1. Il primo e il secondo motivo - i quali, per la loro connessione, possono essere esaminati congiuntamente - non sono fondati.
Essi pongono la questione della specificità richiesta a un decreto di perquisizione, con riferimento alle cose da ricercare e da sequestrare, con particolare riguardo alla necessità o no che lo stesso decreto indichi se le predette cose costituiscano corpo del reato o cose pertinenti al reato.
Con riguardo al primo, più generale, aspetto, si deve anzitutto ribadire che non è consentito che il decreto di perquisizione, per la sua genericità, possa divenire uno strumento di ricerca non di elementi di prova di un reato ma di notizie di reato. Perciò, al fine di evitare che i provvedimenti di perquisizione e sequestro si trasformino in strumenti di ricerca della notitia criminis, è necessario che essi individuino, almeno nelle linee essenziali, gli oggetti da sequestrare con riferimento a specifiche attività illecite, onde consentire che la perquisizione e il conseguente sequestro siano eseguiti non sulla base di semplici congetture, ma trovino giustificazione in concrete ipotesi di reato rinvenibili in fatti addebitati a un determinato soggetto, e permettere, inoltre, la verifica della sussistenza delle esigenze probatorie (Sez. 6, n. 2882 del 06/10/1998, Calcaterra, Rv. 212678-01).
D'altro canto, tuttavia, non può ritenersi pretesa l'indicazione dettagliata delle cose da ricercare e da sequestrare, sia perchè, il più delle volte, esse non possono essere individuate a priori, sia perchè l'art. 248 c.p.p., comma 1, nel prevedere l'invito alla consegna allorquando, attraverso la perquisizione, si ricerchi una cosa determinata, implica che oggetto della ricerca possano essere anche cose non determinate, che potranno essere individuate solo all'esito dell'esecuzione della perquisizione.
Secondo l'orientamento della Corte di cassazione, che è condiviso dal Collegio, nel caso di ricerca di cose non determinate, ai fini della legittimità del sequestro di cose ritenute corpo di reato o pertinenti al reato, effettuato dalla polizia giudiziaria all'esito di perquisizione disposta dal pubblico ministero, non è richiesto che le cose anzidette siano preventivamente individuate, dovendosi ritenere sufficiente che alla loro individuazione possa pervenirsi mediante il riferimento sia alla natura del reato in relazione al quale la perquisizione è stata disposta, sia alle nozioni normative di "corpo di reato" e di "cosa pertinente al reato" (Sez. 1, n. 1953 del 10/03/1997, Corini, Rv. 207430-01, che, in applicazione di tale principio, ha escluso l'illegittimità del sequestro di varia documentazione afferente alla struttura e alle attività della cosiddetta "Guardia nazionale padana", effettuato all'esito di una perquisizione disposta dal pubblico ministero in relazione al reato di cui al D.Lgs. n.43 del 14 febbraio 1948 art. 1; nello stesso senso, Sez. 2, n. 40657 del 09/10/2012, Azzariti Fumaroli, non massimata sul punto, Sez. 2, n. 35866 del 19/06/2008, Muscio, Rv. 241113-01).
Quando, invece, la polizia giudiziaria abbia individuato e sequestrato cose non indicate nel decreto o il cui ordine di sequestro non sia desumibile dalle nozioni di corpo di reato e di cosa pertinente al reato, in relazione ai fatti per cui si procede, l'autorità giudiziaria dovrà procedere alla convalida del sequestro ovvero ordinare la restituzione delle cose ritenute non suscettibili di sequestro. La Corte di cassazione ha infatti chiarito che, in tema di sequestro, qualora il pubblico ministero, delegando la polizia giudiziaria all'esecuzione di una perquisizione, abbia disposto il sequestro, oltre che degli oggetti e/o documenti esplicitamente indicati, anche di "quanto rinvenuto ed, in ogni caso, ritenuto utile a fini di indagine", egli è tenuto a provvedere alla convalida relativamente al sequestro avente a oggetto cose non specificate nel provvedimento; invero, poichè l'indeterminatezza dell'indicazione rimette al giudizio della polizia giudiziaria operante (sempre che non si tratti di beni soggetti a confisca obbligatoria) l'individuazione del presupposto fondamentale del sequestro (e cioè la qualifica dei beni come corpo o pertinenza del reato) e poichè, dunque, il relativo accertamento non può che avere natura provvisoria, è necessario il tempestivo controllo da parte dell'autorità giudiziaria, che lo esercita ai sensi dell'art. 355 c.p.p. (Sez. 5, n. 5672 del 25/11/1999, dep. 2000, Cogni, Rv. 215566-01; nello stesso senso, Sez. 5, n. 43282 del 17/10/2008, Vastola, Rv. 241727-01).
Da ciò consegue che, qualora pubblico ministero - delegando la polizia giudiziaria e indipendentemente dai riferimenti normativi contenuti nel provvedimento e dalla modulistica utilizzata - disponga il sequestro nei termini di cui si è appena detto e non provveda poi alla convalida, non è esperibile la procedura del riesame, che l'ordinamento riserva al decreto emesso ex art. 253 c.p.p. (art. 257 c.p.p.), il quale contiene l'indicazione delle cose da sequestrare. In tale ipotesi, qualora il pubblico ministero non restituisca d'ufficio i beni sequestrati, ai sensi dell'art. 355, comma 2, c.p.p., l'interessato potrà invece avanzare al medesimo la relativa istanza, con facoltà di proporre opposizione al g.i.p. contro l'eventuale diniego, ai sensi dell'art. 263, comma 5, c.p.p. (Sez. 5, n. 4263 del 15/12/2005, dep. 2006, Fanesi, Rv. 233625-01; nello stesso senso, Sez. 2, n. 42517 del 15/10/2021, Soave, Rv. 282208-01).
Tornando al caso in esame, si deve anzitutto rilevare che il decreto di perquisizione non si è limitato a una generica indicazione di pertinenza di quanto (eventualmente) rinvenuto rispetto al reato ipotizzato, ma ha indicato con sufficiente precisione l'oggetto specifico del sequestro, individuandolo nei "contratti" e "accordi privati", nonchè nei dispositivi informatici ("computers, telefoni cellulari, hard disk, cd, pen drive") - da cui apprendere "mail, messaggi, chat di wattsap" - in quanto "utili a ricostruire i rapporti tra il B.B., il A.A. ed i soggetti che gestiscono la Pro Loco Città di (Omissis) e l'interessamento del medesimo affinchè il finanziamento da Euro 650.000,00 venisse erogato all'interno di un pacchetto di norme urgenti e necessarie in quanto legate all'emergenza Covid 19"; condotta che integrava il provvisorio addebito per il reato di cui agli artt. 56 e 640, comma 2, n. 1), c.p..
Ne consegue che il sequestro dei beni menzionati, in quanto sufficientemente individuati dal pubblico ministero - che ne indicava anche il nesso di pertinenzialità con il reato per il quale stava procedendo - nel decreto di perquisizione e sequestro, non richiedeva la necessità della convalida.
Nè, contrariamente a quanto ritenuto dal ricorrente, era possibile pretendere che il decreto di perquisizione e sequestro contenesse l'indicazione dell'appartenenza dei predetti beni alla tipologia del corpo del reato o delle cose pertinenti al reato, atteso che tale qualificazione non è sempre operabile a priori, ma solo una volta che il singolo specifico bene venga appreso.
Quanto, poi, al disposto sequestro di quanto "in ogni caso ritenuto utile ai fini delle indagini", da quanto si è in precedenza detto discende che, qualora il A.A. avesse reputato che la polizia giudiziaria aveva proceduto al sequestro di beni diversi da quelli sopra menzionati individuati nel decreto di perquisizione e sequestro, in assenza della convalida, contro tale sequestro non era ammissibile la richiesta di riesame (e la successiva impugnazione della relativa ordinanza del tribunale del riesame con il ricorso per cassazione) ma il ricorrente avrebbe dovuto esperire l'opposizione al g.i.p. avverso l'eventuale diniego di restituzione da parte del pubblico ministero.
2. Il terzo motivo è fondato, nei termini che seguono.
La Corte di cassazione ha chiarito che, pur non essendo vietato disporre un sequestro molto esteso, in particolare, anche di dispositivi elettronici, al fine di esaminare un'ampia massa di dati in essi contenuti e di estrapolare quelli necessari ai fini della prova del reato (Sez. 6, n. 53168 del 11/11/2016, Amores, Rv. 268489-01), tuttavia il principio di proporzionalità - il quale, in quanto strumentale alla tutela dei diritti individuali anche nell'ambito processuale penale, trova piena applicazione con riguardo ai mezzi di ricerca della prova, attesa l'idoneità di questi a incidere su beni giuridici costituzionalmente tutelati (Sez. 6, n. 6623 del 09/12/2020, dep. 2021, Pessotto; Sez. 6, n. 34265 del 22/09/2020, Aleotti) impone che il vincolo sia ab origine commisurato, già al momento dell'adozione del mezzo di ricerca della prova, a detta esigenza di estrapolazione, sia con riguardo all'indicazione di criteri di selezione dei dati, sia temporalmente (con riferimento alla necessaria restituzione dei dispositivi elettronici, una volta effettuata la cosiddetta copia forense dei dati in essi contenuti, e della stessa copia forense, una volta effettuata la selezione dei dati che assolvono alla funzione probatoria sottesa al sequestro) (Sez. 6, n. 6623 del 09/12/2020, dep. 2021, Pessotto, Rv. 280838-01; Sez. 6, n. 34265 del 22/09/2020, Aleotti).
Pur essendo stata investito di specifiche doglienze attinenti a tali aspetti, a prescindere dalla fondatezza o no delle stesse, il Tribunale di Cagliari ha illegittimamente totalmente omesso di esaminarle e di motivare al riguardo.
3. L'esame del quarto motivo, nella parte che attiene all'aspetto della "mancanza di proporzione" e nella parte che attiene al "difetto di pertinenza", quest'ultima limitatamente alla doglianza riassunta sub b), è assorbito dall'accoglimento del terzo motivo.
La doglianza riassunta sub a) della parte che attiene al "difetto di pertinenza" sarà esaminata unitamente al sesto motivo di ricorso.
4. Il quinto motivo è inammissibile.
Con il quarto motivo di riesame, il A.A. aveva dedotto l'"invalidità del sequestro per mancanza di pertinenza con particolare riferimento al personal computer, di certa proprietà di terza persona", in particolare, della propria moglie C.C., la quale nulla aveva a che fare con la costituzione e il finanziamento della Pro Loco Città di (Omissis).
A proposito di tale motivo di riesame, si deve evidenziare che, con esso, il A.A. aveva lamentato, in realtà, non l'illegittimità del decreto di sequestro del pubblico ministero per mancanza dei requisiti di legge, bensì che il personal computer sequestrato non poteva essere ricondotto ai beni oggetto del provvedimento, in quanto non era nella propria disponibilità ma in quella della moglie, del tutto estranea ai fatti.
Sennonchè, una tale doglianza, in quanto attinente al mero profilo dell'esecuzione del sequestro probatorio, non avrebbe potuto essere dedotta davanti al Tribunale del riesame. Infatti, come più volte ribadito dalla Corte di cassazione, secondo l'espressa previsione dell'art. 257 c.p.p., impugnabile davanti al tribunale del riesame non è l'esecuzione del sequestro probatorio ma il decreto del pubblico ministero che lo dispone; pertanto, chi lamenti che la polizia giudiziaria delegata abbia eseguito in quantità eccedentarie e illegittime un sequestro probatorio disposto dal pubblico ministero, può chiedere a quest'ultimo la restituzione delle cose sequestrate in eccesso e, contro il provvedimento del pubblico ministero, può proporre opposizione davanti al giudice, ai sensi dell'art. 263 c.p.p., non può, invece, avanzare direttamente istanza di riesame davanti all'apposito tribunale, giacchè nessuna norma lo prevede (Sez. 3, n. 2934 del 04/07/1996, De Vivo, Rv. 206407-01; nello stesso senso, più di recente, Sez. 3, n. 20912 del 25/01/2017, Zambelli, Rv. 270126-01).
5. Il sesto motivo non è fondato in entrambi i profili in cui è articolato.
L'obbligatoria motivazione del decreto di sequestro probatorio (art. 253 c.p.p.) deve avere a oggetto, tra l'altro, senza differenziazioni di sorta tra corpo del reato e cose pertinenti al reato, la specifica indicazione, per quanto concisa, della finalità perseguita per l'accertamento dei fatti (Sez. U, n. 36072 del 19/04/2018, Botticelli, Rv. 273548-01; Sez. 6, n. 13937 del 09/03/2022, Tonelli, non massimata sul punto).
Ciò rammentato, quanto al primo profilo del motivo, si deve rilevare che, contrariamente a quanto affermato dal ricorrente, la motivazione del decreto di perquisizione e sequestro in ordine alle finalità probatorie perseguite mediante l'apposizione del vincolo reale sulle cose in esso menzionate non consisteva nel rinvio al contenuto dell'ordinanza di applicazione della misura cautelare personale e "degli atti contenuti nel fascicolo, e delle annotazion(i) di P.G. del Nucleo di Polizia Economico Finanziaria della Guardia di Finanza di (Omissis)" - atti che il decreto richiama, piuttosto, nella prospettiva dell'enunciazione delle ragioni per le quali si riteneva probabile che le cose ricercate si trovassero nelle abitazioni o nei locali destinati all'attività lavorativa degli indagati - ma nell'indicazione, concisa ma sufficientemente specifica, e quindi idonea ad assolvere il prescritto obbligo motivazionale, della finalità di "ricostruire i rapporti tra il B.B., il A.A. ed i soggetti che gestiscono la Pro Loco Città di (Omissis) e l'interessamento del medesimo affinchè il finanziamento da Euro 650.000,00 venisse erogato all'interno di un pacchetto di norme urgenti e necessarie in quanto legate all'emergenza Covid 19".
Quanto al secondo profilo del motivo e alla doglianza riassunta sub a) della parte del quarto motivo che attiene al "difetto di pertinenza", ribadito che il decreto di perquisizione e sequestro dava specificamente conto, come si è appena detto, della finalità perseguita per l'accertamento dei fatti, si deve in primo luogo osservare che la doglianza relativa al fatto che "si trattava di un fatto risalente a circa due anni prima che, secondo la stessa impostazione accusatoria, emergeva da carte pubbliche già ampiamente in possesso dell'inquirente e dal telefonino del principale indagato (B.B.), già sequestrato ed analizzato" attiene, in effetti, non all'illegittimità del decreto per mancanza della motivazione in ordine alla finalizzazione probatoria dei beni da apprendere - motivazione che, come si è visto, è presente - ma alla ritenuta superfluità, a fini probatori, degli stessi beni, per essere i fatti risalenti (a circa un anno e mezzo prima) e già risultanti da altri elementi di prova ("carte pubbliche" e telefono cellulare dell'indagato B.B.). Tali circostanze, tuttavia, non appaiono tali da evidenziare un difetto di proporzionalità della misura atteso che: a) il tempo di circa un anno e mezzo decorso dai fatti non è tale da escludere nè che nei luoghi nella disponibilità dell'indagato potesse esservi della documentazione relativa agli stessi fatti nè che negli strumenti elettronici in possesso del A.A. potessero tuttora rinvenirsi mail, sms, messaggi wattsap relativi ai medesimi; b) la circostanza che i fatti "emergeva(no) da carte pubbliche già ampiamente in possesso dell'inquirente" non esclude l'utilità di acquisire elementi in grado di fare luce sulle reali motivazioni della costituzione della Pro Loco Città di (Omissis) e sulle circostanze e gli effettivi scopi del tentativo di ottenerne il finanziamento; c) la circostanza che i fatti sarebbero emersi, altresì, "dal telefonino del principale indagato" B.B. non esclude l'utilità di ricostruire i rapporti del A.A. non solo con il B.B. ma anche - come espressamente indicato nel decreto - con gli altri soggetti coinvolti nella gestione della Pro Loco Città di (Omissis) e con ulteriori soggetti che potevano avere avuto un ruolo nel tentativo di ottenere il finanziamento della stessa.
In secondo luogo, il fatto che, con riguardo all'attività da compiere sui dati informatici contenuti nei device digitali appresi, il decreto di perquisizione e sequestro e l'ordinanza impugnata facciano riferimento all'"analisi forense" degli stessi non integra un vizio dei suddetti provvedimenti, atteso che tale espressione ha evidentemente riguardo all'estrapolazione, dalla cosiddetta copia forense, dei dati contenuti nel dispositivi elettronici sequestrati necessari ai fini della prova del reato e che le modalità di detta "analisi" - che è stata poi effettuata, secondo quanto risulta dallo stesso ricorso, con accertamento tecnico non ripetibile ex art. 360 c.p.p. - potrà eventualmente essere oggetto di sindacato nell'ambito del giudizio di merito.
6. Il settimo motivo non è fondato.
In adempimento dell'obbligo di motivazione, il decreto di sequestro deve dare conto, altresì, del reato per cui si procede, attraverso l'indicazione dei suoi estremi essenziali, la quale costituisce, evidentemente, l'elemento-presupposto richiesto in funzione della valutazione del collegamento tra il bene da apprendere e lo stesso reato (Sez. U, n. 36072 del 19/04/2018, cit.; Sez. 6, n. 13937 del 09/03/2022, cit.).
Il decreto di perquisizione e sequestro in esame aveva assolto a tale obbligo motivazionale.
In proposito, si deve rilevare che, contrariamente a quanto affermato dal ricorrente, la motivazione del decreto di perquisizione e sequestro in ordine al reato per cui si procedeva non consisteva nel rinvio al contenuto dell'ordinanza di applicazione della misura cautelare personale e "degli atti contenuti nel fascicolo, e delle annotazion(i) di P.G. del Nucleo di Polizia Economico Finanziaria della Guardia di Finanza di (Omissis)" - atti che il decreto richiama, piuttosto, come si è già detto al punto 5, nella prospettiva dell'enunciazione delle ragioni per le quali si riteneva probabile che le cose ricercate si trovassero nelle abitazioni o nei locali destinati all'attività lavorativa degli indagati - ma nell'indicazione che si procedeva per il reato di cui agli artt. 56 e 640, comma 2, n. 1), c.p., con riguardo all'erogazione, nell'ambito di un pacchetto di norme urgenti in quanto legate all'emergenza Covid 19, di un finanziamento di Euro 650.000,00 in favore della Pro Loco Città di (Omissis).
Si tratta di una descrizione che, ancorchè sommaria, si deve ritenere sufficiente, tenuto anche conto della fase processuale in cui il decreto è stato emesso, a descrivere i connotati essenziali del fatto, i quali risultano indicati in termini che sono tali da consentire la verifica del collegamento tra l'accertamento dello stesso e i beni da apprendere e da escludere che il mezzo di prova sia stato utilizzato per non consentite finalità meramente esplorative.
7. In conclusione, l'ordinanza impugnata deve essere annullata in relazione all'accoglimento del terzo motivo, con rinvio al Tribunale di Cagliari, competente ai sensi dell'art. 324, comma 5, c.p.p., affinchè si pronunci sulle doglianze, di cui era stato investito senza, tuttavia, esaminarle e motivare al riguardo, di cui si è detto nell'esaminare lo stesso terzo motivo.
P.Q.M.
Annulla l'ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di Cagliari competente ai sensi dell'art. 324 c.p.p., comma 5.
Conclusione
Così deciso in Roma, il 8 settembre 2022.
Depositato in Cancelleria il 8 novembre 2022