Giu L'assegnazione della somma a titolo di provvisionale è statuizione inoppugnabile
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. III PENALE - 03 gennaio 2023 N. 28
Massima
L'assegnazione della somma a titolo di provvisionale è statuizione inoppugnabile, dunque sottratta al sindacato di legittimità, essendo pacifico nella giurisprudenza di questa Corte che non è impugnabile con ricorso per cassazione la statuizione pronunciata in sede penale e relativa alla concessione e quantificazione di una provvisionale, trattandosi di decisione di natura discrezionale, meramente delibativa e non necessariamente motivata

Testo della sentenza
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. III PENALE - 03 gennaio 2023 N. 28

1.Il primo motivo di ricorso è inammissibile.

Il ricorrente, attraverso una formale denuncia di violazione di legge e vizio di motivazione, richiede sostanzialmente una rivisitazione, non consentita in questa sede, delle risultanze processuali.

Nelle censure proposte, infatti, si espongono doglianze le quali si risolvono in una mera rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata, sulla base di diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, senza individuare vizi di logicità. Le censure proposte sono in realtà dirette a richiedere a questa Corte un inammissibile sindacato sul merito delle valutazioni effettuate dalla Corte territoriale (Sez. 1, 16.11.2006, n. 42369, Rv. 235507; sez. 6, 3.10.2006, n. 36546, Rv. 235510; Sez. 3, 27.9.2006, n. 37006, Rv. 235508; Sez. U, n. 2110 del 23/11/1995, Rv. 203767; Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Rv. 207944; Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794).

Va ribadito, a tale proposito, che, anche a seguito delle modifiche dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), introdotte dalla L. n. 46 del 2006, art. 8 non è consentito dedurre il "travisamento del fatto", stante la preclusione per il giudice di legittimità di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito (Sez.6, n. 27429 del 04/07/2006, Rv.234559; Sez. 5, n. 39048/2007, Rv. 238215; Sez. 6, n. 25255 del 2012, Rv.253099) ed in particolare di operare la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (cfr. Sez. 6, 26.4.2006, n. 22256, Rv. 234148).

L'indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, perchè il sindacato demandato al giudice di legittimità è limitato a riscontrare l'esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilità di verificare l'intrinseca adeguatezza e congruità delle argomentazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento. Dai poteri della Corte Suprema esula, quindi, ogni "rilettura" degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito. In particolare, non può integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali perchè, appunto, la Corte Suprema non può sovrapporre una propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi, ma invece può, e deve, saggiare la tenuta logica della pronuncia portata alla sua cognizione: ciò, in quanto nel momento del controllo della motivazione, il giudice di legittimità non deve stabilire se la decisione di merito proponga la migliore ricostruzione dei fatti, nè deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se la giustificazione contenuta nella sentenza impugnata sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento (Sez. 4, n. 4842 del 02/12/2003, dep. 06/02/2004, Elia ed altri, Rv. 229369).

Tuttavia, nel ribadire che la Corte di Cassazione è giudice della motivazione, non già della decisione, come si desume da una lettura sistematica degli artt. 606 e 619 c.p.p., ed esclusa l'ammissibilità di una rivalutazione del compendio probatorio, va al contrario evidenziato che la sentenza impugnata ha fornito logica e coerente motivazione in ordine alla ricostruzione dei fatti, con argomentazioni prive di illogicità (tantomeno manifeste) e di contraddittorietà.

La Corte territoriale, infatti, (pag da 7 a 10 della sentenza impugnata) ha valutato con argomentazioni congrue e plausibili gli elementi raccolti nel corso dell'istruttoria dibattimentale, fondando l'affermazione di responsabilità sulle dichiarazioni della persona offesa, valutandone l'attendibilità con motivazione adeguata e logica ed esaminando compiutamente i plurimi riscontri esterni al narrato accusatorio (convergenti dichiarazioni dei testimoni ascoltati durante il dibattimento, in particolare del figlio maggiore della coppia; dato documentale particolarmente eloquente costituito dal materiale audiovisivo acquisito, dai reperti fotografici e dalla messaggistica presenti sull'apparecchio telefonico della persona offesa).

Il ricorrente, peraltro, neppure si confronta le argomentazioni della Corte territoriale limitandosi a riproporre le stesse doglianze in fatto avanzate con i motivi di appello, risultando sotto tale profilo anche la genericità del motivo di ricorso.

E', pacifica acquisizione della giurisprudenza di questa Suprema Corte come debba essere ritenuto inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che riproducono le medesime ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame, dovendosi gli stessi considerare non specifici. La mancanza di specificità del motivo, infatti, va valutata e ritenuta non solo per la sua genericità, intesa come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell'impugnazione, dal momento che quest'ultima non può ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità che conduce, a norma dell'art. 591 c.p.p., comma 1, lett. c), alla inammissibilità della impugnazione (in tal senso sez. 2, n. 29108 del 15.7.2011, Cannavacciuolo non mass.; conf. sez. 5, n. 28011 del 15.2.2013, Sammarco, Rv. 255568; sez. 4, n. 18826 del 9.2.2012, Pezzo, rv. 253849; sez. 2, n. 19951 del 15.5.2008, Lo Piccolo, Rv. 240109; sez. 4, n. 34270 del 3.7.2007, Scicchitano, Rv. 236945; Sez. 1, n. 39598 del 30.9.2004, Burzotta, Rv. 230634; Sez. 4, n. 15497 del 22.2.2002, Palma, Rv. 221693). Anche più di recente, questa Corte di legittimità ha ribadito come sia inammissibile il ricorso per cassazione fondato sugli stessi motivi proposti con l'appello e motivatamente respinti in secondo grado, sia per l'insindacabilità delle valutazioni di merito adeguatamente e logicamente motivate, sia per la genericità delle doglianze che, così prospettate, solo apparentemente denunciano un errore logico o giuridico determinato (sez. 3, n. 44882 del 18.7.2014, Cariolo e altri, Rv. 260608).

2.Il secondo motivo di ricorso è manifestamente infondata.

Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, l'applicazione delle circostanze attenuanti generiche, oggetto di un giudizio di fatto, non costituisce un diritto conseguente all'assenza di elementi negativi connotanti la personalità del soggetto, ma richiede elementi di segno positivo, dalla cui assenza legittimamente deriva il diniego di concessione delle circostanze in parola; l'obbligo di analitica motivazione in materia di circostanze attenuanti generiche qualifica, infatti, la decisione circa la sussistenza delle condizioni per concederle e non anche la decisione opposta (Sez.1, n. 3529 del 22/09/1993, Rv. 195339; Sez. 2, n. 38383 del 10.7.2009, Squillace ed altro, Rv. 245241; Sez.3, n. 44071 del 25/09/2014, Rv.260610).

Inoltre, secondo giurisprudenza consolidata di questa Corte, il giudice nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche non deve necessariamente prendere in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti; è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione, individuando, tra gli elementi di cui all'art. 133 c.p., quelli di rilevanza decisiva ai fini della connotazione negativa della personalità dell'imputato (Sez.3, n. 28535 del 19/03/2014, Rv.259899; Sez.6, n. 34364 del 16/06/2010, Rv.248244; sez. 2, 11 ottobre 2004, n. 2285, Rv. 230691).

Nella specie, la Corte territoriale, con motivazione congrua e logica, ha negato l'applicazione delle circostanze attenuanti generiche, rimarcando, quali elementi ostativi, la gravità dei fatti e la loro pervicace reiterazione; ha anche valutato in senso negativo gli elementi addotti dalla difesa, rimarcando come il comportamento post factum dell'imputato si era contraddistinto per la ripetuta trasgressione delle prescrizioni del regime cautelare originariamente applicatogli e come la scelta processuale di sottoporsi ad esame aveva caral:tere neutro e priva di qualsiasi tratto di meritevolezza.

La mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche è, pertanto, giustificata da motivazione congrua ed esente da manifesta illogicità, che è pertanto, insindacabile in cassazione (Sez. 6, n. 42688 del 24/9/2008, Rv. 242419).

3. Il terzo motivo di ricorso è manifestamente infondato.

La Corte territoriale ha confermato il trattamento sanzionatorio, rimarcando che la pena base per il reato più grave (art. 609-bis c.p.) era stata determinata nel minimo edittale e che l'aumento di pena a titolo di continuazione per il reato di cui all'art. 572 c.p., determinato nella misura di un anno, era condisibile in ragione della "cospicua estensione temporale della condotta maltrattante e delle sue modalità esecutive, che hanno anche compreso la non isolata esposizione della prole, anche di minore età, a siffatti occorsi, e il suo coinvolgimento nella fase conclusiva della vicenda".

La motivazione espressa a giustificazione dell'aumento di pena disposo a titolo di continuazione tra i reati contestati, oggetto di doglianza da parte del ricorrente, risulta adeguata e non manifestamente illogica ed in linea con il principio di diritto affermato dalle Sezioni Unite, secondo il quale, in tema di reato continuato, il giudice, nel determinare la pena complessiva, oltre ad individuare il reato più grave e stabilire la pena base, deve anche calcolare e motivare l'aumento di pena in modo distinto per ciascuno dei reati satellite, in quanto il grado di impegno motivazionale richiesto in ordine ai singoli aumenti di pena è correlato all'entità degli stessi e tale da consentire di verificare che sia stato rispettato il rapporto di proporzione tra le pene, anche in relazione agli altri illeciti accertati, che risultino rispettati i limiti previsti dall'art. 81 c.p. e che non si sia operato surrettiziamente un cumulo materiale di pene (Sez. U, n. 47127 del 24/06/2021, Rv.282269 - 01; Sez. U, n. 7930/94, Rv 201549-01).

4. Il quarto motivo di ricorso è inammissibile.

Costituisce consolidato principio che l'assegnazione della somma a titolo di provvisionale è statuizione inoppugnabile, dunque sottratta al sindacato di legittimità, essendo pacifico nella giurisprudenza di questa Corte che non è impugnabile con ricorso per cassazione la statuizione pronunciata in sede penale e relativa alla concessione e quantificazione di una provvisionale, trattandosi di decisione di natura discrezionale, meramente delibativa e non necessariamente motivata (Sez. 3, n. 18663 del 27/01/2015 - dep. 06/05/2015, D. G., Rv. 263486).

Da tanto discende l'inammissibilità della doglianza, in quanto volta proprio a censurare le statuizioni della Corte di appello relative alla liquidazione di provvisionale in favore della parte civile.

5. Essendo il ricorso inammissibile e, in base al disposto dell'art. 616 c.p.p., non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura, ritenuta equa, indicata in dispositivo.

6. Il ricorrente va, inoltre, condannato in base al disposto dell'art. 541 c.p.p., in via generica alla rifusione delle spese del grado sostenute dalla parte civile ammessa al patrocinio a spese dello Stato; spetterà, poi, al giudice che ha pronunciato la sentenza passata in giudicato la liquidazione di tali spese mediante l'emissione del decreto di pagamento ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, artt. 82 e 83 (Sez. U, n. 5464 del 26/09/2019, dep.12/02/2020, Rv.277760 - 01).

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Condanna, inoltre, l'imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile ammessa al patrocinio dello Stato, nella misura che sarà liquidata dalla Corte di appello di Roma con separato decreto di pagamento ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, artt. 82 e 83 disponendo il pagamento in favore dello Stato.

Conclusione

Così deciso in Roma, il 30 novembre 2022.

Depositato in Cancelleria il 3 gennaio 2023