Giu ART. 416-BIS C.P. E ASSOCIAZIONI MAFIOSE PRIVE DI una connotazione criminale qualificata sotto il profilo "storico"
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. II PENALE - 19 gennaio 2023 N. 2159
Massima
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Per questo le associazioni che non hanno una connotazione criminale qualificata sotto il profilo "storico", dovranno essere analizzate nel loro concreto atteggiarsi, in quanto per esse "non basta la parola" (il nomen di mafia, camorra, ‘ndrangheta, ecc.); ed è evidente, che, in questa opera di ricostruzione, occorrerà porre particolare attenzione alle peculiarità di ciascuna specifica realtà delinquenziale, in quanto la norma mette in luce un problema di "assimilazione" normativa alle mafie "storiche" che rende necessaria un'attività interpretativa particolarmente attenta a porre in risalto "simmetrie" fenomeniche tra realtà fattuali, sociali ed umane, diverse fra loro (cfr. Sez. 2, n. 10255/2019, cit.).

Testo della sentenza
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. II PENALE - 19 gennaio 2023 N. 2159

1. Il ricorso è infondato e, come tale, immeritevole di accoglimento.

2. Il Collegio deve in via preliminare richiamare il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo il quale l'insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza ex art. 273 c.p.p. è rilevabile in cassazione soltanto se si traduce nella violazione di specifiche norme di legge o in mancanza o manifesta illogicità della motivazione, risultante dal testo del provvedimento impugnato: il controllo di legittimità non può riguardare nè la ricostruzione dei fatti, nè l'apprezzamento del giudice di merito circa l'attendibilità delle fonti e la rilevanza e concludenza dei dati probatori, per cui non sono consentite le censure che si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal Tribunale, pur investendo formalmente la motivazione (cfr., Sez. 2, n. 31553 del 17/05/2017, Paviglianiti, Rv. 270628-01; Sez. 4, n. 18795 del 02/03/2017, Di Iasi, Rv. 269884-01; Sez. 3, n. 20575 del 08/03/2016, Berlingeri, Rv. 266939-01; Sez. F, n. 47748 del 11/08/2014, Contarini, Rv. 261400-01; Sez. 6, n. 11194 del 08/03/2012, Lupo, Rv. 252178-01; Sez. 2, n. 7263 del 14/01/2020, Cesarano, non mass.).

3. Infondato è il primo motivo.

L'ordinanza impugnata, dopo aver dato atto dell'esistenza di plurime pronunce che hanno riconosciuto l'esistenza in territorio calabrese di una cosca di ‘ndrangheta riferibile alla famiglia B.B. (Sez. U, n. 36958 del 27/05/2021, Modaffari), ha altresì riconosciuto l'operatività di un'ulteriore articolazione delocalizzata della casa madre calabrese costituente la cd. locale romana.

Alcune premesse si rendono doverose.

3.1. E' noto che la fattispecie associativa delineata dall'art. 416-bis c.p., è stata introdotta nel "sistema" dei reati associativi per colmare quello che appariva essere un deficit di criminalizzazione di realtà associative più "complesse" delle ordinarie associazioni criminali, in quanto "storicamente" dedite alla "sopraffazione" di un determinato territorio per il conseguimento di obiettivi di potere e di utilità economica.

Il legislatore, peraltro, non si è limitato a "registrare" realtà (talvolta secolari) già presenti, come la mafia, la ‘ndrangheta, la camorra, la "Sacra corona unita", ecc., da tempo dotate di un nomen (localisticamente connotativo particolare importante perchè evocativo del sincretismo che normativamente caratterizza il binomio associazione mafiosa e territorio), con correlativi insediamenti, articolazioni periferiche, prestigio e "fama" criminale da "spendere" come arma di pressione nei confronti dei consociati, ma ha anche aperto un indefinito ambito operativo, per così dire "parallelo", destinato a perseguire tutte le altre aggregazioni (anche straniere) che, malgrado prive di un nomen e di una "storia" criminale, utilizzino metodi e perseguano scopi corrispondenti alle associazioni di tipo mafioso già note (da ultimo con riguardo alle cd. mafie di nuova costituzione v. Sez. 2, n. 10255 del 29/11/2019, dep. 2020, Fasciani, Rv. 27874502).

Tuttavia, con riferimento alle finalità perseguite, gli elementi tipizzanti le varie compagini criminali sono fra loro eterogenei, in quanto gli scopi avuti di mira dalle associazioni di stampo mafioso possono essere i più vari. Essi, infatti, Spa ziano dalla tradizionale realizzazione di un programma criminale - tipica di tutte le associazioni per delinquere - allo svolgimento di attività in sè lecite, come l'acquisizione, in modo diretto o indiretto, della gestione o comunque del controllo di attività economiche, di concessioni, di autorizzazioni, appalti e servizi pubblici; alla realizzazione di profitti o vantaggi ingiusti; all'impedimento o all'ostacolo del libero esercizio del diritto di voto o per procurare voti a sè o ad altri in occasione di consultazioni elettorali.

Un "mosaico" dunque, di finalità, tanto ampio che mal si concilia con l'individuazione di un elemento specializzante che possa definire il concetto di "tipo mafioso".

Deve ritenersi, invece, che il nucleo della fattispecie incriminatrice si collochi nel comma 3 dell'art. 416-bis c.p., laddove il legislatore definisce, assieme, metodo e finalità dell'associazione mafiosa - in sostanza, quelle finalità che si qualificano solo se c'è uno specifico "metodo" che le alimenta - delineando in tal modo un reato associativo non soltanto strutturalmente peculiare, ma, soprattutto, a gamma applicativa assai estesa, perchè destinato a reprimere qualsiasi manifestazione associativa che presenti quelle caratteristiche di metodo e fini.

Per questo le associazioni che non hanno una connotazione criminale qualificata sotto il profilo "storico", dovranno essere analizzate nel loro concreto atteggiarsi, in quanto per esse "non basta la parola" (il nomen di mafia, camorra, ‘ndrangheta, ecc.); ed è evidente, che, in questa opera di ricostruzione, occorrerà porre particolare attenzione alle peculiarità di ciascuna specifica realtà delinquenziale, in quanto la norma mette in luce un problema di "assimilazione" normativa alle mafie "storiche" che rende necessaria un'attività interpretativa particolarmente attenta a porre in risalto "simmetrie" fenomeniche tra realtà fattuali, sociali ed umane, diverse fra loro (cfr. Sez. 2, n. 10255/2019, cit.).

Diverso, invece, è il caso delle c.d. locali di ‘ndrangheta, ove assume particolare rilievo il collegamento della struttura territoriale con la casa madre. Infatti, proprio in forza dell'adozione di un modulo organizzativo che ne riproduce i tratti distintivi, caratterizzandone l'intrinseca essenza e perciò lasciando presagire il pericolo per l'ordine pubblico, si è affermato che il reato di cui all'art. 416-bis c.p. è configurabile anche in difetto della commissione di reati-fine e della esteriorizzazione della forza intimidatrice. Con particolare riguardo ad un'articolazione in una cittadina svizzera di un clan della ‘ndrangheta radicato in Calabria, questa Suprema Corte ha osservato che i moderni mezzi di comunicazione propri della globalità hanno reso noto il metodo mafioso proprio della "ndrangheta anche in contesti geografici un tempo ritenuti refrattari o insensibili al condizionamento mafioso, per cui non è necessaria la prova della capacità intimidatrice o della condizione di assoggettamento o di omertà in quanto l'impatto oppressivo sull'ambiente circostante è assicurato dalla fama conseguita nel tempo dalla consorteria (cfr., Sez. 5, n. 28722 del 24/05/2018, Demasi, Rv. 273093-01; Sez. 2, n. 24850 del 28/03/2017, Cataldo, Rv. 270290-01; Sez. 2, n. 31920 del 04/06/2021, Alampi, Rv. 281811-01).

3.2. Ciò premesso, non vi è dubbio che le peculiarità della vicenda oggetto del presente procedimento comportano la necessità di alcune puntualizzazioni che si riflettono tanto sul concetto di metodologia mafiosa che di struttura associativa "delocalizzata".

L'ordinanza oggetto di ricorso ha puntualmente messo in luce come la metodologia mafiosa che fa capo ad associazioni a diffusione variegata sul territorio nazionale si saldi a filo doppio con la natura delle attività che costituiscono il fine del sodalizio stesso. Altro è infatti misurare il concetto di forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva ove il fine cui questa metodologia e questo "stato di fatto" sono orientati sia rappresentato dalla commissione di specifici fatti criminali; altro è analizzare gli stessi connotati tipizzanti ove invece il fine perseguito sia quello di operare una ulteriore locupletazione del sodalizio attraverso l'assunzione o il controllo di attività economiche in sè in tutto lecite.

In tale prospettiva, risulta evidente come la manifestazione esteriore del sodalizio abbia connotati e caratteri di appariscenza differenziati, in quanto la illiceità che permea ontologicamente il fine, ove questo sia delittuoso, non altrettanto si caratterizza nella ipotesi in cui la locale intenda perseguire finalità di investimento, locupletazione e accrescimento delle potenzialità economiche dell'intero gruppo. In altri termini, l'ormai diffuso concetto di "locale" che caratterizza le estrinsecazioni per così dire extra-moenia delle varie organizzazioni ‘ndranghetiste assume i connotati non di una semplice "delocalizzazione" del gruppo madre, ma di una realtà che, pur permanendo stretti vincoli rispetto alla associazione di origine, ha pur sempre un connotato di autonomia strutturale, funzionale e operativa che finisce per autoalimentarsi ma al tempo stesso per manifestare all'esterno la capacità diffusiva di un'organizzazione così peculiarmente articolata. Problematica questa non ignota alla giurisprudenza di questa Suprema Corte, che in più occasioni si è soffermata sulla cd. articolazione "cellulare" delle organizzazioni di stampo terroristico eversivo, ove la riconducibilità della cellula "figlia" al tipo delineato dall'art. 270-bis c.p., si deve principalmente alla sua natura strumentale rispetto alla realizzazione degli obiettivi criminali perseguiti dall'organizzazione "madre", sia pure attraverso un rapporto di tipo "smaterializzato" (Sez. 2, n. 7808 del 04/12/2019, dep. 2020, EI Khalfi, Rv. 278680-02).

3.2.1. Da ciò può già desumersi un primo corollario. Come chiaramente emerge dallo stesso tenore delle intercettazioni telefoniche e dai singoli fatti "sintomatici" puntualmente indicati nell'ordinanza cautelare e nel provvedimento oggetto di ricorso, la locale romana è stata "costituita" con l'evidente beneplacito della casa "madre", la cui fama ed il cui prestigio non possono essere messi in discussione sulla scorta dei diversi giudicati al riguardo intervenuti e in forza dell'esito degli altri procedimenti richiamati, con l'ovvia conseguenza che il modo di essere delle penetrazioni in variegati settori economici fosse per un verso finalizzato alla "occupazione" dei diversi settori presi di mira, mentre sotto altro profilo è proprio quel prestigio e quelle modalità di occupazione a rendere emblematico l'impiego di una metodologia tipica di quella consorteria e non certo ignota a quanti con essa avevano a che fare. Significativo a questo riguardo il rapporto "non conflittuale" che la locale intendeva stabilire con altre organizzazioni criminali proprio per consentire un'attività il meno appariscente possibile di penetrazione e di controllo di settori sempre più vasti della economia cittadina.

In questo quadro di riferimento, è evidente come non si richiedessero espliciti atteggiamenti di eclatante intimidazione, di coercizione o comunque di violenza in quanto l'obiettivo non era e non è quello della sopraffazione fisica o morale di quanti venivano in contatto con i vari personaggi della locale, ma all'inverso, quello di consentire l'appropriazione di settori economici che escludessero di fatto un fisiologico libero mercato a tutto vantaggio di una gestione "seppur settoriale" di tipo "monopolistico".

3.2.2. Di conseguenza, viene in rilievo il principio di diritto affermato da questa Suprema Corte secondo cui la reale connotazione delle forme di "delocalizzazione" delle "mafie storiche" e della ‘ndrangheta in particolare - in ragione delle peculiarità strutturali, organizzative ed operative - connotata da forme di vere e propria colonizzazione dei territori nei quali decide di estendere la propria forza egemonica, risiede nell'intrinseca, e non implicita, forza di intimidazione derivante dal collegamento con le componenti centrali dell'associazione mafiosa, dalla riproduzione sui territori delle tipiche strutture organizzative della ‘ndrangheta, dall'avvalimento della fama criminale conseguita, nel corso di decenni, nei territori di storico ed originario insediamento (cfr., Sez. F, n. 56596 del 03/09/2018, Balsebre, Rv. 274753-01; Sez. 2, n. 31920 del 04/06/2021, Alampi, Rv. 281811-01; cfr. pure Sez. 2, n. 27808 del 14/03/2019, Furnari, Rv. 276111-01: "la esteriorizzazione della forza di intimidazione come manifestazione percepibile del metodo mafioso delle associazioni riconducibili al paradigma normativo previsto dall'art. 416-bis c.p. è (...) necessaria solo ove il gruppo criminale debba accreditarsi nel contesto sociale nel quale intende operare e non quando (...) si ricolleghi chiaramente ad una organizzazione storica, della quale eredita il capitale criminale"; nonchè Sez. 2, n. 12362 del 02/03/2021, Mazzagatti, Rv. 280997-01; Sez. 5, n. 28722/2018, cit.; Sez. 2, n. 24850 del 28/03/2017, Cataldo, Rv. 270290-01; Sez. 5, n. 7575 del 25/11/2021, dep. 2022, Cutano, non mass.).

3.3. Di tali condizioni l'ordinanza impugnata risulta avere dato motivatamente atto: si è evidenziato come la locale romana tragga la sua origine dalla casa madre, secondo un progetto che si deve al C.C., appositamente autorizzato dalla Provincia in virtù dei suoi stretti legami e dell'appartenenza con la casa madre; che la locale mantiene i contatti con la casa madre, a cui faceva riferimento per il mantenimento degli equilibri generali, per il controllo delle nomine, per l'ottenimento del nulla osta ai fini del conferimento delle cariche e per la risoluzione di eventuali controversie; sono descritte le modalità operative tipiche dei consessi di ‘ndrangheta, quali il possesso ed il conferimento di doti, le "mangiate" quali apposite riunioni per discutere di questioni di cosca, la distribuzione gerarchica dei ruoli, l'esistenza di una specifica struttura organizzativa e logistica; il possesso di armi; l'inquinamento del tessuto economico.

Inoltre, a corredo di una lettura comunque ancorata ai requisiti di tipicità della fattispecie, si sono comunque evocati indici particolarmente significativi di esteriorizzazione del metodo, richiamandosi molteplici episodi "di paura" - alcuni dei quali persino sfociati in contestazioni di delitti fine caratterizzati dall'uso di minaccia e violenza in relazione ai quali è stata emessa la misura cautelare - che il Tribunale risulta avere letto in senso unitario in aderenza alla contestazione in quanto coesi dal comune denominatore della forza di persuasione della ‘ndrangheta e della finalità di agevolazione del consesso romano. A ciò si è aggiunto l'ulteriore dato, di spiccato rilievo, costituito dal rapporto con altre consorterie mafiose che insistono sul territorio romano e di carattere variegato, ove le interlocuzioni tra i vari personaggi avvengono notoriamente su un piano paritario di reciproco riconoscimento. Un dato, questo, di chiara percezione esterna di come la locale romana fosse accreditata nel contesto sociale in cui intendeva operare quale articolazione dotata, stante il collegamento con la casa madre, di un capitale criminale concretamente ed all'occorrenza pienamente spendibile.

Vengono così superate le obiezioni difensive in punto di partecipazione, pur in assenza di quegli indici rivelatori estrinseci (titolarità di dote, inviti e partecipazioni alle c.d. "mangiate", implicanti la conoscenza e la condivisione di informazioni e determinazioni destinate a rimanere segrete) che per taluno degli associati agevolano, invece, la riconoscibilità della condotta, in quanto estrinsecazione in concreto di un'adesione libera e volontaria al sodalizio in modo stabile e duraturo, oltre che potenzialmente permanente che, nello stesso tempo, rende concreta la "messa a disposizione" ed individua il profilo dinamico della partecipazione secondo l'insegnamento delle Sezioni unite "Modaffari" (sent. n. 36958 del 27/05/2021, Rv. 281889-01, cit.).

Lungi, dunque, da una lettura sociologica della fattispecie, il giudice del merito non si è arrestato alla constatazione dell'esistenza di un gruppo a vocazione ‘ndranghetista, ma ne ha ricercato indici di intrinseca forza mafiosa non soltanto potenziali ma concretamente spendibili e all'occorrenza spesi, valorizzando dati di fatto, ricavati anche dal compendio intercettivo, del tutto coerenti con tali indici. E di ciò ha dato conto con motivazione congrua e scevra da vizi logici.

3.4. Di conseguenza, il riferimento all'assenza di un controllo effettivo del territorio romano non scalfisce, in punto di corretta applicazione della disposizione sostanziale censurata, la motivazione resa dall'ordinanza impugnata, in quanto l'ampiezza della città e la sua complessità sociale mal si prestano ad una colonizzazione del tipo di quella che le organizzazioni mafiose di provenienza esercitano nei territori di origine, cedendo, invece, il passo ad una forma di tipo differente, consistente nella "colonizzazione" del tessuto economico. E ciò non pare affatto distonico rispetto al modello proprio ed autoctono dell'organizzazione criminale di riferimento, in quanto la ‘ndrangheta - per come anche asseverato da noti procedimenti giudiziari e recenti decisioni di questa Corte (Sez. 2, n. 39774 del 07/05/2022, Aiello, non mass.), nonchè dalle stesse Relazioni della Commissione parlamentare antimafia - si è mossa negli ultimi anni accaparrandosi progressivamente intere porzioni imprenditoriali nelle forniture, nel settore della ristorazione, nell'ambito del gioco: ha immesso capitali enormi che hanno alterato profondamente l'economia legale, ma che al tempo stesso garantiscono a queste strutture mafiose posizioni dominanti attraverso cui affidare il sostegno ai propri sodali e il riflusso del denaro pronto ad essere reinvestito.

Infine, le osservazioni difensive che fanno leva sulla autonomia precettiva delle figure di reato che alternativamente si renderebbero tipiche, quali il riciclaggio, il reimpiego e/o la intestazione fittizia di beni seppure aggravati ai sensi dell'art. 416-bis. 1 c.p., si rivelano fallaci, in quanto è proprio dalla richiamata ipotizzabilità di queste figure di reato che, ove evocate - come nella specie - a vero e proprio sistema operativo funzionale alla esistenza stessa della locale romana, possono essere agevolmente dedotti fattori indicativi di una metodologia e di una operatività squisitamente riconducibili al metodo mafioso che la difesa vivacemente contesta.

3.5. Fermo quanto precede, evidenzia il Collegio come l'ordinanza impugnata abbia ampliamente esplicitato gli indici rivelatori della partecipazione del ricorrente all'associazione de qua. Pur non possedendo una "dote", il A.A. non è rimasto totalmente estraneo all'organizzazione dell'incontro conviviale (la c.d. mangiata) del 15/10/2017 presso l'abitazione di C.C.. Dal servizio di videosorveglianza è emerso, infatti, che alle ore 9.18 del 15/10/2017 giungeva sul posto l'autovettura di D.D. su cui salivano E.E. e A.A., per poi allontanarsi. Dalla lettura delle celle telefoniche, non risulta che il A.A. abbia partecipato all'incontro (tenutosi nella massima segretezza), anche se è ragionevole pensare che abbia conosciuto del suo svolgersi, tenuto conto dell'orario in cui è stato visto, dei suoi accompagnatori (il E.E. ha certamente partecipato all'incontro) e del fatto che già la sera prima il ristorante aveva costituito un appoggio logistico per il ritiro delle casse di vino. Il ricorrente, però, è stato certamente individuato il 24/06/2017, insieme ad altri associati, tra cui F.F. e G.G., alla festa del matrimonio celebrato tra H.H. (figlia di B.B.) e I.I., appartenente ad una famiglia di ‘ndrangheta originaria della fascia fonica della provincia reggina. Il A.A. ha poi partecipato alla riunione del 01/03/2017, svolgendo "parte attiva" presso il ristorante "Binario 96" nell'incontro con B.B., L.L., la moglie M.M., E.E., N.N. e O.O.: riunione conviviale fissata nell'ambito di un complesso di rapporti economici che B.B. stava intessendo con P.P., e dunque con la cosca Farao/Marincola, tra la Calabria e Roma, per il ritiro delle pelli degli animali macellati e per il ritiro degli olii esausti dagli esercizi di ristorazione. Il A.A., inoltre, risulta essere stato assunto a tempo indeterminato in più società riferibili a B.B., tra cui (Omissis) Srl , zio Melo Srl , Panificazione gastronomica I Templari Srl , Valba Group Srl Il ricorrente presta, poi, ulteriore collaborazione all'associazione in ambito societario per le proprie competenze giuridiche (v. pagg. 33-34 dell'ordinanza impugnata). Da qui la giustificata conclusione del Tribunale secondo cui il ricorrente "risulta... intraneo al sodalizio, con un ruolo non secondario; la sua "messa a disposizione" assume i caratteri della serietà e della continuità attraverso i comportamenti di fatto descritti, che ne denotano in concreto l'adesione libera e volontaria al sodalizio, in modo stabile e duraturo, potenzialmente permanente, tale da essere definibile come un profilo dinamico di partecipazione, essendo il ricorrente ben inglobato nel gruppo e pronto per le necessità attuali o future della consorteria... (e) allo stato... neppure emergono condotte volontarie del ricorrente contrarie od equivoche (quali disobbedienza, allontanamento fisico, disinteresse) tali da contrastare con l'impegno preso di "messa a disposizione" e da far quantomeno dubitare che permanga la sua volontà di contribuire alla vita dell'associazione".

4. Infondato è il secondo motivo.

4.1. Evidenzia il Collegio come, con riferimento al capo 7) d'incolpazione (intestazione fittizia aggravata dall'agevolazione dell'associazione mafiosa, della società zio Melo), l'ordinanza impugnata abbia ben illustrato gli elementi da cui si ricava che detta società, esercente l'attività di laboratorio di pastificio, panificazione e forno, fosse in realtà riferibile a B.B., quale soggetto interponente. Invero, le condotte contestate sono due, una per l'acquisto di parte delle quote dal cedente Q.Q. il 10/01/2019 e l'altra per la loro cessione a R.R il 03/02/2020, negozi giuridici accompagnati dall'assunzione e poi dalla dimissione di F.F. dalla carica di amministratore. Nelle stesse date, anche gli altri soci (S.S , F.F. e T.T.), acquistavano e cedevano le loro quote. L'ordinanza impugnata da inoltre atto che:

- la cessione delle quote a R.R è avvenuta al valore nominale benchè dal bilancio 2018 riTsultasse il volume di affari di Euro 659.422,00;

- in merito all'acquisizione delle quote, S.S non ha ricordato di aver mai visto il commercialista U.U. nè l'a.u. R.R e che sui propri conti non è mai confluito denaro di R.R , precisando altresì che i redditi da lei percepiti dalla zio Melo nel 2020, pari ad Euro 8.997, erano da lavoro dipendente;

- in merito all'acquisto delle quote, R.R ha dichiarato di non avere avuto il denaro sufficiente per pagarle e di non aver neppure saputo di averle acquistate; di non conoscere il commercialista U.U. nè S.S nè T.T.; di essere stato pagato per la sua opera 500 Euro al mese da tali V.V. o Z.Z., il ragioniere di (Omissis) (v. pagg. 36-38 dell'ordinanza impugnata, evidenzianti la presenza e gli interventi effettuati da B.B. direttamente per conto della zio Melo, a testimonianza ulteriore di come tutti i soci, sostanzialmente ignari delle vicende societarie, altro non erano che interposti dello stesso);

- il manifestato programma criminoso di B.B., ampiamente rivelato nella conversazione tra lo stesso e L.L. (RIT 4888/16, prog. 1487 del 10/11/2016), ove lo stesso, parlando di quote, afferma esplicitamente: "... deve essere intanto una vendita con la tracciabilità come è stata pagata non solo l'atto... se le oggi come oggi se la compra... e cio vuole il passaggio di denaro... ci vuole fatta per bene... cioè, sennò si vede che è un passaggio fittizio, no ?".

4.2. Ciò premesso, si rende evidente l'ininfluenza del ragionamento difensivo secondo cui:

-il prezzo delle quote acquisite dal A.A. era pari ad Euro 4.000 su 20.000 complessivi, prezzo che non poteva ritenersi simulato in ragione del volume di affari di Euro 659.422,00, dovendosi in realtà considerare anche la situazione debitoria, vicina al milione di Euro;

- il valore delle quote acquistate dal ricorrente era ben compatibile con i redditi dichiarati, di Euro 30.009 per il 2017 e di Euro 28.650 per il 2018, tanto più che il pagamento sarebbe avvenuto in rate mensili di 1.000 Euro, da decurtarsi sullo stipendio;

- l'effettività della propria posizione risultava comprovata dalla sua insinuazione al passivo fallimentare e che lo stesso non poteva avere contezza che B.B. fosse un potenziale destinatario di misure di prevenzione patrimoniali. Invero, il A.A.:

- è un'associato;

- è uno stretto collaboratore di B.B. e, necessariamente, edotto della "carriera criminale" dello stesso in ambito imprenditoriale, attesa la notorietà delle misure di prevenzione patrimoniali che lo avevano colpito (una addirittura, quella del Cafè de Paris di (Omissis), di pubblico dominio);

- ha competenze giuridiche che gli consentivano di comprendere il disegno criminoso, aderirvi e concorrere a porre in essere.

Da qui le condivisibili conclusioni del provvedimento impugnato, secondo cui "deve... concludersi che il ricorrente, con la sua condotta, consentiva a B.B. di portare avanti operazioni economiche, eludendo la normativa in materia di misure di prevenzione. E' evidente che senza il suo fattivo apporto, in concorso con gli altri interposti, l'interponente non avrebbe potuto continuare l'attività imprenditoriale in esame... Deve inoltre ritenersi indiziariamente sussistente l'aggravante contestata, tenuto conto della sua partecipazione al sodalizio criminoso di stampo mafioso, che ben intendeva agevolare".

5. Infondato è il terzo motivo.

5.1. Occorre ricordare in premessa che in tema di custodia cautelare in carcere, l'art. 275, comma 3, c.p.p. pone una presunzione relativa di pericolosità sociale che determina, quanto alla motivazione del provvedimento cautelare, la necessità, non già di dar conto della ricorrenza dei "pericula libertatis", ma solo di apprezzarne le ragioni di esclusione, ove queste siano state evidenziate dalla parte o siano direttamente evincibili dagli atti, tra le quali, in particolare, può rilevare il c.d. "tempo silente", che deve essere parametrato alla gravità della condotta ed alla rescissione dei legami con il sodalizio di appartenenza, che ha comunque valore risolutivo nella esclusione della sussistenza delle esigenze cautelari (Corte Cost. n. 136 del 2017).

Invero, a seguito dell'intervento riformatore di cui alla L. n. 47 del 2015, a fronte della contestazione dei reati di associazione sovversiva, con finalità di terrorismo o di stampo mafioso, l'art. 275, comma 3, c.p.p. continua a prevedere una doppia presunzione, relativa quanto alla sussistenza delle esigenze cautelari ed assoluta con riguardo all'adeguatezza della misura carceraria. Pertanto, qualora sussistano i gravi indizi di colpevolezza del menzionato delitto e non ci si trovi in presenza di una situazione nella quale fa difetto una qualunque esigenza cautelare, deve trovare applicazione in via obbligatoria la misura della custodia in carcere. Sotto il primo profilo, vi è una presunzione relativa di concretezza ed attualità del pericolo di recidiva, superabile solo dalla prova circa l'affievolimento o la cessazione di ogni esigenza cautelare. Quanto al secondo aspetto, la presunzione relativa di adeguatezza della custodia cautelare in carcere può essere superata soltanto quando, in relazione al caso concreto, siano acquisiti elementi specifici dai quali risulti che le esigenze cautelari possono essere soddisfatte con altre misure, non essendo idonea la mera allegazione del tempo trascorso e della durata della restrizione sofferta.

5.2. Il tema proposto, già affrontato in senso analogo in alcune precedenti motivazioni (in particolare, v. Sez. 6, n. 19787 del 26/03/2019, Bonforte, Rv. 275681-01; Sez. 5, n. 36891 del 23/10/2020, Quaceci, Rv. 280471-01; Sez. 2, n. 7837 del 12/02/2021, Manzo, Rv. 280889-01) è quello della ricerca, a livello motivazionale quanto alle esigenze cautelari in caso di imputazioni ai sensi dell'art. 416-bis c.p. o aggravate ex art. 416-bis.1, c.p., di una soluzione interpretativa di mediazione e intermedia che tenga conto del regime normativo, ma anche di una serie di rilevanti problematiche incidenti su tale regime presuntivo che nel corso del tempo sono state poste.

In tal senso, occorre ricordare i due diversi orientamenti interpretativi, apparentemente in contrasto e non allineati, che caratterizzano la giurisprudenza della Corte di cassazione.

Un primo orientamento afferma che la presunzione di sussistenza delle esigenze cautelari, prevista dall'art. 275, comma 3, c.p.p., può essere superata ove si registri il decorso di un rilevante lasso temporale tra le condotte ascritte ed il momento applicativo della misura cautelare, dovendo il fattore tempo entrare nella valutazione cui è chiamato il giudice della cautela nel riscontrare, in concreto, l'attualità del pericolo di recidiva (cfr., Sez. 5, n. 31614 del 13/10/2020, Lo Russo, Rv. 279720-01; Sez. 1, n. 28991 del 25/09/2020, Felice, Rv. 27972801; Sez. 1, n. 42714 del 19/07/2019, Terminio, Rv. 277231-01; Sez. 6, n. 16867 del 20/03/2018, Morabito, Rv. 272919-01; Sez. 5, n. 25670 del 13/03/2018, Gullo, Rv. 273805-01; Sez. 6, n. 25517 del 11/05/2017, Fazio, Rv. 270342-01; Sez. 6, n. 29807 del 04/05/2017, Nocerino, Rv. 270738-01; Sez. 6, n. 20304 del 30/03/2017, Sinesi, Rv. 269957-01; Sez. 5, n. 52628 del 23/09/2016, Gallo, Rv. 268727-01; Sez. 5, n. 36569 del 19/07/2016, Cosentino, Rv. 267995-01).

Un secondo orientamento afferma invece che la presunzione relativa di pericolosità sociale, di cui all'attuale dettato dell'art. 275, comma 3, c.p.p., può essere superata solo quando dagli elementi a disposizione del giudice (presenti agli atti o addotti dalla parte interessata) emerga che l'associato abbia stabilmente rescisso i suoi legami con l'organizzazione criminosa; pertanto, in assenza di elementi a favore, sul giudice della cautela non grava un onere di argomentare in positivo circa la sussistenza o la permanenza delle esigenze (cfr., Sez. 5, n. 26371 del 24/07/2020, Carparelli, Rv. 279470-01; Sez. 5, n. 91 del 01/12/2020, dep. 2021, Panese, Rv. 280248-01; Sez. 1, n. 231113 del 19/10/2018, Fotia, Rv. 276316-01; Sez. 5, n. 35847 del 11/06/2018, C., Rv. 274174-01; Sez. 5, n. 47401 del 14/09/2017, Iannazzo, Rv. 271855-01; Sez. 2, n. 19283 del 03/02/2017, Cocciolo, Rv. 270062-01; Sez. 5, n. 52303 del 14/07/2016, Gerbino, Rv. 268726-01; Sez. 5, n. 44644 del 28/06/2016, Leonardi, Rv. 268197-01).

Tale principio è stato affermato anche quando la gravità indiziaria concerna un reato con l'aggravante del metodo mafioso, ora prevista dall'art. 416 bis. 1 c.p.; la presunzione relativa di concretezza ed attualità del pericolo di recidiva è superabile solo dalla prova circa l'affievolimento o la cessazione di ogni esigenza cautelare, in difetto della quale l'onere motivazionale incombente sul giudice ai sensi dell'art. 274 c.p.p. deve ritenersi rispettato mediante il semplice riferimento alla mancanza di elementi positivamente valutabili nel senso di un'attenuazione delle esigenze di prevenzione (cfr., Sez. 5, n. 35848 del 11/06/2018, Trifirò, Rv. 273631-01; Sez. 2, n. 3105 del 22/12/2016, dep. 2017, Puca, Rv. 269112-01; Sez. 3, n. 33051 del 08/03/2016, Barra, Rv. 268664-01).

Anche in tema di reato associativo, si è statuito che la presunzione di sussistenza delle esigenze cautelari di cui all'art. 275, comma 3, c.p.p. opera allo stesso modo con riferimento alle associazioni mafiose cosiddette "nuove" e può essere superata solo con il recesso dell'indagato dall'associazione o con l'esaurimento dell'attività associativa, mentre il cosiddetto "tempo silente" (ossia il decorso di un tempo considerevole tra l'emissione della misura e i fatti contestati) può essere valutato solo in via residuale, facendo stretto riferimento alla natura non stabile dell'associazione e alla sua scarsa forza attrattiva e intimidatrice (Sez. 2, n. 7260 del 27/11/2019, dep. 2020, Trombacca, Rv. 27856901).

5.3. Si deve in concreto osservare come, specialmente per le mafie storiche (che caratterizzano il caso di specie, essendo la nuova mafia una derivazione immediata e diretta di quella originaria reggina), non possa in ogni caso essere attribuita valenza esclusiva effettivamente idonea a superare le presunzioni sopra richiamate al c.d. tempo silente.

5.4. Tenuto conto, quindi, dell'excursus interpretativo e giurisprudenziale riportato, sembra potersi osservare che, in via di mediazione tra i due diversi orientamenti, ciò che occorre effettivamente realizzare in fase di valutazione delle esigenze cautelari in questi casi è una attenta verifica del presupposto negativo perchè possa scattare l'automatismo ex lege, ovvero l'assenza di elementi, dedotti dalla parte, o comunque emergenti dagli atti, suscettibili di superare la presunzione di pericolosità sociale, che rende appunto inderogabile l'applicazione della misura intramuraria.

5.4.1. Emerge un dato assai significativo, che rappresenta una concreta soluzione interpretativa e di mediazione anche tenuto conto delle istanze difensive, tra i due contrapposti orientamenti, ovvero che spetta al giudice riempire di contenuto tale espressione, valutando nell'ambito del proprio prudente apprezzamento, quali eventuali dati sintomatici, se non di una formale rescissione del factum sceleris, di un serio, oggettivo ed irreversibile allontanamento e distacco dal gruppo di appartenenza.

Quindi, un'ottica interpretativa orientata a realizzare una valutazione attualizzata e in concreto anche sulla base delle allegazioni difensive, oltre che delle emergenze di indagine, "la presunzione di pericolosità sociale può, dunque, essere superata non solo quando sia dimostrato che l'associato ha stabilmente rescisso i suoi legami con l'organizzazione criminosa, ma anche quando dagli elementi a disposizione del giudice, prodotti o evidenziati dalla parte o direttamente evincibili dagli atti, emerga una situazione che dimostri in modo obiettivo e concreto, comprovata da circostanze di elevato spessore, l'effettivo allontanamento dell'indagatolimputato dal gruppo criminale, così che, pur in mancanza di una rescissione - formale o per facta concludentia - del vincolo associativo, si possa affermare che - come previsto dalla stessa disposizione - non sussistano esigenze cautelari" sicchè "è ovvio che, proprio tenuto conto della specifica struttura e delle connotazioni criminologiche di tale figura criminosa, nonchè delle logiche stringenti di accesso e di appartenenza alla consorteria, siffatta presunzione potrà ritenersi superata soltanto qualora gli elementi emergenti dagli atti processuali o dedotti dalla parte, consentano di ritenere serio, effettivo ed irreversibile l'allontanamento dal gruppo così da poter affermare - pur in mancanza di una rescissione del pactum sceleris - la radicale mancanza nell'attualità di esigenze cautelari" (Sez. 6, n. 19787/2019, cit.).

5.4.2. Occorre, dunque, che nella valutazione demandata al giudice della cautela emerga una lettura significativa, approfondita e coerente, sulla base di una considerazione logica degli elementi acquisiti, circa la ricorrenza di facta concludentia talmente significativi da poter ritenere elemento ricorrente quello dell'effettivo allontanamento dalla consorteria criminale in modo da poter riscontrare un'effettiva assenza di esigenze cautelari.

Pertanto, al di là delle differenze linguistiche seguite dai due diversi orientamenti, richiedendo il primo la prova della rescissione dalla associazione e il secondo una prova rigorosa dell'effettivo allontanamento dell'indagato dal gruppo criminale, occorre considerare che pur in mancanza di una rescissione formale, il decorso di un tempo, seppur significativo, da solo non può provare l'irreversibile allontanamento, ma occorre, comunque, una dimostrazione in modo obiettivo e concreto di una situazione indicativa della assenza di esigenze cautelari (ad esempio un'attività di collaborazione o di trasferimento in altra zona territoriale).

La necessità di una prova rigorosa, in tal senso richiesta, evidenzia la portata e rilevanza della disposizione introdotta dal legislatore con la previsione della doppia presunzione di cui all'art. 275, comma 3, c.p.p. Ricorre, dunque, a carico del giudice della cautela un rigoroso onere motivazionale per riscontrare l'effettivo allontanamento 5.5. Fermo quanto precede, ha ritenuto il Tribunale come le sunnominate presunzioni non siano state in alcun modo superate dalla difesa, essendosi tra l'indagato avvalso della facoltà di non rispondere in sede di interrogatorio di garanzia. In particolare, per quanto riguarda il concreto ed attuale pericolo di reiterazione di reati analoghi a quelli per cui si procede, il Tribunale ha evidenziato la "già illustrata gravità delle condotte poste in essere dal ricorrente, che si è messo a disposizione dell'associazione di stampo mafioso... ben consapevole dell'attività criminosa posta in essere. La condotta è chiaramente continuativa quanto alla partecipazione, e duplice quanto all'intestazione fittizia".

Inoltre, ad ulteriore dimostrazione dell'assenza di "generalizzazioni" nella valutazione della posizione investigata (ricordando, peraltro, come la motivazione del provvedimento in punto di esigenze di cui all'art. 274, lett. c), c.p.p., qualora queste siano tratte esclusivamente dalla particolare modalità di commissione del reato, caratterizzata dal coinvolgimento in pari grado di tutti i coindagati, può accomunare, in una visione cumulativa, le singole posizioni degli stessi, non essendo necessario ripetere per ciascuno, in modo formalistico, le ragioni fondanti il pericolo di reiterazione della condotta criminosa: Sez. 2, n. 14316 del 18/02/2022, Ahmeti, Rv. 282978-02), si è ritenuto che denotino specificatamente in senso negativo la personalità del prevenuto gli episodi successivi a quelli confluiti nell'ordinanza impugnata, illustrati dalle produzioni del pubblico ministero in sede di riesame e dall'ulteriore decreto di convalida emesso dal giudice per le indagini preliminari il 21/05/2022 (infatti, in sede di esecuzione della misura reale del 23/03/2022, è emerso il fallimento della zio Melo, con sentenza del Tribunale di Roma del 24/02/2022 e la sua sostituzione con la neo costituita Valba Group Srl , in cui il ricorrente è operativo): appare così adeguatamente dimostrata quella contiguità con l'ambiente criminale di riferimento, in relazione al quale nessuna rescissione è stata operata. Da qui la valutazione della recessività di ogni altro dato (anche astrattamente favorevole all'indagato) e dell'ineludibilità della misura cautelare massima, "l'unica idonea ad assicurare lo sradicamento dal contesto criminale nel quale il ricorrente ha dimostrato di operare in modo continuativo e professionale, attraverso stretti e ramificati legami sul territorio".

6. Alla pronuncia consegue, per il disposto dell'art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all'art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all'art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Conclusione

Così deciso in Roma, il 18 novembre 2022.

Depositato in Cancelleria il 19 gennaio 2023