1. Il ricorso è complessivamente infondato e deve essere rigettato.
2. Il primo motivo di censura che propone la difesa del ricorrente, centrato sulla mancata adesione alla richiesta di perizia integrativa del rito abbreviato, volta ad analizzare i contenuti dei telefoni cellulari del ricorrente, sul presupposto della loro rilevanza ai fini della decisione, è manifestamente infondato ed anche formulato secondo schemi di censura sottratti al sindacato di legittimità, sia per l'orizzonte decisorio evocato - che attinge valutazioni di merito non consentite in sede di giudizio di legittimità, riguardo alla consistenza del quadro probatorio derivante dall'accesso al rito abbreviato, senza che possa essere rilevata una qualche aporia motivazionale della sentenza impugnata - sia per la genericità delle deduzioni proposte, aspecifiche riguardo alla decisività della prova richiesta.
E difatti, quanto a tale secondo aspetto di verifica, il Collegio evidenzia che, dalle sentenze di primo e secondo grado, conformi e ampiamente e più che adeguatamente motivate (in particolare, la decisione del GIP di Latina, in esito al rito abbreviato, si distingue per la precisione logico-ricostruttiva), emerge un tessuto di prova del reato costruito intorno alle prove dichiarative, molteplici e coerenti tra loro, valutate attendibili e reciprocamente riscontratesi, che il ricorso non scalfisce nella loro valenza, ma delle quali tende a prospettare una inammissibile rivalutazione, attraverso l'argomento incidentale della perizia tecnica rigettata, perizia che neppure si spiega precisamente cosa avrebbe dovuto provare a confutazione dei risultati delle dichiarazioni precise e concordanti in atti, risolvendosi in una richiesta "esplorativa" di validazione di dette dichiarazioni.
Peraltro, è lo stesso ricorso che, a pag. 27, finisce con l'ammettere l'oggetto centrale della richiesta di perizia, vale a dire l'invio (con relativi tempi e modalità), ai figli della persona offesa da parte dell'imputato, di foto che ritraevano la madre, tra l'altro, a seno nudo (ciò facendo nel tentativo di sostenere la tesi dell'invio non finalizzato alla diffusione e di evitare l'affermazione di colpevolezza per il delitto di cui all'art. 612-ter c.p.) Infine, il motivo mal si confronta con la giurisprudenza di legittimità in tema di possibilità di richiedere prova integrativa nell'ambito del giudizio abbreviato, che, anzitutto, come ben interpretato dalla sentenza impugnata, afferma, ai fini dell'ammissione al giudizio abbreviato condizionato, che la necessità dell'integrazione probatoria è configurabile quando la prova richiesta abbia i requisiti della novità e decisività, e, pertanto, presuppone, da un lato, l'incompletezza di un'informazione probatoria in atti, e, dall'altro, una prognosi di oggettiva e sicura utilità, o idoneità, del probabile risultato dell'attività istruttoria richiesta ad assicurare il completo accertamento dei fatti del giudizio (così, Sez. 2, n. 10235 del 10/11/2020, dep. 2021, Fragalà, Rv. 280990; Sez. 5, n. 600 del 14/11/2013, dep. 2014, V., Rv. 258676; Sez. 6, n. 11558 del 23/1/2009, Trentadue, Rv. 243063).
Del resto, rimane ancora valido il canone valutativo di ammissibilità dettato dalle Sezioni Unite, sia pur in tempi non recenti, secondo cui, in tema di giudizio abbreviato, la prova sollecitata dall'imputato con la richiesta condizionata di accesso al rito, che deve essere integrativa e non sostitutiva rispetto al materiale già raccolto ed utilizzabile, può considerarsi "necessaria" quando risulta indispensabile ai fini di un solido e decisivo supporto logico-valutativo per la deliberazione in merito ad un qualsiasi aspetto della "regiudicanda" (Sez. U, n. 44711 del 27/10/2004, Wajib, Rv. 229175; da ultimo, conforme Sez. 1, n. 10016 del 13/7/2018, dep. 2019, Maxim, Rv. 274920).
Inoltre, è altrettanto consolidato il principio di diritto secondo cui la finalità di economia processuale (rapportate al giudizio ordinario dibattimentale, come rammentano le Sezioni Unite Wajib) costituisce un ulteriore parametro di verifica della ammissibilità della prova integrativa richiesta, in coerenza con gli obiettivi del rito alternativo previsto dagli artt. 438 e ss. c.p.p. (in tal senso si muovono, toccando ulteriori, più specifici profili, le decisioni Sez. 3, n. 3993 del 1/12/2020, dep. 2021, Trapanese, Rv. 280873; Sez. 3, n. 7961 del 13/1/2011, Troiani, Rv. 249387; Sez. 1, n. 5942 del 26/11/2008, dep. 2009, Malku, Rv. 243344).
2.1. Orbene, la Corte d'Appello, e prima ancora il giudice del Tribunale, hanno orientato la loro decisione, riguardo alla richiesta difensiva, in coerenza ai richiamati caratteri di novità, decisività e rispetto della finalità di economia processuale che sovrintendono all'ammissibilità della prova integrativa nel giudizio abbreviato.
Si legge, invero, nelle ragioni argomentative dell'analogo motivo di censura, e della nuova richiesta istruttoria, proposti in appello: "..la prova richiesta non risultava una prova meramente integrativa..ponendosi in una logica di apertura di una fase dialettica tipica del dibattimento del tutto incompatibile con la scelta del rito abbreviato. In particolare, attraverso la perizia sul cellulare si intende da parte dell'appellante introdurre la prova della correttezza dei rapporti tra le parti, dell'assenza di un tenore e contenuto ingiurioso ed offensivo delle conversazioni con la persona offesa ovvero raggiungere la prova che ribalterebbe il quadro probatorio acquisito durante le indagini attraverso le dichiarazioni della persona offesa e riscontri acquisiti alle sue dichiarazioni.. Per tali ragioni, ed anche in considerazione della esaustività del quadro probatorio, deve essere rigettata la richiesta di perizia informatica avanzata dall'appellante.".
Una simile motivazione corrisponde alle verifiche di ammissibilità della prova integrativa da "abbreviato condizionato" già enunciate; così come corretto, alla luce di tali premesse, appare l'esito cui le decisioni di merito sono giunte, tanto più che - come pure è stato messo in risalto - i contenuti della perizia ripercorrono dati di prova già certi ed inequivoci, per la presenza di plurime dichiarazioni reciprocamente riscontrantesi e di documenti in atti (gli screenshot dei telefoni, ad esempio, che cristallizzano i contenuti dei messaggi e le foto), mentre, sotto il profilo del reato di cui all'art. 612-ter c.p., la stessa ammissione da parte della persona offesa di aver inviato lei stessa i "selfie" poi purtroppo da lui diffusi in modo malevolo, come si preciserà di qui a poco, rende oltremodo evidentemente inutile la perizia per la verifica di circostanze già acquisite anche nel senso auspicato dalla difesa.
Il motivo, pertanto, all'esito dell'analisi ermeneutica condotta, è inammissibile sotto più aspetti (manifesta infondatezza e genericità), nonchè, conclusivamente, poichè la motivazione della sentenza impugnata con cui si è rigettata nuovamente la richiesta di prova integrativa del rito abbreviato, vista la sua logicità e doviziosa ragione argomentativa, è insindacabile in sede di legittimità.
Il Collegio aderisce, invero, all'orientamento secondo cui la valutazione sull'inammissibilità dell'integrazione probatoria nel rito abbreviato, verificati i presupposti dell'incompletezza di un'informazione probatoria in atti e della prognosi di positivo completamento del materiale a disposizione per il tramite dell'attività integrativa, è insindacabile in sede di legittimità se congruamente e logicamente motivata (cfr. Sez. 2, n. 5229 del 14/1/2009, Massaroni Gabrieli, Rv. 243282, con cui si è precisato che il rito speciale non deve comunque essere illegittimamente piegato per attivare in maniera surrettizia il meccanismo del contraddittorio, in contrasto con la natura del giudizio abbreviato che prevede una decisione allo stato degli atti; Sez. 2, n. 43329 del 18/10/2007, Mirizzi, Rv. 238833); con efficace sintesi, il principio è espresso, dalla massima della citata Sez. 6, n. 11558 del 23/1/2009, Trentadue, secondo cui in tema di rito abbreviato, le valutazioni circa l'attività integrativa, qualora congruamente e logicamente motivate, sono insindacabili in sede di legittimità.
3. Il secondo ed il terzo motivo di ricorso (che prospettano l'insussistenza degli elementi di prova per giungere all'affermazione di colpevolezza dell'imputato, rispetto ad entrambi i reati contestatigli) sono anch'essi inammissibili, poichè manifestamente infondati, oltre che meramente rivalutativi della prova in atti e costruiti secondo logiche di censura "in fatto", non consentite in sede di legittimità.
Si è già anticipato, invero, che sono precluse alla Cassazione - a meno che non si rivelino fattori di manifesta illogicità della motivazione del provvedimento impugnato - la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (cfr., tra le più recenti, Sez. 6, n. 5465 del 4/11/2020, dep. 2021, F., Rv. 280601; Sez. 6, n. 47204 del 7/10/2015, Musso, Rv. 265482).
3.1. Nel caso di specie, la Corte d'Appello, coerentemente a quanto affermato dal giudice di primo grado, sicchè il sindacato di legittimità si innesta su una doppia pronuncia "perfettamente" conforme nei contenuti e nell'esito, ha ampiamente e soddisfacentemente argomentato, quanto al reato di atti persecutori, in particolare, sull'attendibilità della persona offesa, in termini di chiarezza, precisione ed assenza di interesse economico all'accusa, non essendosi costituita neppure parte civile nel processo; le sue dichiarazioni, peraltro, sono riscontrate in tutte le parti essenziali dai figli, coinvolti nelle condotte delittuose dell'imputato e da reputarsi, allo stesso modo, assolutamente attendibili nel contesto dato (come del tutto convincentemente ha pure sottolineato la sentenza impugnata); dall'amica D.D. e dagli screenshot dei messaggi offensivi inviati dall'imputato.
La vicenda, sulla base di tali prove, è chiaramente ricostruita: la vittima, nel marzo 2019, ha iniziato una relazione extraconiugale con l'imputato che poi ha deciso di interrompere definitivamente intorno alla fine di settembre dello stesso anno; il ricorrente, non accettando la decisione unilaterale di interrompere la relazione, ha messo in campo una serie di condotte di ingiuria e minaccia tramite messaggi telefonici insistenti ed ossessivi, in particolare prospettando di rendere nota ai suoi familiari la relazione extraconiugale e di rovinare la vita familiare alla vittima, tanto che costei ha "bloccato" il contatto con la sua utenza telefonica; il ricorrente, a quel punto, ha coinvolto nella campagna persecutoria anche i figli della vittima, uno dei quali, all'epoca minorenne, inviando loro, via messaggistica telefonica e tramite "facebook", frasi offensive sulla madre e sul padre, nonchè alcune foto; tra queste, una che riprendeva la donna a seno nudo; infine, l'imputato si è appostato anche un giorno presso l'azienda agricola della persona offesa (che ha raccontato di essere rimasta fortemente turbata da ciò) ed ha contattato il marito, più volte, svelandogli il tradimento, tanto che questi ha invitato la moglie a lasciare la dimora familiare. Le foto a seno nudo, peraltro, sono state inviate dal ricorrente, secondo quanto accertato nei giudizi di merito, anche alla sorella di D.D., che poi le aveva girate a costei, per informarla di quanto stava accadendo.
La condotta posta in essere assume senza dubbio i caratteri di tipicità del delitto di atti persecutori, poichè si tratta di evidenti manifestazioni di molestia continuata da parte del ricorrente, ai danni della vittima e dei suoi familiari anche, accompagnate dalla minaccia, anche questa ripetuta nel tempo e poi realizzata, di un male ingiusto costituito dalla rivelazione della relazione extraconiugale al marito ed ai figli della persona offesa, funzionale a danneggiare l'immagine della persona offesa (del resto, i messaggi, anche quelli con i quali venivano accompagnate le foto, contenevano tutti ingiurie ed epiteti offensivi per l'onore della vittima) ed a rovinare la sua vita familiare.
Quanto agli eventi del reato, come noto, il delitto di cui all'art. 612-bis cod. cen. si configura e consuma al verificarsi anche di uno solo degli eventi alternativi previsti dalla disposizione incriminatrici, eventi ciascuno dei quali è idoneo a realizzare il reato (cfr. Sez. 5, n. 43085 del 24/9/2015, A., Rv. 265231; Sez. 5, n. 29782 del 19/5/2011, L., Rv. 250399; Sez. 5, n. 34015 del 22/6/2010, De Guglielmo, Rv. 248412) e che disegnano la tipicità oggettiva della fattispecie di staiking e si realizzano "per accumulo" di condotte reiterate, le quali integrano minacce e molestie verso taluno, tanto da provocargli un grave stato d'ansia o di paura, ovvero da ingenerare fondato timore per l'incolumità propria o di un prossimo congiunto ovvero ancora da costringere la vittima ad alterare le proprie abitudini di vita.
Ebbene, la persona offesa ha chiaramente descritto le condotte vessatorie subite morbosamente ed ossessivamente dall'imputato: offese ripetute, indirizzate anche ai suoi figli ed al marito, e minacce di interferire con la vita familiare della vittima, per turbarne la tranquillità esistenziale; con la stessa precisione e tra Spa renza narrativa ha descritto le conseguenze di tali condotte: l'e Sas perazione e la paura, il grave stato d'ansia e lo squilibrio psicologico riportati dalla vicenda.
Peraltro, secondo la pacifica opzione della giurisprudenza questa Corte di legittimità - il realizzarsi di uno degli eventi alternativi descritti dalla fattispecie di atti persecutori è evincibile in ogni caso (anche) dal complesso degli elementi fattuali altrimenti acquisiti e dalla condotta stessa dell'agente per come risulta accertata, senza neppure che sia necessario che la vittima prospetti tali eventi espressamente o li descriva con esattezza (Sez. 5, n. 57704 del 14/9/2017, P., Rv. 272086; Sez. 5, n. 47195 del 6/10/2015, S., Rv. 265530).
Ed è indubbio che il complessivo snodarsi della vicenda attesti l'idoneità oggettiva dei comportamenti realizzati dall'imputato a realizzare gli eventi suddetti, costituiti da un numero rilevantissimo di messaggi molesti e offensivi (ma anche telefonate) all'indirizzo della vittima, particolarmente provata psicologicamente da tali condotte, così come fortemente turbati e prostrati erano i suoi due figli, destinatari anche loro di messaggi analoghi: la motivazione della sentenza impugnata e quella di primo grado mettono in evidenza la condizione dei ragazzi, sottolineando che avevano dovuto "bloccare" il contatto dell'imputato. Di sicura valenza oggettiva, ai fini della configurabilità degli eventi del reato, le chiamate al marito della persona offesa, per informarlo della relazione exatraconiugale e raccontargli particolari, cui è seguito l'allontanamento dalla casa familiare della vittima.
Alla luce dell'evidenza probatoria in atti, si riducono a mere asserzioni apodittiche le affermazioni difensive secondo le quali la vittima non sarebbe caduta in uno stato d'ansia grave; non avrebbe avuto timore per la sua incolumità nè avrebbe cambiato abitudini di vita in ragione del comportamento dell'imputato.
3.2. Quanto ai motivi (il secondo, ma anche la prima parte del quarto) dedicati a sostenere che non sia stato l'imputato ad inviare le foto ai figli ed all'amica della vittima, ai fini della sua inammissibilità, valgano le stesse considerazioni sull'attendibilità della prova dichiarativa in atti già svolte al paragrafo precedente e, in aggiunta, si consideri l'evidente formulazione generica, oltre che in fatto, del motivo di ricorso, con cui si enunciano orientamenti ermeneutici sulla valutazione della prova indiziaria, evocando il canone dell'oltre ogni ragionevole dubbio senza confronto con gli argomenti della sentenza impugnata, che hanno accertato la assoluta affidabilità della ricostruzione processuale con cui si è attribuita al ricorrente la condotta rilevante ai fini dell'art. 612-ter c.p.., nè rileva la distruzione del telefono della vittima, da parte del marito.
4. Il quarto argomento di censura riprende, in parte, le questioni già sollevate con il secondo motivo di ricorso e punta a sostenere la non configurabilità, nel caso di specie, del delitto previsto dall'art. 612-ter c.p..
Le ragioni difensive, tuttavia, non hanno fondamento.
4.1. Collegando le motivazioni dei due provvedimenti decisori di merito, emerge che il ricorrente è stato condannato per l'ipotesi delittuosa prevista dal comma 2 dell'art. 612-ter c.p., - che punisce chi, avendo ricevuto o comunque acquisito le immagini o i video a contenuto sessualmente esplicito destinati a rimanere privati, li invia, consegna, cede, pubblica o diffonde senza il consenso delle persone rappresentate al fine di recare loro nocumento - con l'indicazione degli esatti presupposti di fattispecie (in particolare, nella sentenza di primo grado, cui quella d'appello si richiama espressamente quanto alle "giuste e corrette considerazioni in diritto": cfr. pag. 3).
La disposizione, introdotta dalla L. 10 luglio 2019, n. 69, prevede, al comma 1, il reato di chi invia, consegna, cede, pubblica o diffonde, senza il consenso delle persone rappresentate, immagini o video a contenuto sessualmente esplicito, dopo averli realizzati o sottratti, e, al comma 2, estende l'area di rilevanza penale anche alle condotte di chi, avendo solo ricevuto o comunque acquisito, magari anche dalla persona direttamente protagonista (come accaduto nel caso di specie, in cui la ricezione pur si innesta su di un rapporto sentimentale esistente tra vittima e autore del reato), le immagini e/o i video predetti, pone in essere le medesime azioni "diffusive", sempre senza il consenso di coloro i quali sono ritratti nelle immagini o video e, altresì, con l'espressa richiesta della "finalità di recare loro nocumento", che suggella la proiezione del legislatore verso la necessità di richiedere, per la fattispecie di reato prevista all'art. 612-ter, comma 2, c.p., il dolo specifico.
Fatta tale premessa e segnalata l'ampiezza del presupposto oggettivo del reato, che fa riferimento a chi abbia "anche solo ricevuto o comunque acquisito" le immagini o i video a contenuto sessualmente esplicito poi diffusi (in cui può rientrare, dunque, anche la fattispecie in esame), le eccezioni del ricorrente, riferite alla possibilità o meno di ritenere configurabile l'ipotesi delittuosa da ultimo citata - in qualche modo evocata anche rispetto al tema dell'acquisizione tramite invio volontario da parte della stessa vittima, aspetto che, tuttavia, non costituisce spunto per motivi specifici di ricorso - si risolvono essenzialmente nella posizione di tre questioni:
a) se l'invio della foto al figlio (rectius ai figli) della vittima abbia una connotazione "diffusiva", visto che l'imputato, inoltrandogliela, aveva la certezza che questi non l'avrebbe a sua volta diffusa;
b) se sussista, nel caso di specie, il dolo specifico di aver agito con la finalità di recare nocumento alla persona offesa;
c) se possa essere ricompresa nella categoria delle "immagini a contenuto sessualmente esplicito" la foto che ritrae la vittima a seno nudo, mentre mima un bacio serrando le labbra, che, secondo la difesa, non rientra nella tipicità penale, che ricomprenderebbe soltanto le immagini che raffigurano organi genitali ovvero atti sessuali.
Ebbene, nessun pregio ha la prima delle questioni poste, manifestamente infondata, anzitutto, poichè è evidente che integra un "invio" rilevante ai fini della configurabilità del delitto di cui all'art. 612-ter c.p. quello che venga effettuato "verso chiunque", purchè senza il consenso della persona ritratta, da parte di chi, "in qualsiasi modo" fatte salve le condotte che rientrano nella sfera di operatività del comma 1 della disposizione - abbia acquisito l'immagine o il video a contenuto sessualmente esplicito. Il reato, infatti, è configurabile come istantaneo, secondo la lettera normativa, e si consuma nel momento in cui avviene il primo invio dei contenuti sessualmente non importa se diretto a familiari della vittima, che possano, eventualmente, avere interesse a non alimentare una successiva diffusione.
In realtà, con il primo invio, la diffusione è già avvenuta, per quanto stabilito dalla disposizione incriminatrice, che non fa questione di reiterazione della condotta diffusiva nè "quantifica" o qualifica in alcun modo la diffusione lesiva del bene protetto; il reato è inserito tra quelli a tutela della libertà morale individuale e si rivolge alla sfera di intimità personale e della privacy, intesa quale diritto a controllare l'esposizione del proprio corpo e della propria sessualità, in un'ottica di autodeterminazione della sfera sessuale individuale.
Nella specie, peraltro, il motivo di ricorso è anche in parte generico, poichè, come si è già evidenziato, oltre che ai figli della vittima, la foto che ritraeva costei in parte nuda e nell'atto di mimare un bacio, qualificato come "erotizzato" (con le labbra serrate) dalla sentenza impugnata, è stata diffusa anche ad una terza persona (raggiungendo l'imputato un'amica della vittima).
La seconda questione posta, strettamente collegata alla prima, è priva di fondamento: il dolo specifico del reato previsto dal comma 2 dell'art. 612-ter c.p. è stato diffusamente richiamato, in fatto, dalla sentenza impugnata e da quella conforme di primo grado e, in parte, è ammesso dallo stesso ricorso, poichè risulta accertato che l'invio della foto a seno nudo della vittima è stato effettuato dall'imputato evidentemente senza il suo consenso, proprio con la finalità di provocarle un nocumento, costituito dal minarne la reputazione aggredendone la moralità con offese ed ingiurie dirette anche ai suoi figli ed al marito, informandoli della relazione extraconiugale tra lei ed il ricorrente, mosso, nel suo agire, per di più, nel caso di specie, da quel finalismo ulteriore e tipico del cd. revenge porne, dato dalla "vendetta" nei suoi confronti ed integrato dal movente di "punirla" per aver deciso unilateralmente di interrompere il rapporto tra loro; finalismo che è parte preponderante, a monte, della scelta legislativa di nuova criminalizzazione. E quanto la condotta abbia nuociuto alla vita della persona offesa, diventata dapprima "impossibile" e poi del tutto naufragata nella fine del rapporto coniugale e nella perdita della serenità familiare è evidentemente richiamato nelle decisioni di merito.
In conclusione, può affermarsi che integra il reato previsto dal comma 2 dell'art. 612-ter c.p. la condotta di chi, avendo ricevuto o comunque acquisito - anche dalla stessa persona ritratta, come accaduto nel caso di specie - immagini o video a contenuto sessualmente esplicito, li invia, consegna, cede, pubblica o diffonde, senza il consenso della persona rappresentata e con il dolo specifico di recarle nocumento (nella specie, rappresentato dalla volontà di minarne la reputazione aggredendone la moralità con offese ed ingiurie dirette anche ai suoi figli ed al marito, informandoli, altresì, della relazione extraconiugale tra lei e l'imputato).
4.2. Infine, è infondato anche il quesito circa il contenuto sessualmente esplicito della foto al centro della contestazione di cui all'art. 612-ter c.p..
Il ricorrente intende limitare la nozione di "contenuti sessualmente espliciti" soltanto alle immagini o ai video che ritraggano organi genitali - e dunque non ricomprendendo il seno femminile tra questi, ancorchè nudo - ovvero atti sessuali veri e propri.
La prospettiva ermeneutica da cui muove il ricorso non è esatta, invece, poichè il testo normativo non pone esplicite riserve in tal senso, nè l'interpretazione giurisprudenziale mostra accenti contrari, in materie analoghe sulle quali già questa Corte regolatrice ha avuto modo di pronunciarsi (laddove non vi sono ancora affermazioni di principio sui presupposti di configurabilità del reato di nuovo conio).
Anzitutto, si osserva che la locuzione normativa "a contenuto sessualmente esplicito" non rimanda evidentemente e necessariamente alla diffusione di video o immagini di un organo proprio dell'apparato sessuale-riproduttivo in senso medico-scientifico, nè tantomeno allude solo ad un atto sessuale vero e proprio (sulla cui nozione, complessa, molto ci si interroga ai fini dell'integrazione delle diverse fattispecie penali nelle quali essa viene inserita), essendo evidente che la sessualità di una persona, vittima del reato, può essere evocata in maniera manifesta anche soltanto attraverso la proposizione di parti del suo corpo "erogene" diverse dagli organi genitali, eppure capaci di richiamare, per il contesto e le condizioni concrete nelle quali vengono ritratte, l'istinto sessuale: tali "zone erogene" possono essere il seno e i glutei, ancor più se nudi ovvero in condizioni di contesto che richiamino il sesso. Sicchè, qualora la diffusione avvenga senza il consenso della persona offesa, si stabilizzerà una violazione della libertà di autodeterminazione della sua sfera sessuale complessivamente intesa, rilevante ai sensi del comma 2 dell'art. 612-ter c.p. se, come si è più volte precisato, accompagnata dal dolo specifico di recare nocumento alla persona le cui immagini (o video) vengano diffusi.
Inoltre, seguendo le declinazioni interpretative della disciplina penale della pornografia minorile, nella quale egualmente viene in gioco il tema della sessualità e del significato sessuale di immagini, si è conferito rilievo sessuale alla nudità in quanto tale (Sez. 3, n. 39685 del 1/12/2017, dep. 2018, C., Rv. 273960) ovvero anche a movimenti e atteggiamenti, ancorchè inconsapevoli o involontari (Sez. 3, n. 42964 del 10/6/2015, B., Rv. 265157 in cui si è affermato che, ai fini della configurabilità del delitto di pornografia minorile, il carattere pedopornografico del "materiale prodotto" non presuppone necessariamente un'interazione consapevole fra l'autore della condotta e il minore presentato, ben potendo essere individuato nella rappresentazione di movimenti in cui i minori assumono posizioni che si concretizzano in atteggiamenti lascivi ed eroticamente eccitanti, seppur assunti involontariamente ed inconsapevolmente).
Specificamente, poi, il seno è stato inserito nel novero delle zone erogene e si è chiarito, sempre in tema di pornografia minorile, che il riferimento alla "rappresentazione degli organi sessuali di un minore di anni diciotto" di cui all'ultimo comma dell'art. 600-ter c.p. ricomprende non solo gli organi genitali, ma anche altre zone erogene, come il seno e i glutei (Sez. 3, n. 9354 del 8/1/2020, C., Rv. 278639; vedi anche Sez. 3, n. 549 del 15/11/2005, dep. 2006, Beraldo, Rv. 233115).
Deve affermarsi, quindi, che, ai fini della configurabilità del reato di cui all'art. 612-ter c.p., la diffusione illecita di contenuti sessualmente espliciti può avere ad oggetto immagini o video che ritraggano atti sessuali ovvero organi genitali ovvero anche altre parti erogene del corpo umano, come i seni o i glutei, nudi o in condizioni e contesto tali da evocare la sessualità.
Nella fattispecie all'esame del Collegio, l'immagine diffusa, che ritrae la vittima a seno nudo, in un contesto intimo e nell'atto di mandare un bacio "erotizzante", mimato da un particolare atteggiamento delle labbra serrate, descritto nelle sentenze di merito (ed anche nel ricorso), entra senza dubbio nel novero di quelle "a contenuto sessualmente esplicito".
5. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
5.1. Deve essere disposto, altresì, che siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, in quanto imposto dalla legge.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
In caso di diffusione del provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52 in quanto imposto dalla legge.
Conclusione
Così deciso in Roma, il 22 febbraio 2023.
Depositato in Cancelleria il 7 aprile 2023