In tal senso è, dunque, necessario che le linee essenziali del reato fine siano state programmate, con sufficiente specificità, fin dal momento della costituzione del sodalizio criminoso; fin dall'inizio del vincolo associativo devono, dunque, essere sussistenti i necessari elementi, quello ideativo e quello volitivo, di quel singolo fatto, non genericamente di un qualunque fatto di quel tipo o categoria; pertanto, devono essere esclusi dalla possibilità di essere unificati in continuazione quei reati fine che, pur rientrando nel più ampio ambito di attività svolta nel quadro associativo, e anche ai fini di rafforzamento della consorteria, non sono stati però programmati ab origine; in definitiva, il fatto che un reato fine sia strumentale al rafforzamento dell'operatività dell'associazione criminosa, o corrisponda anche a metodo usuale di risoluzione dei conflitti interni od esterni, non integra di per sè vincolo di continuazione ove per quello specifico episodio difettino i requisiti essenziali di tale istituto - che, dunque, non possono essere confusi con il rapporto di strumentalità in particolare la previsione unitaria e specifica, ab origine.
1. Il ricorso è inammissibile perchè affidato a motivi non consentiti dalla legge nel giudizio di legittimità e, comunque, manifestamente infondati.
E', infatti, principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte quello secondo cui tra reato associativo e singoli reati fine ben può sussistere, in teoria, vincolo di continuazione, ma senza alcun automatismo, e dunque sempre che dell'istituto in parola si possano rinvenire i concreti elementi fondanti.
In tal senso è, dunque, necessario che le linee essenziali del reato fine siano state programmate, con sufficiente specificità, fin dal momento della costituzione del sodalizio criminoso; fin dall'inizio del vincolo associativo devono, dunque, essere sussistenti i necessari elementi, quello ideativo e quello volitivo, di quel singolo fatto, non genericamente di un qualunque fatto di quel tipo o categoria; pertanto, devono essere esclusi dalla possibilità di essere unificati in continuazione quei reati fine che, pur rientrando nel più ampio ambito di attività svolta nel quadro associativo, e anche ai fini di rafforzamento della consorteria, non sono stati però programmati ab origine; in definitiva, il fatto che un reato fine sia strumentale al rafforzamento dell'operatività dell'associazione criminosa, o corrisponda anche a metodo usuale di risoluzione dei conflitti interni od esterni, non integra di per sè vincolo di continuazione ove per quello specifico episodio difettino i requisiti essenziali di tale istituto - che, dunque, non possono essere confusi con il rapporto di strumentalità in particolare la previsione unitaria e specifica, ab origine.
2. Ebbene, nel caso di specie, il Giudice dell'esecuzione non ha eluso l'obbligo motivazionale nè errato nell'interpretazione delle norme giuridiche, poichè, con motivazione adeguata e coerente, esente da violazioni delle regole della logica e del diritto, ha ritenuto che tra i reati di cui alle sentenze in comparazione non ricorressero i presupposti per l'applicabilità della disciplina della continuazione.
L'ordinanza impugnata - dopo avere effettuato un'analisi dei fatti giudicati con le sentenze in comparazione (cfr. pagg. 5 - 7) - ha evidenziato che: sia nel momento in cui B.B., in 24.6.1964, uccise i suoi aggressori, C.C. e D.D., sia allorquando, dopo circa sette mesi, si verificò la reazione con la c.d. strage di S. Eufemia (dove trovarono la morte la moglie del B.B. e il figlio G.G.), sia ancora quando B.B. si allontanò per sempre dalla Calabria, A.A., non solo non era ancora divenuto esponente dell'omonimo sodalizio, ma non era ancora neppure nato; dal quel momento non vi furono altri fatti di sangue e il conflitto sembrava sopito; solo nel 2001, ovvero dopo l'ingresso di A.A. nel sodalizio, un evento inatteso, come l'uccisione di E.E., determinò la ripresa delle ostilità e, quindi, A.A., in concorso con altri soggetti, provocò la morte del B.B., ritenuto il responsabile della ripresa del conflitto; nel periodo in cui fu ucciso E.E., il B.B. era rientrato in Calabria, seppure per qualche giorno; la suddetta chiave di lettura era avvalorata dalla confidenza ricevuta da B.B. e appuntata su un suo diario (8ernabè mi ha detto che devo morire come sono morti tutti ammazzati), collocata nel 2003, cioè dopo l'uccisione di E.E.; tra l'uccisione di E.E. e la vendetta consumatasi nel 2004, A.A. aveva sofferto un periodo di detenzione di quasi un anno; peraltro, l'appartenenza di A.A. al sodalizio era stata accertata, nel processo c. d. (Omissis), fino al maggio 1998 e, nel processo c. d. (Omissis), dal settembre 20003 al luglio 2005 (così l'imputazione), sebbene gli elementi di prova riguardanti l'A.A. fossero stati collocati tra il gennaio e il settembre 2005.
3. A fronte di tale argomentata valutazione, le censure difensive si sostanziano in un'indebita richiesta di "rilettura" dei dati procedimentali e riproducono questioni già adeguatamente esaminate e disattese dai giudici di merito con corretti argomenti logico giuridici.
4. Alla dichiarazione di inammissibilità consegue, ai sensi dell'art. 616 c.p.p., comma 1, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti a escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost., sent. n. 186 del 2000), anche al versamento in favore della Cassa delle ammende di una sanzione pecuniaria che pare congruo determinare in Euro tremila.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Conclusione
Così deciso in Roma, il 6 ottobre 2022.
Depositato in Cancelleria il 2 gennaio 2023