Giu Ne bis in idem: il raffronto tra la prima contestazione e il fatto posto a base della nuova iniziativa del pubblico ministero
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. V PENALE - 21 febbraio 2023 N. 7389
Massima
Per verificare se vi sia bis in idem, il raffronto deve essere tra la prima contestazione, per come si è sviluppata nel processo, e il fatto posto a base della nuova iniziativa del pubblico ministero, secondo una prospettiva concreta e non legata alla struttura delle fattispecie ma pur sempre inquadrando gli accadimenti storici secondo la "griglia" normativa "condotta-nesso causale-evento"; nell'effettuare detta operazione, si deve tuttavia prescindere dalla risoluzione dell'ulteriore interrogativo - estraneo al tema del bis in idem processuale in chiave convenzionale - se tra i due reati possa esservi concorso formale e, quindi, prescindere dai vari criteri interpretativi su questo distinto tema.


Testo della sentenza
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. V PENALE - 21 febbraio 2023 N. 7389

Il ricorso è fondato, sicchè la sentenza impugnata va annullata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Reggio Calabria.

1. E' fondata, in particolare, la doglianza che attiene alla ritenuta insussistenza di interesse del ricorrente rispetto alla pronunzia di proscioglimento per bis in idem.

In questo senso il Collegio intende dare seguito al principio già sancito da Sez. 6, n. 33654 del 13/10/2020, De Serio, Rv. 279951, secondo cui sussiste l'interesse a proporre ricorso per cassazione avverso una sentenza di improcedibilità per estinzione del reato per prescrizione, al fine di ottenere il proscioglimento con la diversa formula del ne bis in idem, ove quest'ultima consegua ad una sentenza assolutoria nel merito, poichè in tal caso l'impugnazione è diretta a rimuovere una pronuncia pregiudizievole per il ricorrente. In particolare, ciò che ha condotto la sesta sezione a ritenere sussistente l'interesse in quel processo (che concerneva reati commessi da un Carabiniere e giudicati in diversi momenti) è che la declaratoria di estinzione del reato per violazione del divieto di ne bis in idem rimandava all'esistenza di una sentenza di assoluzione per insussistenza del fatto nel diverso processo a carico del medesimo imputato ed era su tale statuizione finale che doveva essere calibrato l'interesse del ricorrente all'impugnazione.

Orbene, la situazione non è dissimile da quella sub iudice, laddove il ricorrente è un appartenente alla Guardia di Finanza, il che rimanda alla valenza che, ai sensi dell'art. 653 c.p.p., hanno le sentenze penali nei giudizi disciplinari, in particolare quelle di assoluzione perchè il fatto non sussiste. E se è vero che la pronunzia cui si riferisce la doglianza era quella, invocata con l'atto di appello, concernente il bis in idem e non l'assoluzione del prevenuto, è altrettanto sostenibile che, ove mai fosse riconosciuta la medesimezza del fatto alla base della contestazione ex art. 615-ter c.p. rispetto a quello di rivelazione di segreto di ufficio di cui alla sentenza irrevocabile, ciò non potrebbe non avere rilievo nel giudizio disciplinare in quanto vi sarebbe stato positivo giudizio circa la sovrapponibilità dell'odierno addebito con un fatto di cui è stata esclusa la rilevanza penale.

2. Ciò posto, la sentenza impugnata va annullata in quanto era errata la statuizione circa la carenza di interesse del prevenuto alla pronunzia di bis in idem. Ciò lascia impregiudicata la valutazione della fondatezza della petizione difensiva, che spetterà, in piena autonomia, alla Corte di appello.

Fermo restando, dunque, che non vi è alcun vincolo di rinvio per la Corte territoriale quanto alla decisione sul "se" vi sia bis in idem, al solo fine di fornire un orientamento esegetico sul tema va ricordato che un'importante chiave di lettura della disposizione di cui all'art. 649 c.p.p. si deve alla sentenza della Corte Costituzionale n. 200 del 2016, che lo ha dichiarato costituzionalmente illegittimo per contrasto con l'art. 117 Cost., comma 1, in relazione all'art. 4 del Protocollo n. 7 CEDU (secondo cui "Nessuno può essere perseguito o condannato penalmente dalla giurisdizione dello stesso Stato per un reato per il quale è già stato assolto o condannato a seguito di una sentenza definitiva conformemente alla legge e alla procedura penale di tale Stato"). In particolare, la disposizione del nostro codice di rito è stata reputata incostituzionale nella parte in cui, secondo il diritto vivente, escludeva che il fatto fosse il medesimo per la sola circostanza che sussistesse un concorso formale tra il reato già giudicato con sentenza irrevocabile e il reato per cui era iniziato il nuovo procedimento penale.

Nel circoscrivere il giudizio di incostituzionalità rispetto a quanto opinato dal Giudice rimettente, la pronunzia della Consulta ha indicato all'interprete quale debba essere il percorso di verifica dell'identità del "fatto" che può condurre alla sentenza di improcedibilità ex art. 649 c.p.p.. A questo riguardo, la Corte Costituzionale ha sostenuto che il fatto storico-naturalistico che rileva, ai fini del divieto di bis in idem da leggersi in chiave convenzionale, è "l'accadimento materiale, certamente affrancato dal giogo dell'inquadramento giuridico, ma pur sempre frutto di un'addizione di elementi la cui selezione è condotta secondo criteri normativi"; criteri normativi - ha opinato il Giudice delle leggi - che ricomprendono non solo l'azione o l'omissione, ma anche l'oggetto fisico su cui cade il gesto ovvero l'evento naturalistico che ne è conseguito, ovvero la modificazione della realtà indotta dal comportamento dell'agente, secondo una dimensione empirica, così come accertata nel primo giudizio. Tale concetto - ha ricordato la Consulta - non è estraneo all'esegesi della Corte di cassazione sull'art. 649 c.p.p. (Sez. U, n. 34655 del 28/06/2005, Donati, Rv. 231799), laddove si sono valorizzati, quali indicatori delle medesimezza del fatto richiesta dal legislatore, tutti i suoi elementi costitutivi (condotta, evento, nesso causale). In altri termini, la verifica circa il bis in idem, pur dovendo attingere il fatto materiale e non già la fattispecie astratta, impone di riguardarlo comunque individuando, nel comportamento sub iudice, gli elementi di sovrapponibilità fattuale rispetto alla struttura della fattispecie come prevista dal legislatore. Come ha scritto la Corte Costituzionale, il fatto va apprezzato "secondo l'accezione che gli conferisce l'ordinamento", ma, a smentire la possibile riemersione dell'idem legale, "ad avere carattere giuridico è la sola indicazione dei segmenti dell'accadimento naturalistico che l'interprete è tenuto a prendere in considerazione per valutare la medesimezza del fatto" (in termini e per un'ampia ricostruzione del tema, cfr. Sez. 5, n. 11049 del 13/11/2017, dep. 2018, Ghelli, Rv. 272839, in motivazione, nonchè Sez. 4, n. 12175 del 03/11/2016, dep. 2017, Bordogna e altri, Rv. 270387).

E' bene altresì chiarire - per sgomberare il campo da talune ambiguità interpretative sul tema in discorso che ancora oggi si rilevano - che la soluzione del quesito circa la possibilità di concorso formale tra i reati posti a confronto non ha implicazioni, in un senso o in un altro, sulla soluzione della quaestio iuris posta dal ricorrente.

La Consulta, infatti, nel dichiarare l'illegittimità costituzionale dell'art. 649 c.p.p., ha escluso che la possibilità astratta che due fattispecie, commesse con un'unica azione od omissione, concorrano tra loro nel caso in cui vengano giudicate insieme consenta di prescindere, quando si tratti di raffrontare situazioni oggetto di diversi processi - l'uno già conclusosi, l'altro in corso di svolgimento - dalla verifica circa la medesimezza del fatto nella chiave sopra evidenziata e di processare comunque nuovamente l'imputato già condannato per il primo reato (ripudiando così il diritto vivente fino ad allora emerso dalla giurisprudenza di questa Corte).

A questo proposito, la Corte Costituzionale ha però anche escluso che vi siano implicazioni a contrario, nel senso che, ogni qualvolta possa ipotizzarsi in astratto un concorso formale tra due reati, automaticamente vi sia medesimezza del fatto e debba operare, pertanto, il divieto di bis in idem.

Ciò, d'altra parte, è la logica conseguenza della diversità di piani su cui si collocano le valutazioni a farsi in punto di concorso formale e di idem factum, dal momento che lo Stato può ben scegliere di far confluire sulla medesima condotta due fattispecie penali senza che si violi la garanzia individuale del divieto di bis in idem, "che si sviluppa invece con assolutezza in una dimensione esclusivamente processuale, e preclude non il simultaneus processus per distinti reati commessi con il medesimo fatto, ma una seconda iniziativa penale, laddove tale fatto sia già stato oggetto di una pronuncia di carattere definitivo" (così la Consulta).

Sostiene, ancora, la Corte Costituzionale che "In definitiva l'esistenza o no di un concorso formale tra i reati oggetto della res iudicata e della res iudicanda è un fattore ininfluente ai fini dell'applicazione dell'art. 649 c.p.p., una volta che questa disposizione sia stata ricondotta a conformità costituzionale, e l'ininfluenza gioca in entrambe le direzioni, perchè è permesso, ma non è prescritto al giudice di escludere la medesimezza del fatto, ove i reati siano stati eseguiti in concorso formale. Ai fini della decisione sull'applicabilità del divieto di bis in idem rileva infatti solo il giudizio sul fatto storico".

In definitiva, quindi, per verificare se vi sia bis in idem, il raffronto deve essere tra la prima contestazione, per come si è sviluppata nel processo, e il fatto posto a base della nuova iniziativa del pubblico ministero, secondo una prospettiva concreta e non legata alla struttura delle fattispecie ma pur sempre inquadrando gli accadimenti storici secondo la "griglia" normativa "condotta-nesso causale-evento"; nell'effettuare detta operazione, si deve tuttavia prescindere dalla risoluzione dell'ulteriore interrogativo - estraneo al tema del bis in idem processuale in chiave convenzionale - se tra i due reati possa esservi concorso formale e, quindi, prescindere dai vari criteri interpretativi su questo distinto tema.

P.Q.M.

annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Reggio Calabria.

Conclusione

Così deciso in Roma, il 30 novembre 2022.

Depositato in Cancelleria il 21 febbraio 2023