Giu gli elementi costitutivi del reato di circonvenzione di incapace
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. II PENALE - 07 aprile 2023 N. 14863
Massima
In punto di configurabilità del reato di cui all'art. 643 c.p. occorre richiamare i seguenti principi che l'odierno collegio condivide integralmente: "Ai fini dell'integrazione dell'elemento materiale del delitto di circonvenzione di incapace, devono concorrere: (a) la minorata condizione di autodeterminazione del soggetto passivo (minore, infermo psichico e deficiente psichico) in ordine ai suoi interessi patrimoniali: (b) l'induzione a compiere un atto che comporti, per il soggetto passivo e/o per terzi, effetti giuridici dannosi di qualsiasi natura, che deve consistere in un'apprezzabile attività di pressione morale e persuasione che si ponga, in relazione all'atto dispositivo compiuto, in rapporto di causa ad effetto; (c) l'abuso dello stato di vulnerabilità del soggetto passivo, che si verifica quando l'agente, ben conscio della vulnerabilità del soggetto passivo, ne sfrutti la debolezza per raggiungere il fine di procurare a sè o ad altri un profitto (Cass. Sez. 2, sent. n. 39144 del 20/06/2013, dep. 23/09/2013, Rv. 257068).

Pacifico è, poi, in punto di diritto che "il delitto di circonvenzione di incapace non esige che il soggetto passivo versi in stato di incapacità di intendere e di volere, essendo sufficiente anche una minorata capacità psichica, con compromissione del potere di critica ed indebolimento di quello volitivo, tale da rendere possibile l'altrui opera di suggestione e pressione" (Sez. 2, n. 3209 del 20/12/2013 - dep. 23/01/2014, P.O. in proc. De Mauro Luigi e altro, Rv. 25853701). Rientra, pertanto, nella nozione di "deficienza psichica" ex art. 643 c.p. la minorata capacità psichica, con compromissione del potere di critica ed indebolimento di quello volitivo, tale da rendere possibile l'altrui opera di suggestione, perchè è "deficienza psichica" qualsiasi minorazione della sfera volitiva ed intellettiva che agevoli la suggestionabilità della vittima e ne riduca i poteri di difesa contro le altrui insidie (Cass. Sez. 2, sent. n. 24192 del 05/03/2010, dep. 23/06/2010, Rv. 247463).

La Corte di Cassazione, in passato, ha avuto modo di chiarire quanto al concetto di induzione che indurre vuoi dire convincere, influire sulla volontà altrui, essendo necessario, ai fini dell'integrazione del reato, uno stimolo, posto in essere dall'agente nei confronti del soggetto passivo, che determini quest'ultimo al compimento dell'atto dannoso, non essendo sufficiente giovarsi semplicemente delle menomate condizioni psichiche del soggetto passivo (Sez. 2, sent. n. del 24/06/1985, Rv. 170826).

E', poi, altrettanto pacifico che il convincimento circa la prova dell'induzione per la configurabilità dell'art. 643 c.p. ben può essere fondato su elementi indiretti e indiziari, cioè risultare da elementi precisi e concordanti come la natura degli atti compiuti e il pregiudizio da essi derivante (cfr. in tal senso Cass. Sez. 2, Sent. n. 17415 del 23/01/2009, dep. 23/04/2009, Rv. 244343).

L'art. 643 c.p. al fine di ritenere integrata la fattispecie criminosa, prevede (in aggiunta alla minorata capacità di cui si è detto) altri due elementi oggettivi: - l'induzione a compiere un atto che importi, per il soggetto passivo e/o per altri, qualsiasi effetto giuridico dannoso. Per induzione deve intendersi un'apprezzabile attività di pressione morale e di persuasione Cass. 13.12.1993, Di Falco, CED 196331 che si ponga, in relazione all'atto dispositivo compiuto, in un rapporto di causa ed effetto; - L'abuso dello stato di vulnerabilità che si verifica quando l'agente, conscio della vulnerabilità del soggetto passivo, ne sfrutti la debolezza per raggiungere il suo fine ossia quello di procurare a sè o ad altri un profitto.

Testo della sentenza
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. II PENALE - 07 aprile 2023 N. 14863

1. Prima di procedere all'esame dei singoli motivi dei ricorsi, anche al fine di evitare inutili ripetizioni, appaiono opportune alcune premesse in ordine agli ambiti del sindacato di legittimità nonchè relativamente ai principi riguardanti la fattispecie di cui all'art. 643 c.p. 1.1. "I limiti del sindacato di legittimità".

Va, in primo luogo, rilevato che al giudice di legittimità è preclusa - in sede di controllo della motivazione - la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, preferiti a quelli adottati dal giudice del merito perchè ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa. Tale modo di procedere trasformerebbe, infatti, la Corte nell'ennesimo giudice del fatto, mentre la Corte, anche nel quadro della nuova disciplina, è - e resta - giudice della motivazione.

Secondo le Sezioni Unite "l'indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione essere limitato - per espressa volontà del legislatore - a riscontrare l'esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilità di verificare l'adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali; l'illogicità della motivazione, come vizio denunciabile, deve essere evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile "ictu oculi", dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purchè siano spiegate in modo logico e adeguato le ragioni del convincimento (Cass. Sez. Un. sent. n. 24 del 24.11.1999 dep. 16.12.1999 rv 214794).

Deve, pure, essere rimarcato che ai fini del controllo di legittimità sul vizio di motivazione, la struttura giustificativa della sentenza di appello, trattandosi di c.d. doppia conforme, si salda con quella di primo grado, per formare un unico complessivo corpo argomentativo, allorquando il giudice del gravame, esaminando le censure proposte dall'appellante con criteri omogenei a quelli del primo giudice ed operando frequenti riferimenti ai passaggi logico giuridici della prima sentenza, concordi nell'analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento della decisione (Cass. Sez. 3, sent. n. 44418 del 16/07/2013, dep. 04/11/2013, Rv. 257595). Nel giudizio di appello è pertanto consentita la motivazione "per relationem" alla pronuncia di primo grado, nel caso in cui le censure formulate dall'appellante non contengano - come nel caso di specie - elementi di novità rispetto a quelle già condivisibilmente esaminate e disattese dalla sentenza richiamata (Cass. Sez. 2, sent. n. 30838 del 19/03/2013, dep. 18/07/2013, Rv. 257056).

Va, anche, osservato che l'omesso esame di un motivo di appello da parte della Corte di merito non da luogo a un difetto di motivazione rilevante a norma dell'art. 606 c.p.p., nè determina incompletezza della motivazione della sentenza allorchè, pur in mancanza di espressa disamina, il motivo proposto debba considerarsi implicitamente disatteso perchè incompatibile con la struttura e con l'impianto della motivazione, nonchè con le premesse essenziali, logiche e giuridiche che compendiano la ratio decidendi della sentenza medesima. Secondo il disposto dell'art. 597 c.p.p., comma 1, l'appello attribuisce al giudice di secondo grado la cognizione nel procedimento (limitatamente ai punti della decisione ai quali si riferiscono i motivi proposti).

Pertanto il giudice d'appello deve tenere presente, dandovi risposta in motivazione, quali sono state le doglianze dell'appellante in ordine ai punti (o capi art. 581, comma 1, lett. e) investiti dal gravame, ma non è tenuto ad indagare su tutte le argomentazioni elencate in sostegno dell'appello quando esse siano incompatibili con le spiegazioni svolte nella motivazione, poichè in tal modo quelle argomentazioni si intendono assorbite e respinte dalle spiegazioni fornite dal giudice di secondo grado. (Sez. 1, Sentenza n. 1778 del 21/12/1992 Ud. (dep. 23/02/1993) Rv. 194804).

Occorre rilevare, altresì, che in tema di motivi di ricorso per cassazione, non sono deducibili censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicità, dalla sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali ad imporre diversa conclusione del processo; per cui sono inammissibili tutte le doglianze che "attaccano" la persuasività, l'inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell'attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento". (Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015 - dep. 31/03/2015, 0., Rv. 26296501).

Deve, pure, evidenziarsi, in generale, che il giudizio sulla rilevanza ed attendibilità delle fonti di prova è devoluto insindacabilmente ai giudici di merito e la scelta che essi compiono, per giungere al proprio libero convincimento, con riguardo alla prevalenza accordata a taluni elementi probatori, piuttosto che ad altri, ovvero alla fondatezza od attendibilità degli assunti difensivi, quando non sia fatta con affermazioni apodittiche o illogiche, si sottrae al controllo di legittimità della Corte Suprema. Si è in particolare osservato che non è sindacabile in sede di legittimità, salvo il controllo sulla congruità e logicità della motivazione, la valutazione del giudice di merito, cui spetta il giudizio sulla rilevanza e attendibilità delle fonti di prova, circa contrasti testimoniali o la scelta tra divergenti versioni e interpretazioni dei fatti. (Sez. 2, n. 20806 del 05/05/2011 - dep. 25/05/2011, Tosto, Rv. 25036201).

Deve, inoltre, ricordarsi che mentre è consentito dedurre con il ricorso per cassazione il vizio di "travisamento della prova", che ricorre nel caso in cui il giudice di merito abbia fondato il proprio convincimento su una prova che non esiste o su un risultato di prova obiettivamente ed incontestabilmente diverso da quello reale, non è affatto permesso dedurre il vizio del "travisamento del fatto", stante la preclusione per il giudice di legittimità a sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito, e considerato che, in tal caso, si domanderebbe alla Cassazione il compimento di una operazione estranea al giudizio di legittimità, qual è quella di reinterpretazione degli elementi di prova valutati dal giudice di merito ai fini della decisione (così, tra le tante, Sez. 3, n. 39729 del 18/06/2009, Belluccia, Rv. 244623; Sez. 5, n. 39048 del 25/09/2007, Casavola, Rv. 238215).

E questo è tanto più vero laddove con l'impugnazione venga posto un mero problema di interpretazione di espressioni o frasi, trattandosi di questione di fatto, rimessa all'apprezzamento del giudice di merito, che si sottrae al giudizio di legittimità se - come nella fattispecie è accaduto - la valutazione risulta logica in rapporto alle massime di esperienza utilizzate.

Il ricorso per cassazione con cui si lamenta il vizio di motivazione per travisamento della prova, non può limitarsi, pena l'inammissibilità, ad addurre l'esistenza di atti processuali non esplicitamente presi in considerazione nella motivazione del provvedimento impugnato ovvero non correttamente od adeguatamente interpretati dal giudicante, quando non abbiano carattere di decisività, ma deve, invece: a) identificare l'atto processuale cui fa riferimento; b) individuare l'elemento fattuale o il dato probatorio che da tale atto emerge e che risulta incompatibile con la ricostruzione svolta nella sentenza; c) dare la prova della verità dell'elemento fattuale o del dato probatorio invocato, nonchè della effettiva esistenza dell'atto processuale su cui tale prova si fonda; d) indicare le ragioni per cui l'atto inficia e compromette, in modo decisivo, la tenuta logica e l'intera coerenza della motivazione, introducendo profili di radicale incompatibilità all'interno dell'impianto argomentativo del provvedimento impugnato. (Sez. 6 -, Sentenza n. 10795 del 16/02/2021 Ud. (dep. 19/03/2021) Rv. 281085 - 01.

Nel caso di cosiddetta "doppia conforme", è inammissibile ex art. 606, comma 3, c.p.p., il motivo fondato sul travisamento della prova, per utilizzazione di un'informazione inesistente nel materiale processuale o per omessa valutazione di una prova decisiva, che sia stato dedotto per la prima volta con il ricorso per cassazione, poichè in tal modo esso viene sottratto alla cognizione del giudice di appello, con violazione dei limiti del "devolutum" ed improprio ampliamento del tema di cognizione in sede di legittimità. (Sez. 6 -, Sentenza n. 21015 del 17/05/2021 Ud. (dep. 27/05/2021) Rv. 281665 - 01.

1.2. Il reato di circonvenzione di incapace.

In punto di configurabilità del reato di cui all'art. 643 c.p. occorre richiamare i seguenti principi che l'odierno collegio condivide integralmente: "Ai fini dell'integrazione dell'elemento materiale del delitto di circonvenzione di incapace, devono concorrere: (a) la minorata condizione di autodeterminazione del soggetto passivo (minore, infermo psichico e deficiente psichico) in ordine ai suoi interessi patrimoniali: (b) l'induzione a compiere un atto che comporti, per il soggetto passivo e/o per terzi, effetti giuridici dannosi di qualsiasi natura, che deve consistere in un'apprezzabile attività di pressione morale e persuasione che si ponga, in relazione all'atto dispositivo compiuto, in rapporto di causa ad effetto; (c) l'abuso dello stato di vulnerabilità del soggetto passivo, che si verifica quando l'agente, ben conscio della vulnerabilità del soggetto passivo, ne sfrutti la debolezza per raggiungere il fine di procurare a sè o ad altri un profitto (Cass. Sez. 2, sent. n. 39144 del 20/06/2013, dep. 23/09/2013, Rv. 257068).

Pacifico è, poi, in punto di diritto che "il delitto di circonvenzione di incapace non esige che il soggetto passivo versi in stato di incapacità di intendere e di volere, essendo sufficiente anche una minorata capacità psichica, con compromissione del potere di critica ed indebolimento di quello volitivo, tale da rendere possibile l'altrui opera di suggestione e pressione" (Sez. 2, n. 3209 del 20/12/2013 - dep. 23/01/2014, P.O. in proc. De Mauro Luigi e altro, Rv. 25853701). Rientra, pertanto, nella nozione di "deficienza psichica" ex art. 643 c.p. la minorata capacità psichica, con compromissione del potere di critica ed indebolimento di quello volitivo, tale da rendere possibile l'altrui opera di suggestione, perchè è "deficienza psichica" qualsiasi minorazione della sfera volitiva ed intellettiva che agevoli la suggestionabilità della vittima e ne riduca i poteri di difesa contro le altrui insidie (Cass. Sez. 2, sent. n. 24192 del 05/03/2010, dep. 23/06/2010, Rv. 247463).

La Corte di Cassazione, in passato, ha avuto modo di chiarire quanto al concetto di induzione che indurre vuoi dire convincere, influire sulla volontà altrui, essendo necessario, ai fini dell'integrazione del reato, uno stimolo, posto in essere dall'agente nei confronti del soggetto passivo, che determini quest'ultimo al compimento dell'atto dannoso, non essendo sufficiente giovarsi semplicemente delle menomate condizioni psichiche del soggetto passivo (Sez. 2, sent. n. del 24/06/1985, Rv. 170826).

E', poi, altrettanto pacifico che il convincimento circa la prova dell'induzione per la configurabilità dell'art. 643 c.p. ben può essere fondato su elementi indiretti e indiziari, cioè risultare da elementi precisi e concordanti come la natura degli atti compiuti e il pregiudizio da essi derivante (cfr. in tal senso Cass. Sez. 2, Sent. n. 17415 del 23/01/2009, dep. 23/04/2009, Rv. 244343).

L'art. 643 c.p. al fine di ritenere integrata la fattispecie criminosa, prevede (in aggiunta alla minorata capacità di cui si è detto) altri due elementi oggettivi: - l'induzione a compiere un atto che importi, per il soggetto passivo e/o per altri, qualsiasi effetto giuridico dannoso. Per induzione deve intendersi un'apprezzabile attività di pressione morale e di persuasione Cass. 13.12.1993, Di Falco, CED 196331 che si ponga, in relazione all'atto dispositivo compiuto, in un rapporto di causa ed effetto; - L'abuso dello stato di vulnerabilità che si verifica quando l'agente, conscio della vulnerabilità del soggetto passivo, ne sfrutti la debolezza per raggiungere il suo fine ossia quello di procurare a sè o ad altri un profitto.

2. I ricorsi di C.C. e B.B..

2.1. Il primo comune motivo appare formulato per motivi non consentiti ed è, comunque, da ritenere manifestamente infondato.

La corte di appello, nel confermare la ricostruzione operata dal primo giudice e conformandosi alla giurisprudenza richiamata secondo cui ai fini della configurabilità del delitto di circonvenzione di incapace è sufficiente anche una minorata capacità psichica, con compromissione del potere di critica ed indebolimento di quello volitivo, tale da rendere possibile l'altrui opera di suggestione e pressione psicologica, con una motivazione che non appare nè carente nè gravemente illogica nè contraddittoria ha ritenuto gli imputati responsabili del reato di tentata circonvenzione di incapace in danno della D.D., ritenendo comprovato che la quest' ultima, novantenne, fosse persona affetta all'epoca dei fatti da "demenza vascolare moderata" con "disturbo nEurocognitivo che ne alterava il discernimento e l'autodeterminazione", come rilevato dal perito Dott. E.E..

I giudici territoriali hanno, in particolare, chiarito come la stessa era soggetto assai suggestionabile, come percepito anche dagli impiegati di banca i quali, in occasione dell'accesso presso l'istituto di credito del C.C. finalizzato ad ottenere la nuova intestazione delle polizze assicurative verificatosi in data 15/12/2017, insospettiti anche in ragione dello stato confusionale della vittima, avevano ritenuto di avvertire le forze dell'ordine, precisando che in epoca di poco precedente ai fatti la predetta era stata ricoverata presso l'istituto "(Omissis)" perchè affetta "da frequenti perdite di memoria" e che già nel luglio 2017 la farmacista di fiducia della D.D. aveva constato che la predetta, spesso, si trovava in stato confusionale.

E non può revocarsi in dubbio alla luce della ricostruzione dei fatti, come concordemente operata dai giudici di merito, che i predetti imputati fossero ben consapevoli dello stato in cui versava la D.D..

Del resto per quanto concerne il profilo relativo alla riconoscibilità dello stato di infermità o deficienza psichica va ribadito che se è vero che lo stesso deve essere oggettivo, non è tuttavia necessario che tutti ne siano consapevoli, essendo richiesta la relativa consapevolezza solo in capo all'autore del reato desumibile anche dalla arrendevolezza del soggetto (v., in proposito, Cass. Sez. 5, sent. n. 6782 del 14.12.1977, rv 139201).

A fronte di tali congrue argomentazioni non colgono in alcun modo le censure dei ricorrenti i quali, attraverso un richiamo, assolutamente parziale e frammentario, di talune considerazioni del perito - il quale non si sarebbe espresso, a loro dire, in termini di certezza sulle condizioni di salute della D.D. al momento dei fatti - o lamentando l'omessa valutazione delle conclusioni del consulente di parte Prof. F.F. ovvero di documenti in atti mirano, in modo del tutto inammissibile, ad una rilettura del materiale probatorio, senza addurre vizi motivazionali deducibili in questa sede alla luce dei limiti del sindacato di legittimità come sopra indicati.

Trattasi all'evidenza di profili che attengono alla mera valutazione del materiale probatorio di competenza esclusiva dei giudici di merito, non potendosi parlare, certamente, di travisamenti rilevabili nel giudizio di legittimità sulla scorta dei principi richiamati al p..1.1.

2.2. Anche il secondo comune motivo è da ritenere manifestamente infondato.

Dalla lettura della sentenza impugnata è, invero, emersa la prova univoca in ordine alla sussistenza dell'elemento materiale del reato ipotizzato. L'attività di induzione e di abuso, con riferimento agli episodi contestati, viene logicamente ed inequivocabilmente tratta dai comportamenti tenuti dagli imputati nei confronti della vittima nonchè dall'ampia istruttoria assunta, a comprova di una condotta finalizzata ad indurre la persona offesa ad intestare delle polizze ai ricorrenti, a seguito, evidentemente, di richieste del tutto ingiustificate e contrarie agli interessi della D.D..

Risulta palese, dalla disamina delle complessive argomentazioni della sentenza impugnata, che la prova in ordine alla sussistenza dell'elemento materiale delle condotte ipotizzate è emersa dalla valutazione combinata di tutti i numerosi elementi indiziari raccolti e logicamente interpretati, sicchè non può in alcun modo parlarsi di una motivazione, carente ovvero illogica in ordine all'accertato abuso per induzione.

A fronte di detta ricostruzione la tesi difensiva, finalizzata ad escludere la configurabilità di una condotta di induzione mediante abuso così come la negazione dell'elemento soggettivo (pure in ragione della condizione di forte disagio mentale della vittima, tale da essere percepita dai dipendenti della banca i quali avevano deciso di allertare le forze dell'ordine) non è diretta a contestare la logicità dell'impianto argomentativo delineato nella motivazione della decisione impugnata, ma si risolve nella contrapposizione, a fronte del giudizio espresso dai giudici di merito, di una alternativa ricostruzione dei fatti, evidentemente sottratta alla delibazione di questa Suprema Corte in ragione dei limiti posti alla cognizione di legittimità dall'art. 606 c.p.p. e sopra richiamati.

2.3. In ordine al terzo motivo, quanto al dedotto vizio ex art. 606 comma 1 lett.) b) c.p.p. per inosservanza dell'art. 110 c.p. formulato dalla sola B.B. va evidenziato occorre rilevare che trattasi di censura priva di pregio alcuno.

La circostanza che la p.o. si fosse determinata ad intestare le polizze alla B.B., unitamente al C.C., recandosi in banca con i dati anagrafici dei due soggetti, correttamente è stata ritenuta sintomatica del pieno coinvolgimento della ricorrente, apparendo illogico ipotizzare che la stessa fosse del tutto inconsapevole di ciò e ben potendosi ritenere, come ricostruito dai giudici di merito, che la stessa ebbe a partecipare, sotto forma di agevolazione, di preparazione ovvero di rafforzamento del proposito criminoso di altro concorrente, o autorizzazione a consentire l'intestazione anche a sè delle polizze de quibus.

Del resto ai fini dell'accertamento del concorso di persone nel reato, il giudice di merito non è tenuto a precisare il ruolo specifico svolto da ciascun concorrente nell'ambito dell'impresa criminosa, essendo sufficiente l'indicazione, con adeguata e logica motivazione, delle prove sulle quali ha fondato il libero convincimento dell'esistenza di un consapevole e volontario contributo, morale o materiale, dato dall'agente alla realizzazione del reato. (Sez. 2, Sentenza n. 48029 del 20/10/2016 Ud. (dep. 14/11/2016) Rv. 268177 - 01).

3. Il ricorso di A.A..

3.1. Il primo motivo è aspecifico e, comunque, manifestamente infondato.

Occorre qui integralmente richiamare le considerazioni svolte in ordine alle condizioni di deficienza psichica della persona offesa sopra richiamate, evidenziando come, la ricorrente nel rilevare che i giudici non avrebbero considerato che "gli atti dispositivi nell'interesse della A.A. venivano effettuati nel momento di pieno recupero, dopo una fase acuta di smarrimento" tende palesemente ad una lettura alternativa dei fatti ed ad una rivalutazione del compendio probatorio non confrontandosi adeguatamente con tutte le motivazioni dei giudici di merito i quali, con dovizia di argomentazioni, hanno ricostruito le condizioni patologiche e di disagio psichico della vittima all'epoca dei fatti, sicuramente noto alla imputata in ragione dei fatti per come svoltisi.

Orbene, non sfugge che sulla questione sopra indicata la motivazione della sentenza impugnata va esente da censure essendosi nella stessa congruamente evidenziato (con rilievi di fatto fondati su prove documentali e con valutazioni di merito non sindacabili in questa sede ma idonee a confutare le principali tesi difensive che in questa sede sono state sostanzialmente riproposte) come la A.A., nella chiara consapevolezza delle condizioni in cui versava la p.o. e del condizionamento che subiva ad opera della stessa, aveva indotto la vittima a compiere una serie di atti pregiudizievoli per proprio patrimonio rispetto ai quali non aveva interesse alcuno.

Sotto altro profilo va sottolineato che, correttamente, la attività di induzione è stata dedotta dalla effettuazione di una serie di atti implicanti il depauperamento del patrimonio della vittima in favore dell'imputata senza alcun interesse per la persona offesa, sicuramente del tutto condizionata dalla ricorrente.

Val del resto rilevato che in tema di circonvenzione di persone incapaci, la prova della condotta induttiva può risultare anche da elementi indiziari e prove logiche come la natura dell'atto posto in essere e l'incontestabile pregiudizio da esso derivato, nonchè dagli accadimenti più strettamente connessi al suo compimento. (Sez. 2 -, Sentenza n. 51192 del 13/11/2019 Ud. (dep. 19/12/2019), Rv. 278368 - 01).

3.2. Le censure avanzate con il secondo ed il terzo motivo non colgono in alcun modo nel segno.

Va evidenziato, quanto al primo profilo, che la Corte di appello si è limitata a rilevare nella parte motiva che la malafede era desumibile dalla riluttanza nella consegna dell'atto non facendo cenno significativo questione relativa alla denunzia di smarrimento, sicchè non può ritenersi in alcun modo inficiato complessivo ragionamento nella parte in cui è stata ricostruita la condotta dolosa dell'imputata, basata su molteplici altri dati istruttori.

A fronte dell'inequivoco quadro probatorio come ricostruito dalla Corte territoriale, è, poi, del tutto evidente che le censure che la ricorrente ripropone in questa sede relativamente al fatto che l'incapacità della vittima non fosse percepibile, come sarebbe desumibile da alcuni dati probatori (in particolare dichiarazioni rese dagli operatori bancari H.H. e I.I. asseritamente oggetto di travisamento) appaiono di puro merito non solo perchè la Corte di appello ha sostanzialmente confutato la medesima doglianza, con motivazione nella quale non sono ravvisabili manifeste illogicità, ma anche perchè i giudici di merito hanno evidenziato elementi fattuali riferibili all'imputata (cfr. ff. 3-4) che indicano con certezza che, al di là di quello che terzi totalmente estranei potevano percepire dello stato di deficienza della vittima, la A.A., proprio per la tipologia di rapporti intercorsi, si era perfettamente resa conto del suddetto stato di deficienza psichica della D.D. quale non ebbe remora ad approfittarsene inducendola a compiere atti spoliativi del suo patrimonio di sicuro vantaggio economico per l'imputata.

Invero la ricorrente, solo formalmente, ha indicato vizi della motivazione della decisione gravata, ma non ha, invero, prospettato alcuna reale contraddizione logica, intesa come non plausibilità delle premesse dell'argomentazione, irrazionalità delle regole di inferenza, ovvero manifesto ed insanabile contrasto tra quelle premesse e le conclusioni nè è stata lamentata, fondatamente, una reale incompleta descrizione degli elementi di prova rilevanti per la decisione, intesa come incompletezza dei dati informativi desumibili dagli atti del procedimento.

Pertanto non essendo evidenziabile alcuno dei vizi motivazionali deducibili in questa sede quanto alla affermazione della penale responsabilità dell'imputata in ordine ai reati di cui sopra e non essendo configurabile, quindi, la dedotta contraddittorietà della motivazione anche tenuto conto dei poteri del giudice di merito in ordine alla valutazione della prova, le censure, essendo sostanzialmente tutte incentrate su una nuova rivalutazione di elementi fattuali e, quindi, di mero merito, appaiono del tutto infondate.

4. Per le considerazioni esposte, dunque, i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili. Alla declaratoria d'inammissibilità consegue, per il disposto dell'art. 616 c.p.p., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali, nonchè al pagamento in favore della Cassa delle Ammende di una somma che, ritenuti e valutati i profili di colpa emergenti dai ricorsi, si determina equitativamente in Euro tremila.

4.1. Gli imputati vanno condannati, inoltre, in solido alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile D.D. liquidate in complessivi Euro 3.686,00, oltre accessori di legge.

4.2. In caso di diffusione del presente provvedimento vanno omesse le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell'art. 52 D.Lgs. n. 196 del 2003 in quanto disposto d'ufficio e/o imposto dalla legge.

P.Q.M.

dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende. Condanna, inoltre, gli imputati in solido alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile D.D. che liquida in complessivi Euro 3.686,00, oltre accessori di legge.

In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell'art. 52 D.Lgs. n.196/03 in quanto disposto d'ufficio e/o imposto dalla legge.

Conclusione

Così deciso in Roma, il 8 febbraio 2023.

Depositato in Cancelleria il 07 aprile 2023