Giu La determinazione della misura della riduzione della pena per effetto dell'applicazione di un'attenuante non necessita di una specifica motivazione che dia conto della scelta
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. III PENALE - 23 febbraio 2023 N. 7896
Massima
La determinazione della misura della riduzione della pena per effetto dell'applicazione di un'attenuante non necessita di una specifica motivazione che dia conto della scelta, tanto più nelle ipotesi in cui la diminuzione è stata prossima al massimo. La suddetta valutazione risulta pur sempre il frutto di un apprezzamento discrezionale volto ad adeguare il trattamento sanzionatorio all'effettivo disvalore del fatto che, ove non si discosti sensibilmente dalla massima estensione e che perciò non si traduca in arbitrio, non richiede, analogamente a quanto accade in punto di quantificazione della pena comunque contenuta al di sotto della media edittale, l'esplicitazione delle ragioni di un giudizio complessivo che investe tutte le componenti del fatto.

Testo della sentenza
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. III PENALE - 23 febbraio 2023 N. 7896

1. Nessuno dei ricorsi supera il vaglio di ammissibilità vuoi alla luce della manifesta infondatezza delle dispiegate doglianze, vuoi della loro genericità.

Muovendo dalla disamina dei ricorsi degli imputati che hanno in appello rinunciato ai motivi concernenti l'affermazione di responsabilità, occorre rilevare quanto al A.A. che la contestazione sull'applicabilità della recidiva si compendia nella prospettazione di enunciati in stridente contrasto con il dato normativo e con la costante interpretazione giurisprudenziale.

Il fatto che all'imputato fosse stata già applicata l'aggravante in esame nella precedente condanna diventata irrevocabile ed unificata al reato sub judice ai fini della continuazione essendosi i delitti ritenuti espressione dello stesso disegno criminoso, non elimina il fatto che la nuova volizione criminosa, cui venga data attuazione con la commissione di un successivo reato si aggiunga alla serie già posta in essere in attuazione della previa programmazione, costituendo perciò ulteriore espressione della proclività a delinquere del suo autore. Non vi è pertanto nessun ostacolo nè concettuale nè giuridico, attesa l'ingravescenza della pericolosità dell'agente, all'applicabilità della aggravante che pure sia stata già ritenuta sussistente in relazione a reati unificati ai fini della continuazione a quello sottoposto al giudice del procedimento successivo che nell'applicare il relativo aumento di pena, non incorre in alcuna duplicazione rispetto al giudicato precedente.

Nè è rilevabile una carenza motivazionale in cui sia incorsa sul punto la Corte distrettuale che nel sottolineare, nella coeva valutazione delle condotte oggetto delle richiamate pronunce irrevocabili, la progressiva qualificazione nel tempo della accertata pericolosità sociale, ha dato conto di aver bene presente la doglianza difensiva e di volerla disattendere, fermo restando in ogni caso il principio secondo il quale il giudice d'appello non è tenuto a rispondere a tutte le argomentazioni svolte nell'impugnazione, giacchè le stesse possono essere disattese per implicito o per evidente incompatibilità con la decisione assunta (per tutte, cfr. Sez. 6, Sentenza n. 34532 del 22/06/2021, Depretis, Rv. 281935; Sez. 5, Sentenza n. 6746 del 13/12/2018, Currò, Rv. 275500).

2. Quanto al terzo motivo del ricorso del C.C. anch'esso concernente l'applicabilità della recidiva, le doglianze si sostanziano nella reiterazione di un risalente precedente di questa Corte, rimasto del tutto isolato, in cui si è affermato che non vi è compatibilità tra recidiva e continuazione, con la conseguenza che non può tenersi conto della recidiva una volta ritenuta la continuazione tra il reato per cui sia pronunciata sentenza passata in giudicato, valutato come più grave e, pertanto, considerato reato base, e quello successivo, oggetto di ulteriore giudizio, in quanto i reati ritenuti in continuazione costituiscono momenti di un'unica condotta illecita, caratterizzata dalla reiterazione di diversi episodi delittuosi, consumati in attuazione di un medesimo disegno criminoso, stante l'antitesi tra i due istituiti, valorizzando la recidiva la speciale proclività a delinquere, espressa dalla reiterazione di reati consumati in piena autonomia rispetto a vicende pregresse ed elidendo, invece, la continuazione proprio la predetta autonomia, collegando ed unificando i diversi episodi criminosi (Sez. 5, Sentenza n. 5761 del 11/11/2010, Melfitano, Rv. 249255).

Tale interpretazione è stata tuttavia integralmente disattesa da una pluralità di sentenze di senso contrario in cui è stata esclusa l'incompatibilità fra gli istituti della recidiva e della continuazione, sicchè, sussistendone le condizioni, vanno applicati entrambi, praticando sul reato base, se del caso, l'aumento di pena per la recidiva e, quindi, quello per la continuazione, che può essere riconosciuta anche fra un reato già oggetto di condanna irrevocabile ed un altro commesso successivamente alla formazione di detto giudicato (Sez. 3, Sentenza n. 54182 del 12/09/2018, Rv. 275296; Sezione 5, 13 novembre 2017, n. 51507; Sez. 2, 3 maggio 2016, n. 18317; Sez. 2, 11 maggio 2016, n. 19477; Sez. 4, 28 novembre 2014, n. 49658).

Come analiticamente chiarito, nel ripercorrere il ragionamento seguito date precedenti decisioni dalla pronuncia n. 54182/2018 cit. "il reato continuato (o, meglio, la continuazione fra i reati), oltre a presupporre - pur nella unicità del complessivo disegno criminoso e proprio quale elemento atto a consentire, sotto il profilo oggettivo, la diagnosi differenziale rispetto alla ipotesi del concorso formale fra reati - la autonomia materiale e cronologica delle singole condotte, nel senso che le stesse debbono essere frutto di comportamenti fra loro non contestuali, richiede, altresì, in considerazione della ratio dell'istituto giuridico in questione, la previsione della ricorrenza di più azioni criminose rispondenti a determinate finalità dell'agente e, in relazione al profilo della volontà, l'esistenza della deliberazione di un programma di massima, implicante, attraverso la commissione di più illeciti penali già tratteggiati almeno nelle loro linee essenziali (Corte di cassazione, Sezioni unite penali, 8 giugno 2017, n. 28659; idem Sezione 3^ penale, 13 gennaio 2016, n. 896), la previsione del raggiungimento di un predeterminato scopo. Ciò, tuttavia, comporta, stante appunto lo scarto temporale esistente fra una condotta e l'altra, che il perseguimento di tale scopo sia il frutto, in sede di attuazione del complessivo disegno criminoso, di singole volizioni dell'agente, di volta in volta da questo logicamente rinnovate quante sono le condotte illecite da lui materialmente poste in essere (Corte di cassazione, Sezione 1^ penale, 6 agosto 2015, n. 34502; idem Sezione 3^ penale, 28 novembre 1995, n. 11503). Coerentemente con tali impostazione in più occasione questa Corte di legittimità ha, d'altra parte, precisato che l'istituto della continuazione fra reati, lungi dal comportare un'ontologica unificazione delle diverse condotte illecite commesse, è fondata sulla previsione di una mera fictio juris il cui rilievo, ad evidenti fini di temperamento del trattamento penale del soggetto agente, è determinante solo quoad poenam (Corte di cassazione, Sezione 2^ penale, 28 maggio 2012, n. 20326; idem Sezione 6^ penale, 22 dicembre 1998, n. 2664). Considerata, pertanto, la autonomia volitiva riscontrabile fra le deliberazioni delle diverse condotte criminose che hanno portato alla realizzazione, in tutto od in parte, del complessivo disegno criminoso, è legittimo ritenere che esse, nella loro pluralità siano, pertanto, indice della radicata e persistente insofferenza del soggetto al rispetto della legge penale, e che, pertanto, esse costituiscano un valido sintomo della sua maggiore pericolosità penale; tanto rilevato non vi è, perciò, ragione, ove ne ricorrano le ulteriori condizioni formali, per escludere che da siffatta accentuata pericolosità non debba scaturire il riconoscimento della circostanza aggravante della recidiva. Questa, pertanto, laddove le condotte realizzate abbiano dato origine a diverse sentenze di condanna penale per delitti, non deve essere considerata in via di principio esclusa dal fatto che tali condotte siano state considerate esecutive di un unico disegno criminoso, posto che, come detto, alla unicità dell'originario disegno si associa una pluralità di condotte criminose attuative di esso - ciascuna delle quali sostenute da un autonomo momento volitivo e ciascuna delle quali tale da realizzare un evento da cui dipenda l'esistenza del singolo reato commesso - di tal che queste possono, sulla base del prudente apprezzamento del giudice del merito, costituire efficace testimonianza della effettiva proclività dell'agente alla violazione della legge penale e, quindi, della sua accentuata pericolosità criminale. Va, altresì e per completezza, ribadito che, al di là della insussistenza dei fattori strutturali che avrebbero potuto costituire ostacolo alla compatibilità fra la figura della recidiva e quella della continuazione fra reati, tema che è stato sinora trattato, non vi è neppure una antinomia funzionale fra le due ipotesi normative; come, infatti, è stato convincentemente rilevato da questa Corte, la aggravante di cui all'art. 99 c.p. tende a sanzionare in maniera più incisiva chi, essendo già pregiudicato per un delitto ed avendo commesso un nuovo reato, abbia in tal modo dimostrato un rafforzamento della volontà criminosa e, di conseguenza, la propria maggiore pericolosità; la continuazione, invece, riguarda solo la unitarietà del trattamento sanzionatorio che, in deroga al principio generale del cumulo materiale, consente - con finalità, come dianzi accennato, di contenimento della asprezza degli effetti del menzionato principio generale - di mitigare, attraverso il particolare meccanismo di cui all'art. 81 c.p., commi 1, 3 e 4, la entità della pena, unitariamente computata per tutti i singoli reati ricompresi nell'originario disegno criminoso (Corte di cassazione, Sezione 4^ penale, 11 maggio 2018, n. 21043).

Dal momento che il ricorrente non si confronta con la puntuale motivazione dell'orientamento contrario a quello da lui invocato, confutandone le argomentazioni che il principio di specificità del ricorso per cassazione necessariamente impone, deve concludersi per l'inammissibilità del motivo.

3. Il primo e il secondo motivo del ricorso del C.C., da esaminarsi congiuntamente agli analoghi motivi del B.B. stante la piena sovrapponibilità dei contenuti, afferiscono al trattamento sanzionatorio e si destinano anch'essi, così come formulati all'inammissibilità.

In ordine alla mancata applicazione della riduzione conseguente al riconoscimento delle attenuanti generiche nella sua massima estensione, oggetto del primo motivo, deve rilevarsi che secondo l'indirizzo giurisprudenziale consolidato, la determinazione della misura della riduzione della pena per effetto dell'applicazione di un'attenuante non necessita di una specifica motivazione che dia conto della scelta, tanto più nelle ipotesi in cui, come nel caso di specie, la diminuzione è stata prossima al massimo (Sez. 5, n. 47143 del 29/11/2022; Sez. 4, n. 48541 del 28/11/2013, Rv. 258100): la suddetta valutazione risulta pur sempre il frutto di un apprezzamento discrezionale volto ad adeguare il trattamento sanzionatorio all'effettivo disvalore del fatto che ove non si discosti sensibilmente dalla massima estensione, e che perciò non si traduca in arbitrio, non richiede, analogamente a quanto accade in punto di quantificazione della pena comunque contenuta al di sotto della media edittale, l'esplicitazione delle ragioni di un giudizio complessivo che investe tutte le componenti del fatto.

4. In ordine al secondo motivo, afferente alla quantificazione effettuata ai fini della continuazione, deve ritenersi sufficiente una motivazione che richiami, come nella sentenza impugnata, il parametro della congruità della pena, considerato altresì che il suo contenimento in sei mesi era già stato già determinato per il B.B. dal giudice di primo grado senza che siano stati indicati dalla difesa elementi che ne consentissero una maggiore riduzione indebitamente pretermessi dalla Corte di appello e che ad analoga quantificazione hanno proceduto i giudici del gravame per il C.C. stante la medesima posizione processuale di costui rispetto a quella del coimputato.

5. Passando alla disamina del ricorso del D.D., il primo motivo deve ritenersi manifestamente infondato.

Di natura apodittica risultano le contestazioni in ordine all'eccepito difetto di correlazione tra accusa e sentenza inscindibilmente collegate all'assunta indeterminatezza del capo di imputazione relativo al reato associativo, attraverso le quali si vorrebbe arginare la tardività della doglianza afferente a tale questione specifica. La pronunciata condanna risponde puntualmente all'editto accusatorio che, contenendo la descrizione delle attività svolte dal sodalizio criminoso, dello specifico ruolo rivestito al suo interno dall'imputato e del locus così come del tempus commissi delicti, non può ritenersi affatto una contestazione valevole per ogni processo, come sostiene riduttivamente la difesa che invece non riesce ad enucleare alcuna difformità effettiva tra il fatto cui è riferita l'affermazione di responsabilità e quello contestato, che non presenta alcun margine di incertezza in ordine agli elementi strutturali del reato.

6. Il secondo, il terzo, il quarto ed il quinto motivo afferenti alla sua sussistenza del reato associativo e alla partecipazione ad esso dell'imputato con il ruolo apicale di finanziatore e di organizzatore dell'attività criminosa, ovverosia di colui che si curava degli approvvigionamenti di droga presso i vari fornitori, sono accomunati dalla frammentarietà delle doglianze, incentrandosi ognuna di esse su singoli passaggi della motivazione prescindendo dall'unitarietà di una valutazione che investe molteplici risultanze istruttorie e le raccorda in una visione organica e complessiva che non può che essere riguardata nel suo insieme, e non già parcellizzata attraverso la contestazione di singole frasi.

La circostanza che il D.D. provvedesse autonomamente agli approvvigionamenti di droga, fatto su cui si focalizza la difesa con il terzo motivo, ma che risulta del tutto coerente con la sua posizione essendo al vertice della compagine associativa che lui stesso finanziava, al più avvalendosi dell'aiuto del B.B., non intacca la circostanza che una volta entrato nella disponibilità della merce la distribuisse, previo eventuale occultamento provvisorio presso il B.B. che aveva messo a disposizione del gruppo la sua abitazione (cfr. conversazione del 13.4.2012, riportata a pag. 18 della sentenza impugnata), tra i vari coimputati affinchè provvedessero alla sua commercializzazione sul territorio, nè che costoro, prelevando lo stupefacente a credito, river Sas sero sul sodalizio le perdite relative ai mancati pagamenti da parte degli acquirenti finali, pagamenti che era poi lo stesso ricorrente a cercare di riscuotere, nè ancora che si fosse fatto carico di provvedere al mantenimento dei familiari del B.B. quando questi era stato arrestato e di interloquire persino con i suoi legali. Quadro questo al quale si aggiungono le direttive direttamente impartite dal ricorrente ai vari sodali ai fini della distribuzione della droga, i commenti intercettati a seguito dell'arresto del B.B. dove emblematico è l'utilizzo da parte dell'imputato, così come del C.C., del pronome "noi" riferito al fatto che fossero rovinati, la cordata organizzata dal D.D. fra i vari sodali per contribuire a sostenere in aggiunta ai suoi finanziamenti personali il nucleo familiare del B.B., elementi che costituiscono tasselli del composito mosaico su cui si fonda l'affermazione di responsabilità. A fronte di tali specifiche risultanze, che non vengono specificamente contestate, le ulteriori doglianze difensive si appuntano o su circostanze del tutto marginali nell'economia complessiva della motivazione resa dalla sentenza impugnata, quali la riconducibilità a riscontro della compagine associativa della rinuncia da parte di alcuni coimputati ai motivi di merito articolati con l'atto di appello, estrapolata da un tessuto argomentativo ben più ampio ed articolato dove la condotta processuale dei coimputati è solo uno dei tanti elementi convergenti verso l'affermazione di responsabilità, o su conclusioni ben difformi da quelle tratte dalla Corte nissena, che indica la serialità delle cessioni di droga oggetto dei reati-fine come uno dei tanti indici della configurabilità del delitto associativo e non già quale unica ragione fondante la condanna, si destinano necessariamente all'inammissibilità. Nè maggior fondamento riveste l'assoluzione per insussistenza del fatto in relazione agli approvvigionamenti di droga effettuati da un'associazione palermitana di cui ad una precedente sentenza resa dalla Corte di appello di Palermo del 30.10.2016 nei confronti del D.D., posto che quello che la sentenza impugnata valorizza a tale proposito è la condotta attiva tenuta dal ricorrente nel mercato degli stupefacenti e che comunque nella fattispecie gli acquisti di droga dallo stesso effettuati non solo non risulta che fossero gli stessi oggetto della pronuncia di assoluzione, ma comunque si erano perfezionati, come espressamente puntualizzato, anche con soggetti diversi dagli appartenenti alla suddetta consorteria criminosa.

7. Anche il sesto motivo deve essere dichiarato inammissibile.

Muovendo dalla premessa ermeneutica, univocamente condivisa dalla giurisprudenza di legittimità, secondo la quale la fattispecie associativa prevista dal D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, comma 6, è configurabile a condizione che i sodali abbiano programmato esclusivamente la commissione di fatti di lieve entità, predisponendo modalità strutturali ed operative incompatibili con fatti di maggiore gravità, dovendosi fare riferimento oltre all'attività svolta in concreto, ovverosia ai quantitativi di droga oggetto del commercio dell'associazione criminosa che debbono rientrare nella previsione del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5 (Sez. 6, Sentenza n. 12537 del 19/01/2016 - dep. 24/03/2016, Biondi, Rv. 267267; Sez. 6, Sentenza n. 49921 del 25/01/2018 - dep. 02/11/2018, Rv. 274287), ma altresì la potenzialità di quelli che è in grado di procurarsi (Sez. 3, n. 44837 del 06/02/2018 - dep. 08/10/2018, Caprioli, Rv. 274696), del tutto coerente è la conclusione tratta dalla sentenza impugnata che ha escluso la sussistenza dell'associazione minore valorizzando la concreta capacità operativa della struttura, il numero delle condotte in relazione alla loro intensità e frequenza rapportata all'arco temporale di osservazione, la idoneità delle stesse a rivolgersi ad una clientela indeterminata rispetto all'ambito territoriale di operatività, i costanti e continui approvvigionamenti di sostanze stupefacenti, e, non da ultimo, il quantitativo delle forniture di cocaina destinate allo Spa ccio.

In altri termini, ciò che è necessario è che la struttura della associazione riveli l'esclusione da parte dei partecipi della volontà di non commettere fatti che oltrepassino la soglia di cui all'art. 73, comma 5 ed in tal senso sono rivelatrici le modalità con cui l'azione criminosa si compie in concreto: l'autonoma fattispecie criminosa invocata non può essere configurata in tutti i casi in cui non si raggiunga la prova che il programma criminoso, per come ideato, progettato, realizzato nella sua concreta dinamica operativa avesse ad oggetto solo fatti di lieve entità. Ed è evidente che siffatta dimostrazione, involgendo la base progettuale e programmatica della stessa associazione, non possa fondarsi su argomentazioni del tutto congetturali, ovvero su contestazioni di segno negativo rispetto agli elementi compiutamente accertati dai giudici di merito, quali quelli addotti nella specie dalla difesa.

8. Singolare risulta, infine, la doglianza in ordine al diniego della prevalenza delle attenuanti generiche che la difesa articola in termini di assunta di Spa rità di trattamento rispetto ad altri coimputati, che avrebbero beneficiato di un ingiustificato trattamento di favore per il fatto di aver rinunciato ai motivi di appello relativi al primo capo di imputazione, ove si consideri che, al contrario, il riconoscimento delle circostanze di cui all'art. 62 bis c.p. al B.B. e al C.C. è stato effettuato per ragioni essenzialmente equitative essendo state già riconosciute sin dal giudizio di primo grado, al D.D., che pure rivestiva una posizione apicale all'interno di quello stesso sodalizio, dove gli altri imputati erano solo compartecipi. Senza contare che il ricorrente neppure indica gli elementi in forza dei quali avrebbe potuto fruire di un più mite trattamento sanzionatorio.

9. Ad analoga sorte non si sottrae neppure l'ottavo motivo.

La difesa non si confronta con l'elemento relativo alla distanza temporale individuato dalla Corte di appello al fine di escludere la continuazione tra le due condotte rispetto al quale non rileva la circostanza che l'imputato abbia svolto ininterrottamente attività di Spa ccio di stupefacenti successivamente alla sua incarcerazione posto che i fatti per i quali è intervenuta la condanna con la sentenza resa dalla Corte di appello di Caltanissetta nel 2013, diventata irrevocabile nel 2015 risalgono al 2006.

10. Quanto al motivo aggiunto articolato con la memoria trasmessa in data 5.2.2023 concernente l'eccepita inutilizzabilità delle intercettazioni acquisite, deve esserne rilevata l'inammissibilità sotto un duplice profilo: da un lato le doglianze ivi sviluppate non risultano in alcun modo riconducibili ai motivi costituenti oggetto di tempestivo ricorso, non essendo consentito l'ampliamento del petitum attraverso l'introduzione di censure non tempestivamente formalizzate entro i termini per l'impugnazione così da eluderne la previsione a pena di decadenza (Sez. 2, Sentenza n. 17693 del 17/01/2018 - dep. 19/04/2018, Rv. 272821); dall'altro ad esse si trasmette il vizio radicale da cui sono inficiati i motivi originari, inidonei all'instaurazione di un valido rapporto di impugnazione (Sez. 5, Sentenza n. 8439 del 24/01/2020 - dep. 02/03/2020, Rv. 278387).

11. All'esito dei ricorsi segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e, non sussistendo elementi per escludere che abbiano proposto la presente impugnativa senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento di una somma equitativamente liquidata in favore della Cassa delle Ammende.

P.Q.M.

Dichiara i ricorsi inammissibili e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000 in favore della Cassa delle Ammende.

Conclusione

Così deciso in Roma, il 7 febbraio 2023.

Depositato in Cancelleria il 23 febbraio 2023