1. La disamina del ricorso presuppone la sintetica ricognizione del quadro normativo e giurisprudenziale di riferimento.
2. Il diritto del detenuto, sottoposto al regime differenziato di cui all'art. 41-bis Ord. pen., al colloquio con i familiari, assoggettati al medesimo regime, è stato riconosciuto, a determinate condizioni, dalla più recente giurisprudenza di questa Corte.
Sez. 1, n. 31634 del 24/06/2022, Casa circondariale di (Omissis), Rv. 28349601, sulla scia di un precedente arresto (Sez. 1, n. 7654 del 12/12/2014, dep. 2015, Rv. 262417-01), ha infatti ribadito che la detenzione in regime differenziato non esclude, in via di principio, che il ristretto possa essere autorizzato ad avere colloqui con altro detenuto, incluso nel medesimo circuito, legato al primo da rapporti genitoriali o familiari, mediante forme di comunicazione controllabili a distanza, tali da consentire la coltivazione della relazione parentale e, allo stesso tempo, da impedire scambi di comunicazioni idonei a generare pericolo per la sicurezza interna degli istituti o per la sicurezza pubblica.
Questo orientamento, che muove dal bisogno di rinvenire un punto di equilibrio tra esigenze di sicurezza e rispetto di diritti costituzionalmente e convenzionalmente protetti, merita di essere condiviso, non potendo essere accolta l'opposta radicale soluzione, non imposta invero da alcuna cogente disposizione di legge, e inidonea ad attuare il corretto bilanciamento degli interessi in gioco, che ha pure trovato eco in sede di legittimità (Sez. 1, n. 29007 dell'11/06/2021, Gualtieri).
3. Il riconoscimento del diritto del detenuto, sottoposto al regime differenziato di cui all'art. 41-bis Ord. pen., al colloquio con i familiari, assoggettati al medesimo regime, non può risolversi, come si anticipava, nello svilimento delle esigenze di sicurezza che stanno a fondamento dell'istituto.
Occorre invece rapportare quel diritto a tali esigenze, e alla necessità del loro soddisfacimento, in modo da addivenire a soluzioni ragionevoli e di equilibrio.
Nell'individuazione di esse non ci si può arrestare, dunque, all'affermazione di massima in ordine alla tendenziale compatibilità del colloquio in discorso con il regime detentivo differenziato, a cui siano sottoposti entrambi i soggetti richiedenti. Occorre piuttosto ricercare il punto di sintesi, per mezzo di una attenta considerazione di tutti gli elementi rilevanti.
In questa direzione va intesa la disposizione di cui all'art. 16.2 della Circolare dipartimentale del 2 ottobre 2017, per la parte in cui prescrive, con riguardo ai detenuti sottoposti al regime differenziato, che "eventuali richieste di colloqui telefonici con altri familiari ristretti in regime di 41-bis e non, saranno generalmente accolte, salvo che dal parere non vincolante, richiesto alla competente DDA, emergano concreti e rilevanti elementi che ne sconsiglino l'effettuazione".
La prescrizione è specificamente intesa a permettere alla Direzione di istituto, che opera sotto l'eventuale controllo della magistratura di sorveglianza, di giovarsi di un quadro conoscitivo esaustivo ed approfondito, entro cui collocare l'esercizio di quel diritto al colloquio che, in ragione della particolare situazione dei soggetti collocutori, deve misurarsi con le ricordate ragioni di ordine e prevenzione dei reati.
Non vi è dubbio che la Direzione distrettuale antimafia del luogo dei commessi reati rappresenti, in relazione alla tipologia di questi ultimi, un consulente privilegiato, in grado di rappresentare, sulla base di precise e significative circostanze di fatto, l'esistenza di possibili fattori ostativi allo svolgimento del colloquio. Non a caso, la Circolare stabilisce che la richiesta di parere alla Direzione distrettuale antimafia "è volta ad integrare l'attività istruttoria sottesa al rilascio o meno dell'autorizzazione", essendo l'organo consultivo in possesso di un "patrimonio informativo" prezioso al fine di "orientare la scelta amministrativa". La Direzione di istituto dovrà dunque tenere in attenta considerazione tale apporto conoscitivo, che, quantunque costituisca una qualificata e affidabile fonte di orientamento e decisione, non ha tuttavia valore vincolante.
Nell'esercizio del suo controllo di legalità sull'operato dell'Amministrazione penitenziaria, la magistratura di sorveglianza non può a sua volta prescindere da tale cornice legale, e, a fronte della segnalata emersione di specifici indici di rischio, legati allo svolgimento dei colloqui telefonici, da un lato non può pretermetterli, semplicemente sostituendo il proprio diverso apprezzamento a quello dei titolati organi dello Stato, specificamente deputati alla loro rilevazione e interpretazione, ma allo stesso deve sottoporli ad autonomo vaglio critico.
La magistratura di sorveglianza ha infatti il compito di verificare se gli elementi ostativi, eventualmente emergenti dal parere non vincolante della Direzione distrettuale antimafia, abbiano fattuale consistenza e siano idonei, una volta recepiti, a giustificare una seria prognosi di pericolosità del richiesto colloquio, tale che il diniego finale di effettuazione, opposto dall'Amministrazione, non risulti arbitrario e si muova, viceversa, nella giusta cornice di corretto contemperamento di contrastanti diritti e interessi, implicante la necessaria prevalenza delle poziori esigenze di ordine e sicurezza pubblica.
4. Il ricorso, in entrambi i motivi che lo compongono, connessi e congiuntamente esaminabili, deve giudicarsi allora infondato, avendo l'ordinanza impugnata fatto buon governo di tali complessivi principi.
Le ragioni rappresentate dalla Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria sono state prese in specifica considerazione dal giudice a quo e, con argomentazione non apparente, sono state ritenute prive di convincente efficacia predittitiva ostativa.
Ha osservato il Tribunale di sorveglianza come l'Autorità giudiziaria requirente si sia meramente richiamata alla posizione verticistica rivestita dai detenuti interessati nella comune organizzazione criminale, senza fornire tuttavia concrete evidenze investigative di quel significativo aumento del livello di rischio, legato all'effettuazione del colloquio diretto, rispetto ai canali comunicativi familiari già attivi e consentiti, che l'Amministrazione ricorrente richiama nel suo atto di impugnazione. Il Tribunale ha anche valutato che le modalità, rigorosamente controllate, di svolgimento del colloquio diretto fossero idonee alla prevenzione del rischio ordinario, alla sua effettuazione fisiologicamente connesso.
E' sulla base di tale coerente ragionamento, che non trasmoda in un sindacato eccedente l'ambito della giurisdizione, che l'ordinanza impugnata è giunta ad escludere la ragionevolezza del divieto.
Tali valutazioni sono incensurabili in questa sede, tenuto anche conto che, nel procedimento susseguente a reclamo giurisdizionale ex art. 35-bis Ord. pen., il controllo di legittimità può essere compiuto esclusivamente sotto il profilo della violazione di legge, che include la totale mancanza o fittizietà della motivazione giudiziale (tra le molte, Sez. 1, n. 5697 del 12/12/2014, dep. 2015, Ministero della Giustizia, Rv. 262356-01), nella specie da escludere.
5. Il ricorso è respinto, alla stregua delle considerazioni che precedono.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Conclusione
Così deciso in Roma, il 20 dicembre 2022.
Depositato in Cancelleria il 11 aprile 2023