Giu Rientrano nella categoria delle prove sanzionate dall'inutilizzabilità non solo le "prove oggettivamente vietate", ma anche quelle formate o acquisite in violazione dei diritti soggettivi tutelati dalla legge e, a maggior ragione, quelle acquisite in
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. VI PENALE - 14 aprile 2023 N. 15836
Massima
Rientrano nella categoria delle prove sanzionate dall'inutilizzabilità non solo le "prove oggettivamente vietate", ma anche quelle formate o acquisite in violazione dei diritti soggettivi tutelati dalla legge e, a maggior ragione, quelle acquisite in violazione dei diritti tutelati in modo specifico dalla Costituzione. La Corte costituzionale con la sentenza n. 34 del 1973 ha ravvisato l'esistenza di "divieti" probatori ricavabili in modo diretto dal dettato costituzionale, enunciando il principio per cui "attività compiute in dispregio dei fondamentali diritti del cittadino non possono essere assunte di per sé a giustificazione e fondamento di atti processuali a carico di chi quelle attività costituzionalmente illegittime abbia subito". Il suddetto principio ha consentito l'elaborazione della categoria delle prove cosiddette incostituzionali, cioè di prove ottenute attraverso modalità, metodi e comportamenti realizzati in violazione dei fondamentali diritti del cittadino garantiti dalla Costituzione, da considerarsi perciò inutilizzabili nel processo. L'acquisizione dei tabulati in assenza di un decreto autorizzatorio dell'Autorità giudiziaria rende inutilizzabili i dati in essi contenuti.

Testo della sentenza
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. VI PENALE - 14 aprile 2023 N. 15836

1. Sono fondati limitatamente al terzo motivo i ricorsi proposto nell'interesse di A.A. e B.B..

1.1. E' inammissibile il primo motivo di ricorso, relativo alla qualificazione giuridica del fatto concussivo contestato al capo 3).

Con una puntuale motivazione la Corte ha ricostruito i fatti, descritto l'abuso costrittivo compiuto dagli imputati nel corso del tempo, volto a far conseguire un indebito arricchimento in favore della (Omissis) con danno della società del E.E., ha spiegato in cosa sarebbero consistite le condotte minatorie poste in essere dagli imputati strumentalizzando le rispettive qualità e i rispettivi poteri e ha chiarito come già con l'atto di appello gli imputati non avessero tenuto conto di una serie di elementi probatori che pure erano stati evidenziati dal Tribunale (cfr., pagg. 31- 32 sentenza impugnata).

Rispetto a detta trama argomentativa, il motivo di ricorso rivela la sua strutturale inammissibilità perchè, da una parte, del tutto generico, non essendosi gli imputati confrontati con la motivazione della sentenza, e, dall'altro, sostanzialmente volto a sollecitare una diversa valutazione delle prove e, sostanzialmente, una diversa ricostruzione dei fatti.

1.2. E' inammissibile anche il secondo motivo di ricorso proposto nell'interesse di A.A., relativo al fatto di abuso d'ufficio contestato al capo 34, riqualificato dal Tribunale in peculato e nuovamente ricondotto dalla Corte al reato previsto dall'art. 323 c.p..

Sostiene l'imputato che la Corte avrebbe accolto il motivo di ricorso, riqualificato nuovamente il fatto senza tuttavia "rimodulare" la pena.

Si tratta di un assunto manifestamente infondato avendo la Corte proceduto ad una riduzione della pena inflitta per continuazione rispetto a quella inflitta dal Tribunale "anche in ragione della riqualificazione dell'addebito di cui al capo 34)" (così la Corte a pag. 36).

1.3. E' invece fondato il terzo motivo di ricorso, proposto nell'interesse di entrambi gli imputati, avendo la Corte obiettivamente omesso di motivare, anche sinteticamente, sulla entità degli aumenti di pena inflitti a seguito del riconoscimento della continuazione tra i reati.

Ne consegue che sul punto la sentenza deve essere annullata con rinvio per un nuovo giudizio.

2. E' fondato il ricorso proposto nell'interesse di H.H., a cui sono stati contestati i capi 16)- 20) - 21) Quanto al capo 16), a D.D., nella qualità di segretario comunale di (Omissis), si contesta, in concorso con A.A., di aver formato falsamente un contratto di appalto; ai capi 20)- 21) si contesta di avere falsamente attestato, nella qualità indicata, la pubblicazione della determina n. 75 del 30.8.2016, avente ad oggetto la nomina della commissione di una determinata gara (capo 20), e la redazione in data 6.9.2016 della delibera n. 109 della Giunta del Comune di (Omissis).

La prova della responsabilità è stata fatta discendere anche da una serie di elementi probatori relativi alla geolocalizzazione di una determinata utenza cellulare, attribuita all'imputato, volti a comprovare come in realtà questi fosse in un luogo diverso al momento della adozione degli atti di cui si è detto.

2.1. In tale contesto, è stata posta la questione relativa alla utilizzazione probatoria dei tabulati telefonici comprovanti la localizzazione dell'utenza telefonica di cui si è detto.

Secondo la Corte di appello, la questione di inutilizzabilità dedotta dall'imputato, secondo cui i tabulati sarebbero stati acquisiti dalla polizia giudiziaria senza un provvedimento autorizzatorio dell'Autorità giudiziaria, sarebbe infondata perchè:

a) non sarebbe provato che detti tabulati furono acquisiti su diretta iniziativa della polizia giudiziaria e non con un decreto del Pubblico Ministero;

b) non trattandosi di un'ipotesi di inutilizzabilità c.d. patologica, cioè quella derivante dalla violazione di un divieto probatorio, la questione non sarebbe deducibile nel presente processo, celebrato nelle forme del giudizio abbreviato;

c) nel presente processo non sarebbe stato fatto uso delle informazioni relative al contenuto, alla forma, alla identificazione delle utenze coinvolte ovvero alla durata delle conversazioni intercorse, ma solo di quelle relative alla collocazione Spa ziale della utenza in determinati periodi di tempo; si tratterebbe di informazioni, ha aggiunto la Corte, che non atterrebbero alla sfera della riservatezza tutelata dall'art. 15 Cost.: l'art. 132 D.Lgs. 30 giugno 2003 avrebbe riguardo solo all'attività di acquisizione dei dati relativi al traffico telefonico, definiti dall'art. 121, comma 1, lett. h) del medesimo decreto, ma non anche di quelli relativi, come nel caso di specie, alla ubicazione della utenza.

2.2. Si tratta di assunti che non possono essere condivisi.

L'imputato è stato condannato sulla base delle inferenze probatorie desunte dalle risultanze dei dati esterni delle comunicazioni del cellulare.

L'art. 132, comma 3, del D.Lgs. n. 196 del 2003, nella formulazione vigente all'epoca dell'acquisizione dei dati, prevedeva il potere del pubblico ministero, per finalità di accertamento e repressione dei reati, di acquisire con decreto motivato presso il fornitore, entro il termine di ventiquattro mesi dalla data della comunicazione, i dati esterni delle comunicazioni, anche su istanza del difensore dell'imputato, della persona sottoposta ad indagini, della persona offesa o delle altre parti private.

E' noto come i Costituenti avessero consapevolezza che l'evoluzione della società avrebbe posto sul terreno sempre nuovi e frequenti rapporti tra Stato e consociati e per questo avevano creato uno strumento dinamico di protezione dei diritti, con una stesura dell'art. 2 che progressivamente ha lasciato emergere un numero sempre più ampio di diritti fondamentali della persona.

E' noto anche come nella prima parte della Costituzione si trovino tre aree fondamentali di tensione tra diritto della persona e potere intrusivo dello Stato quali la libertà personale (art. 13), il domicilio (art. 14), le comunicazioni (art. 15) e come le discipline dettate nelle tre norme citate abbiano due fondamentali tratti comuni.

Il primo è la riserva di legge, che meglio garantisce la base democratica del corpo istituzionale cui spetta regolare le limitazioni della libertà, meglio assicura la conoscibilità generale e preventiva delle regole, meglio conferisce cogenza e uniformità alla soluzione di bilanciamento prescelta.

Il secondo è la riserva di giurisdizione, che riserva ad un'autorità pubblica ad indipendenza garantita l'accertamento di corrispondenza tra la fattispecie concreta e la regola limitatrice.

Proprio la riserva di legge assume particolare importanza in ragione della diffusione di nuove metodologie investigative a carattere pervasivo.

Riserva di legge vuol dire che le norme di legge ordinaria debbono declinare una disciplina chiara, precisa e determinata: nella materia delle prove che limitano diritti fondamentali si possono mutuare i princì pi di frammentarietà e determinatezza che sono stati oggetto di studio nell'ambito del diritto penale sostanziale.

Da questo sfondo costituzionale, informato al principio di legalità, si ricava altresì, con sempre maggiore chiarezza, il principio di proporzionalità.

Quando il legislatore regola un atto idoneo a comprimere diritti fondamentali egli non è libero, giacchè la disciplina deve soddisfare requisiti assai stringenti: occorre che la misura limitativa sia idonea a raggiungere lo scopo e risulti indispensabile per conseguire quel fine; inoltre, il sacrificio imposto al bene giuridico deve essere giustificato dalla gravità del reato.

Il risvolto negativo del quadro appena delineato è quello della prova incostituzionale: quando non esiste una norma di rango legislativo che soddisfi - nell'an e nel quomodo la predetta riserva, l'acquisizione non può che considerarsi vietata: dal silenzio del legislatore si ricava un limite probatorio, e cioè che quando è in gioco la tutela di diritti fondamentali, è vietato tutto ciò che non è espressamente consentito.

In questo quadro di riferimento, un elemento di apparente distonia potrebbe essere individuato nell'art. 189 c.p.p. che consente l'ingresso processuale della prova atipica.

La norma appena citata, si è fatto acutamente osservare, non è tuttavia tale da alterare i connotati del disegno complessivo: essa stabilisce solo che la prova innominata entra nel processo penale se è idonea ad accertare e non lede la libertà morale, previo contraddittorio dinanzi al giudice.

Ci si è chiesti se la disposizione in oggetto valga ad attuare la riserva costituzionale stabilita a tutela dei diritti fondamentali, di modo che, attraverso tale canale, possano ammettersi prove atipiche lesive delle istanze in parola, e la risposta fornita è che la disposizione appena indicata vale ad introdurre quelle sole prove atipiche che non rechino vulnus ad istanze costituzionalmente tutelate e che, dunque, non richiedono una disciplina legislativa espressa.

La norma in oggetto non ha cioè la funzione di aprire il sistema, bensì di chiuderlo.

In definitiva, il concetto di prova incostituzionale porta con sè un divieto probatorio implicito desumibile a contrario dai silenzi del codice: la prova lesiva di diritti fondamentali, anche se atipica, è vietata e, se acquisita, è inutilizzabile.

2.3. In tale contesto si pone il tema della tutela dei diritti rispetto al ricorso generalizzato agli strumenti di raccolta automatizzata dei dati personali, come appunto i tabulati, siano essi dati - non comunicativi - di geolocalizzazione, ovvero dati relativi ad immagini, dati digitali o piuttosto informazioni relative al traffico telefonico.

Con la tradizionale locuzione "dati esteriori di comunicazioni" si intende fare riferimento ad una serie di informazioni di varia natura, suscettibili di acquisizione e utilizzazione processuale, che riguardano non solo i dati relativi alle telefonate su apparecchi fissi o mobili, ma anche ogni altro tipo di comunicazione elettronica; la prassi operativa si è evoluta al punto di poter geolocalizzare una utenza mobile non solo ex post, ma, soprattutto, anche in tempo diretto, ed in assenza di captazione, mediante la costante rilevazione delle celle di aggancio della stazione mobile, consentendo una sorta di pedinamento elettronico del possessore del cellulare anche nei momenti in cui questi non comunica.

E' noto anche come il tabulato indichi il prospetto cartaceo o telematico contenente i dati esterni alle comunicazioni, che pure afferiscono ad una lesione periferica della riservatezza, in ragione della minore invasività del mezzo rispetto a quello intercettivo.

Si tratta di dati personali qualificati perchè forniscono retrospettive di indubbio rilievo quali il tempo, la durata, la frequenza delle chiamate, le utenze contattate, i codici IMEI, gli intestatari delle schede SIM, e, come nei caso in esame, l'ubicazione della utenza mediante la geolocalizzazione storica delle celle di aggancio; si tratta di dati di indubbia sensibilità, perchè incidenti sulla personalità e sulla sfera privata del titolare della utenza telefonica.

I dati esteriori di comunicazioni, si è correttamente rilevato, consentono cioè di creare una mappatura fedele ed esaustiva di una parte importante dei comportamenti privati di una persona; dati che possono inerire persino al ritratto della sua identità personale.

Ciò giustifica una forte esigenza di tutela, recepita nel corso del tempo dalla Corte costituzionale che, già con la sentenza n. 81 del 1993, riconobbe, in forza dell'art. 15 Cost., il diritto di mantenere segreti tanto i dati che possono portare alla identificazione dei soggetti della conversazione, quanto quelli relativi al tempo ed al luogo della comunicazione; la Corte ravvisò una lesione marginale di una zona periferica rispetto al nucleo essenziale segnato dall'art. 15 Cost. e, proprio in ragione di ciò, ritenne sufficiente, ai fini dell'acquisizione dei tabulati, un decreto motivato del pubblico ministero e- onde soddisfare la riserva di legge - mutuò (allora) la disciplina stabilita nell'art. 256 c.p.p..

La stessa Corte costituzionale successivamente ha evidenziato la "notevole capacità intrusiva di un'attività investigativa che coinvolga i tabulati, con conseguente sua riconducibilità "alle garanzie dell'art. 15 Cost. in rapporto alle limitazioni della libertà e segretezza di ogni forma di comunicazione" (Corte Cost. n. 188 del 2010) confermando che per ogni cittadino il ricorso a tale strumento di indagine deve essere necessariamente soggetto alle garanzie previste dall'art. 15 Cost. (Corte Cost. n. 38 del 2019).

2.4. In tale articolato quadro di riferimento, la Grande Sezione della Corte di Giustizia dell'Unione Europea, con la sentenza del 2 marzo 2021, H.K. c. Prokunrantuur (causa C-746/18), pronunciandosi sul rinvio pregiudiziale formulato dalla Corte Suprema estone in ordine all'interpretazione dell'art. 15, par. 1, dir. 2002/58/CE - relativa al trattamento dei dati personali e alla tutela della vita privata nel settore delle comunicazioni elettroniche - come modificata dalla direttiva 2009/136/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 25 novembre 2009 - ha delineato una serie di condizioni cui gli Stati membri devono subordinare l'accesso ai dati conservati dai fornitori da parte dell'autorità pubblica per finalità di prevenzione, accertamento o repressione dei reati, in modo da poter bilanciare tale esigenza con la contrapposta necessità di tutelare il diritto alla riservatezza.

La Corte di Giustizia, in particolare, approfondendo i principi già affermati in precedenza in materia di data retention (Corte Giustizia, Grande Sezione, 21 dicembre 2016, cause riunite C-203/15 e C-698/15, Tele2 Sverige AB; Corte Giustizia, Grande Sezione, 8 aprile 2014, cause riunite C-293/12 e C-594/12, Digitale Rights Ireland), ha affermato che:

- la direttiva, letta alla luce degli artt. 7, 8 e 11 nonchè dell'art. 52, paragrafo 1, della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea, osta a una normativa nazionale che permetta alle autorità pubbliche l'accesso a dati relativi al traffico o a dati relativi all'ubicazione, idonei a fornire informazioni sulle comunicazioni effettuate da un utente di un mezzo di comunicazione elettronica o, come nel caso di specie, sull'ubicazione delle apparecchiature terminali da costui utilizzate, per finalità di prevenzione, ricerca, accertamento e perseguimento di reati, senza che tale accesso sia circoscritto a procedimenti aventi per scopo la lotta contro forme gravi di criminalità o la prevenzione di gravi minacce alla sicurezza pubblica;

- la direttiva, letta alla luce della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea, osta a una normativa nazionale che investa il pubblico ministero della competenza ad autorizzare l'accesso ai dati relativi al traffico e ai dati relativi all'ubicazione al fine di condurre un'istruttoria penale, dovendo il controllo preventivo essere rimesso a un giudice o a una autorità amministrativa indipendente, comunque diversa dall'autorità richiedente.

Secondo la Corte di giustizia, dunque, l'accesso ai dati può essere consentito solo: (i) in presenza di "forme gravi di criminalità" o per far fronte a "gravi minacce alla sicurezza pubblica" e (il) se vi sia la preventiva autorizzazione di un'autorità giudiziaria o amministrativa indipendente e terza rispetto alle parti, pubbliche e private.

2.5. Al di là del tema, pure rilevante, dell'applicazione diretta dei principi affermati dalla Corte di Giustizia, il legislatore italiano ha adottato il D.L. 30 settembre 2021, n. 132 (Misure urgenti in materia di giustizia e di difesa, nonchè proroghe in tema di referendum, assegno temporaneo e IRAP), entrato in vigore il 30 settembre 2021, al fine dichiarato di adeguare la disciplina nazionale ai principi enunciati dalla Corte di giustizia nella sentenza del 2 marzo 2021.

Il preambolo del decreto-legge richiama proprio "la straordinaria necessità ed urgenza di garantire la possibilità di acquisire dati relativi al traffico telefonico e telematico per fini di indagine penale nel rispetto dei principi enunciati dalla Grande sezione della Corte di giustizia dell'Unione Europea nella sentenza del 2 marzo 2021, causa C-746/18, e in particolare di circoscrivere le attività di acquisizione ai procedimenti penali aventi ad oggetto forme gravi di criminalità e di garantire che dette attività siano soggette al controllo di un'autorità giurisdizionale".

L'art. 1 del decreto-legge, intitolato "Disposizioni in materia di acquisizione dei dati di traffico telefonico e telematico per fini di indagine penale" ha, dunque, riscritto l'art. 132, comma 3, del D.Lgs. n. 30 giugno 2003, n. 196, prevedendo che "entro il termine di conservazione imposto dalla legge, se sussistono sufficienti indizi di reati per i quali la legge stabilisce la pena dell'ergastolo o della reclusione non inferiore nel massimo a tre anni determinata a norma dell'art. 4 c.p.p., e di reati di minaccia e di molestia o disturbo alle persone col mezzo del telefono, quando la minaccia, la molestia e il disturbo sono gravi, ove rilevanti ai fini della prosecuzione delle indagini, i dati sono acquisiti presso il fornitore con decreto motivato del giudice su richiesta del pubblico ministero o su istanza del difensore dell'imputato, della persona sottoposta a indagini, della persona offesa e delle altre parti private".

Dunque, una giurisdizionalizzazione della procedura di acquisizione dei tabulati.

Nessun dubbio sulla necessità di un decreto motivato, che effettui un controllo sull'accesso ai dati esterni al traffico telefonico, demandato ad un soggetto indipendente e diverso dalle parti, pubbliche e private.

Un controllo finalizzato, così come previsto sin dall'origine dall'art. 15, paragrafo 1, della direttiva 2002/58/CE, a verificare il senso del bilanciamento tra effettività delle indagini e tutela del diritto alla riservatezza e alla vita privata.

Il testo del decreto-legge non ha contemplato una disciplina transitoria relativa ai dati di traffico telefonico e telematico già acquisiti, come nel caso di specie, nel corso di procedimenti pendenti alla data di entrata in vigore del decreto-legge, lasciando permanere le incertezze interpretative sopra indicate.

La L. 23 novembre 2021, n. 178, in sede di conversione del decreto legge (pubblicata il 29 novembre 2021), oltre ad apportare alcuni correttivi alla disciplina dell'acquisizione, ha tuttavia dettato una norma transitoria, volta specificamente a superare i contrasti interpretativi insorti in ordine all'utilizzabilità dei tabulati telefonici acquisiti dal pubblico ministero in forza della disciplina previgente.

La legge di conversione n. 178 del 2021, con l'inserimento del comma 1-bis all'interno dell'art. 1 del D.L. n. 132 del 2021, ha stabilito che i dati relativi al traffico telefonico acquisiti, come nel caso in esame, nei procedimenti penali prima della entrata in vigore del D.L. n. 132 del 2021 "possono essere utilizzati a carico dell'imputato solo unitamente ad altri elementi di prova ed esclusivamente per l'accertamento dei reati per i quali la legge stabilisce la pena dell'ergastolo o della reclusione non inferiore nel massimo a tre anni, determinata a norma dell'art. 4 c.p.p. e dei reati di minaccia e di molestia o disturbo alle persone con il mezzo del telefono, quando la minaccia, la molestia o il disturbo sono gravi".

Dunque, alla data in cui è stata pronunciata la sentenza impugnata - il 14.1.2022-la disciplina transitoria indicata era vigente.

2.6. Alla luce della lunga ricostruzione compiuta, la sentenza è viziata sotto molteplici profili.

2.6.1. La sentenza è innanzitutto viziata nella parte in cui la Corte sembra ipotizzare l'esistenza di un provvedimento autorizzatorio del Pubblico Ministero del quale tuttavia la stessa è consapevole non esservi traccia.

La Corte, in ragione del vizio dedotto, in ordine al quale certo non poteva essere attribuito alla parte l'onere di provare l'inesistenza del provvedimento autorizzatorio, avrebbe dovuto verificare l'esistenza delle condizioni che legittimavano l'acquisizione di quei tabulati e, dunque, accertare se davvero, contrariamente a quanto appare, un provvedimento di autorizzazione - di cui nessuno ha mai nemmeno ipotizzato l'esistenza- sia stato emesso.

2.6.2. Sotto altro profilo, non è affatto chiaro perchè, secondo la Corte di appello di Brescia, i tabulati acquisiti senza un decreto dell'Autorità Giudiziaria dovrebbero essere utilizzabili nel giudizio abbreviato.

Si è da tempo affermato che rientrano nella categoria delle prove sanzionate dall'inutilizzabilità, non solo le "prove oggettivamente vietate", ma anche quelle formate o acquisite in violazione dei diritti soggettivi tutelati dalla "legge" e, a maggior ragione, come in precedenza detto, quelle acquisite in violazione dei diritti tutelati in modo specifico dalla Costituzione.

La Corte costituzionale con la sentenza n. 34 del 1973 ha ravvisato l'esistenza di "divieti" probatori ricavabili in modo diretto dal dettato costituzionale, enunciando il principio per cui "attività compiute in dispregio dei fondamentali diritti del cittadino non possono essere assunte di per sè a giustificazione e fondamento di atti processuali a carico di chi quelle attività costituzionalmente illegittime abbia subito".

Il suddetto principio - come già detto - ha consentito l'elaborazione della categoria delle prove cosiddette incostituzionali, cioè di prove ottenute attraverso modalità, metodi e comportamenti realizzati in violazione dei fondamentali diritti del cittadino garantiti dalla Costituzione, da considerarsi perciò inutilizzabili nel processo.

L'acquisizione dei tabulati in assenza di un decreto autorizzatorio dell'Autorità giudiziaria rende inutilizzabili i dati in essi contenuti (Sez. U, n. 21 del 13/07/1998, Gallieri, Rv. 211197; Sez. U, n. 6 del 23/02/2000, D'Amuri).

Quanto al giudizio abbreviato, in senso assolutamente simmetrico è stato spiegato che deve attribuirsi piena rilevanza alla categoria sanzionatoria della inutilizzabilità cosiddetta "patologica", inerente cioè agli atti probatori assunti contra legem, il cui impiego è vietato in modo assoluto non solo nel dibattimento ma in qualsiasi altra fase del procedimento, ivi comprese le indagini preliminari, l'udienza preliminare, le procedure incidentali cautelari e quelle negoziali di merito.

In particolate "nell'affermare esplicitamente questo principio in riferimento ad alcune situazioni (Sez. U, 13.7.1998, Gallieri, e Sez. U. 23.2.2000, D'Amuri, in tema di tabulati telefonici; Sez. Un., 25.3.1998, D'Abramo e Sez. Un., 25.3.1998, Savino, sulle modalità di documentazione dell'interrogatorio di persona in stato di detenzione; Sez. Un., 20.11.1996, Glicora, e Sez. Un., 27.3.1996, Monteleone, sulle conseguenze della mancata allegazione al g.i.p. o al tribunale della libertà dei decreti autorizzativi di intercettazioni telefoniche, ai fini della sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza; Sez. Un., 27.3.1996, Sala, sulla perquisizione invalida e sul conseguente sequestro di corpo del reato o di cose pertinenti al reato)" le Sezioni Unite hanno sottolineato come:

"nel descritto fenomeno rientrano tanto le prove oggettivamente vietate quanto le prove comunque formate o acquisite in violazione - o con modalità lesive - dei diritti fondamentali della persona tutelati dalla Costituzione e, perciò, assoluti e irrinunciabili, a prescindere dall'esistenza di un espresso o tacito divieto al loro impiego nel procedimento contenuto nella legge processuale... In questo caso la disciplina normativa costruisce il divieto di utilizzazione della prova in termini di operatività assoluta: l'inosservanza del divieto non è affatto sanabile in virtù della mera richiesta dell'imputato di accesso al rito alternativo ed è rilevabile anche d'ufficio in ogni stato e grado del procedimento a norma dell'art. 191 c.p.p. " (così testualmente, Sez. U., n. 16 del 21&06/2000, Tammaro, Rv. 216247).

2.6.3. Nè, sotto ulteriore profilo, è fondato l'assunto secondo cui, essendo stati utilizzati solo i dati relativi alla ubicazione della utenza e non quelli relativi "al traffico telefonico", in tal caso i tabulati avrebbero potuto essere acquisiti anche solo dalla polizia giudiziaria.

Si tratta di un assunto non condivisibile per almeno tre ragioni.

La prima è che, come detto, in tema di diritti fondamentali è vietato tutto ciò che non è consentito e nessuna norma consente alla polizia giudiziaria di acquisire i tabulati.

La seconda ragione è che nel caso di specie sono stati acquisiti i tabulati contenenti tutti indistintamente i dati di traffico esterno delle comunicazioni.

Si è già detto di come la Corte Costituzionale già con la sentenza n. 81 del 1993 ebbe a chiarire che l'art. 15 della Costituzione, in mancanza delle garanzie ivi previste, preclude la divulgazione o, comunque, la conoscibilità da parte di terzi delle informazioni e delle notizie idonee a identificare i dati esteriori della conversazione telefonica (autori della comunicazione, tempo e luogo della stessa), dal momento che, facendone oggetto di uno specifico diritto costituzionale alla tutela della sfera privata attinente alla libertà e alla segretezza della comunicazione, ne affida la diffusione, in via di principio, all'esclusiva disponibilità dei soggetti interessati.

Più precisamente, il riconoscimento e la garanzia costituzionale della libertà e della segretezza della comunicazione comportano l'assicurazione che il soggetto titolare del corrispondente diritto possa liberamente scegliere il mezzo di corrispondenza, anche in rapporto ai diversi requisiti di riservatezza che questo assicura sia sotto il profilo tecnico, sia sotto quello giuridico.

E non v'è dubbio che, una volta che una persona abbia prescelto l'uso del mezzo telefonico, vale a dire l'utilizzazione di uno strumento che tecnicamente assicura una segretezza più estesa di quella riferibile ad altri mezzi di comunicazione (postali, telegrafici, etc.), ad essa, in forza dell'art. 15 della Costituzione, va riconosciuto il diritto di mantenere segreti tanto i dati che possano portare all'identificazione dei soggetti della conversazione, quanto quelli relativi al tempo e al luogo dell'intercorsa comunicazione.

Nello stesso tempo, sempre in forza dell'art. 15 della Costituzione, non può negarsi che al riconoscimento di tale diritto sia coessenzialmente legata la garanzia consistente nel dovere, posto a carico di tutti coloro che per ragioni professionali vengano a conoscenza del contenuto e dei dati esteriori della comunicazione, di mantenere il più rigoroso riserbo sugli elementi appena detti.

Se questa garanzia non ci fosse, infatti, risulterebbe vanificato il contenuto del diritto che l'art. 15 della Costituzione intende assicurare al patrimonio inviolabile di ogni persona in relazione a qualsiasi forma di comunicazione, tanto più se quest'ultima comporta, per la propria realizzazione, una consistente organizzazione di mezzi e di uomini.

"E, con specifico riguardo al problema in esame, a norma dell'art. 15 della Costituzione, le informazioni o i dati comportanti intromissioni nella sfera privata attinente al diritto inviolabile della libertà e della segretezza della comunicazione possono essere acquisiti soltanto sulla base di un atto dell'autorità giudiziaria, sorretto da "un'adeguata e specifica motivazione", diretta a dimostrare la sussistenza in concreto di esigenze istruttorie volte al fine, costituzionalmente protetto, della prevenzione e della repressione dei reati (così testualmente la Corte costituzionale).

Ne consegue che è viziato l'assunto secondo cui l'acquisizione dei dati di ubicazione della utenza potrebbero essere acquisiti dalla polizia giudiziaria.

La sentenza è gravemente viziata anche per non essersi la Corte confrontata con l'evoluzione normativa in precedenza descritta, con la sentenza della Corte di Giustizia indicata, con la L. 23 novembre 2021, n. 178, di conversione del D.L. n. 132 del 2021, di cui si pure detto, con la disciplina transitoria vigente al momento della sua decisione.

Si tratta di un punto decisivo sul quale la sentenza è silente.

2.6.4. Ne discende che la sentenza deve essere annullata nei riguardi di D.D. quanto ai capi 16- 20- 21 e, quanto al solo capo 16), anche in relazione alla posizione giuridica del correo A.A..

La Corte di appello, in sede di rinvio, verificata la inutilizzabilità dei tabulati, accerterà se ed in che limiti sia possibile formulare un giudizio di colpevolezza nei confronti del ricorrente e del di lui correo.

3. E' inammissibile il ricorso proposto nell'interesse di C.C..

Come già detto, all'imputato, consulente della società (Omissis) e sviluppo sostenibile, si contesta, in concorso con A.A., sindaco del Comune di (Omissis), F.F., funzionario dell'ente, e B.B., legale rappresentante della società (Omissis) Srl , di aver formato falsamente: a) una lettera senza protocollo, datata 4.8.2016, della (Omissis) inviata al Comune di (Omissis); b) una lettera senza protocollo, datata 11.8.2016, del Comune di (Omissis) inviata alla società indicata (capo 15).

3.1. E' utile richiamare gli accertamenti fattuali posti a fondamento del giudizio di responsabilità.

La Corte, richiamando anche la sentenza del Tribunale, ha spiegato che:

- con la missiva datata 4 agosto 2016 la (Omissis), da cui il Comune di (Omissis) aveva acquistato la telecabina con accordo approvato con delibera n. 38 del 4 agosto 2016, rinunciò al residuo del contributo regionale previsto dall'Accordo di Programma, con facoltà per il Comune di concludere l'intervento e subentrare in qualità di beneficiario del contributo;

- con la missiva del 11.8.2016 il Comune accettò la rinuncia subentrando quale beneficiario del contributo regionale;

- la falsità delle due missive sarebbe provata dal contenuto di alcune conversazioni telefoniche successive.

Si è fatto in particolare riferimento alla conversazione n. 823 del 27/10/2016 con cui l'imputato comunicò a A.A., sindaco del comune, che la Regione Lombardia gli aveva chiesto copia della lettera con cui la (Omissis) aveva rinunciato "al residuo dei cinquecento e trentamila Euro per il completamento dell'opera..." "e da parte del Comune tu che accetti".

Ha spiegato la Corte che A.A., ricordando che proprio il 4 agosto 2016 erano state adottate le delibere n. 38 e 39, suggerì a C.C. "le facciamo con quella data là" e che questi approvò dicendo "ecco fate una lettera di rinuncia e il Comune che accetta" (chiarissima sul punto la Corte a pag. 40 e 41 della sentenza impugnata da cui, sulla base di una serie di elementi fattuali, puntualmente richiamati, si è fatta derivare la prova dell'accordo volto alla falsificazione delle lettere) Si è aggiunto che C.C., sulla base degli accordi raggiunti con il A.A., inviò sia il modello delle lettere di rinuncia e di accettazione.

3.2. Sulla base di tale quadro di riferimento sono chiaramente inammissibili il primo ed il secondo motivo di ricorso, riguardanti la prova della compartecipazione criminosa e quella del dolo.

Si tratta di motivi meramente reiterativi delle deduzioni oggetto di appello sulle quali la Corte ha puntualmente chiarito il contributo concorsuale e il dolo di concorso, trattandosi di falsi preordinati e concertati.

3.3. Non diversamente sono inammissibili il terzo e il quarto motivo di ricorso.

La Corte di cassazione ha chiarito in più occasioni che il falso può dirsi inutile, superfluo, innocuo quando la condotta, pur incidendo sul significato letterale di un atto, non incide sul suo significato comunicativo (Sez. 5, n. 38720 del 19/06/2008, Rocca, Rv. 241936), nel senso che l'infedele attestazione (nel falso ideologico) o l'alterazione (nel falso di falso materiale) sono del tutto irrilevanti ai fini del significato dell'atto, non esplicando effetti sulla funzione documentale dell'atto stesso di attestazione dei dati in esso indicati (Sez. 5, n. 35076 del 21/04/2010, Immordino, Rv. 248395).

In particolare, si è spiegato che l'innocuità non deve essere valutata con riferimento all'uso che dell'atto falso venga fatto e, soprattutto, deve emergere dall'atto stesso (Sez. 5, n. 5896 del 29/10/2020, Brisciano, Rv. 280453; Sez. 5, n. 8200 del 15/01/2018, Franco, Rv. 272419; Sez. 5, n. 2809 del 17/10/2013 - dep. 2014, Ventriglia, Rv. 258946).

Sussiste il falso innocuo quando esso si riveli in concreto inidoneo a ledere l'interesse tutelato dalla genuinità dei documenti e cioè quando non abbia la capacità di conseguire uno scopo antigiuridico, nel senso che l'infedele attestazione o la compiuta alterazione appaiano del tutto irrilevanti ai fini del significato dell'atto e del suo valore probatorio e, pertanto, inidonee al conseguimento delle finalità che con l'atto falso si intendevano raggiungere; in tal caso, infatti, la falsità non esplica effetti sulla funzione documentale che l'atto è chiamato a svolgere, che è quella di attestare i dati in esso indicati, con la conseguenza che l'innocuità non deve essere valutata con riferimento all'uso che dell'atto falso venga fatto. (Sez. 5, n. 3564, del 07/11/2007, dep. 2008, De Mori, Rv. 238875 in cui la Corte ha ritenuto immune da censure la decisione con cui il giudice di appello ha ritenuto sussistente, ex art. 483 c.p., la responsabilità di un ex sindaco e di un segretario comunale che avevano sottoscritto una lettera con falsa data diretta al Ministero dell'industria con la quale si dichiarava che il comune esprimeva parere favorevole alla realizzazione di un impianto di cogenerazione di energia elettrica).

Nel caso di specie, al di là delle affermazioni difensive e delle argomentazioni della Corte, non solo quelle lettere erano necessitate perchè richieste dalla Regione Lombardia, ma, soprattutto, furono falsificate nella indicazione della data e quella non conformità al vero non era affatto evincibile dall'atto-documento stesso, ma ha costituito il risultato di un'attività accertativa aliunde eseguita.

Peraltro costituisce atto pubblico, tutelato come tale dalla disciplina sulle falsità documentali, qualunque documento proveniente da un pubblico ufficiale nell'esercizio delle sue funzioni e destinato ad inserirsi con contributo di conoscenza o di determinazione in un procedimento della pubblica amministrazione (cfr., Sez. 6, n. 2725 del 12/01/1996, Macrì, Rv. 204778 in cui, affermando detto principio, la Corte ha ritenuto la configurabilità del reato di falso ideologico di cui all'art. 479 con riguardo ad una lettera del Presidente dell'U.S.L. colla quale un determinato soggetto, falsamente indicato come vincitore di concorso, veniva invitato a prendere servizio presso l'Ente. Al proposto è stato rilevato che tale documento legittimava successivi atti di assegnazione e di insediamento e pertanto veniva a costituire una componente della fattispecie che avrebbe portato alla instaurazione di rapporto giuridico del predetto soggetto con la P.A.).

3.4. Sono inammissibili anche il quinto e il sesto motivo di ricorso.

Quanto al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche ed alla dosimetria della pena, rispetto alla puntuale motivazione della Corte (cfr., pag. 43 sentenza impugnata) nulla di specifico è stato dedotto, essendosi l'imputato limitato a reiterare le stesse argomentazioni portate alla cognizione della Corte e da questa correttamente valutate.

Quanto alla causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, il motivo è inammissibile non solo perchè generico, ma anche per essere stata dedotta la questione in appello solo in sede di discussione.

All'inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo determinare in Euro 3000.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata nei confronti di D.D. in relazione ai capi 16, 20 e 21, nei confronti di A.A. in relazione al capo 16 e con riferimento agli aumenti per la continuazione nonchè nei confronti di B.B. limitatamente agli aumenti per la continuazione e rinvia ad altra Sezione della Corte di appello di Brescia per nuovo giudizio in relazione ai suddetti capi e punti.

Dichiara inammissibile nel resto i ricorsi di A.A. e B.B..

Dichiara inammissibile il ricorso di C.C. che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

Conclusione

Così deciso in Roma, il 11 gennaio 2023.

Depositato in Cancelleria il 14 aprile 2023