Giu Mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice ed elusione del provvedimento del giudice civile relativo all'affidamento di minori
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. VI PENALE - 18 gennaio 2023 N. 1933
Massima
Il delitto di cui all'art. 388, comma 2, c.p., concernente l'elusione di un provvedimento del giudice civile relativo all'affidamento di minori, ha natura istantanea e si consuma nei momento in cui si verifica il primo fatto con quale il genitore affidatario si sottrae all'esecuzione del provvedimento, dando corpo ad una ipotesi di concorso tra più fatti di reato e, ordinariamente, all'applicazione del regime della continuazione, laddove l'agire elusivo si concreti in più condotte ripetute nel tempo, frutto di una scelta programmatica originaria.

Casus Decisus
1.La Procura generale presso la Corte di appello di Campobasso impugna per cassazione la sentenza indicata in epigrafe con la quale la Corte di appello di Campobasso - in riforma della sentenza di assoluzione per la ritenuta non sussistenza del fatto emessa dal Tribunale locale nei confronti di A.A., imputata del reato di cui all'art. 388, comma 2, c.p. - ha comunque assolto la prevenuta dalla relativa contestazione, pur se in ragione della ritenuta applicabilità alla specie della causa di non punibilità di cui all'art. 131-bis c.p.. 2. Si lamenta con il ricorso violazione di legge in relazione all'art. 131-bis cod. pen e vizio di motivazione, contraddittoria e illogica. Sotto il primo versante, perchè la causa di non punibilità non poteva trovare applicazione nella specie per la pluralità delle condotte di inadempimento, reiterate nel tempo, nel caso connotanti il fatto di reato contestato (in particolare per non aver consentito in diverse occasioni al marito separato di esercitare il diritto di incontrare e vedere i figli minori affidati all'imputata secondo le indicazioni contenute nel decreto di omologa della separazione consensuale reso dal Tribunale di Campobasso). Sotto il secondo versante, perchè la Corte del merito, nel ribaltare la decisione assolutoria di primo grado, è pervenuta ad un giudizio di configurabilità del reato contestato valorizzando la ripetitività delle condotte messe in atto dall'imputata, sintomo di una radicata consapevolezza della violazione realizzata non osservando il precetto del provvedimento fondante il diritto della persona offesa a vedere e incontrare i figli; ciò malgrado, in termini contraddittori e apodittici, avrebbe anche finito per ritenere verosimilmente limitato il pregiudizio arrecato dall'imputata al querelante e alla prole nel disattendere il provvedimento di omologa della separazione, concludendo per la non punibilità del fatto in ragione della particolare tenuità dell'offesa riscontrata. 3. Con memoria del 22 novembre 2022 la difesa dell'imputato ha chiesto l'annullamento della sentenza impugnata in ragione della ritenuta insussistenza del fatto di reato contestato; in subordine la conferma della decisione impugnata e la concessione del beneficio della non menzione nel casellario.

Testo della sentenza
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. VI PENALE - 18 gennaio 2023 N. 1933

. D ricorso è fondato per le ragioni precisate di seguito.

2, Ferma l'immediata irritualità delle richieste della difesa dell'imputata diverse da quelle direttamente volte a rivendicare la conferma della statuizione impugnata (perchè non veicolate tramite apposito ricorso), giova premettere che, nel fondare la responsabilità, la Corte del merito, ribaltando le valutazioni rese dal primo giudice, ha inteso ribadire la riscontrata e ripetuta elusione, da parte della A.A., del provvedimento giudiziale di omologazione della separazione, avendo la prevenuta, nell'arco temporale considerato dalla contestazione, con sistematicità, impedito l'incontro tra la persona offesa e i suoi figli, in termini del tutto ingiustificati rispetto alle previsioni della citata statuizione. Il tutto rima-cando a ferma intenzione mostrata dall'imputata nell'ostacolare l'esecuzione del detto provvedimento, ancor più considerando la sottolineata flessibilità delle modalità attraverso le quali poteva essere modulato il diritto di visita e incontro, rimesse, dal Tribunale, alle possibilità di accordo e pattuizione degli interessati (aspetto confermato dalla decisione della A.A. di non collaborare con i Servizio Sociale all'uopo interessato dalla persona offesa proprio per meglio coordinare le diverse esigenze in gioco).

A fronte di una siffatta, rimarcata, intensità dei relativo elemento soggettivo, la Corte del merito, nel pervenire alla non punibilità, ha messo in evidenza la circoscritta operatività (quattro mesi) della condotta illecita ritenendo verosimilmente "limitato" il pregiudizio conseguente alla condotta e rimarcando, al contempo, il "miglioramento dell'atteggiamento dell'imputata appellata verso i diritti genitoriali del marito" e la di lei perdurante incensuratezza.

3. Ciò premesso, va subito evidenziato che il fatto ascritto alla A.A., in linea con l'imputazione, è stato ritenuto in termini di unicità della condotta.

In tesi, il delitto di cui all'art. 388, comma 2, c.p., concernente l'elusione di un provvedimento del giudice civile relativo all'affidamento di minori, ha natura istantanea e si consuma nei momento in cui si verifica il primo fatto con quale il genitore affidatario si sottrae all'esecuzione del provvedimento, dando corpo ad una ipotesi di concorso tra più fatti di reato e, ordinariamente, all'applicazione del regime della continuazione, laddove l'agire elusivo si concreti in più condotte ripetute nel tempo, frutto di una scelta programmatica originaria.

La medesima fattispecie, tuttavia, può anche assumere gli estremi propri di un reato (eventualmente) permanente qualora la condotta elusiva delle prescrizioni contenute nel provvedimento giudiziale abbia determinato una sic azione perdurante, tale da poter cessare solo per volontà dell'agente, concretatasi in una unica, iniziale, condotta oppositiva, protrattasi ininterrottamente per un determinato arco temporale, o sos':anziatasi in diversi e ripetuti agiti illeciti, coincidenti con e sollecitazioni dirette alla esecuzione della statuizinne pretermessa, tutti realizzati senza soluzioni di continuità (Sez, 6, n. 14172 del 29/01/2020, Rv. 278845).

n siffatta ultima ipotesi, le eventuali singole condotte di inattuazione del precetto giudiziale perdono dunque la loro individualità, per fondersi unitariamente in una sola ipotesi di reato composta dai diversi agiti illeciti, in altri contesti autonomamente sanzionabili (tipico il caso, per rifarsi alle ipotesi proprie della regiudicanda, in cui il diritto di incontro venga garantito in attuazione del provvedimento, per così dire, a corrente alternata, riconoscendolo in alcune occasioni e negandolo arbitrariamente in altre).

Nel caso, la linea interpretativa seguita dall'imputazione - validata dai giudici del merito e non contrastata dal ricorso (senza che questa Corte possa incidere d'ufficio sul punto perchè una diversa configurazione, oltre che legata ad una ricostruzione in fatto estranea agli apprezzamenti di legittimità, finirebbe anche per riverberarsi in danno dell'imputata)- dà conto di un agire illecito unitariamente considerato in un quadro di consolidato e ribadito inadempimento agli obbighi imposti dai provvedimento di omologa della separazione consensuale. Il motivare speso in sentenza, in particolare, lascia coerentemente pensare non ad un unica condotta oppositiva iniziale protrattasi nel tempo, ma a diversi agiti di identico tenore tutti generati, tuttavia, dalla medesima scelta a monte di non voler adempiere ai provvedimento giudiziale pretermesso (inequivoco in tal senso è il riferimento all'aggettivo " spesso" utilizzato dall'argomentare della sentenza gravata nel rassegnare le violazioni del diritto di visita e incontro dei figli che a persona offesa fondava sul citato provvedimento di omologa).

La configurazione p-ivileglata, riportata all'alveo dei tema espressamente devoluto alla Corte dal ricorso - quello della non punibilità ai sensi dell'art. 131-bis c.p. - nel caso finisce per assumere un rilievo non indifferente: una scelta diversa, nell'ottica della pluralità dei reati, se del caso avvinti dalla continuazione, avrebbe infatti imposto di individuare prima e valorizzare poi e singole condotte, con possibile riscontro della abitualità radicalmente ostativa (laddove i reati riscontrati fossero stati più di due, non potendosi dubitare nella specie, della medesima indole che ne avrebbe connotato il portato), destinata ad impedire senza incertezze l'applicabilità della causa di non punibilità ritenuta nella specie.

4. Muovendo, dunque, da una tale ricostruita configurazione della vicenda a giudizio, ritiene la Corte che le censure prospettate dal ricorso - sia nel denunziare una non puntuale applicazione dell'art. 131-bis c.p., sia ne rimarcare i vizi di inadeguatezza del motivare sotteso alla decisione gravata- colgano nel segno, anche se, sotto ii primo versante, necessitano di alcune precisazioni.

A differenza di quanto ritenuto dall'ufficio ricorrente, a circostanza in fatto che ii reato ritenuto risulti connotato dalla esecuzione di più condotte che, da sole considerate, avrebbero potuto assumere autonoma dignità nell'ottica della responsabilità penale, non porta immediatamente ad una delle ipotesi di abitualità ostative considerate dall'art. 131-bis, comma 3, c.p. e, in particolare, a quella indicata per terza, nei più circoscritto ambito delle cosiddette "condotte plurime".

4.1. Va ribadito che il giudizio di abitualità destinato ad assumere valenza ostativa rispetto all'applicazione della causa di esclusione della punibilità in questione, dipende dal possibile riscontro di una delle tre diverse situazioni progressivamente elencate in via alternativa secondo una sequenza lessicale espressamente tracciata dal legislatore in seno alla citata disposizione codicistica.

Per ritenerlo non punibile, occorrerà verificare, infatti, che l'autore non sia stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza; ovvero che non si sia reso protagonista di più reati della stessa indole, anche se ciascun fatto, isolatamente considerato, sia di particolare tenuità; o, infine, che la regiudicanda non riguardi reati che abbiano ad oggetto condotte plurime, abituali o reiterate.

Escluse le prime due ipotesi (con riguardo alla seconda, in ragione di quanto in precedenza rilevato in ordine alla unicità del fatto a giudizio), nel caso a mani, ad avviso della Procura ricorrente, verrebbe in gioco questa l'ultima, valorizzando la p uralità delle condotte attraverso le quali si è concretato ii reato ascritto alla imputata.

Tanto, tuttavia, secondo una ricostruzione che non può essere condivisa integralmente iperchè finisce per configurare siffatta ipotesi di abitualità ostativa anche solo in presenza di una mera sommatoria di agiti illeciti reiterati nel tempo.

4.2. In parte qua, non possono che riportarsi pedissequamente le indicazioni di principio rese dalle Sezioni unite di questa Corte (con la sentenza n. 13681 del 25/2/2016, Tushaj, riprese e approfondite recentemente dalla sentenza n. 13891 del 27/2022, Ubaldi) nel tracciare in via interpretativa lo statuto costitutivo dell'abitualità ostativa considerata dal citato comma 3 dell'art. 131-bis c.p..

In questa specifica cornice, la nozione di abitualità, infatti, viene ricostruita in termini di qualità che progressivamente si delinea e consolida nel tempo in conseguenza della realizzazione di plurime condotte omogenee, ma che non si esaurisce nella manifestazione esterna dei solo dato obbiettivo di quella ripetizione. L'acquisizione individuale di una consuetudine costituisce il risultato di un costume comportamentale, ossia di un'abitudine intesa, secondo il senso comune del vocabolo, come disposizione acquisita con il costante e periodico ripetersi di determinati atti, e non può essere pertanto sovrapposta ad una situazione connotata dalla mera reiterazione di azioni.

Non è corretto dunque ritenere di per sè preclusa a concreta operatività dell'istituto in questione in presenza di qualsivoglia reiterazione di comportamenti che di per sè stessi sarebbero penaimente rilevanti. L'essenza della abitualità ostativa non è data infatti dalla mera reiterazione delle condotte illecite ma va rinvenuta piuttosto nella serialità delle stesse, destinate a qualificare il soggetto elle se ne rende protagonista.

Non a caso, nel definire i tratti dell'ultima ipotesi di abitualità ostativa considerata dal comma 3 dell'art. 131-bis c.p., il legislatore evoca implicitamente ipotesi di reato che presentano l'abitualità come tratto tipico (della quale potrebbe essere espressione l'ipotesi dei maltrattamenti in famiglia, per altri versi esclusa dal comma 1 della medesima disposizione); o ancora i reati che presentano nel tipo condotte reiterate (agevolmente rappresentate nel reato di atti persecutori). In tali ambiti, può dirsi che la serialità è un elemento della fattispecie ed è quindi sufficiente a configurare l'abitualità che esclude l'applicazione della disciplina, senza che occorra verificare la presenza di distinti reati. Aspetti, questi, che tuttavia non è dato riscontrare in relazione al caso che occupa, atteso che l'art. 388, comma 2, c.p. non vede nei suoi tratti costitutivi tipizzati nè l'abitualità, nè la necessaria reiterazione delle condotte.

Venendo alla individuazione del concetto di "condotte plurime" che l'impugnazione evoca a supporto della contestazione all'uopo mossa, le citate sentenze delle sezioni unite di questa Corte, una volta escluso che tale locuzione possa essere ridotta ad "una mera, sciatta ripetizione di ciò che è stato denominato abituale o reiterato", hanno piuttosto affermato che "l'unica praticabile soluzione interpretativa è quella di ritenere che si sia fatto riferimento a fattispecie concrete nelle quali si sia in presenza di ripetute, distinte condotte implicate nello sviluppo degli accadimenti", laddove la pluralità e la protrazione dei comportamenti finiscono per imprimere ai reato un carattere seriale, id est abituale.

Siffatta ultima indicazione ben si attaglia alla regiudicanda, connotata, come detto, da più momenti di riscontrata inattuazione del precetto giudiziale sostanziatisi nelle diverse occasioni in cui, concretamente, venne negata alla persona offesa la possibilità di incontrare i figli affidati alla imputata in esito alla scelta di quest'ultima, protrattasi senza soluzioni di continuità lungo l'arco temporale coperto dall'imputazione, di eludere il provvedimento reso in occasione della omologazione della separazione consensuale.

4.3. Indifferente in sè la mera ripetizione di diversi agiti illeciti, spetta piuttosto al giudice del merito il compito di verificare se siffatta pluralità di condotte confluite all'interno della specifica ipotesi delittuosa siano o meno espressive di una serialità a sua volta indicativa di una personalità non meritevole del vantaggio garantito dalla causa di non punibilità tipizzata dall'art. 131-bis c.p..

In questa cornice, in particolare, la ripetizione delle condotte va valorizzata non soio guardando al numero delle stesse e al contesto temporale che le racchiude ma anche dando ii giusto rilievo alle connotazioni di omogeneità che le connota alla luce della specificità concreta dell'agire illecito realizzato, parametro di verifica imprescindibile nell'accertare la serialità di un determinato contegno illecito.

4.3.Nel caso, la Corte del merito non si è attenuta alle superiori indicazioni di principio.

La sentenza gravata, infatti, trascura integralmente di considerare il dato in forza del quale l'elusione, nella specie, si è concretata in più occasioni di specifica e ribadita mancata attuazione del provvedimento di omologazione della separazione. Difetta, dunque, di qualsivoglia approfondimento in relazione al numero e alla frequenza delle violazioni che hanno contribuito a rassegnare l'eiusione continuativa riscontrata, aspetto da leggere alla luce delle connotazioni specifiche della regiudicanda e alla omogeneità degli agiti illeciti ripetuti nel tempo per poi verificare, o se dei caso negare, con la dovuta puntualità la possibile sussistenza della serialità ostativa al riconoscimento del causa di non punibilità nel caso applicata.

5. L'argomentare steso in parte qua dalla sentenza impugnata non convince anche per altri aspetti, legati al profilo afferente alla ritenuta tenuità dell'offesa.

5.1. L'esiguità del disvalore funzionale alla non punibilità prevista dall'art. 131-bis c.p. è frutto di un giudizio da rendere all'esito di una valutazione congiunta degli indicatori afferenti alla condotta, ai danno ed alla colpevolezza. Laddove ci si trovi in presenza di elementi di giudizio di segno opposto, gli stessi vanno in coerenza soppesati in un giudizio di bilanciamento che deve comunque emergere dal motivare del giudice del merito laddove, come nella specie, si è inteso valorizzarne alcuni nei fondare il giudizio di responsabilità poi eliso dalla ritenuta non punibilità.

5.2. Anche sul punto, il motivare della sentenza impugnata lascia a desiderare, dando corpo ai difetti motivazionali prospettati dal ricorrente.

5.2.1. Nel valutare la tenuità dell'offesa, se per un verso si è correttamente fatto riferimento anche a contegni successivi al fatto (il rispetto dei diritti compresi nella genitorialità del coniuge separato) tenuti dall'imputata (valorizzabili al fine in ragione di quanto espressamente precisato dalle sezioni unite " Ubaldi": si veda il 10.1.), per altro verso:

a) si è fatto inconferente rilievo alL' assenza di altri fatti di reato ascrivibili all'imputata, aspetto affatto dirimente;

b) è stato devalutato il dato temporale del protrarsi della condotta (per du:7,tt.ro mesi, come da rubrica), rimarcandosi in immediata correlazione, la "verosimile" modesta consistenza del pregiudizio patito dalla persona offesa. Sotto quest'ultimo versante va rilevato che il depotenziato portato ascritto al protrarsi della condotta illecita non risulta argomentato ma solo apoditticamente affermato, senza peraltro valutare i: dato alla luce della peculiare natura degli interessi in gioco legati alla puntuale esecuzione del provvedimento. Del resto non può trascurarsi che il pregiudizio arrecato dalla condotta dell'imputata non può essere ricostruito unicamente guardando alla posizione della parte danneggiata dall'inosservanza della statuizione pretermessa, atteso che la norma violata è diretta a garantire non solo l'immediato interesse del privato alla puntuale esecuzione del provvedimento ma anche, se non primariamente, il valore offerto dall'effettività della tutela giurisdizionale (Sez. U, n. 36692 del 27/09/2007, Vuocolo, Rv.236937), aspetto nel caso integralmente trascurato dalla valutazione in disamina.

5.2.2. In linea con quanto segnalato dall'ufficio ricorrente, infine, non può non rimarcarsi che la decisione gravata manca integralmente di verificare il ruolo assunto nella specie dalla intensità del dolo sotteso alla condotta riscontrata. Aspetto che nella specie assume rilievo dirimente se si considera che l'elemento soggettivo è stato peculiarmente valorizzato dalla Corte del merito nel sovvertire criUdi7i0 reso in primo grado, rimarcando la refrattarietà della prevenuta rispetto alla possibilità di trovare soluzioni accomodanti nell'interesse comune destinate a dare puntuale esecuzione al provvedimento giudiziale non osservato.

Carenza argomentativa questa che finisce per minare ulteriormente la puntualità del motivare sotteso alla decisione impugnata.

6. Si impone in coerenza l'annullamento con rinvio per consentire alla Corte del merito competente, alla luce delle superiori indicazioni di principio, di sanare i vuoti e le incongruenze del motivare contrastato all'uopo riscontrati.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio alla Corte di appello di Salerno.

Conclusione

Così deciso in Roma, il 7 dicembre 2022.

Depositato in Cancelleria il 18 gennaio 2023