Giu aTTI PERSECUTORI: Per integrare l'elemento soggettivo non è necessario che l'agente sia stato mosso dal preordinato fine di "stalkerizzare" la persona offesa
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. V PENALE - 20 febbraio 2023 N. 7215
Massima
Per integrare l'elemento soggettivo del reato previsto dall'art. 612-bis cod. pen. non è necessario che l'agente sia stato mosso dal preordinato fine di "stalkerizzare" la persona offesa, atteso che nel delitto di atti persecutori, che ha natura di reato abituale di evento, l'elemento soggettivo è integrato dal dolo generico, il cui contenuto richiede la volontà di porre in essere più condotte di minaccia e molestia, nella consapevolezza della loro idoneità a produrre uno degli eventi alternativamente previsti dalla norma incriminatrice e nell'abitualità del proprio agire, ma non postula la preordinazione di tali condotte - elemento non previsto sul fronte della tipicità normativa - potendo queste ultime, invece, essere in tutto o in parte anche meramente casuali e realizzate qualora se ne presenti l'occasione.

Testo della sentenza
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. V PENALE - 20 febbraio 2023 N. 7215

1. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

1.1. Il primo motivo è manifestamente infondato.

La Corte di appello, infatti, ha ritenuto infondato il motivo di impugnazione che chiedeva di valutare l'incidenza della patologia psichiatrica dell'imputato sull'elemento soggettivo del reato, proprio evidenziando come non dovessero essere sovrapposti l'elemento soggettivo del reato e la capacità di intendere e volere (che comunque non era stata esclusa dal consulente tecnico).

1.2. Il secondo e il terzo motivo, che possono essere trattati congiuntamente, sono inammissibili per plurime ragioni convergenti.

In primo luogo, sono privi della necessaria specificità intrinseca, essendo esposti in maniera confusa ed essendo privi di una puntuale enunciazione delle ragioni di diritto giustificanti il ricorso e dei correlati congrui riferimenti alla motivazione dell'atto impugnato.

Sotto altro profilo, sono manifestamente infondati, atteso che la Corte territoriale ha risposto ai motivi di appello, compresi quelli relativi all'elemento soggettivo del reato e alla qualificazione giuridica del fatto. In particolare, ha correttamente evidenziata che non poteva ritenersi integrata la fattispecie di cui all'art. 660 c.p., atteso che le condotte dell'imputato, reiterate nel tempo, avevano provocato uno stato d'ansia nella persona offesa, che era stata costretta anche a mutare le proprie abitudini di vita. Elementi questi ultimi che costituivano l'evento tipico del reato di atti persecutori.

La motivazione della sentenza impugnata appare esauriente, avendo la Corte territoriale ricostruito i fatti in conformità all'ipotesi accusatoria e risposto anche alle censure mosse con l'atto di impugnazione.

Al riguardo, deve essere posto in rilievo che "nella motivazione della sentenza il giudice del gravame non è tenuto a compiere un'analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti e a prendere in esame dettagliatamente tutte le risultanze processuali, essendo invece sufficiente che, anche attraverso una loro valutazione globale, spieghi, in modo logico e adeguato, le ragioni del suo convincimento, dimostrando di aver tenuto presente ogni fatto decisivo, sicchè debbono considerarsi implicitamente disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata" (Sez. 6, n. 34532 del 22/06/2021; Depretis, Rv. 281935).

Va, infine, evidenziato che per integrare l'elemento soggettivo del reato previsto dall'art. 612-bis c.p. non è necessario, come sembra affermare il ricorrente, che l'agente sia stato mosso dal preordinato fine di "stalkerizzare" (pagina 9 del ricorso) la persona offesa, atteso che "nel delitto di atti persecutori, che ha natura di reato abituale di evento, l'elemento soggettivo è integrato dal dolo generico, il cui contenuto richiede la volontà di porre in essere più condotte di minaccia e molestia, nella consapevolezza della loro idoneità a produrre uno degli eventi alternativamente previsti dalla norma incriminatrice e dell'abitualità del proprio agire, ma non postula la preordinazione di tali condotte - elemento non previsto sul fronte della tipicità normativa - potendo queste ultime, invece, essere in tutto o in parte anche meramente casuali e realizzate qualora se ne presenti l'occasione" (Sez. 5, n. 43085 del 24/09/2015, A., Rv. 265230; Sez. 1, n. 28682 del 25/09/2020, S., Rv. 279726).

2. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso per cassazione, consegue, ai sensi dell'art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della sanzione pecuniaria a favore della Cassa delle Ammende, che deve determinarsi in Euro 3.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Conclusione

Così deciso in Roma, il 12 dicembre 2022.

Depositato in Cancelleria il 20 febbraio 2023