Giu O.P.: La condotta collaborativa, anche se indicativa di una revisione critica, non deve essere tenuta presente da sola, ma va sempre posta in relazione ad altri determinanti parametri
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. I PENALE - 13 marzo 2023 N. 10587
Massima
Il requisito del "ravvedimento" previsto dall'art. 16-nonies, comma 3, del D.L. n. 8/1991 non può essere oggetto di una sorta di presunzione, formulabile sulla "sola base dell'avvenuta collaborazione e dell'assenza di persistenti collegamenti del condannato con la criminalità organizzata, ma richiede "la presenza di ulteriori, specifici elementi, di qualsivoglia natura, che valgano a dimostrarne in positivo, sia pure in termini di mera, ragionevole probabilità, l'effettiva sussistenza" (cfr. Sez. 1, n. 43256 del 22/05/2018, Sarno, Rv. 274517; Sez. 1, n. 48891 del 30/10/2013, Marino, Rv. 257671).

La condotta collaborativa, anche se indicativa di una revisione critica, non deve, quindi, essere tenuta presente da sola, ma va sempre posta in relazione ad altri determinanti parametri, come la gravità dei reati in espiazione (Sez. 1, n. 1960 del 03/04/1998, Del Vecchio, Rv. 210421; Sez. 1, n. 8721 del 03/12/2003 dep. 2004, Garofalo, Rv. 228002), il percorso di ravvedimento compiuto e la fruizione di margini di libertà da cui possa desumersi un effettivo seppure iniziale reinserimento sociale. Del resto, il Tribunale di sorveglianza non è vincolato al parere (obbligatorio) espresso dal Procuratore nazionale antimafia e 3 antiterrorismo (Sez. 1, n. 40823 del 05/06/2013, Lombardi, Rv. 257532), ma, tenuto conto che detta autorità è chiamata a esprimere una valutazione motivata in ordine all'attualità dei collegamenti tra il condannato e la criminalità organizzata, non può apoditticamente tralasciarle e non considerarle, ferma restando la sua libertà di giudizio in merito alla concessione dei benefici penitenziari.

Testo della sentenza
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. I PENALE - 13 marzo 2023 N. 10587

Il ricorso è fondato.

1. Va premesso che, secondo il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, la normativa che prevede la concessione dei benefici penitenziari ai collaboratori di giustizia non può essere intesa nel senso che il legislatore abbia voluto eliminare tutti i requisiti richiesti dalla legge penitenziaria, obbligando il giudice ad accordarli solo in funzione di una collaborazione che ne abbia messo a repentaglio la sicurezza personale così da rendere necessario uno speciale 2 9)" programma di protezione; al contrario, fermi restando i limiti di pena previsti dall'art. 16-nonies D.L. n. 8 del 1991 (introdotto dalla L. 13 febbraio 2001, n. 45) e, in particolare, dal comma 4 di detto articolo con riguardo ai limiti temporali di minima detenzione in carcere, amplia, non limita o addirittura esclude la discrezionalità della magistratura di sorveglianza, concedendole, in presenza di un contributo di rilevante spessore dato alla giustizia, di superare i requisiti, formali e sostanziali, richiesti nei casi ordinari.

1.1. La giurisprudenza di legittimità, chiamata a circoscrivere l'ambito della verifica demandata alla magistratura di sorveglianza in vista dell'ammissione dei collaboratori di giustizia, tra gli altri benefici e ai permessi premio, ha costantemente ritenuto che, pur non essendo necessario verificare la sussistenza delle condizioni indicate nell'art. 30-ter Ord. pen., stante la deroga prevista dall'art. 16-nonies, comma 4, Ord. pen., occorre, comunque, che il giudice verifichi l'opportunità della concessione del beneficio in relazione alla personalità del richiedente e alla finalità dell'istituto (Sez. 1, n. 36141 del 30/06/2004, Dell'Arte, Rv. 229581).

A tal fine, si è rilevato, in specie, che l'istituto disciplinato dall'art. 16-nonies dl. n. 8 del 1991 non è applicabile indiscriminatamente, giacchè presuppone l'espressione di un giudizio favorevole in ordine al ravvedimento del soggetto che si apre alla collaborazione con l'autorità giudiziaria, fondato sulla "condotta complessiva del collaboratore di giustizia (...)" e sul convincimento che l'azione rieducativa svolta abbia avuto come risultato il compiuto ravvedimento, all'esito di una revisione critica della vita anteatta (Sez. 1, n. 9887 dell'01/02/2007, Pepe, Rv. 236548; si vedano, in senso sostanzialmente conforme, anche Sez. 1, n. 43207 del 16/10/2012, Russo, Rv. 253833; Sez. 1, n. 3422 del 14/01/2009, Diana, Rv. 242559).

1.2. Il requisito del "ravvedimento" previsto dall'art. 16-nonies, comma 3, del D.L. n. 8/1991 non può, di conseguenza, essere oggetto di una sorta di presunzione, formulabile sulla "sola base dell'avvenuta collaborazione e dell'assenza di persistenti collegamenti del condannato con la criminalità organizzata, ma richiede "la presenza di ulteriori, specifici elementi, di qualsivoglia natura, che valgano a dimostrarne in positivo, sia pure in termini di mera, ragionevole probabilità, l'effettiva sussistenza" (cfr. Sez. 1, n. 43256 del 22/05/2018, Sarno, Rv. 274517; Sez. 1, n. 48891 del 30/10/2013, Marino, Rv. 257671).

La condotta collaborativa, anche se indicativa di una revisione critica, non deve, quindi, essere tenuta presente da sola, ma va sempre posta in relazione ad altri determinanti parametri, come la gravità dei reati in espiazione (Sez. 1, n. 1960 del 03/04/1998, Del Vecchio, Rv. 210421; Sez. 1, n. 8721 del 03/12/2003 dep. 2004, Garofalo, Rv. 228002), il percorso di ravvedimento compiuto e la fruizione di margini di libertà da cui possa desumersi un effettivo seppure iniziale reinserimento sociale. Del resto, il Tribunale di sorveglianza non è vincolato al parere (obbligatorio) espresso dal Procuratore nazionale antimafia e 3 antiterrorismo (Sez. 1, n. 40823 del 05/06/2013, Lombardi, Rv. 257532), ma, tenuto conto che detta autorità è chiamata a esprimere una valutazione motivata in ordine all'attualità dei collegamenti tra il condannato e la criminalità organizzata, non può apoditticamente tralasciarle e non considerarle, ferma restando la sua libertà di giudizio in merito alla concessione dei benefici penitenziari.

1.3. Conclusivamente, la facoltà di ammettere alle misure alternative i soggetti sottoposti a programma di protezione a norma della L. n. 82 del 1991, con le previste deroghe alle disposizioni ordinarie, non si estende ai presupposti relativi all'emenda di tali soggetti e alla finalità di conseguire la loro stabile rieducazione, per cui tali benefici postulano - fermo restando l'indefettibile accertamento delle condizioni soggettive di ammissibilità - che comunque si tratti di persone per le quali si riscontrino le premesse meritorie e l'applicabilità in concreto del beneficio, in relazione alla loro personalità, che consenta di escludere ragionevolmente la persistenza di un apprezzabile margine di pericolosità sociale e la conseguente probabilità di reiterazione di comportamenti penalmente illeciti, affinchè risultino assicurate le condizioni relative all'emenda del soggetto e alle finalità di conseguirne la stabile rieducazione (per tutte, Sez. 1, n. 35915 del 11/11/2014, dep. 2015, Capoccia, n. m.; Sez. 1, n. 5110 del 22/11/2011, dep. 2012, Massaro, n. m.; Sez. 1, n. 5523 del 24/10/1996, Chiofalo, Rv. 206185).

2. Ritiene il Collegio che, nel caso in esame, il Tribunale di sorveglianza in esame non si sia conformato ai richiamati canoni ermeneutici ed abbia, comunque, seguito un percorso motivazionale illogico.

L'ordinanza impugnata, pur dando atto dei pareri ampiamente favorevoli degli organi investigativi e della direzione del carcere, ha escluso il ravvedimento del condannato e formulato un giudico prognostico di attuale pericolosità sociale con il ricorso ad asserzioni del tutto prive di riferimenti concreti agli atti di causa. Non è dato così comprendere perchè gli esiti del programma trattamentale sono stati "modesti" e perchè deve dubitarsi della "genuinità della stata collaborativa" nonostante nella relazione della Direzione nazionale antimafia si faccia espresso riferimento alla "rilevante utilità" e "l'indiscutibile valenza" della collaborazione prestata e all'assenza di collegamenti con la criminalità organizzata.

Nemmeno si comprendono, in assenza della indicazione di specifiche circostanze, le ragioni per cui la revisione critica sia rimasta allo stato embrionale e non sia maturato il ravvedimento nonostante il lungo periodo di detenzione, il fine pena ormai prossimo, la risalenza dell'episodio che aveva determinato la revoca della detenzione domiciliare, avvenuto nel 2017, la fruizione di più periodi di liberazione anticipata, la regolarità della condotta inframuraria e l'assenza di rilievi disciplinari.

Non costituisce, senz'altro, fattore idoneo ad escludere il ravvedimento la mera reiterazione delle istanze volte alla concessione dei benefici, la cui presentazione, al contrario, è un diritto del soggetto in vinculis 3. I precedenti rilievi impongono, in definitiva, l'annullamento del provvedimento impugnato con rinvio al Tribunale di sorveglianza di Roma in vista di un nuovo giudizio che, libero nell'esito, tenga conto dei richiamati e colmi le individuate lacune motivazionali.

P.Q.M.

Annulla l'ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di sorveglianza di Roma.

Conclusione

Così deciso in Roma, il 20 dicembre 2022.

Depositato in Cancelleria il 13 marzo 2023