1. Con sentenza del 28.10.2017, il Tribunale di Tivoli dichiarava B.B. responsabile del reato di cui all'art. 609-bis c.p. contestato al capo b)- limitatamente alla condotta commessa in danno di A.A. nella sua abitazione in data (Omissis) e, concesse le circostanze attenuanti generiche, lo condannava alla pena di anni quattro di reclusione ed al risarcimento dei danni in favore della parte civile; assolveva, poi, il predetto dalla seconda condotta a lui contestata al capo b)-commessa presso gli uffici del sindacato CISL il (Omissis) perchè il fatto non sussiste, dichiarava non doversi procedere in ordine ai reati di cui ai capi a)- ritenuta l'ipotesi di cui agli artt. 56, 319 quater cod,pen. - b) - c) 346 c.p. e d) -art. 326 cod.pen- perchè estinti per intervenuta prescrizione.
Con sentenza del 13/09/2021, la Corte di appello di Roma, in riforma della sentenza emessa in data 28.10.2017 dal Tribunale di Tivoli, assolveva B.B. dal reato contestato al capo b) con riferimento alla condotta consumata il (Omissis) - e d) della rubrica nonchè dall'ipotesi di cui all'art. 319 quater c.p. perchè il fatto non sussiste e dall'ipotesi di cui al capo c) perchè il fatto non è più previsto dalla legge come reato.
2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione la parte civile A.A., a mezzo del difensore e procuratore speciale, articolando due motivi di seguito enunciati.
Con il primo motivo deduce vizio di motivazione in relazione alla valutazione di attendibilità della persona offesa.
Argomenta che il vizio motivazionale emerge dalla lettura comparata con la sentenza di primo grado, in quanto i Giudici di appello avevano attribuito alla sentenza del Tribunale una portata argomentativa difforme da quella effettiva; la Corte di appello aveva fondato il suo ragionamento sulla premessa, errata, che il Tribunale avrebbe assolto l'imputato per la condotta del 5 dicembre 2006, per mancanza di credibilità della persona offesa; il Tribunale di Tivoli, invece, non aveva mai escluso la credibilità della persona offesa in relazione all'episodio del 5 dicembre 2006; la pronuncia assolutoria era stata ancorata alla inidoneità delle modalità con cui l'imputato aveva tentato continui approcci nei confronti della persona offesa a raggiungere la soglia del penalmente rilevante; il Tribunale, in particolare, rilevava che non vi era stato alcun contatto fisico tra l'imputato e la parte civile (che in quel frangente operava quale "agente provocatore") e che l'intervento degli operanti si era verificato quando l'imputato non aveva posto in essere alcuna forma di aggressione fisica alla sfera di sessualità della persona offesa); il Tribunale, quindi, non aveva rilevato una discrasia tra le dichiarazioni della persona offesa e le concrete modalità del fatto, essendosi limitato ad affermare che le condotte descritte dalla persona offesa non potevano inquadrarsi nella fattispecie di violenza sessuale. Da tanto risulta evidente l'errore metodologico della Corte di appello, che faceva discendere la valutazione di inattendibilità della persona offesa in relazione all'episodio del (Omissis), da una premessa errata e, cioè, la valutazione di non attendibilità della persona offesa in relazione all'episodio del (Omissis); i fatti riferiti dalla persona offesa erano stati ritenuti inidonei ad integrare il reato contestato, in particolare, erano stati raccontati tentativi di approccio fisico riscontrati in dibattimento e la circostanza che il si toccava anche nelle parti intime non era stata smentita dalle emergenze processuali, diversamente da quanto erroneamente affermato dai Giudici di appello.
Con il secondo motivo deduce vizio di motivazione per travisamento della prova.
Argomenta che la sentenza di appello si basa sul travisamento della prova dichiarativa raccolta in dibattimento, nella parte in cui fa discendere la valutazione di inattendibilità della persona offesa dalla circostanza che la giustificazione in ordine alla risposte sibilline fornite dalla stessa alle domande rivoltele dall'imputato nell'incontro del (Omissis) erano da rinvenirsi in suggerimenti ricevuti dalla polizia giudiziaria; deduce che il travisamento emergerebbe dalla semplice lettura delle trascrizioni delle dichiarazioni rese in dibattimento dagli agenti di polizia giudiziaria, che, interrogati sul punto, lungi dal negare tale circostanza, avevano invece riscontrato seppure con modalità diverse la credibilità della persona offesa; i Giudici di appello, senza neppure indicare in maniera specifica le dichiarazioni degli agenti di p.g., si limitavano ad affermate che gli stessi avevano negato la circostanza riferita dalla persona offesa, così travisando il dato probatorio.
Chiede, pertanto, l'annullamento della sentenza impugnata.
3. La difesa della ricorrente parte civile e la difesa dell'imputato hanno chiesto, a norma dell'art. 23, comma 8, d.l n. 137 del 2020, conv. in L. n. 176/2020, la trattazione orale del ricorso.
Motivi della decisione
1. Il primo motivo di ricorso, con il quale si censura la motivazione della Corte di appello sul punto della ritenuta inattendibilità del dichiarato della persona offesa, è infondato.
La Corte territoriale, non condividendo la valutazione del materiale probatorio operata dal Tribunale, ha basato l'assoluzione dell'imputato, in relazione alla seconda condotta di violenza sessuale contestata al capo b), sul giudizio di inattendibilità complessiva delle dichiarazioni rese dalla persona offesa, valutando le dichiarazioni nella loro interezza con riferimento ad entrambi gli episodi di violenza sessuale riferiti, in quanto strettamente collegati, esaminando elementi obiettivi di prova ritenuti in contrasto con punti qualificanti il narrato accusatorio, rilevando contraddizioni ed incongruenze nel racconto dei fatti, nonchè l'assenza di riscontri alle dichiarazioni della persona offesa e l'insussistenza delle due ipotesi di reato collegate alla condotta di violenza sessuale in questione e, cioè il millantato credito e la rivelazione del segreto di ufficio (cfr pag 2,3,4,5,6 della sentenza impugnata).
La motivazione è adeguata e non manifestamente illogica e, pertanto, si sottrae al sindacato di legittimità.
Va ricordato che la valutazione circa l'attendibilità della persona offesa si connota quale giudizio di tipo fattuale, ossia di merito, in quanto attiene al modo di essere della persona escussa; tale giudizio può essere effettuato solo attraverso la dialettica dibattimentale, mentre è precluso in sede di legittimità, specialmente quando il giudice del merito - come nella specie - abbia fornito una spiegazione plausibile della sua analisi probatoria (cfr. Sez. 3, n. 41282 del 05/10/2006, Agnelli e altro, Rv. 235578).
Inoltre, costituisce affermazione consolidata che "il ribaltamento in senso assolutorio del giudizio di condanna operato dal giudice di appello pur senza rinnovazione della istruzione dibattimentale è perfettamente in linea con la presunzione di innocenza, presidiata dai criteri di giudizio di cui all'art. 533 c.p.p..." in quanto non viene in questione il principio del "ragionevole dubbio"... "la condanna presuppone la certezza della colpevolezza, mentre l'assoluzione non presuppone la certezza dell'innocenza ma la mera non certezza della colpevolezza" (Sezioni Unite n. 27620 del 24.4.2016, Dasgupta, in motivazione); il giudice d'appello che riformi in senso assolutorio la sentenza di condanna di primo grado non ha l'obbligo di rinnovare l'istruzione dibattimentale mediante l'esame dei soggetti che hanno reso dichiarazioni ritenute decisive, ma deve offrire una motivazione puntuale e adeguata, che fornisca una razionale giustificazione della difforme conclusione adottata, anche riassumendo, se necessario, la prova dichiarativa decisiva (Sez. U, n. 14800 del 21/12/2017, dep. 03/04/2018, Rv. 272430 - 01); principio da ultimo ribadito da Sez. 4, n. 14194 del 18/03/2021, Rv. 281016 - 02, che ha affermato che nel giudizio di appello, in caso di diversa valutazione del materiale probatorio in primo grado ritenuto idoneo a giustificare una pronuncia di colpevolezza, per la riforma della sentenza non occorre che la motivazione esprima una forza persuasiva superiore, ma è sufficiente che la diversa valutazione sia dotata di pari o addirittura minore plausibilità di quella operata dal primo giudice, perchè l'assoluzione a differenza della condanna non presuppone la certezza dell'innocenza ma la mera non certezza della colpevolezza.
2. Il secondo motivo di ricorso è inammissibile.
La ricorrente, attraverso una formale denunciatizio di motivazione e travisamento della prova, richiede sostanzialmente una rivisitazione, non consentita in questa sede, delle risultanze processuali.
Nel motivo proposto, infatti, si riportano stralci di prove testimoniali, esponendo doglianze le quali si risolvono in una mera rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e sollecitano una rivalutazione di merito preclusa in sede di legittimità (cfr. Sez. 1, 16.11.2006, n. 42369, Rv. 235507; sez. 6, 3.10.2006, n. 36546, Rv. 235510; Sez. 3, 27.9.2006, n. 37006, Rv. 235508; Sez. U, n. 2110 del 23/11/1995, Rv. 203767; Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Rv. 207944; Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794).
Va ribadito, a tale proposito, che, anche a seguito delle modifiche dell'art. 606, comma 1, lett. e), c.p.p. introdotte dalla L. n. 46 del 2006, art. 8 non è consentito dedurre il "travisamento del fatto", stante la preclusione per il giudice di legittimità di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito (Sez.6,n. 27429 del 04/07/2006, Rv.234559; Sez. 5, n. 39048/2007, Rv. 238215; Sez. 6, n. 25255 del 2012, Rv.253099) ed in particolare di operare la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (cfr. Sez. 6, 26.4.2006, n. 22256, Rv. 234148).
L'indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, perchè il sindacato demandato al giudice di legittimità è limitato a riscontrare l'esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilità di verificare l'intrinseca adeguatezza e congruità delle argomentazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento. Dai poteri della Corte Suprema esula, quindi, ogni "rilettura" degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito. In particolare, non può integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali perchè, appunto, la Corte Suprema non può sovrapporre una propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi, ma invece può, e deve, saggiare la tenuta logica della pronuncia portata alla sua cognizione: ciò, in quanto nel momento del controllo della motivazione, il giudice di legittimità non deve stabilire se la decisione di merito proponga la migliore ricostruzione dei fatti, nè deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se la giustificazione contenuta nella sentenza impugnata sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento (Sez. 4, n. 4842 del 02/12/2003, dep. 06/02/2004, Elia ed altri, Rv. 229369).
Va anche ricordato che è stato ripetutamente affermato che in tema di ricorso per cassazione, sono inammissibili, per genericità, quei motivi che, deducendo il vizio di manifesta illogicità o di contraddittorietà della motivazione, riportano meri stralci di singoli brani di prove dichiarative, estrapolati dal complessivo contenuto dell'atto processuale - come avvenuto nella specie - al fine di trarre rafforzamento dall'indebita frantumazione dei contenuti probatori (Sez. 1, n. 23308 del 18/11/2014 - dep. 29/05/2015, Savasta e altri, Rv. 263601).
3. In definitiva, il ricorso, basato su un motivo infondato e su altro inammissibile, va rigettato nel suo complesso, con condanna della ricorrente, ai sensi dell'art. 616 cod.proc.pen, al pagamento delle spese processuali.
4. Va, infine, dato atto che la parte civile ricorrente ha depositato nota spese e decreto di ammissione al gratuito patrocinio per la liquidazione del relativo compenso.
Va esaminato il quadro normativo di riferimento.
Il D.P.R. n. 115 del 2002 artt. 82 e 83 prevedono che il compenso del difensore della parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato venga liquidato dal giudice con apposito decreto di pagamento, osservando la tariffa professionale in modo che, in ogni caso, non risulti superiore ai valori medi delle tariffe professionali vigenti relative ad onorari, diritti ed indennità (art. 82, comma 1); tale compenso deve essere ridotto di un terzo (art. 106-bis). Non si dà luogo alla liquidazione se l'impugnazione è dichiarata inammissibile (art. 106). La liquidazione è effettuata al termine di ciascuna fase o grado del processo e, comunque, all'atto della cessazione dell'incarico, dall'autorità giudiziaria che ha proceduto; per il giudizio di cassazione, alla liquidazione procede il giudice di rinvio, ovvero quello che ha pronunciato la sentenza passata in giudicato. In ogni caso, il giudice competente può provvedere anche alla liquidazione dei compensi dovuti per le fasi o i gradi anteriori del processo, se il provvedimento di ammissione al patrocinio è intervenuto dopo la loro definizione (art. 83, comma 2).
Sulla base della esplicita previsione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 83, comma 2 che, come detto, prevede testualmente: "per il giudizio di cassazione, alla liquidazione procede il giudice di rinvio ovvero quello che ha pronunciato la sentenza passata in giudicato", la Corte di cassazione, dunque, non è competente a provvedere alla liquidazione del compenso del difensore della parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato.
Tale interpretazione, basata sulla chiara lettera della norma, costituisce orientamento consolidato nella giurisprudenza di questa Corte.
Sez. 3, n. 6025 del 26/10/2016, dep. 2017, Aperi, e Sez. 2, n. 18317 del 22/04/2016, Plaia, hanno precisato che la Corte di Cassazione non è competente a provvedere alla liquidazione degli onorari e delle spese dei difensori di imputati ammessi al patrocinio a spese dello Stato, richiamando l'esplicita previsione del D.P.R. n. 115 del 2002 art. 83, comma 2,; Sez. 5, n. 8218 del 18.1.2018, Murtas; Sez. 2, n. 43356 del 21/10/2015, Zecca e Sez. 5, n. 4143 del 20/10/2016, dep. 2017, IGM, hanno affermato che per la liquidazione dell'onorario al difensore di parte civile la competenza appartiene al giudice del rinvio ovvero a quello che ha emesso la sentenza passata in giudicato, ai sensi del D.P.R. n. 212 del 2002 art. 83.
Da ultimo, le Sezioni Unite (Sez. U,n. 5464 del 26/09/2019, dep.12/02/2020, Rv.277760 - 01), pronunciando in tema di liquidazione, nel giudizio di legittimità, delle spese sostenute dalla parte civile ammessa al patrocinio a spese dello Stato (con riferimento alla condanna prevista dall'art. 541 c.p.p. che attiene al rapporto imputato-parte civile, regolato dal criterio della soccombenza), hanno affermato che compete alla Corte di cassazione, ai sensi degli artt. 541 c.p.p. e 110 del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, solo pronunciare condanna generica dell'imputato al pagamento di tali spese in favore dell'Erario, mentre è rimessa al giudice del rinvio, o a quello che ha pronunciato la sentenza passata in giudicato, la liquidazione delle stesse mediante l'emissione del decreto di pagamento ai sensi degli artt. 82 e 83 del citato D.P.R..
In particolare, le Sezioni Unite hanno dato rilievo al canone dell'interpretazione letterale, evidenziando che l'art. 83, comma 2, laddove dispone che "La liquidazione è effettuata al termine di ciascuna fase o grado del processo e, comunque, all'atto della cessazione dell'incarico, dall'autorità giudiziaria che ha proceduto; per il giudizio di cassazione, alla liquidazione procede il giudice di rinvio, ovvero quello che ha pronunciato la sentenza passata in giudicato" è di inequivoco significato; la giustapposizione dei due periodi esalta ulteriormente la scelta del legislatore di sottrarre alla Corte di cassazione il compito di provvedere alla liquidazione", scelta ritenuta coerente con le caratteristiche del giudizio di legittimità. E' stato, poi, rilevato che l'opzione legislativa trova eco in diverse disposizioni del D.P.R. n. 115 del 2002 al riguardo, che confermano la scelta di sottrarre alla Corte di cassazione ogni competenza in materia di patrocinio a spese dello Stato. L'art. 93, che nell'individuare il magistrato al quale va presentata l'istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato dispone che essa venga presentata all'ufficio del magistrato innanzi al quale pende il processo. Se però procede la Corte di cassazione, l'istanza è presentata all'ufficio del magistrato che ha emesso il provvedimento impugnato. Anche l'individuazione del magistrato competente ad emettere la decisione sull'istanza segue il medesimo schema; a mente dell'art. 96 vi provvede il magistrato davanti al quale pende il processo o il magistrato che ha emesso il provvedimento impugnato, se procede la Corte di cassazione. L'art. 112, comma 3, individua il giudice competente a revocare l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato, nel "magistrato che procede al momento della scadenza dei termini suddetti (ovvero i termini rispettivamente previsti dall'art. 79, comma 1, lett. d) e dell'art. 94, comma 3) ovvero al momento in cui la comunicazione (di cui all'art. 79, comma 1, lett. d)) è effettuata o, se procede la Corte di cassazione, il magistrato che ha emesso il provvedimento impugnato".
Si è anche precisato che la previsione dell'art. 83, comma 3 -bis (introdotto dal L. 23 dicembre 2015 n. 208art. 1, comma 783,), ai sensi del quale "il decreto di pagamento è emesso dal giudice contestualmente alla pronuncia del provvedimento che chiude la fase cui si riferisce la relativa richiesta", "nulla ha innovato in ordine alla chiara configurazione delle competenze stabilita dal comma 2 della norma stessa".
Va, quindi, ribadito che, in base al disposto del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 83, comma 2, la Corte di cassazione non è competente a provvedere alla liquidazione del compenso del difensore della parte civile ammessa al patrocinio a spese dello Stato, essendo competente a provvedere in merito, in base al disposto del D.P.R. n. 115 del 2002 art. 83, comma 2 il giudice di rinvio ovvero quello che ha pronunciato la sentenza passata in giudicato.
Nella specie, pertanto, nulla va disposto in ordine alla richiesta di liquidazione avanzata dal difensore della parte civile ricorrente, essendo competente a provvedere in merito, in base al disposto del D.P.R. n. 115 del 2002 art. 83, comma 2 il giudice che ha pronunciato la sentenza passata in giudicato.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Conclusione
Così deciso in Roma, il 10 novembre 2022.
Depositato in Cancelleria il 28 dicembre 2022