Giu la distinzione tra il delitto di possesso e fabbricazione di documenti di identificazione falsi (art. 497-bis c.p.) e quello di uso di atto falso (art. 489 c.p.)
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. V PENALE - 24 marzo 2023 N. 12516
Massima
Il delitto di possesso e fabbricazione di documenti di identificazione falsi (art. 497-bis c.p.) si distingue da quello di uso di atto falso (art. 489 c.p.) in quanto, sul piano strutturale, prescinde dall'esclusione di qualsiasi forma di concorso nella formazione dell'atto falso e, con riguardo al bene protetto, tutela l'affidabilità dell'identificazione personale e non la genuinità del documento in sè.

Testo della sentenza
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. V PENALE - 24 marzo 2023 N. 12516

1. Il ricorso è inammissibile.

2. Il primo motivo è manifestamente infondato.

2.1 A ben vedere la Corte di appello, con motivazione non illogica e corretta in relazione ai principi di diritto, distingue le condotte di possesso di documenti di identificazione falsi e quello di uso di atto falso.

Per il primo richiama la circostanza che debba trattarsi di documento di identità anche valido per l'e Spa trio. Per il secondo la circostanza che nel caso in esame la tessera sanitaria fu esibita per commettere la truffa. Con ciò, seppur implicitamente, la Corte di appello distingue la condotta di possesso del documento di identificazione dall'uso dell'atto falso, operando in tal senso correttamente.

A riguardo deve richiamarsi la distinzione fra le due fattispecie di reato già delineata da ultimo da Sez. 5, Sentenza n. 3182 del 14/11/2018, dep. 2019, Rodriguez, Rv. 275412 - 01. Con tale pronuncia, al cui orientamento aderisce il Collegio, si richiamava il principio per cui "Il delitto di possesso e fabbricazione di documenti di identificazione falsi (art. 497-bis c.p.) si distingue da quello di uso di atto falso (art. 489 c.p.) in quanto, sul piano strutturale, prescinde dall'esclusione di qualsiasi forma di concorso nella formazione dell'atto falso e, con riguardo al bene protetto, tutela l'affidabilità dell'identificazione personale e non la genuinità del documento in sè" (Sez. 5, n. 15833 del 27/01/2010, P.G. in proc. Marku, Rv. 246846). In sostanza, proseguiva Sez. 5, Rodriguez, in tal senso è eloquente la diversa collocazione delle due norme nel sistema del codice penale, essendo quella di cui all'art. 489 c.p. inserita nel capo II, titolo III, libro II, dedicato alle ‘falsità in attì, mentre quella di cui all'art. 497-bis c.p. inserita nel capo IV dedicato alle ‘falsità personalì.

Tale argomento, in effetti, depone per l'interpretazione secondo la quale la ratio della norma di cui all'art. 497-bis c.p. - non per nulla frutto dell'intervento legislativo di cui al D.L. 27 luglio 2005, n. 144, conv. nella L. 31 luglio 2005, n. 155 (Misure urgenti per il contrasto del terrorismo internazionale) - deve individuarsi nella tutela non della genuinità del documento in sè, quanto in quella dell'affidabilità dell'identificazione personale.

La diversità dei beni giuridici in sè vale anche per il caso in esame, come valeva per il caso di Sez. 5, Rodriguez, che riguardava una carta di identità falsa della quale era contestato sia il possesso (art. 497-bis c.p.) che l'uso (art. 489 c.p.): il delitto di possesso e fabbricazione di documenti di identificazione falsi presuppone il mero possesso di un documento falso valido per l'e Spa trio, indipendentemente dall'uso che di esso si intenda fare (Sez. 5, n. 39408 del 18/07/2012, D'Agostino, Rv. 253579; nello stesso senso Sez. 5, n. 40272 del 11/07/2016, Bertoli e altri, Rv. 267791).

Tale principio è stato declinato anche quanto al rapporto fra l'art. 497-bis e il delitto di sostituzione di persona (art. 494 c.p.) - che è contrassegnato da un'esplicita clausola di sussidiarietà rispetto ad altri delitti contro la fede pubblica - cosicchè il secondo non è assorbito dal primo, ma i due reati concorrono: "Infatti, la seconda (art. 497-bis) delle due disposizioni punisce il mero possesso o la fabbricazione del documento, indipendentemente dalla successiva utilizzazione, mentre la prima (art. 494 c.p.) - nel caso la sostituzione avvenga ricorrendo ad un documento di identificazione contraffatto - presuppone proprio tale utilizzazione, la quale costituisce, pertanto, un fatto ulteriore e autonomo rispetto a quello incriminato dall'art. 497-bis c.p. " (Sez. 5, n. 23029 del 03/04/2017, Filograsso, Rv. 270206).

2.2 Tanto premesso deve rilevarsi come nel caso in esame tali principi escludano che la condotta di uso di attc falso, quale la tessera sanitaria, possa essere ricondotta alla fattispecie dell'art. 497-bis c.p..

Per un verso la tessera sanitaria non è documento valido per l'e Spa trio, in quanto non equipollente alla carta di identità, come osservato dalla Procura generale, in quanto il D.P.R. n. 445 del 2000, art. 35, tra i documenti espressamente indicati come equipollenti alla carta di identità (cfr. Sez. 6, n. 645 del 20/12/2016, dep. 2017).

Per altro verso perchè la condotta di cui all'art. 497-bis riguarda anche il solo possesso, non anche l'uso del documento, cosicchè comunque l'uso contestato al capo 3 risulterebbe comunque autonomamente rilevante, in quanto lesivo, per quanto su evidenziato, della genuinità del documento in sè.

Pertanto può affermarsi, in tema di possesso e fabbricazione di documenti di identificazione falsi, ai sensi dell'art. 497-bis c.p., che non trova applicazione in relazione alla tessera sanitaria che non è documento valido per l'e Spa trio, per quanto previsto dal D.P.R. n. 445 del 2000, art. 35, che non la elenca tra i documenti espressamente indicati come equipollenti alla carta di identità.

3. Il secondo motivo è manifestamente infondato per consolidato orientamento giurisprudenziale.

Secondo il consolidato insegnamento di questa Corte le circostanze attenuanti generiche hanno lo scopo di estendere le possibilità di adeguamento della pena in senso favorevole all'imputato in considerazione di altrimenti non codificabili situazioni e circostanze che effettivamente incidano sull'apprezzamento dell'entità del reato e della capacità a delinquere del suo autore. In tal senso la necessità di tale adeguamento non può mai essere data per scontata o per presunta, avendo il giudice l'obbligo, quando ne affermi la sussistenza, di fornire apposita e specifica motivazione idonea a fare emergere gli elementi atti a giustificare la mitigazione del trattamento sanzionatorio (ex multis e da ultime Sez. 3, n. 19639 del 27 gennaio 2012, Gallo e altri, Rv. 252900; Sez. 5, n. 7562 del 17/01/2013 - dep. 15/02/2013, P.G. in proc. La Selva, Rv. 254716). Ed è in questa cornice che devono essere inseriti gli ulteriori principi per cui la concessione o meno delle attenuanti generiche rientra nell'ambito di un giudizio di fatto rimesso alla discrezionalità del giudice, il cui esercizio deve essere motivato nei soli limiti atti a far emergere in misura sufficiente la sua valutazione circa l'adeguamento della pena alla gravità effettiva del reato ed alla personalità del reo, anche quindi limitandosi a prendere in esame, tra gli elementi indicati dall'art. 133 c.p., quello che ritiene prevalente ed atto a determinare o meno il riconoscimento del beneficio (Sez. 6 n. 41365 del 28 ottobre 2010, Straface, rv 248737; Sez. 2, n. 3609 del 18 gennaio 2011, Sermone e altri, Rv. 249163).

Nel caso in esame la Corte di appello ha fatto buon governo dei principi predetti, per altro esercitando con adeguata motivazione la discrezionalità consentita: per un verso non ha trascurato la confessione, ma l'ha ritenuta non rilevante ai fini della attenuazione della pena, in quanto intervenuta a fronte di un un quadro indiziario già consolidato, oltre che subvalente rispetto al precedente arresto dell'imputato, sempre per uso di atto falso, intervenuto appena sette mesi prima: si tratta di motivazione congrua e logica, come tale insuscettibile di sindacato di legittimità, nè la dedotta omessa contestazione della recidiva esclude la correttezza del ragionamento, avendo la Corte territoriale richiamato l'arresto e non una sentenza di condanna, ben potendo valorizzare anche la pendenza di procedimenti.

Per altro è ben legittimo il diniego delle circostanze attenuanti generiche motivato con l'esplicita valorizzazione negativa dell'ammissione di colpevolezza, in quanto dettata da intenti utilitaristici e non da effettiva resipiscenza (sez. 1, n. 35703 del 05/04/2017, Lucaioli, Rv. 271454 - 01; massime conformi: N. 6934 del 1991 Rv. 187671 - 01, N. 12426 del 1994 Rv. 199886 - 01, N. 11732 del 2012 Rv. 252229 - 01).

5. All'inammissibilità del ricorso consegue la condanna della parte ricorrente, ai sensi dell'art. 616 c.p.p. (come modificato ex L. 23 giugno 2017, n. 103), al pagamento delle spese del procedimento e al versamento della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende, così equitativamente determinata in relazione ai motivi di ricorso che inducono a ritenere la parte in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. 13/6/2000 n. 186).

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

Conclusione

Così deciso in Roma, il 20 dicembre 2022.

Depositato in Cancelleria il 24 marzo 2023