsione normativa, la quale si riferisce genericamente ad "operazioni inesistenti"; sia dall'argomento teleologico, fondato sulla considerazione per cui, anche in tali casi, è possibile conseguire il fine illecito indicato dalla norma in esame, ovvero consentire ai terzi l'evasione delle imposte sui redditi e sul valore aggiunto (cfr. Sez. 3, n. 20353 del 17/03/2010, dep. 28/05/2010, Bizzozzero e altro, Rv. 247110; Sez. 3, n. 14707 del 14/11/2007, dep. 09/04/2008, Rossi e altri, Rv. 239658). Inoltre, lo stesso D.Lgs. n. 74 del 2000 art. 1, comma 1, lett. a) stabilisce che "per "fatture o altri documenti per operazioni inesistenti" si intendono le fatture o gli altri documenti aventi rilievo probatorio analogo in base alle norme tributarie, emessi a fronte di operazioni non realmente effettuate in tutto o in parte o che indicano i corrispettivi o l'imposta sul valore aggiunto in misura superiore a quella reale, ovvero che riferiscono l'operazione a soggetti diversi da quelli effettivi"" (così Sez. 3, n. 24307 del 2017, cit., in motivazione, p. 3.3.1.).

2.1.2. Ad avviso del Collegio, il principio secondo cui il delitto di emissione di fatture od altri documenti per operazioni inesistenti è configurabile anche in caso di fatturazione solo soggettivamente falsa deve trovare continuità ed è applicabile anche quando non siano stati individuati il soggetto o i soggetti che abbiano erogato la prestazione.

Con specifico riguardo all'IVA, in particolare, va evidenziato che il sistema impositivo opera mediante un meccanismo di compensazioni e che il versamento dell'imposta all'erario deve avvenire proprio ad opera di colui che effettua la prestazione (la vendita o l'erogazione del servizio). In altri termini, colui che effettua la prestazione, è tenuto ad emettere la fattura, nella quale deve indicare sia il valore imponibile, sia il valore dell'IVA, e, poi, alla scadenza prevista, dovrà corrispondere questa imposta all'Erario, previa detrazione di quanto versato per il medesimo tributo, ai suoi fornitori.

Precisamente, il D.P.R. n. 26 ottobre 1972, n. 633, e succ. modif., relativo alla istituzione e disciplina dell'imposta sul valore aggiunto, individua proprio colui che effettua la prestazione come il "debitore" di tale imposta. In particolare, l'art. 17 D.P.R. cit., rubricato "debitore d'imposta", al comma 1, nel testo attualmente vigente, recita: "L'imposta è dovuta dai soggetti che effettuano le cessioni di beni e le prestazioni di servizi imponibili, i quali devono versarla all'Erario, cumulativamente per tutte le operazioni effettuate e al netto della detrazione prevista nell'art. 19, nei modi e nei termini stabiliti nel titolo secondo".

Ne discende che la fattura emessa da un soggetto diverso da quello che ha realmente eseguito la prestazione, è funzionale proprio a consentire a quest'ultimo di non emettere la fattura e, quindi, di non risultare come debitore dell'IVA, e, quindi, come soggetto giuridicamente obbligato al versamento della stessa secondo le scadenze periodiche previste dalla legge.

Si può aggiungere, anzi, che, se il reale autore della prestazione "coperto" dalla falsa fattura non viene individuato, il mendacio documentale raggiunge appieno il risultato illecito di tenere quest'ultimo indenne dal debito per l'IVA verso l'Amministrazione finanziaria.

Non ha poi alcuna rilevanza accertare se un'evasione di imposta si sia in concreto verificata. Invero, come ripetutamente precisato in giurisprudenza, l'evasione d'imposta non è elemento costitutivo del delitto di emissione di fatture, o altri documenti per operazioni inesistenti, ma caratterizza il dolo specifico normativamente richiesto per la punibilità dell'agente, essendo necessario che l'emittente delle fatture si proponga il fine di consentire a terzi l'evasione delle imposte sui redditi o sul valore aggiunto, ma non anche che il terzo realizzi effettivamente l'illecito intento (così Sez. F, n. 31142 del 11/08/2022, Iacona, Rv. 283708-01, e Sez. 3, n. 39359 del 24/09/2008, Biffi, Rv. 241040-01).

2.1.3. Nè può escludersi la configurabilità del delitto di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 8 nel caso di indebito trattenimento dell'IVA da parte dell'emittente le false fatture perchè tale condotta sarebbe sussumibile nella fattispecie di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10-ter, in ipotesi di presentazione della dichiarazione e omissione di versamento, ovvero in quella di cui all'art. 5 D.Lgs. cit., in ipotesi invece di omessa presentazione della dichiarazione.

Invero, si potrebbe immediatamente osservare che le condotte necessarie per integrare i tre reati sopra precisati sono tra loro ontologicamente e cronológicamente distinte, sicchè sarebbe piuttosto ipotizzabile una vicenda di concorso materiale di reati.

In ogni caso, nella specie, essendo contestato il solo reato di emissione di fatture per operazioni inesistenti, è sufficiente rilevare che il mendacio documentale costituisce comunque un preciso elemento specializzante della figura delittuosa di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 8 rispetto alle altre fattispecie di cui all'art. 10-ter e di cui all'art. 5 D.Lgs. cit. Del resto, a voler seguire la tesi prospettata nel ricorso, si arriverebbe al singolare risultato di escludere in radice la configurabilità del reato di emissione di fatture per operazioni inesistenti, anche sotto il profilo oggettivo, almeno con riferimento all'IVA, salvo il caso di versamento dell'imposta o di fatture rilasciate per importi inferiori a quelli necessari per il superamento delle soglie di punibilità previste in relazione ai reati di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10-ter e di cui all'art. 5.

2.2. Posto che l'emissione di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti è funzionale, sotto il profilo oggettivo, a consentire a terzi l'evasione dell'IVA, va poi evidenziato che la sentenza impugnata espone con motivazione immune da censure le ragioni poste a fondamento dell'affermazione di responsabilità dell'attuale ricorrente per il reato di emissione di fatture per operazioni inesistenti di cui al capo E. La Corte d'appello, infatti, ha precisato che la ditta formalmente emittente le fatture per operazioni soggettivamente inesistenti, la "(Omissis)", fu creata per iniziativa proprio di A.A., e che la formale intestataria di tale ditta, B.B., si disinteressò totalmente della stessa, in quanto, da un lato, i contratti di cui l'impresa era parte furono tutti "trattati" dall'attuale ricorrente, e, dall'altro, quest'ultimo aveva la delega ad operare sui conti correnti dell'impresa e tratteneva per sè l'importo dell'IVA dovuta dall'esecutore della prestazione, il quale rimaneva "occulto". In tal modo, è puntualmente indicata anche la piena consapevolezza dell'attuale ricorrente di consentire, attraverso l'emissione delle false fatture, l'evasione dell'IVA da parte dell'impresa che aveva eseguito i lavori e che per gli stessi avrebbe dovuto pagare tale imposta.

La "piena" consapevolezza di consentire, attraverso l'emissione delle false fatture, al soggetto reale esecutore dei lavori l'evasione dell'IVA implica anche la finalità, quanto meno concorrente, di realizzare tale risultato.

3. Manifestamente infondate sono anche le censure formulate nel secondo motivo, le quali contestano la mancata dichiarazione di estinzione per prescrizione dei reati contestati al capo E) relativamente alle fatture emesse anteriormente al 17 settembre 2011, deducendo che ogni singola emissione integra un'autonoma fattispecie delittuosa, e che, di conseguenza, per le condotte precedenti al 17 settembre 2021, opera il più breve termine estintivo previstò dall'art. 157 c.p., e non quello fissato dal D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 17, comma 1-bis, applicabile solo ai fatti successivi a tale data.

Invero, secondo un principio ampiamente consolidato, che poggia sul dato testuale del D.Lgs. n. 74 del 2000, comma 2 dell'art. 8, ed in relazione al quale non sono fornite ragioni per discostarsene, il delitto di emissione di fatture per operazioni inesistenti si perfeziona nel momento di emissione della singola fattura ovvero, ove si abbiano plurimi episodi nel corso del medesimo periodo di imposta, nel momento di emissione dell'ultimo di essi (cfr., tra le tantissime: Sez. 3, n. 9440 del 24/11/2021, dep. 2022, Cossarini, Rv. 282918-01; Sez. 3, n. 47459 del 05/07/2018, Melpignano, Rv. 274865-01; Sez. 3, n. 6264 del 14/01/2010, Ventura, Rv. 246193-01).

4. Fondate, invece, sono le censure enunciate nel terzo motivo e nel secondo motivo nuovo, nella parte in cui contestano l'applicazione della confisca per equivalente in relazione ai reati dei quali è stata dichiarata la estinzione per prescrizione.

Invero, la confisca per equivalente in relazione a reati dichiarati estinti per prescrizione sarebbe applicabile solo in forza di quanto previsto dall'art. 578-bis c.p.p., atteso che, in precedenza, secondo la giurisprudenza delle Sezioni Unite, vigeva il principio in forza del quale il giudice, nel dichiarare la estinzione del reato per intervenuta prescrizione, non può disporre, atteso il suo carattere afflittivo e sanzionatorio, la confisca per equivalente delle cose che ne costituiscono il prezzo o il profitto (il riferimento è a Sez. U, n. 31617 del /(26/06/2015, Lucci, Rv. 264435-01) E però, ad avviso di una recentissima decisione delle Sezioni Unite, la disposizione di cui all'art. 578-bis c.p.p., introdotta dal D.Lgs. n. 1 marzo 2018, n. 21, art. 6, comma 4, ha, con riguardo alla confisca per equivalente e alle forme di confisca che presentino comunque una componente sanzionatoria, natura anche sostanziale e, pertanto, è inapplicabile in relazione ai fatti posti in essere prima della sua entrata in vigore (Sez. U, n. 4145 del 29/09/2022, dep. 2023, Esposito, Rv. 284209-01).

5. Manifestamente infondate sono le censure esposte nel terzo motivo, nel secondo motivo nuovo e nel terzo motivo nuovo, nella parte in cui contestano l'applicazione della confisca diretta con riferimento alla somma rinvenuta sul conto corrente n. (Omissis) presso la (Omissis), deducendo che non può ritenersi consentita la riqualificazione dell'ablazione da confisca per equivalente a confisca diretta, operata dalla Corte d'appello, che non è provato il nesso di derivazione di tali somme dal reato, e che il conto corrente è intestato ad altri.

5.1. Innanzitutto, con riferimento alle censure concernenti la diversa definizione giuridica della misura ablatoria da parte della sentenza impugnata, va ribadito l'insegnamento consolidato della giurisprudenza di legittimità, in forza del quale il giudice di appello può riqualificare, anche di ufficio, la confisca disposta in primo grado da confisca per equivalente in confisca diretta, ovviamente qualora ne sussistano i presupposti.

Si è infatti ripetutamente affermato che non viola il divieto di reformatio in peius una diversa qualificazione giuridica della confisca da parte del giudice di appello rispetto a quella stabilita in primo grado, pur in assenza di gravame sul punto da parte del pubblico ministero, in quanto l'attribuzione alla misura ablatoria di una diversa qualificazione giuridica costituisce un'operazione istituzionalmente spettante al giudice, anche se di secondo grado. E questo principio è stato applicato sia per riqualificare una confisca di denaro ai sensi del D.L. n. 306 del 1992, art. 12-sexies, convertito nella L. n. 356 del 1992, in luogo dell'originaria confisca facoltativa del profitto del reato, disposta dal giudice di primo grado ai sensi dell'art. 240, comma 1, c.p. (così Sez. 3, n. 9156 del 17/12/2020, dep. 2021, Petito, Rv. 281327-01), sia per riqualificare una confisca di denaro come diretta, dopo che il giudice di primo grado aveva disposto la stessa per equivalente (Sez. 6, n. 13844 del 02/12/2016, dep. 2017, Aracu, Rv. 270372-01, e Sez. 6, n. 10708 del 18/02/2016, Mercuri, Rv. 266558-01).

Si può aggiungere che, nella specie, il Pubblico Ministero, pur in difetto di motivo di gravame, in sede di conclusioni del giudizio di appello, aveva espressamente chiesto di qualificare la confisca come confisca diretta del reato, sicchè vi è stata anche la possibilità di un concreto contraddittorio in proposito già prima della pronuncia della sentenza di secondo grado.

5.2. Relativamente alle censure in ordine alla sussistenza dei presupposti per qualificare la confisca della somma di denaro rinvenuta sul conto corrente n. (Omissis) presso la (Omissis) come confisca diretta, può concludersi che correttamente la sentenza impugnata ha concluso in senso affermativo anche avendo riguardo ai reati per i quali è stata dichiarata l'estinzione per prescrizione in appello, dopo la condanna in primo grado.

5.2.1. Va premesso che costituisce principio consolidato quello secondo cui il giudice dell'impugnazione può confermare un provvedimento di confisca del profitto del reato, anche quando questo, dopo la pronuncia di condanna in primo grado, deve essere dichiarato estinto per prescrizione, quando per detto reato è prevista la confisca obbligatoria del pertinente prezzo o profitto.

Invero, secondo la giurisprudenza delle Sezioni Unite, il giudice, nel dichiarare la estinzione del reato per intervenuta prescrizione, può disporre, a norma dell'art. 240, comma 2, n. 1 c.p., la confisca del prezzo e, ai sensi dell'art. 322-ter c.p., la confisca diretta del prezzo o del profitto del reato a condizione che vi sia stata una precedente pronuncia di condanna e che l'accertamento relativo alla sussistenza del reato, alla penale responsabilità dell'imputato e alla qualificazione del bene da confiscare come prezzo o profitto rimanga inalterato nel merito nei successivi gradi di giudizio (così Sez. U, n. 31617 del 26/06/2015, Lucci, Rv. 264434-01).

Ora, per i reati previsti dal D.Lgs. n. 74 del 2000 è stata prevista la confisca obbligatoria dei beni che ne costituiscono il prezzo o il profitto già dalla L. 24 dicembre 2007, n. 244, art. 1, comma 143, proprio mediante espresso richiamo all'art. 322-ter c.p. E, nella specie, i reati per i quali è stata dichiarata l'estinzione per prescrizione in appello dopo la sentenza di condanna in primo grado sono tutti successivi alla data di entrata in vigore di detta disposizione. Precisamente, i reati in questione sono quelli: -) di omessa dichiarazione per l'anno 2007, con evasione d'imposta pari a 286.502,62 Euro, commesso il 29 dicembre 2008 (capo D); -) di emissione di fatture per operazioni inesistenti nell'anno 2010 per un imponibile pari a 101.137,00 Euro e per IVA pari a 20.227,00 Euro, e nell'anno 2011 per un imponibile pari a 9.000,00 Euro e per IVA pari a 0,00 (capo E); -) di emissione di fatture per operazioni inesistenti nell'anno 2008 per un imponibile pari a 285.270,00 Euro e per IVA pari a 57.054,00 Euro, e nell'anno 2009 per un imponibile pari a 8.260,00 Euro e per IVA pari a 1.652,00 Euro (capo F).

Inoltre, la sentenza impugnata spiega diffusamente perchè deve ritenersi accertata l'addebitabilità al ricorrente dei fatti di cui ai capi D, E e F, per i quali ha dichiarato l'estinzione per prescrizione dopo la sentenza di condanna in primo grado (cfr. spec. pagg. 14-16 della sentenza della Corte d'appello). E contro tali conclusioni non è stato formulato alcun motivo di censura nel ricorso.

Ancora, si è già detto in precedenza, al p. 5.1, perchè deve ritenersi ammissibile la riqualificazione da parte del giudice di appello della confisca, già disposta in primo grado come confisca per equivalente, come confisca del prezzo e del profitto dei reati per cui si procede. Si può aggiungere che l'affermazione delle Sezioni Unite sulla necessità della permanenza della qualificazione del bene da confiscare come prezzo o profitto nei successivi gradi di giudizio (Sez. U, n. 31617 del 2015, Lucci, cit.) non è funzionale a precludere la possibile riqualificazione della forma di confisca, ed è diretta, piuttosto, ad assicurare che il provvedimento di ablazione sia stato emesso in occasione della dichiarazione di penale responsabilità di chi lo subisce (cfr., per applicazioni in questo senso, (Sez. 6, n. 13844 del 02/12/2016, dep. 2017, Aracu, Rv. 270372-01, e Sez. 6, n. 10708 del 18/02/2016, Mercuri, Rv. 266558-01).

5.2.2. Va poi osservato che la confisca del denaro costituisce confisca diretta anche quando sia possibile dimostrare la provenienza lecita della specifica somma di denaro oggetto di ablazione.

Invero, le Sezioni Unite hanno recentemente ribadito il principio in forza del quale la confisca del denaro costituente profitto o prezzo del reato, comunque rinvenuto nel patrimonio dell'autore della condotta, e che rappresenti l'effettivo accrescimento patrimoniale monetario conseguito, va sempre qualificata come diretta, e non per equivalente, in considerazione della natura fungibile del bene, con la conseguenza che non è ostativa alla sua adozione l'allegazione o la prova dell'origine lecita della specifica somma di denaro oggetto di apprensione (così Sez. U, n. 42415 del 27/05/2021, C., Rv. 282037-01, la quale ha confermato le enunciazioni, in particolare, di Sez. U, n. 31617 del 26/06/2015, Lucci, Rv. 264437-01).

E questo principio ha trovato applicazione anche in relazione ai reati tributari di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000. Si è infatti affermato che, in tema di reati tributari, la confisca ex D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 12-bis, delle somme di denaro affluite sul conto corrente intestato alla persona giuridica anche successivamente alla commissione del reato da parte del suo legale rappresentante, ha natura di confisca diretta in quanto le stesse costituiscono comunque profitto del reato, risolvendosi in un vantaggio per il suo autore il ri Spa rmio di spesa conseguente all'omesso versamento delle imposte (così Sez. 3, n. 42616 del 20/09/2022, L'Angolana Srl , Rv. 283714-01, anche per riferimenti ad ulteriori decisioni non massimate).

5.2.3. Per completezza, deve solo essere segnalato che il saldo attivo del conto corrente n. (Omissis) presso la (Omissis), come meglio si indicherà al p. 5.3, risulta inferiore al profitto dei reati per i quali è stata pronunciata condanna o dichiarazione di estinzione per prescrizione in appello.

Invero, l'importo trasferito dal conto corrente della Banca di (Omissis) sul corrente n. (Omissis) presso la (Omissis) è stato quantificato dai dai giudici di merito nella somma di 190.332,77 Euro, nè sono indicate ulteriori rimesse funzionali ad alimentare la giacenza di tale rapporto bancario. Le somme costituenti profitto dei reati per i quali è stata dichiarata l'estinzione per prescrizione in appello sono di molto superiori: è sufficiente considerare che, per il solo reato di omessa dichiarazione per l'anno 2007, commesso il 29 dicembre 2008, e di cui al capo D), l'evasione d'imposta è stata pari a 286.502,62 Euro.

5.3. In terzo luogo, infine, le censure concernenti l'attribuzione a A.A. del conto corrente n. (Omissis) presso la (Omissis), e quindi delle somme presenti su tale rapporto bancario, oltre che tardive, perchè prospettate solo in sede di motivi nuovi, sono del tutto prive di specificità, in quanto meramente assertive, nonostante le approfondite ricostruzioni dei giudici di merito, esposte con puntuali motivazioni.

In particolare, la sentenza della Corte d'appello rappresenta che: -) all'epoca dei fatti intercorreva un rapporto di convivenza more uxorio tra l'attuale ricorrente e C.C., la persona alla quale risulta formalmente intestato il precisato conto corrente n. (Omissis); -) il rapporto in questione è stato aperto e contestualmente alimentato mediante il versamento del saldo attivo di un conto corrente intestato a C.C. presso la Banca di (Omissis), pari a oltre 190.000,00 Euro (la sentenza di primo grado precisa: 190.332,77 Euro), e chiuso proprio con questa operazione; -) il saldo attivo del conto corrente intestato a C.C. presso la Banca di (Omissis) era determinato dall'incasso del prezzo della vendita di un immobile, pari a 218.000,00 Euro, vendita effettuata dalla donna a terzi; -) C.C., a sua volta, aveva acquistato detto immobile da A.A. per l'importo dichiarato di 62.800,00 Euro; -) il pagamento dell'immobile da C.C. a A.A. era avvenuto, in particolare, mediante un assegno circolare di circa 45.000,00 Euro, tratto su un conto corrente intestato alla donna, non percettrice di redditi, ed alimentato tra il 2 ed il 14 ottobre 2008 con versamenti in contanti per 50.000,00 Euro, in concomitanza con prelievi di pari importo effettuati da A.A. su conti correnti nella di lui disponibilità.

La sentenza del Tribunale, poi, precisa che: -) C.C. acquistò l'immobile da A.A. in data 15 ottobre 2008, corrispondendo l'assegno circolare di cui si è detto, relativo all'importo di 44.714,97 Euro, nonchè un assegno bancario di 4.500,00 Euro emesso da D.D., ritenuto in sentenza prestanome dell'attuale ricorrente con riferimento all'omonima ditta individuale negli anni 2008 e 2009, e dichiarando inoltre di aver versato la restante parte del prezzo in contanti prima del 4 luglio 2006; -) il conto corrente utilizzato da C.C. per emettere l'assegno circolare di 44.714,97 Euro non ebbe movimentazioni ulteriori rispetto a quelle registrate in occasione della compravendita, salvo la ricezione di un bonifico di 10.000,00 Euro nel febbraio 2009; -) C.C. aveva rilasciato delega ad operare in favore di A.A. anche in relazione ad altro conto corrente sul quale erano transitati proventi illeciti, come un assegno di 37.750,00 Euro emesso dal già indicato D.D.; -) la vendita sottocosto dell'immobile da A.A. a C.C. nell'ottobre 2008 trova una spiegazione nell'avvenuta contestazione all'attuale ricorrente di un'evasione di imposta per l'anno 2003; -) i debiti fiscali accertati per gli anni 2003 e 2004 a carico di A.A. sono risultati pari, anche all'esito dei giudizi tributari, a 1.118.244,56 Euro.

6. In conclusione, la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio limitatamente alla confisca per equivalente disposta con riferimento ai reati dichiarati estinti per prescrizione dalla Corte d'appello.

Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile nel resto, con conseguente irrevocabilità: -) della condanna di A.A. per il reato di cui al D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 8, a partire dalla fattura n. (Omissis) del 14 luglio 2011, contestatogli al capo E; -) della statuizione della confisca per equivalente in ordine al prezzo ed al profitto per il reato appena indicato; -) della statuizione della confisca diretta in relazione al prezzo ed al profitto per questo reato e per tutti i reati dichiarati estinti per prescrizione dalla Corte d'appello.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla confisca per equivalente disposta con riferimento ai reati dichiarati prescritti. Dichiara inammissibile il ricorso nel resto.

Conclusione

Così deciso in Roma, il 1 marzo 2023.

Depositato in Cancelleria il 19 aprile 2023