1. Il ricorso è inammissibile per le ragioni precisate di seguito.
2. Le due sentenze di merito, con duplice valutazione conforme, descrivono sulla base delle dichiarazioni della persona offesa, integrate dalle emergenze della consulenza tecnica d'ufficio svolta nel corso del giudizio di separazione (che conteneva anche riferimenti alle dichiarazioni, delle figlie dell'imputato, all'epoca minorenni, in quella occasione sentite dal consulente) e da ulteriori acquisizioni anche documentali- un clima di complessiva intollerabilità della convivenza familiare e coniugale, imposto dalle prevaricanti scelte dell'imputato, essenzialmente determinate da ragioni di matrice economica.
Il prevenuto, secondo quanto messo in evidenza dai giudici del merito, aveva un controllo totalizzante della moglie, impedendole ogni affiato di autonomia e indipendenza, tanto da imporle anche ruoli formali e fittizi nelle attività di impresa allo stesso sostanzialmente riconducibili, (ruoli) dai quali era conseguita una ingente esposizione della moglie nei confronti di terzi creditori. Con sistematicità ne dominava i comportamenti, rintuzzando con intimidazioni e reazioni in alcune occasioni anche fisiche, le relative iniziative oppositive; il tutto con agiti solitamente accompagnati anche da contegni diretti a svilirne la dignità personale e denigrarne il ruolo innanzi alle figlie, finendo persino per incamerarne lo stipendio percepito quando la moglie ebbe a intraprendere una attività lavorativa per conto proprio, a conferma di una prevaricazione totalizzante.
Da qui la serialità delle prevaricazioni ascritte all'imputato, dipanatesi lungo l'intero rapporto matrimoniale; prevaricazioni cui corrispondeva lo stato di sopraffazione e avvilimento determinato nella moglie, aspetti neppure neutralizzati dalla cessazione della convivenza coniugale. L'indole dominante e oppressiva del prevenuto era infatti emersa anche successivamente alla relativa separazione di fatto, essendosi reso protagonista di sistematiche pressioni nei confronti della moglie (oltre ad inviarle numerosi e pressanti messaggi, era continuamente presente sul luogo di lavoro della vittima per verificare che la prestazione resa coincideva con quella dichiarata nel corso del giudizio di separazione); di minacce dotate di una certa gravità, peraltro veicolate in modo subdolo (si veda la vicenda relativa alla intervista resa a un quotidiano locale, rievocata a pag. 11 della sentenza gravata); di pressioni indebite anche nei confronti delle figlie per acquisire dalle stesse dichiarazioni dirette a smentire quanto in precedenza dichiarato al CTU del giudizio di separazione, tanto da portare i giudici del merito a non prendere in considerazione il portato delle relative deposizioni.
3. In questa cornice fattuale di riferimento, il ricorso non contrasta adeguatamente la ricostruzione in fatto operata dai Giudici del merito.
Non risulta messa in discussione, con la dovuta concretezza e specificità, la credibilità della persona offesa e del suo narrato; nè risultano introdotte effettive ragioni di travisamento, per errore o omissione, dei momenti probatori essenziali messi in luce dalle sentenze di merito a fondamento della relativa responsabilità.
4. Piuttosto, si contesta l'abitualità delle condotte di prevaricazione, a fronte di un dato probatorio, confermato anche dalle condotte successive alla separazione di fatto, che dà evidente conto di risultanze di segno diametralmente opposto; ancor più laconicamente, si contrasta l'efficacia prevaricatrice delle dette condotte alla luce di una asserita reciproca litigiosità sviluppatasi all'interno di un rapporto coniugale connotato da paritarie posizioni, aspetto immediatamente smentito dal ruolo di evidente dominio fotografato dall'argomentare dei giudici del merito, sintomo di una asimmetria prevaricatrice certamente coerente alla ipotesi di reato contestata.
5. Deve altresì ritenersi coerente a norma anche la riqualificazione operata in appello rispetto ai fatti descritti al capo b), coerentemente ritenuti, nell'ottica dei maltrattamenti, in continuità rispetto alle condotte di cui al capo a), in una cornice di perdurante e unitaria abitualità rispetto alla quale la separazione di fatto tra i due coniugi non ha costituito una apprezzabile soluzione di continuità temporale nè un valido ostacolo giuridico, considerato il protrarsi dei vincoli inerenti al coniugio e alla filiazione ordinariamente valorizzati da questa Corte in caso di matrimonio.
Come recentemente ribadito (Sezione 6, sentenza n. 18932 del 19 maggio 2022, n. m sul punto) la cessazione del rapporto di convivenza tra i coniugi, fintanto che non sopraggiunga la sentenza di divorzio, non può considerarsi idonea a tracciare un discrimen tra l'area di operatività della fattispecie astratta di cui all'art. 572 cod. pen e quella dell'Ipotesi di cui all'art. 612-bis c.p.. Secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, cui il Collegio intende dare continuità, la cessazione del rapporto di convivenza, ad esempio a seguito di separazione legale o di fatto, non influisce infatti sulla sussistenza del reato di maltrattamenti, rimanendo integri, anche in tal caso,, i doveri di rispetto reciproco, di assistenza morale e materiale e di solidarietà che nascono dal rapporto coniugale (si veda, in tal senso, SEZ. 3, n. 43701 del 12/06/2019, Rv. 277987; Sez. 6, n. 3087 del 19/12/2017, dep. 2018, Rv. 2721:34; Sez. 6, n. 33882 del 08/07/2014, Rv. 262078; Sez. 6, n. 7369 del 13/11/2012, dep. 2013, Rv. 254026). Ciò in quanto i vincoli di solidarietà e gli obblighi nascenti dal coniugio o, come nel caso in esame, anche dalla filiazione, permangono integri anche a seguito del venir meno della convivenza. In particolare, la separazione legale o di fatto tra i coniugi non incide sul vincolo di reciproco rispetto, assistenza morale e materiale, nonchè di collaborazione, cosicchè le condotte vessatorie poste in essere anche successivamente alla cessazione della convivenza sono idonee a configurare il delitto di maltrattamenti (Sez. 2, n. 39331 del 05/07/2016, Rv. 267915).
6. E' parimenti inammissibile anche l'ultimo motivo di ricorso.
Nei suoi profili in rito, peraltro non espressamente formalizzati, la doglianza prospettata si risolve in una asserita violazione dell'art. 522, c:omma 1, cod. proc. pen per avere i giudici del merito considerato una aggravante (la recidiva) non contestata in relazione ai maltrattamenti: aspetto, questo, che,, in di Spa rte il profilo della fondatezza del rilievo, darebbe comunque luogo ad una nullità a regime intermedio, non rilevata con l'appello e non prospettabile per la prima volta in sede di legittimità.
Quanto alla tenuta motivazionale della valutazione resa nel merito sulla recidiva, la contestazione assume un unico tono di minima specificità nella rilevata risalenza nel tempo (2004) del precedente evocato dai giudici del merito a sostegno della maggiore riprovevolezza del fatto, sintomo della accresciuta pericolosità dell'imputato. Il dato tuttavia è immediatamente smentito dagli effetti della riqualificazione operata in appello: i capi a) e b) si sono infatti fusi in una unica contestazione destinata a coprire, oltre ai fatti successivi alla cessazione della convivenza (dal marzo 2017 sino a ottobre 2018) un arco temporale complessivo che ha ricompreso l'intero rapporto matrimoniale (sin dal 2006, dunque, in linea con la contestazione di cui al capo a).
E tanto, all'evidenza, depriva di rilievo la contestazione sollevata dalla difesa 7. Alla inammissibilità seguono le pronunce di cui all'art. 616 c.p.p., comma 1, definite nei termini di cui al dispositivo che segue.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
Conclusione
Così deciso in Roma, il 13 ottobre 2022.
Depositato in Cancelleria il 15 novembre 2022