1. Il ricorso è inammissibile.
2. Per ciò che riguarda i primi due motivi di ricorso, che possono essere trattati congiuntamente, è opportuno anzitutto richiamare il consolidato indirizzo interpretativo di questa Suprema Corte, secondo cui "in tema di inammissibilità del ricorso per cassazione, i motivi devono ritenersi generici non solo quando risultano intrinsecamente indeterminati, ma altresì quando difettino della necessaria correlazione con le ragioni poste a fondamento del provvedimento impugnato" (Sez. 5, n. 28011 del 15/02/2013, Sammarco, Rv. 255568 - 01. In senso conforme, cfr. ad es. Sez. 2, n. 11951 del 29/01/2014, Lavorato, Rv. 259425 - 01, secondo la quale "è inammissibile il ricorso per cassazione quando manchi l'indicazione della correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell'atto d'impugnazione, atteso che quest'ultimo non può ignorare le affermazioni del provvedimento censurato").
Tali insegnamenti appaiono pienamente applicabili nella fattispecie in esame, in cui il ricorrente ha censurato la decisione di conferma della condanna per i reati di violenza sessuale e di atti persecutori, in danno della odierna parte civile, limitandosi a prospettare una diversa e più favorevole lettura delle risultanze acquisite, senza peraltro operare alcun effettivo confronto con il diffuso quanto esaustivo percorso motivazionale tracciato dalla Corte d'Appello, in piena sintonia con le argomentazioni svolte dal primo giudice (ampiamente riprese nella sentenza impugnata, senz'altro valutabili quale unico compendio argomentativo alla luce dei noti principi in tema di c.d. doppia conforme: cfr. sul punto Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218 - 01, secondo cui "ai fini del controllo di legittimità sul vizio di motivazione, ricorre la cd. "doppia conforme" quando la sentenza di appello, nella sua struttura argomentativa, si salda con quella di primo grado sia attraverso ripetuti richiami a quest'ultima sia adottando gli si:essi criteri utilizzati nella valutazione delle prove, con la conseguenza che le due sentenze possono essere lette congiuntamente costituendo un unico complessivo corpo decisionale").
2.1. In particolare, con riferimento alla condanna per la violenza sessuale continuata in danno di B.B. (con la quale il ricorrente aveva avuto una lunga relazione, terminata per volontà della donna), la difesa ricorrente ha sostenuto l'insussistenza di condotte minacciose da parte dell'A.A., e comunque l'assenza di prove sia in ordine alla sorta di accordo che, secondo l'accusa, la B.B. sarebbe stata costretta ad accettare (prosecuzione di rapporti sessuali in cambio del silenzio con il marito sulla relazione), sia con riferimento alla consapevolezza, in capo al ricorrente, di un implicito rifiuto dei rapporti da parte della odierna parte civile).
SI tratta, all'evidenza, di censure attinenti al merito delle valutazioni della Corte territoriale, ma soprattutto di rilievi che evitano di confrontarsi con l'iter motivazionale esposto in sentenza, che ha anzitutto preso le mosse dalla ritenuta, piena attendibilità della B.B., avuto riguardo alla linearità e costanza del racconto, anche in ordine alla prosecuzione degli incontri a sfondo sessuale con l'A.A. cui lei aveva aderito per timore (cfr. pag. 11 segg., oltre alla dettagliata ricostruzione delle risultanze processuali acquisite in primo grado (pag. 2 ss.). La Corte d'Appello ha quindi ritenuto irrilevante il fatto che i messaggi trascritti e acquisiti fossero privi di minacce esplicite, tenuto conto dei riscontri alle dichiarazioni della parte civile offerti dall'amica C.C. nonchè, soprattutto, da quanto direttamente percepito dal Commissario D.D. in Questura, dove la B.B. era stata raggiunta dall'odierno ricorrente, prodottosi in invettive e minacce precisando, tra l'altro, di ritenere la donna "cosa sua" (cfr. pagg. 4 e 12 della sentenza impugnata): circostanza, quest'ultima, ritenuta dalla Corte d'Appello (pag. 13) perfettamente idonea a riscontrare il racconto della B.B. anche nella parte in cui aveva descritto il già richiamato "accordo" al quale aveva dovuto sottostare. La Corte d'Appello ha quindi affrontato e disatteso la prospettazione difensiva secondo cui la donna avrebbe comunque avuto la possibilità di sottrarsi alle pretese dell'A.A., evitando di recarsi spontaneamente agli incontri: sul punto, si è evidenziato (pag. 14) che, anche a voler prescindere dagli episodi riferiti dalla B.B. in cui il rapporto era stato preteso sotto minaccia di essere uccisa, il delitto di violenza sessuale mediante minaccia non richiede necessariamente l'annullamento della libertà di autodeterminazione della vittima, assumendo rilievo anche la mera limitazione della libertà di scelta per il condizionamento dettato dalla possibilità di patire il male ingiusto prospettato (e non potendo dubitarsi, a tale ultimo proposito, della "ingiustizia" del male - riferire al marito della B.B. ogni dettaglio della relazione - prospettato dal ricorrente).
Si è in definitiva dinanzi ad un percorso argomentativo del tutto immune da illogicità e contraddittorietà qui denunciabili, oltre che perfettamente in linea con i consolidati principi affermati dalla Suprema Corte (cfr. ad es. Sez. 3, n. 29725 del 23/05/2013, M., Rv. 256823 - 01, secondo cui "nel reato di violenza sessuale non ha valore scriminante il fatto che la donna non si opponga palesemente ai rapporti sessuali e li subisca, quando è provato che l'autore, per le violenze e le minacce ripetutamente poste in essere nei confronti della vittima, abbia la consapevolezza del rifiuto implicito ai congiungimenti carnali"). Un percorso rimasto, come già più volte accennato, privo di effettiva confutazione da parte della difesa, che si è limitata a contestare la sussistenza del reato richiamando estratti di deposizioni o di messaggi senza un effettivo confronto con le considerazioni svolte dalla Corte territoriale, del tutto esaustive anche quanto alla paventata possibilità che il ricorrente non avesse colto l'implicito dissenso della donna (basti qui richiamare, al riguardo, i ripetuti episodi di vomito cagionati alla B.B. dalla veemenza dei rapporti orali pretesi dal ricorrente: cfr. sul punto pagg. 3, 13, 14 della sentenza impugnata).
2.2. Considerazioni del tutto analoghe devono essere svolte in ordine alle censure mosse dalla difesa alla conferma della condanna anche per il delitto di atti persecutori: censure compendiate in poche righe, nelle quali il difensore contesta la configurabilità del reato sostenendo la necessità di attribuire rilievo ad un asserito atteggiamento "accomodante" della B.B..
Anche su questo aspetto, difetta peraltro qualsiasi confronto con il compendio motivazionale unitario desumibile dalle sentenze di merito, in cui, da un lato, si dà conto di un contesto di costante sottoposizione della donna a minacce insulti e vessazioni da parte del ricorrente, in un crescendo culminato in Questura con l'annuncio, in presenza del Commissario, di ulteriori persecuzioni (cfr. pag. 4, cit.); d'altro lato, è stata individuata anche una serie di specifiche conseguenze della condotta del ricorrente sulle abitudini di vita della B.B., ritenute pienamente idonee a concretare l'elemento oggettivo del reato che qui rileva. E' utile richiamare, a tal fine, pag. 2 della sentenza impugnata, in cui si precisa che lo stato d'ansia e prostrazione in cui era caduta aveva indotto la B.B. ad uscire di casa solo se accompagnata, a delegare alla sorella la spesa, a dormire bloccando la porta con un mobile per il timore di "iniziative" notturne dell'A.A., ecc..
3. Inammissibile è anche la residua censura.
Il ricorrente lamenta un difetto motwazionale in ordine alla mancata concessione delle attenuanti generiche, senza contrastare la decisione resa sul punto dalla Corte territoriale, la quale ha ritenuto inammissibile il corrispondente motivo di appello, che non aveva indicato alcun elemento idoneo a superare la decisione, assunta dal giudice di primo grado, di non concedere all'A.A. le attenuanti generiche (cfr. pag. 16 della sentenza impugnata).
4. Le considerazioni fin qui svolte impongono una declaratoria di inammissibilità del ricorso, e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
L'A.A. deve essere inoltre condannato alla rifusione delle spese processuali sostenute dalla parte civile (ammessa al patrocinio a spese dello Stato) nel presente grado di giudizio: spese di cui si ordina il pagamento in favore dello Stato, nella misura che sarà liquidata dalla Corte d'Appello di Lecce - Sez. dist. Taranto con separato decreto di pagamento, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, artt. 82 e 83.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende. Condanna, inoltre, l'imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile ammessa al patrocinio a spese dello Stato, nella misura che sarà liquidata dalla Corte di Appello di Lecce - Sezione distaccata di Taranto con separato decreto di pagamento, ai sensi D.P.R. n. 115 del 2002, artt. 82 e 83 disponendo il pagamento in favore dello Stato. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52 in quanto imposto dalla legge.
Conclusione
Così deciso in Roma, il 21 ottobre 2022.
Depositato in Cancelleria il 3 gennaio 2023