Giu REATO CONTINUATO: IL TERMINE PER PROPORRE QUERELA DECORRE AUTONOMAMENTE DALLA DATA DI CONSUMAZIONE DI OGNI SINGOLO REATO
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. V PENALE - 12 gennaio 2023 N. 866
Massima
In tema di reato continuato, da considerarsi fenomeno unitario solo per i limitati fini previsti espressamente dalla legge, il termine per proporre querela decorre autonomamente dalla data di consumazione di ogni singolo reato (Sez. 5, n. 41275 del 19/03/2015, Rv. 264817; Sez. 3, n. 183 del 15/11/2007, dep. 2008, Rv. 238607). E' stato, al riguardo, spiegato che, pur in presenza di un unico disegno criminoso, ogni episodio delittuoso conserva la sua individualità, avendo proprie caratteristiche e diversa potenzialità lesiva: la persona offesa, conseguentemente, ha il diritto di determinarsi diversamente con riguardo a ciascuno degli episodi, formulando, eventualmente, solo per taluni di essi istanza di punizione del presunto responsabile e soprassedendo per altri (Sez. 5, n. 2344 del 21/01/1999, Rv. 212620).

Testo della sentenza
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. V PENALE - 12 gennaio 2023 N. 866

1. La Corte di appello di Cagliari, con la sentenza in data 4 maggio 2022, ha confermato la condanna inflitta, anche agli effetti civili, a A.A. per il delitto di cui agli artt. 81 cpv. e 595, comma 3, c.p., per avere in cinque diverse occasioni - segnatamente nelle date del 19 giugno, 15, 22 e 26 novembre 2014 e 1 febbraio 2015 - offeso la reputazione di B.B. pubblicando sul profilo Facebook denominato "A.A." e sulle pagine dello stesso soda network denominate "Un sorriso per B.B." e "Verità e Giustizia per C.C." le seguenti espressioni:"Che schifo mi viene voglia di sputarla"; "Brutta stronza stia attenta che prima o poi la verità verrà a galla"; "Piccolina la stalker altro che C.C. violento";"E' una persona sadica che ama far del male e farsi del male"; "La strega che ha portato C.C. alla tomba e non so se sarò così forte a farcela".

2. Propone ricorso per cassazione il difensore dell'imputata con cinque motivi, quivi enunciati nei limiti stabiliti dall'art. 173 disp. att. c.p.p..

- Il primo motivo denuncia la violazione degli artt. 124, comma 1, e 158, comma 1, c.p.p. e il vizio di motivazione.

Eccepisce l'error iuris riscontrabile nella sentenza impugnata nella parte in cui la querela, sottoscritta da B.B. in data 30 gennaio 2015 e pervenuta alla Questura di Cagliari - a seguito di spedizione a mezzo raccomandata a/r - il successivo 3 febbraio 2015, era stata ritenuta tempestiva in riferimento alla pubblicazione del 19 giugno 2014, posto che non poteva farsi coincidere il momento consumativo anche della prima condotta diffamatoria con quello della cessazione della continuazione: e ciò, perchè il reato di cui all'art. 595 c.p., anche se commesso tramite il web, ha natura istantanea e perchè l'art. 158, comma 1, c.p., laddove stabilisce che "il termine della prescrizione decorre... per il reato... continuato dal giorno in cui è cessata.. la continuazione", essendo espressione della modifica apportata dalla L. n. 3 del 2019, non può essere applicata alle condotte anteriormente poste in essere, essendo la querela e la prescrizione istituti di diritto sostanziale.

Deduce, altresì, l'illogicità argomentativa che contrassegnerebbe la medesima sentenza nella parte in cui era stata efficace rispetto alla pubblicazione del 1 febbraio 2015, la querela sottoscritta dalla parte offesa in data 30 gennaio, considerato che la volontà di punizione non poteva essere riferita anche ad un fatto avvenuto successivamente.

- Il secondo motivo deduce il vizio di motivazione in punto di prova della responsabilità di A.A..

I. Denuncia il travisamento delle spontanee dichiarazioni rese dall'imputata all'udienza del 18 febbraio 2020: entrambi i giudici di merito avevano frainteso il dato letterale delle stesse, non avendo affatto la propalante ammesso i fatti di reato che le erano ascritti, essendosi, piuttosto, limitata a riconoscersi responsabile degli scritti che erano stati prodotti dalla parte civile, con i quali ella aveva inteso solo affermare che avrebbe incessantemente combattuto per conoscere la verità sulla morte del figlio. Tale errata interpretazione delle dichiarazioni spontanee dell'imputata aveva comportato un'inemendabile contrazione della prova, dal momento che non erano stati approfonditi gli esiti degli accertamenti tecnici espletati dalla Polizia Postale sugli indici di riferibilità alla A.A. dei ‘post' incriminati.

II. Eccepisce la carenza di motivazione in ordine al tema della sicura ascrivibilità dei detti ‘post' alla A.A., vuoi perchè ella non era la sola amministratrice del gruppo di Facebook "Verità e Giustizia" per C.C., vuoi perchè mancava in atti la prova di un utilizzo esclusivo da parte dell'imputata dell'account di Facebook ‘A.A.'.

III. Attraverso un analitico raffronto tra le espressioni diffamatorie riportate nel capo d'imputazione e le fonti documentali in atti, denuncia il fraintendimento delle stesse (in particolare dell'ordinanza ex art. 700 c.p.c. alla quale la Corte territoriale si era riferita per dimostrare la commissione del fatto da parte della A.A.), perchè almeno alcune delle espressioni incriminate erano certamente riferibili a terzi soggetti (quella " Brutta stronza stia attenta che prima o poi la verità verrà a galla" era, infatti, apparsa sul profilo Facebook ‘D.D.' che nulla aveva a che fare con la A.A.);

IV. Tramite la diffusa rassegna di evidenze fattuali stimate significative, censura la motivazione resa in ordine all'individuazione dei momenti consumativi delle singole condotte diffamatorie, stigmatizzandola come lacunosa e nient'affatto appagante;

V. Denuncia, infine, che i giudici di merito avevano argomentato in ordine alla sussistenza degli elementi costitutivi del reato di diffamazione senza cogliere il senso delle espressioni utilizzate dalla A.A.: ossia, la volontà di fare affiorare la verità della vicenda a seguito della quale il figlio, C.C., aveva trovato la morte.

- Il terzo motivo denuncia vizio di motivazione in punto di dosimetria della pena e di diniego delle circostanze attenuanti generiche in regime di prevalenza sull'aggravante contestata.

- Il quarto motivo denuncia vizio di motivazione in punto di diniego di revoca o di rimodulazione della provvisionale - Il quinto motivo eccepisce l'intervenuta prescrizione dei reati commessi in data (Omissis).

3. Con requisitoria in data 11 novembre 2022, il Procuratore Generale di questa Corte, in persona del Sostituto Dottor Tomaso Epidendio, ha concluso per l'annullamento della sentenza impugnata senza rinvio limitatamente alla diffamazione consumata in data 19 giugno 2014, con contestuale dichiaratoria di improcedibilità, e per la declaratoria d'inammissibilità del ricorso nel resto, con conseguente rideterminazione della pena.

4. Con memoria trasmessa tramite PEC in data 16 novembre 2022, il difensore della ricorrente ha formulato un motivo nuovo, con il quale ha insistito per la declaratoria di estinzione dei reati meglio indicati nel quinto motivo del ricorso principale, ed ha replicato alle conclusioni rassegnate dal Procuratore Generale in ordine alla questione dei rapporti tra sentenza cumulativa e prescrizione, nell'ipotesi in cui soltanto uno dei capi di essa sia destinato a cadere.

CONSIDERATO IN DIRITTO La sentenza impugnata deve essere annullata per le sole ragioni di seguito indicate.

1. Il primo motivo è fondato.

1.1. Erra la Corte territoriale nel ritenere che il momento consumativo di tutte le condotte diffamatorie ritenute a carico di A.A., riunite ai sensi dell'art. 81, comma 2, c.p., coincida con quello di cessazione della continuazione, ossia con la data del 1 febbraio 2015.

La disposizione di cui all'art. 158, comma 1, c.p. - evocata nella sentenza impugnata (cfr. pag. 39) -, che, per effetto delle modifiche apportatevi dall'art. 1 lett. d), L. n. 9 gennaio 2019, n. 3, entrata in vigore il 1 gennaio 2020, fa decorrere il termine della prescrizione, per il reato continuato, dal giorno in cui è cessata la continuazione, non può, infatti, valere che per l'avvenire: e ciò, non solo per quel che riguarda la prescrizione, ma anche per quel che riguarda la querela, in considerazione della natura mista, sostanziale e processuale, di quest'ultimo istituto, che costituisce nel contempo condizione di procedibilità e di punibilità del reato (Sez. 5, n. 3019 del 09/10/2019, dep. 2020, Rv. 278656; Sez. 5, n. 44390 del 08/06/2015, Rv. 265999).

Tanto rilevato, deve darsi seguito all'orientamento interpretativo secondo il quale, in tema di reato continuato, da considerarsi fenomeno unitario solo per i limitati fini previsti espressamente dalla legge, il termine per proporre querela decorre autonomamente dalla data di consumazione di ogni singolo reato (Sez. 5, n. 41275 del 19/03/2015, Rv. 264817; Sez. 3, n. 183 del 15/11/2007, dep. 2008, Rv. 238607). E' stato, al riguardo, spiegato che, pur in presenza di un unico disegno criminoso, ogni episodio delittuoso conserva la sua individualità, avendo proprie caratteristiche e diversa potenzialità lesiva: la persona offesa, conseguentemente, ha il diritto di determinarsi diversamente con riguardo a ciascuno degli episodi, formulando, eventualmente, solo per taluni di essi istanza di punizione del presunto responsabile e soprassedendo per altri (Sez. 5, n. 2344 del 21/01/1999, Rv. 212620).

A ciò deve aggiungersi che è stato più volte affermato da questa Corte che, in tema di diffamazione tramite "intemet", ai fini della individuazione del "dies a quo" per la decorrenza del termine per proporre querela, occorre fare riferimento, in assenza di prova contraria da parte della persona offesa, ad una data contestuale o temporalmente prossima a quella in cui la frase o l'immagine lesiva sono immesse sul "web", atteso che l'interessato, normalmente, ha notizia del fatto commesso mediante la "rete" accedendo alla stessa direttamente o attraverso terzi che in tal modo ne siano venuti a conoscenza (Sez. 5, n. 22787 del 30/04/2021, Rv. 281261; Sez. 5, n. 38099 del 29/05/2015, Rv. 264999; Sez. 5, n. 23624 del 27/04/2012, Rv. 252964). Principio, questo, di cui occorre fare applicazione anche nel caso al vaglio, considerata la mancata allegazione da parte della persona offesa di elementi atti a collocare in una data posteriore rispetto alla pubblicazione del post diffamatorio, la sua conoscenza del fatto.

Ne viene che rispetto alla condotta diffamatoria posta in essere il 19 giugno 2014 la querela proposta da B.B. il 3 febbraio 2015 (data, questa, in cui il relativo piego raccomandato è pervenuto presso la Questura di Cagliari) era tardiva: il che comporta che in riferimento ad essa la sentenza deve essere annullata senza rinvio perchè l'azione penale non doveva essere iniziata.

1.2. Colgono nel segno anche le deduzioni rassegnate per far valere l'assenza di condizione di procedibilità in riferimento alla condotta diffamatoria del 1 febbraio 2015.

Condiviso il principio di diritto secondo cui, in tema di querela, pur non essendo necessaria una compiuta e analitica descrizione dei fatti che ne costituiscono l'oggetto, è, tuttavia, necessaria l'esposizione di tutti i fatti noti al querelante che egli intenda perseguire (Sez. 5, n. 47055 del 30/05/2014, Rv. 261307), consegue che la querela sottoscritta da B.B. in data 30 gennaio 2015 non poteva considerarsi valida ed efficace rispetto alla condotta diffamatoria sopra indicata, non potendosi, questa, intendere come ricompresa nell'istanza punitiva in quanto non nota alla persona offesa giacchè non ancora verificatasi. Nè è possibile riconoscere valenza integrativa della pregressa istantia puniendi alla costituzione di parte civile della B.B. rispetto a tutti i fatti di cui all'imputazione, perchè non avvenuta entro il termine di legge dalla conoscenza del fatto (Sez. 3, n. 49789 del 26/06/2019, Rv. 278270).

Dunque, anche rispetto alla condotta diffamatoria commessa il 1 febbraio 2015 la sentenza deve essere annullata senza rinvio perchè l'azione penale non doveva essere iniziata.

2. Il secondo motivo è, invece, inammissibile.

2.1. Quanto alle criticità argomentative in esso denunciate, occorre ripetere che non sono consentite nel giudizio di legittimità doglianze che, lungi dal lamentare carenze, illogicità o contraddittorietà motivazionali ictu oculi evidenti, tendano a sollecitare un sindacato sulle scelte valutative compiute dai giudici di merito: la Corte di cassazione, infatti, deve limitarsi a ripercorrere l'iter argomentativo seguito nelle sentenze di primo e secondo grado, nel loro reciproco integrarsi, per verificarne la completezza e la plausibile opinabilità di apprezzamento dei fatti di causa, senza possibilità di apprezzarne la rispondenza alle acquisizioni processuali (Sez. U, n. 47289 del 24/09/2003, Petrella, Rv. 226074; Sez. U, n. 12 del 31/05/2000, Jakani, Rv. 216260; Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794; Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone, Rv. 207944).

D'altro canto, a fronte di una c.d. ‘doppia conformè decisione di condanna, con il ricorso per cassazione non può essere coltivato il vizio di travisamento della prova, se non nel caso in cui il giudice di appello, per rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame, abbia richiamato dati probatori non esaminati dal primo giudice ovvero quando entrambi i giudici del merito siano incorsi nel medesimo travisamento delle risultanze probatorie acquisite in forma di tale macroscopica o manifesta evidenza da imporre, in termini inequivocabili, il riscontro della non corrispondenza delle motivazioni di entrambe le sentenze di merito rispetto al compendio probatorio acquisito nel contraddittorio delle parti (Sez. 6, n. 21015 del 17/05/2021, Rv. 281665; Sez. 4, n. 35963 del 03/12/2020, Rv. 280155; Sez. 4, n. 4060 del 12/12/2013 - dep. 29/01/2014, Rv. 258438; Sez. 4, n. 44765 del 22/10/2013, Rv. 256837).

Peraltro, poichè nella valutazione della prova il giudice deve prendere in considerazione ogni singolo fatto ed il loro insieme non in modo parcellizzato e avulso dal generale contesto probatorio, verificando se essi, ricostruiti in sè e posti vicendevolmente in rapporto, possano essere ordinati in una costruzione logica, armonica e consonante che consenta, attraverso la valutazione unitaria del contesto, di attingere la verità processuale, cioè la verità limitata, umanamente accertabile e umanamente accettabile del caso concreto (Sez. 6, n. 8314 del 25/06/1996, Rv. 206131; conf. Sez. 2, n. 33578 del 20/05/2010, Rv. 248128), va da sè che risultano inammissibili quei rilievi censori che, invece, affidandosi alla tecnica dell'atomizzazione delle emergenze probatorie e dei relativi apprezzamenti, ne prospettino un'interpretazione alternativa, accompagnata da una mera contestazione delle argomentazioni giudiziali e non da una loro critica effettiva.

2.2. A tali principi, invero, la difesa della ricorrente non si è attenuta. Tramite le deduzioni ostese a sostegno del motivo in esame, si è profusa, a ben vedere, in censure di fatto, con le quali, mediante la diretta esibizione di elementi di prova presentati come evidenti, dei quali ha contrapposto un alternativo apprezzamento rispetto alla valutazione operatane dai giudici di merito di entrambi i gradi, ha finito per richiedere a questa Corte di prendere posizione tra le diverse letture della serrata campagna di critica portata avanti sul socia/ network ‘Facebook' nei confronti di B.B., nell'ambito della quale si sono inserite le condotte diffamatorie addebitate a A.A., a fronte di un apparato motivazionale che, però, nel suo complesso, non si espone ad alcun rilievo di macroscopica illogicità o contraddittorietà, come meglio sarà illustrato nel prosieguo.

2.3. In effetti, quanto argomentato nella sentenza impugnata circa la sicura riferibilità dei ‘post' incriminati a A.A. (prima e seconda censura in seno al motivo) non è scardinato dall'allegazione di elementi specifici, decisivi ed inopinabili atti a dimostrare, senza ombra di dubbio, che altri si celassero dietro all'account ‘A.A.' del omonimo profilo ‘Facebook' e che le espressioni diffamatorie apparse sulla pagina ‘Facebook' del gruppo: "Verità e Giustizia per C.C." fossero riconducibili agli altri che pure ne erano stati co-amministratori. Donde, si tratta di rilievi non solo estranei alla possibilità di sindacato di questa Corte, ma anche palesemente generici, avuto riguardo non solo a quanto riferito in sentenza circa l'abbandono del gruppo da parte dei detti co-amministratori (cfr. pag. 41, primo capoverso, a proposito della coppia De Cicco-Iannilli), ma anche in ordine agli esiti dell'accertamento informatico compiuto dall'Ispettore della Polizia Postale, E.E., in relazione al fatto che: "l'id di un profilo ‘Facebook' è un dato univoco, che identifica esclusivamente quello specifico account ‘Facebook' associato a nome e cognome, nel caso di specie, "A.A."" (cfr. pag. 41, secondo capoverso).

Parimenti inammissibili risultano i rilievi formulati (con la terza e quarta censura articolata in seno al motivo) sul tema della riferibilità a terzi di alcune delle espressioni ingiuriose addebitate alla A.A., della retta interpretazione delle fonti documentali (provvedimento del Tribunale Civile ex art. 700 c.p.c.) e della precisa collocazione temporale dei ‘post'diffamatori. Gli stessi, in effetti, riproducono senza alcun elemento di effettiva novità le stesse censure disattese dalla Corte territoriale con una motivazione completa, congrua e logica (cfr. pagg. da 41, terzo capoverso a pag. 43, ultimo capoverso), della quale la ricorrente contesta la mancanza di persuasività, l'inadeguatezza e l'assenza di rigore o di puntualità (Sez. 2, n. 9106 del 12/2/2021, Rv. 280747; Sez. 6, n. 13809 del 17/3/2015, Rv. 262965), senza enucleare alcuna specifica ed inopinabile aporia logica o alcun evidente fraintendimento delle prove tale da creare una rottura irreparabile nel tessuto logico della motivazione complessivamente considerata.

Manifestamente infondate, infine, risultano le deduzioni (sviluppate con la quinta censura del secondo motivo) circa l'errore giuridico e logico nel quale sarebbe incappata anche la Corte territoriale nel ritenere integrati, nella fattispecie concreta, gli estremi del delitto di diffamazione. Tutte le espressioni riportate nell'editto accusatorio ed esaminate dai giudici di merito, vieppiù se valutate nel contesto della virulenta campagna di aggressione mediatica sferrata da A.A. nei confronti della ex moglie del figlio C.C., tragicamente deceduto, depongono per il loro essere intrinsecamente connotate non dalla critica verso comportamenti di B.B., ma dalla denigrazione studiata e ripetuta della sua persona: lungi dal costituire lo strumento utilizzato dalla madre del defunto per sensibilizzare gli utenti dei soda sul tema della ricerca della verità sulla dinamica della morte del figlio, si risolvono, invero, in una mera occasione per gratuiti attacchi alla persona di B.B. e in arbitrarie aggressioni al suo patrimonio morale, mediante l'utilizzo di "argumenta ad hominem" (Sez. 5, n. 4938 del 28/10/2010, dep. 2011, Rv. 249239).

3. Inammissibile è pure il terzo motivo.

La censura con il quale la ricorrente si duole della mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche in regime di prevalenza è articolata senza tener conto che, per diritto vivente, le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra opposte circostanze, implicando una valutazione discrezionale tipica del giudizio di merito, sfuggono al sindacato di legittimità qualora non siano frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e siano sorrette da sufficiente motivazione, tale dovendo ritenersi quella che per giustificare la soluzione dell'equivalenza si sia limitata a ritenerla la più idonea a realizzare l'adeguatezza della pena irrogata in concreto (Sez. U, n. 10713 del 25/02/2010, Rv. 245931). Pertanto, poichè la motivazione rassegnata sul tema dal giudice censurato è esente da profili di palese illogicità, nè emerge alcun aspetto di arbitrarietà nel procedimento seguito per giungere alla decisione in concreto assunta (cfr., al riguardo, pag. 46, punto 4, della sentenza impugnata), tutti i rilievi al riguardo formulati non sono consentiti in questa sede.

Gli ulteriori rilievi in punto di graduazione della pena, oltre che replicare senza alcun elemento di effettiva novità i rilievi articolati con i motivi di gravame, pur correttamente e congruamente disattesi dal giudice di appello, prospettano questioni non consentite nel giudizio di legittimità e, comunque, manifestamente infondate, posto che la graduazione della pena rientra nella discrezionalità del giudice di merito, che la esercita in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 c.p., con la conseguenza che è inammissibile la doglianza che in Cassazione miri ad una nuova valutazione della sua congruità ove la relativa determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e sia sorretta da sufficiente motivazione (Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013 - dep. 04/02/2014, Rv. 259142; Sez. 3, n. 1182 del 17/10/2007 - dep. 11/01/2008, Rv. 238851), come parimenti accaduto nel caso di specie (vedasi richiamo alle modalità della condotta e al gravissimo pregiudizio in tal modo arrecato alla persona offesa, pag. 46, punto 4, della sentenza impugnata).

4. Inammissibile è infine il quarto motivo.

Devesi, infatti, ribadire, per un verso, che non è impugnabile con ricorso per cassazione la statuizione pronunciata in sede penale e relativa alla concessione e quantificazione di una provvisionale, trattandosi di decisione di natura discrezionale, meramente delibativa e non necessariamente motivata, per sua natura insuscettibile di passare in giudicato e destinata ad essere travolta dall'effettiva liquidazione dell'integrale risarcimento (Sez. 2, n. 44859 del 17/10/2019, Rv. 277773; Sez. 2, n. 43886 del 26/04/2019, Rv. 277711); per altro verso, che, ai fini dell'accoglimento della richiesta di sospensione dell'esecuzione della condanna civile al pagamento di una provvisionale, è necessaria la ricorrenza di un pregiudizio eccessivo per il debitore, che può consistere nella distruzione di un bene non reintegrabile ovvero, se si tratta di somme di denaro, nel nocumento derivante dal palese stato di insolvibilità del destinatario della provvisionale, tale da rendere impossibile o altamente difficoltoso il recupero di quanto pagato, nel caso di modifica della condanna (Sez. 5, n. 19351 del 18/12/2017 - dep. 04/05/2018, Rv. 273202; Sez. 6, n. 9091 del 23/11/2012 - dep. 25/02/2013, Rv. 255999): pregiudizio, questo, in relazione al quale la ricorrente non ha adempiuto, neppure con il ricorso per cassazione, all'onere probatorio richiesto.

5. Inammissibili, sono, infine, le censure articolate con il quinto motivo del ricorso principale e con il primo motivo nuovo, in ordine alla maturata prescrizione delle condotte diffamatorie successive alla prima, rispetto alla quale si è riconosciuta l'inesistenza della condizione di procedibilità.

Preso atto che le stesse, considerata la sospensione del corso della prescrizione per giorni 124, si sono estinte, in ragione dello spirare del relativo termine massimo, rispettivamente il 16 settembre 2022, il 23 settembre 2022 e il 27 settembre 2022 (quindi, in data successiva alla pronuncia della sentenza di appello), deve farsi applicazione del principio di diritto secondo il quale l'inammissibilità del ricorso per cassazione dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell'art. 129 c.p.p. (Sez. U, n. 32 del 22/11/2000, Rv. 217266).

Occorre, peraltro, ribadire quanto di recente affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 6903 del 27/05/2016, dep. 2017, Aiello e altro, Rv. 268966, ossia che, in caso di ricorso avverso una sentenza di condanna cumulativa, che riguardi più reati ascritti allo stesso imputato, l'autonomia dell'azione penale e dei rapporti processuali inerenti ai singoli capi di imputazione impedisce che l'ammissibilità dell'impugnazione per uno dei reati possa determinare l'instaurazione di un valido rapporto processuale anche per i reati in relazione ai quali i motivi dedotti siano inammissibili, con la conseguenza che per tali reati, nei cui confronti si è formato il giudicato parziale, è preclusa la possibilità di rilevare la prescrizione maturata dopo la sentenza di appello; principio, questo, affermato dal diritto vivente, nella sentenza citata, proprio in relazione ad un'ipotesi di reati posti in continuazione, rispetto ai quali è stata ritenuta l'inammissibilità del ricorso solo per uno di essi, con conseguente esclusione della prescrizione e rideterminazione della pena eliminando l'aumento per la continuazione.

Donde, deve ripetersi che, in caso di ricorso per cassazione avverso una sentenza di condanna cumulativa, relativa a più reati ascritti allo stesso imputato col vincolo della continuazione, l'autonomia delle singole fattispecie di reato e dei rapporti processuali inerenti ai singoli capi di imputazione impedisce che l'ammissibilità dell'impugnazione per uno dei reati possa determinare l'instaurazione di un valido rapporto processuale anche per i reati in relazione ai quali i motivi dedotti siano inammissibili, con la conseguenza che per questi ultimi, sui quali si è formato il giudicato parziale, è preclusa la possibilità di rilevare la prescrizione e di procedere alla rideterminazione della pena eliminando l'aumento per la continuazione (Sez. 6, n. 20525 del 13/04/2022, Rv. 283269; Sez. 2, n. 990 del 13/12/2019, dep. 2020, Rv. 278678): infatti, la continuazione tra reati introduce una disciplina di favore esclusivamente sul piano sanzionatorio, senza che le singole fattispecie perdano la loro autonomia, con la conseguenza, sul piano processuale, che l'ammissibilità dei motivi di ricorso deve essere valutata con riguardo a ciascun reato, a prescindere dall'eventuale continuazione ritenuta tra i medesimi.

6. La sentenza impugnata deve essere, dunque, annullata senza rinvio perchè per i fatti di cui al 19 giugno 2014 e 1 febbraio 2015 l'azione penale non avrebbe potuto essere esercitata per mancanza di querela: tanto comporta che la sentenza stessa debba essere annullata senza rinvio anche con riguardo al trattamento sanzionatorio, che, fatta applicazione dell'art. 620, lett. I), c.p.p., va rideterminato in Euro 700,00 di multa, posto che il Tribunale aveva quantificato in Euro 50,00 di multa l'aumento di pena inflitto all'imputata per ciascuna condotta diffamatoria posta in continuazione. Nel resto il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, perchè per i fatti di cui al 19 giugno 2014 e 1 febbraio 2015 l'azione penale non avrebbe potuto essere esercitata per mancanza di querela. Annulla senza rinvio la medesima sentenza limitatamente al trattamento sanzionatorio che ridetermina in Euro 700,00. Dichiara inammissibile il ricorso nel resto.

Conclusione

Così deciso in Roma, il 2 dicembre 2022.

Depositato in Cancelleria il 12 gennaio 2023