"a) lo "stato d'ira", costituito da un'alterazione emotiva che può anche protrarsi nel tempo e non essere in rapporto di immediatezza con il "fatto ingiusto altrui";
b) il "fatto ingiusto altrui", che deve essere connotato dal carattere della ingiustizia obiettiva, intesa come effettiva contrarietà a regole giuridiche, morali e sociali, reputate tali nell'ambito di una determinata collettività in un dato momento storico e non con riferimento alle convinzioni dell'imputato e alla sua sensibilità personale;
c) un rapporto di causalità psicologica e non di mera occasionalità tra l'offesa e la reazione, indipendentemente dalla proporzionalità tra esse, sempre che sia riscontrabile una qualche adeguatezza tra l'una e l'altra condotta (Sez. 1, n. 47840 del 14/11/2013, Saieva, Rv. 258454, cui è possibile aggiungere quantomeno Sez. 5, n. 12558 del 13/02/2004, Fazio, Rv. 228020; Sez. 1, n. 21409 del 27/03/2019, Leccisi, Rv. 275894).
Motivi della decisione
1. Il ricorso è inammissibile e va dunque respinto.
2. La sentenza impugnata ha escluso la configurabilità dell'attenuante della provocazione (art. 62, n. 2, c.p.) sulla base della giurisprudenza di legittimità che, nello specificare i requisiti della suddetta circostanza, richiede il verificarsi delle seguenti condizioni: "a) lo "stato d'ira", costituito da un'alterazione emotiva che può anche protrarsi nel tempo e non essere in rapporto di immediatezza con il "fatto ingiusto altrui"; b) il "fatto ingiusto altrui", che deve essere connotato dal carattere della ingiustizia obiettiva, intesa come effettiva contrarietà a regole giuridiche, morali e sociali, reputate tali nell'ambito di una determinata collettività in un dato momento storico e non con riferimento alle convinzioni dell'imputato e alla sua sensibilità personale; c) un rapporto di causalità psicologica e non di mera occasionalità tra l'offesa e la reazione, indipendentemente dalla proporzionalità tra esse, sempre che sia riscontrabile una qualche adeguatezza tra l'una e l'altra condotta (Sez. 1, n. 47840 del 14/11/2013, Saieva, Rv. 258454, cui è possibile aggiungere quantomeno Sez. 5, n. 12558 del 13/02/2004, Fazio, Rv. 228020; Sez. 1, n. 21409 del 27/03/2019, Leccisi, Rv. 275894).
Nella specie, ha quindi negato fosse configurabile sia il requisito dell'impulso emotivo irrefrenabile, ritenendo la condizione psicologica di D. riconducibile ad uno stato di agitazione e, al più, di risentimento, sia la sussistenza di un nesso causale tra l'offesa e la reazione.
A fronte di tale valutazione di merito, non manifestamente illogica e nemmeno incompleta, il ricorrente non allega elementi suscettibili di decostruire il percorso argomentativo del giudice di secondo grado, limitandosi a prospettare, in modo generico, una lettura alternativa della vicenda fattuale che, come tale, non può essere vagliata e/o recepita in sede di legittimità.
Nemmeno rileva la considerazione che il D. non avrebbe avuto il tempo di presentarsi presso gli uffici della Questura, una volta elaborata la reazione di ira. Anche in questo caso, infatti, l'imputato non adduce elementi a sostegno di tale versione, che contrasta con quanto affermato nella sentenza di secondo grado (nonchè in quella primo grado che, trattandosi di c.d. "doppia conforme", si salda con la prima a formare un corpo unico: tra le altre, Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218) secondo cui, dopo l'evasione, l'imputato non ha contattato le forze dell'ordine, come, invece, avrebbe potuto fare.
Il motivo è dunque generico.
3. Il dato della irreperibilità di D. dopo l'evasione impedisce inoltre di accogliere il motivo aggiunto di ricorso e di ritenere applicabile l'art. 131-bis, c.p., sulla non punibilità per particolare tenuità del fatto, non potendo il danno cagionato essere ritenuto esiguo (vd., a contrario, Sez. 6, n. 21514 del 02/07/2020, Molino, Rv. 279311, relativa ad un'episodica violazione del permesso di uscita per lo svolgimento di attività lavorativa, in un caso in cui l'imputato si era recato in una sede operativa diversa da quella presso la quale era stato autorizzato a lavorare ed era rientrato a casa con due ore di ritardo).
Il motivo è dunque manifestamente infondato.
4. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento ed al versamento delle somme indicate nel dispositivo, ritenute eque, in favore della Cassa delle ammende, in applicazione dell'art. 616 c.p.p..
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Conclusione
Così deciso in Roma, il 22 settembre 2022.
Depositato in Cancelleria il 5 ottobre 2022