1. Il ricorso è inammissibile.
2. Deve premettersi che questa Corte Suprema ha già chiarito che, in tema di riesame delle misure cautelari reali, nella nozione di "violazione di legge" (per la quale soltanto può essere proposto ricorso per cassazione a norma dell'art. 325, comma 1, c.p.p.) rientrano la mancanza assoluta di motivazione o la presenza di motivazione meramente apparente, in quanto correlate all'inosservanza di precise norme processuali, ma non anche l'illogicità manifesta e la contraddittorietà della motivazione (così Sez. U, n. 5876 del 28 gennaio 2004, P.c. Ferazzi in proc. Bevilacqua, Rv. 226710 ss.; conforme, Sez. V, n. 35532 del 25 giugno 2010, Angelini, Rv. 248129).
3. Nel caso in esame, il Tribunale del riesame ha affermato che sul conto corrente, oggetto di sequestro, erano confluiti, oltre agli stipendi erogati al marito della ricorrente dalla (Omissis), i canoni di locazione relativi a un immobile cointestato ai coniugi. Il menzionato Tribunale ha aggiunto che il marito della ricorrente aveva dichiarato che i canoni di locazione erano prelevati dal conto ed utilizzati per pagare il mutuo, stipulato per l'anzidetto immobile e che invero comportava mensilmente esborsi maggiori rispetto ai canoni di locazione, con la conseguenza che il conto corrente era formato da somme riconducibili solo all'imputato e, quindi, sequestrabili.
Al riguardo il Tribunale del riesame ha ricordato che questa Corte (Sez. 6, n. 24432 del 18/04/2019, Rv. 276278) ha affermato che, in tema di sequestro preventivo funzionale alla confisca per sproporzione, eseguito su conto corrente cointestato all'indagato e a soggetto estraneo al reato, la misura cautelare si estende all'intero importo in giacenza, ma è fatta salva la facoltà per il terzo di dimostrare l'esclusiva titolarità di tali somme e la conseguente illegittimità del vincolo.
4. La ricorrente, quanto al profilo della violazione di legge, ha sostanzialmente dedotto che sarebbe stato inosservato il principio secondo cui i canoni di locazione dell'immobile, cointestato a lei e a suo marito, confluendo sul conto corrente cointestato, si confonderebbero con il resto del denaro depositato sul conto, così che non potrebbe dirsi che per il pagamento del mutuo, relativo all'anzidetto immobile, sarebbero stati utilizzati i canoni di locazione e, di conseguenza, il sequestro dell'intero conto corrente sarebbe illegittimo.
La doglianza è manifestamente infondata.
Non vi è dubbio che i canoni di locazione, confluendo sul conto corrente cointestato ai coniugi, si sono confusi con il resto del denaro ivi depositato e rappresentato dagli stipendi erogati al marito della ricorrente dalla (Omissis).
Il Tribunale del riesame non ha posto in discussione il principio della confusione ma ha considerato - sulla base di quanto dichiarato dal marito della ricorrente - che la quota del denaro del conto corrente corrispondente ai canoni di locazione era fuoriuscita dal conto stesso (perchè impiegato per pagare il mutuo), così che sul conto residuavano importi attribuibili solo al marito della ricorrente e, quindi, sequestrabili.
Nessuna violazione di legge risulta dunque commessa, dovendosi di contro ritenere che il Tribunale ha fatto corretta applicazione dell'insegnamento di questa Corte, secondo cui il conto corrente, cointestato a persona estranea al reato, può essere oggetto di sequestro per l'intero, salva la facoltà del terzo di provare l'esclusiva titolarità di tali somme: circostanza che, nel caso in esame, è stata esclusa.
5. Il secondo motivo non è consentito.
La ricorrente ha dedotto che il Tribunale avrebbe errato nel ritenere che il contratto di locazione dell'immobile, cointestato a lei e a suo marito, fosse scaduto a settembre 2020.
Siffatto errore - ove pure esistente - si risolve in un vizio nell'accertamento dei fatti, che - per il perimetro circoscritto dei poteri demandati a questa Corte in materia di misura cautelar' reali - non è deducibile con il presente ricorso.
6. La declaratoria di inammissibilità totale del ricorso comporta, ai sensi dell'art. 616 c.p.p., la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali nonchè - apparendo evidente dal contenuto dei motivi che ella ha proposto il ricorso determinando la causa di inammissibilità per colpa (Corte Cost., sentenza 13 giugno 2000, n. 186) - della somma indicata in dispositivo in favore della Cassa delle ammende a titolo di sanzione pecuniaria.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Conclusione
Così deciso in Roma, il 16 settembre 2022.
Depositato in Cancelleria il 14 novembre 2022