1. Il ricorso è infondato.
1.1. Il primo motivo - con cui si censurano vizi della motivazione e di violazione di legge quanto alla valutazione delle dichiarazioni rese dalla persona offesa e alla ritenuta decisività delle prove a carico dell'imputato - è inammissibile, perchè diretto, con argomentazioni generiche, ad ottenere una rivalutazione di elementi già presi adeguatamente in considerazione dal giudice di secondo grado, riducendosi ad una mera contestazione delle risultanze emerse dalla motivazione, senza la prospettazione di elementi puntuali, precisi e di immediata valenza esplicativa tali da dimostrare un'effettiva carenza motivazionale su punti decisivi del gravame (ex plurimis, Sez. 5, n. 34149 del 11/06/2019, Rv. 276566; Sez. 2, n. 27816 del 22/03/2019, Rv. 276970). A fronte della ricostruzione e della valutazione della Corte di appello, non si offre la compiuta rappresentazione e dimostrazione di alcuna evidenza (pretermessa ovvero infedelmente rappresentata dal giudicante) di per sè dotata di univoca, oggettiva e immediata valenza esplicativa, tale, cioè, da disarticolare, a prescindere da ogni soggettiva valutazione, il costrutto argomentativo della decisione impugnata, per l'intrinseca incompatibilità degli enunciati.
La difesa, invero, non si confronta con la motivazione della sentenza impugnata, limitandosi a reiterare generiche censure fattuali già avanzate con l'atto d'appello. Per parte sua, la Corte territoriale, dopo aver sottolineato che l'ingresso nel processo all'intervista registrata il 31 luglio 2017 dalla Dott.ssa C.C. alla persona offesa - a seguito del sospetto abuso sessuale segnalato dal di lui padre - è da ascriversi alla scelta di accedere al giudizio cartolare, afferma che non emerge in alcun modo che la persona offesa sia un soggetto che vive in un mondo ideale e astratto, sì da poter ritenere che egli possa avere trasposto nella realtà alcune delle sue fantasie. Nè la sua capacità a testimoniare è concretamente posta in questione. Inoltre, evidenziano i giudici d'appello, se le fantasie erotiche del giovane si inquadrassero - come sostenuto dalla difesa - in un rapporto di amore e devozione, non si capisce per quale motivo nelle asserite fantasie erotiche della persona offesa l'imputato venga sempre descritto alla stregua di un violentatore. Del tutto irrilevanti, poi, sarebbero le attestazioni di stima rilasciate da B.B., collega dell'imputato. Infatti, come sottolineato dalla Corte territoriale, si tratta di affermazioni di carattere generico, da parte di un soggetto che non ha vissuto da vicino e con quotidianità il rapporto tra imputato e persona offesa. Parimenti generici sono poi gli assunti difensivi relativi all'herpes labiale. I giudici d'appello, motivando sul punto, da un lato hanno evidenziato l'estrema contagiosità dell'herpes, che si propaga per contatto diretto, dall'altro hanno sottolineato che una non corretta esposizione al sole possa abbassare le difese immunitarie, attivando l'herpes labiale. Nel caso di specie, la Corte territoriale afferma - in maniera logica e coerente - che appare singolare che la patologia possa essere insorta, contestualmente, tanto nell'imputato quanto nella persona offesa. Nè a scalfire tale conclusione vale l'assunto difensivo secondo cui non si comprenderebbe l'assenza di herpes nelle zone genitali. Nel caso di specie infatti, posto che la contagiosità per via sessuale avviene solo per determinate pratiche, nessuna indagine clinica o medica è stata condotta sull'imputato. Del pari inconsistente per sostenere l'insussistenza del reato è l'assenza di conversazioni telefoniche rilevanti nel periodo oggetto di intercettazione: infatti, come correttamente rilevato dai giudici d'appello, l'imputato aveva tutto l'interesse a tenere per sè tali vicende, soprattutto all'indomani della diffida inviatagli dal legale della famiglia della persona offesa.
1.2. Il secondo motivo di ricorso - con cui si lamentano la contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione alla valutazione di attendibilità del racconto della persona offesa nonchè la violazione del principio delroltre ogni ragionevole dubbio" - è anch'esso inammissibile. La difesa si limita, infatti, a reiterare censure già avanzate in appello, senza confrontarsi con il testo della sentenza impugnata. Con motivazione del tutto logica e coerente, i giudici d'appello, aderendo alla ricostruzione già operata dal giudice di primo grado, secondo cui la confusione o la sovrapposizione tra un episodio e l'altro deve essere ascritta alle difficoltà intellettive e personali della persona offesa, affermano come quest'ultima sia incerta solo nella collocazione temporale degli eventi, essendo questa, al contrario, in grado di ricordarli e circostanziarli con sufficiente precisione nella loro effettiva portata. Parimenti inammissibili sono le censure relative al riscontro esterno che ha ad oggetto le dichiarazioni di Sadio. La difesa non si confronta con la motivazione della sentenza impugnata, ove (a pag. 26) si evidenzia che proprio la completa fiducia di cui godeva l'imputato, all'interno della famiglia della persona offesa, potrebbe avere indotto Sadio a desistere dal mettersi in contrasto con il generale sentimento di benevolenza nutrito dai suoi ospiti verso l'imputato; ciò a maggior ragione se si considera la gradualità degli approcci del predetto verso l'extracomunitario, non particolarmente invasivi e sostanzialmente finalizzati a sperimentare il grado di resistenza del giovane straniero e la sua riservatezza.
1.3. La terza doglianza - con cui si lamentano la contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione in relazione alla valutazione della condotta processuale silente dell'imputato - è inammissibile per genericità. La difesa non precisa, infatti, quali siano i passaggi argomentativi della sentenza appellata in cui si faccia riferimento alla condotta silente dell'imputato in quanto tale, traendone elementi a suo carico.
1.4. Il quarto motivo di ricorso - con cui si lamenta la mancata sussunzione del fatto contestato all'imputato nella fattispecie di cui all'art. 609-bis cod. pen è inammissibile. Del tutto correttamente il fatto contestato all'imputato è stato ritenuto di non minore gravità; mentre la difesa non si confronta con la motivazione della sentenza impugnata (pag. 27), in cui si evidenziano, non solo l'invasività degli atti sessuali posti in essere, i quali, oltre ad essere reiterati, si inseriscono in un pregresso rapporto di abusi sessuali che durava da anni, ma anche la particolare percezione degli stessi da parte della persona offesa, la quale parla espressamente di "abusi sessuali". Nè tantomeno può essere indicativa della modestia del disvalore dell'accaduto o della mancanza di una sofferenza fisica o di un disagio morale la mancata reazione della persona offesa. Non può infatti non rilevarsi, come sottolineato dalla Corte territoriale, che il deficit intellettivo di quest'ultimo lo abbia sostanzialmente reso inerme rispetto alle modalità aggressiva con le quali l'imputato, facendo leva anche sulla soggezione da questi nutrita, lo ha costretto a subire le sue avances sessuali. Del resto, sottolineano ancora i giudici d'appello, conferma quanto accaduto e i sentimenti di frustrazione e vergogna provati il foglio manoscritto dalla persona offesa acquisito agli atti.
1.5. Il quinto motivo di ricorso - con cui si contesta il diniego della circostanza attenuante del risarcimento del danno di cui all'art. 62, n. 6), cod. pen - è infondato. L'art. 62, n. 6), c.p. prevede infatti che attenua il reato l'avere riparato prima del giudizio integralmente il danno, mediante il risarcimento di esso. Orbene nel caso di specie, occorre dare atto del fatto che quest'ultimo è stato solo parzialmente riparato prima del giudizio. L'imputato, infatti, ha provveduto a versare la somma di Euro 20.000, 00 in data antecedente all'udienza di prima comparizione davanti al Gup. Tuttavia, poichè il saldo di Euro 15.000,00 è stato versato solo dopo, anche se precedentemente all'udienza di discussione, il risarcimento integrale non può dirsi avvenuto prima del giudizio, motivo per cui la censura non può essere accolta. Nè può assumere rilievo in senso contrario la stipula di una transazione per l'intera somma di Euro 35.000,00, perchè ciò che conta, secondo la previsione legislativa, non è l'impegno all'adempimento espresso attraverso una transazione, ma l'effettivo adempimento dell'obbligazione di risarcitoria prima dell'ammissione al rito.
Secondo la più recente e ormai consolidata interpretazione di legittimità, infatti, in caso di giudizio abbreviato, ai fini del riconoscimento dell'attenuante prevista dall'art. 62, n. 6), c.p., la riparazione del danno mediante risarcimento o restituzione deve intervenire prima che sia pronunciata l'ordinanza del giudice di ammissione al rito ex art. 438, comma 4, c.p.p. e non prima dell'inizio della discussione ex art. 421 c.p.p. E ciò, perchè, prevedendo la riparazione del danno "prima del giudizio", il legislatore ha inteso ancorare il riconoscimento dell'attenuante al ravvedimento dell'imputato e non all'interesse per la propria sorte processuale, individuando il momento per esprimere tale ravvedimento nell'ammissione del rito, unico momento certo comune a tutti i giudizi abbreviati, i quali si possono poi articolare temporalmente in modi diversi, quanto all'effettivo svolgimento della discussione. Diversamente opinando, si avallerebbe una di Spa rità di trattamento fra gli imputati a seconda del concreto andamento, più lento o più rapido, del giudizio abbreviato di ciascuno (Sez. 3, n. 15750 del 16/01/2020, Rv. 279270; Sez. 3, n. 2213 del 22/11/2019, dep. 21/01/2020, Rv. 278380).
Deve dunque affermarsi che, ai fini del riconoscimento dell'attenuante ex art. 62, n. 6), c.p., la riparazione del danno mediante risarcimento o restituzione deve intervenire integralmente prima che sia pronunciata l'ordinanza del giudice di ammissione al rito ex art. 438, comma 4, c.p.p., non essendo sufficiente la stipula di una transazione cui non segua l'integrale riparazione prima di tale termine.
2. Il ricorso, dunque, deve essere rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. In caso di diffusione del presente provvedimento, omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003 art. 52, in quanto imposto dalla legge.
Conclusione
Così deciso in Roma, il 22 settembre 2022.
Depositato in Cancelleria il 21 dicembre 2022