Giu l'elemento soggettivo Nel reato di bancarotta impropria da falso in bilancio
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. V PENALE - 23 settembre 2022 N. 36012
Massima
Nel reato di bancarotta impropria da falso in bilancio, l'elemento soggettivo presenta una struttura complessa, richiedendo un dolo generico, consistente nella rappresentazione del mendacio, un dolo specifico, qualificato dal profitto ingiusto, rispetto ai contenuti dell'offesa ed un dolo intenzionale di inganno dei destinatari, previsto per escludere letture in chiave di dolo eventuale.

Testo della sentenza
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. V PENALE - 23 settembre 2022 N. 36012

Motivi della decisione

1. Preliminarmente, con riferimento alla posizione di S.G., è necessario rilevare la dissoluzione del rapporto processuale, conseguente al decesso dell'imputato, sopravvenuto il 4 giugno 2022, dopo la deliberazione di secondo grado, ma prima della deliberazione di questa Corte di legittimità. Si impone, pertanto, l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata.

2. Ciò premesso, i ricorrenti, per come si è detto, sono stati ritenuti responsabili, nella loro qualità di amministratori, di due diversi fatti di bancarotta fraudolenta impropria, collegati alla commissione di due false attestazioni (art. 2621 c.c.), attraverso le quali, in ipotesi di accusa, i ricorrenti avrebbero occultato la presenza di ingenti perdite, consentendo, così, la prosecuzione dell'attività d'impresa pur in assenza di interventi di ricapitalizzazione o di liquidazione, con accumulo di ulteriori perdite e conseguente aggravamento del dissesto.

La vicenda, ricostruita nel dettaglio dai giudici di merito, riguarda il fallimento di un gruppo di società riconducibili alla famiglia S., composto dalla (OMISSIS) s.p.a., con funzioni di holding ed esercente attività immobiliare, dalla (OMISSIS) s.r.l. (partecipata dalla (OMISSIS)), quale sub-holding operativa, e da una pluralità di società satellite, concessionarie di noti marchi automobilistici (Mercedes, Smart, Land Rover, Ford, Ferrari, Maserati).

Il fallimento delle due holding (la (OMISSIS) e la (OMISSIS)) è stato dichiarato nel 2010, ma, secondo la ricostruzione offerta dalla corte territoriale, l'epoca di manifestazione del dissesto si dovrebbe collocare nei primi mesi del 2008, quando si sarebbe dovuto prendere atto delle costanti perdite registrate negli anni immediatamente precedenti e, conseguentemente, dell'oggettiva situazione di squilibrio economico, patrimoniale e finanziario in cui versavano tutte le società del gruppo: la (OMISSIS) (che nel triennio 2006-2008, aveva conseguito costantemente un margine operativo lordo di segno negativo), le controllate (OMISSIS) (che, dal 2006, aveva conseguito un reddito operativo negativo, con una perdita di Euro 758.000), (OMISSIS) (che aveva sempre conseguito un margine operativo lordo negativo e nell'anno 2006 aveva accusato una perdita di Euro 336.000), (OMISSIS) (che, nell'anno 2006, aveva avuto una perdita di esercizio di 1.741.000 Euro, replicata nell'anno 2007, con messa in liquidazione della società nell'ottobre 2008 e dichiarazione di fallimento nel marzo 2009).

Gli amministratori, invece, pur consapevoli di ciò, si sarebbero limitati ad occultare il dissesto modificando l'originario criterio di valutazione delle partecipazioni della (OMISSIS) nelle controllate (quantificate in applicazione del criterio del costo in luogo di quello del patrimonio netto), evitando, così, di considerare le perdite delle tre partecipate (che, sommate a quelle della (OMISSIS), avrebbe condotto ad un patrimonio netto negativo per oltre 1,5 milioni di Euro) e omettendo di indicare, nei conti d'ordine, il valore delle fideiussioni e delle lettere di patronage concesse alle società controllate, a garanzia dei debiti contratti con le banche, per oltre 12 milioni di Euro (poi riportate nel successivo bilancio del 2008 nei loro termini esatti, per oltre 34 milioni di Euro).

Peraltro, anche a voler considerare legittima la variazione dell'originario criterio di valutazione, la situazione economica descritta avrebbe comunque imposto di rettificare il valore del costo, eliminando le voci relative all'"avviamento" e ai "versamenti in conto copertura perdite"; eliminazione che da sola avrebbe comunque portato ad un patrimonio netto di (OMISSIS) nel 2007 negativo per Euro1.562.913 (a fronte di un patrimonio netto positivo, indicato nel bilancio approvato, di Euro 5.136.873), con conseguente obbligo di scioglimento della società ai sensi dell'art. 2484 comma 1 n. 4 del codice civile.

3. Ricostruita in questi termini la prospettazione accusatoria, così come ritenuta dai giudici di merito, i ricorrenti deducono, con i primi due motivi di ricorso (intimamente connessi tra loro), un difetto di motivazione della sentenza impugnata, nella parte in cui non avrebbe compiutamente argomentato in ordine alla rilevanza, sia sotto il profilo oggettivo, che sotto quello soggettivo, dei piani di ristrutturazione aziendali (predisposti da operatori particolarmente qualificati, quali la KPMG, Mediobanca o AlizPartners), della crisi mondiale del settembre 2008 e, in ultimo, della condotta osservata dei vertici della Mercedes Benz Italia.

Circostanze che, secondo la prospettazione difensiva, avrebbero, invece, inciso significativamente sulla concreta ricuperabilità delle perdite e sulla conseguente legittimità della variazione del criterio di valutazione.

Entrambi i motivi sono infondati.

3.1. Va premesso che questa Corte ha già avuto modo di precisare che il nesso causale tra la falsa attestazione ed il dissesto è ravvisabile non solo in presenza di condotte che incidono direttamente sulla consistenza patrimoniale della fallita, ma anche quando, avendo avuto la falsa rappresentazione come risultato quello di rendere indiscernibile l'esistenza di consistenti perdite nell'attività patrimoniale (Sez. 5, n. 42272, del 13/06/2014, Rv. 260394) ha permesso la prosecuzione dell'attività d'impresa, in assenza di interventi di ricapitalizzazione, con conseguente accumulo di ulteriori perdite (Sez. 5, n. 1754 del 20/09/2021, dep. 2022, Rv. 282537). E ciò anche ove la condotta degli amministratori si sovrapponga (in applicazione del principio di cui all'art. 41 c.p. e della naturale progressione del fenomeno economico: Sez. 5, Sentenza n. 16259 del 04/03/2010, Rv. 247254) ad una situazione economica e patrimoniale di irreversibile decozione già maturata.

3.2. Ciò considerato, sotto il profilo oggettivo, si è detto che gli amministratori, nella redazione del bilancio relativo all'anno 2007, hanno modificato il criterio utilizzato per la valutazione delle partecipate, sostituendo quello patrimonio netto, utilizzato per l'esercizio precedente (e che avrebbe condotto all'azzeramento del valore della relativa partecipazione), con quello del costo. Scelta giustificata, nella nota integrativa, alla luce di asserite "condizioni di eccezionalità" (connesse alla recessione del settore auto) e nella ritenuta assenza di "variazione durevole di valore delle partecipazioni" (in quanto ritenute eliminabili nell'arco di un triennio, secondo le previsioni elaborate nei piani di ristrutturazione aziendali).

La giustificazione è oggettivamente incoerente e la valutazione offerta dai redattori del bilancio appare evidentemente in contrasto con il principio di verità e correttezza cristallizzato nell'art. 2423, comma 2, del codice civile.

In linea di principio, il criterio di valutazione più corretto per le partecipazioni in società controllate e collegate è rappresentato dal metodo del patrimonio netto, in quanto queste sono possedute non solo allo scopo di trarre i frutti diretti dell'investimento (i dividendi), ma soprattutto, sul piano quantitativo, per la cointeressenza al risultato d'esercizio e alla consistenza patrimoniale della partecipata e, sul piano gestionale, per la possibilità di influire in modo dominante (società controllata), oppure in modo notevole (società collegata), sulle decisioni della partecipata (principio contabile n. 20).

Per queste partecipazioni, il criterio del costo, pur previsto di default nella valutazione economica delle partecipazioni, può astrattamente pregiudicare una corretta e veritiera rappresentazione della situazione patrimoniale, finanziaria e del risultato economico, in quanto non consente, al lettore, di percepire l'effettivo valore della partecipazione ed il suo andamento diacronico. Cosicchè, alla fine di ogni esercizio, la valutazione ottenuta in applicazione del criterio del costo deve essere messa a raffronto con il valore risultante dall'adozione alla medesima data del metodo del patrimonio netto, nell'ipotesi in cui l'impresa sia tenuta a redigere il bilancio consolidato, oppure al valore corrispondente alla frazione del patrimonio netto risultante dall'ultimo bilancio dell'impresa partecipata, qualora non vi sia l'obbligo di redigere il bilancio consolidato. Nel caso in cui dal raffronto emerga che il valore della partecipazione è inferiore al costo e la perdita di valore sia da ritenersi durevole, nasce l'obbligo di rettificare il valore indicato (art. dell'art. 2426, comma uno n. 3, c.c.).

In concreto, per come si è detto, la grave situazione economica e finanziaria delle controllate si protraeva, ormai, da oltre un triennio ed aveva già condotto al fallimento della (OMISSIS) (dichiarato nel marzo 2009), per cui, in assenza di oggettivi elementi di segno contrario, doveva ritenersi che, nel breve periodo, non sarebbero potuti, ragionevolmente produrre, positivi risultati economici. Il chiaro dato economico, doveva, quindi, ritenersi preclusivo (ai sensi dell'art. 2423-bis c.c.) non solo della possibilità di qualificare eccezionale la condizione economica delle partecipate (e, quindi, legittima, ai sensi dell'art. 2423-bis, comma 2, c.c., la deroga al generale divieto di variazione dei criteri di valutazione delle poste imposto al n. 6 dello stesso articolo), ma anche dell'applicazione, di per sè, alla luce di quanto evidenziato, dello stesso criterio del costo (art. 2426 n. 3, c.c.).

I ricorrenti, in realtà, deducono, in senso opposto, che le perdite realizzate si sarebbero dovute valutare come strettamente connesse alla recessione del settore auto ed eliminabili nell'arco temporale programmato di un triennio (2008-2010), attraverso le azioni economiche cristallizzate nei piani di ristrutturazione predisposti, in sè idonei a ripristinare l'equilibrio economico finanziario delle diverse società e a garantire, così, la prosecuzione dell'attività aziendale.

Anche tale dato è oggettivamente incoerente. E' pur vero che, se la partecipata ha predisposto piani e programmi tesi al recupero delle condizioni di equilibrio economico, finanziario e di redditività, la perdita può definirsi non durevole (principio contabile n. 20). Ma i piani predisposti devono essere "concreti, ragionevolmente realizzabili e di breve attuazione".

In concreto, anche a prescindere dall'oggettiva incoerenza cronologica (in quanto i piani sono stati predisposti, per come emerge dalla documentazione allegata, in un tempo successivo alla redazione del bilancio) e dalla circostanza per cui la mera predisposizione di un piano di ristrutturazione aziendale (ancorchè elaborato da primari operatori del settore, quali KPMG, Mediobanca e Aliz Partner) non permette di ritenere il piano stesso (in assenza di una valutazione giudiziale) uno strumento idoneo - neanche astrattamente - al superamento della crisi, proprio le concrete dinamiche che hanno caratterizzato i rapporti tra il gruppo e la casa madre (principale interlocutore del piano) rappresentano un ulteriore indice idoneo a confermare la ricostruzione offerta dai giudici di merito.

Nel maggio 2009, infatti, dopo intense ed articolate interlocuzioni, la Mercedes Italia comunicava "la mancanza delle condizioni atte a dar seguito" alla proposta avanzata, specificando che le "soluzioni dallo stesso prospettate (appaiono) palesemente in contrasto con alcuni presupposti che pur erano stati... segnalati come essenziali fin dall'inizio dei... colloqui". Presupposti sostanzialmente riconducibili proprio alla totale assenza di apporti diretti, in termini di concrete liquidità di cassa, da parte dei soci o del ceto bancario, riservati, invece, alla sola casa madre, in termini, peraltro, ben più ampi rispetto a quanto inizialmente richiesto. E tanto da un canto esclude quel requisito di "concretezza e ragionevole possibilità di realizzazione (tecnica, economica, finanziaria) ‘che necessariamente deve caratterizzare il piano (per escludere la "durevolezza" delle perdite e legittimare l'adozione del criterio del costo), dall'altro permette di ritenere che l'intenzione degli amministratori non fosse quella di ripianare le perdite (risanando il gruppo), ma solo quella di proseguire nell'attività trasferendo il connesso rischio economico sui finanziatori (il ceto bancario) o sulla stessa Mercedes. Una finalità che, quindi, non solo non esclude l'oggettiva falsificazione del bilancio, ma è coerente proprio con la prosecuzione (indebita) dell'attività economica, di cui si è detto in precedenza.

In sintesi, quindi, la giustificazione fornita dagli amministratori nella nota integrativa al bilancio (OMISSIS) (nella quale si dava atto della eccezionalità delle perdite e quindi della loro recuperabilità), come correttamente evidenziato dalla corte territoriale, lungi dall'essere una semplice valutazione prognostica fondata su elementi oggettivi, rivelatasi sbagliata per sopravvenuti imprevedibili eventi esterni, deve valutarsi, piuttosto, come un artifizio contabile adottato, nella piena consapevolezza della realtà economica, per occultare la reale situazione di crisi irreversibile e proseguire nell'attività economica.

Nè può ritenersi che vi sia stata una concorrente condotta illecita dei vertici della Mercedes (peraltro irrilevante, alla luce del chiaro disposto di cui all'art. 41 c.p., già in precedenza richiamato), attesa l'assoluta insufficienza della mera azione giudiziale intrapresa dalla curatela (in assenza di un corrispondente riscontro giudiziale) e la chiara finalità restitutoria delle somme versate dalla convenuta (la Mercedes, appunto), esplicitate nel corpo del pur invocato atto transattivo ("...versare l'importo onnicomprensivo di Euro 4.500.000 a titolo restitutorio delle somme oggetto degli atti revocabili..."). Il che esclude qualsiasi riconoscimento in ordine ad eventuali responsabilità, pur prospettate dalla curatela, per abuso di eterodirezione o di dipendenza economica o ancora di abusivo esercizio del potere di risoluzione o di concorrenza sleale o di violazione dei principi di buona fede precontrattuale.

In questo contesto, l'evento (obiettivamente imprevedibile) che ha interessato i mercati - il crack della Lehman Brothers e le successive implicazioni economiche - non solo è ampiamente successivo alle condotte oggetto della contestazione (attesa la non immediata propagazione all'interno del mercato italiano), ma rappresenta, al massimo un successivo elemento che ha contribuito ad aggravare uno stato di crisi, già ampiamente conclamatosi.

E tutto questo rende del tutto irrilevante la decisione resa dal giudice per le indagini preliminare, peraltro in relazione al differente reato di ritardato fallimento. 3.3. E tanto vale anche sotto il profilo soggettivo.

Appare opportuno premettere che, nel reato di bancarotta impropria da falso in bilancio, l'elemento soggettivo presenta una struttura complessa, richiedendo un dolo generico, consistente nella rappresentazione del mendacio; un dolo specifico, qualificato dal profitto ingiusto, rispetto ai contenuti dell'offesa; un dolo intenzionale di inganno dei destinatari previsto per escludere letture in chiave di dolo eventuale (Sez. 5, n. 46689 del 30/06/2016, Rv. 268673).

Ebbene. i ricorrenti deducono che l'intento degli amministratori fosse quello di proseguire nell'attività nella consapevolezza della possibilità di ripianare le perdite registrate dal gruppo attraverso l'adozione delle misure cristallizzate nel piano di ristrutturazione industriale e finanziario e, quindi, non vi fosse nè il dolo specifico di profitto, nè il dolo intenzionale di inganno richiesti dall'art. 2621 del codice civile.

La deduzione è infondata, in quanto la (asserita) prospettazione di una possibilità di risanamento non esclude nè il dolo specifico di profitto (comunque sussistente alla luce del necessaria strumentalità della falsificazione rispetto alla percezione del compenso, nella consapevolezza da parte dell'agente che il tale vantaggio può essere raggiunto solo attraverso l'attività ingannevole), nè tantomeno il dolo intenzionale di inganno (necessario per la prosecuzione dell'attività) ed è del tutto compatibile con il dolo generico che deve sorreggere la consumazione dei fatti, inteso, quest'ultimo, non già quale intenzionalità di insolvenza, bensì quale consapevole rappresentazione della probabile - ma ciononostante perseguita - diminuzione della garanzia dei creditori e del connesso squilibrio economico.

4. Con il terzo motivo di ricorso, i ricorrenti lamentano la contraddittorietà del percorso logico seguito dalla corte territoriale, nella parte in cui avrebbe dapprima riconosciuto che i conti d'ordine non incidono sulle soglie quantitative indicate nell'art. 2621 c.c., per poi ritenere che l'omissione in essa contenuta avrebbe comunque rilevanza penale.

Il motivo è infondato.

Dato pacifico, non contestato dai ricorrenti, è, per come si è detto, che nei conti d'ordine relativi ai bilanci in contestazione, gli amministratori hanno omesso di indicare il valore delle fideiussioni e delle lettere di patronage concesse a garanzia dei debiti contratti con le banche dalle società partecipate, per un valore di oltre 13 milioni di Euro (poi riportate nel successivo bilancio del 2008 nei loro termini esatti, per oltre 34 milioni di Euro).

I conti d'ordine, secondo la definizione contenuta nel principio contabile n. 22, rappresentano annotazioni di memoria, a corredo della situazione patrimoniale finanziaria esposta dallo stato patrimoniale e, quindi, non costituiscono attività o passività in senso proprio, ma mere informazioni su operazioni e, pertanto, non incidono sulle soglie quantitative.

Ciononostante, pur non influendo quantitativamente sul patrimonio o sul risultato economico dell'esercizio rappresentano un'informazione essenziale per conoscere lo stato dei reali impegni finanziari della controllante nei confronti delle controllate e, quindi, la complessiva consistenza economica e finanziaria delle prime. Cosicchè, l'omessa indicazione dell'esatta consistenza degli impegni finanziari infragruppo, incidendo sul primario interesse alla trasparenza, può contribuire a prospettare una falsata rappresentazione dell'effettiva consistenza patrimoniale e finanziaria delle singole società. Una falsata rappresentazione che, a prescindere dalla incidenza o meno sulle soglie quantitative, può assumere comunque rilevanza penale.

La regola generale delineata nell'art. 2621 c.c. (nella formulazione vigente ratione temporis), infatti, è quella rilevanza penale della sola "alterazione sensibile" (art. 2621 c.c., comma 3, art. 2622 c.c., comma 5: "la punibilità è esclusa se le falsità o le omissioni non alterano in modo sensibile la rappresentazione della situazione"). Un concetto generale, quello di alterazione sensibile, che assume rilevanza anche nelle ipotesi in cui il riferimento al dato rigido delle soglie quantitative non appare concretamente praticabile, perchè manca un risultato d'esercizio suscettibile di raffronto e, quindi, di variazione percentuale.

E' il caso, ad esempio, della parte di bilancio relativa ai beni posseduti od amministrati dalla società per conto di terzi (ipotesi specificamente prevista dallo stesso art. 2621 c.c., al comma 2 e dal successivo art. 2622 c.c., per le società quotate), voci rendicontate in seno ai canti d'ordine, o delle informazioni afferenti alla situazione finanziaria o del bilancio straordinario o, in genere, di qualsiasi altro dato informativo non correlato ad alcuna scadenza, rispetto al quale, quindi, non essendo ravvisabile un risultato di esercizio, non è ipotizzabile il relativo raffronto percentuale.

In questi casi, pur non essendo possibile il riferimento alle soglie quantitative, un' "alterazione sensibile" della rappresentazione della situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società assume concreta rilevanza penale in applicazione della regola generale contenuta nella prima parte del comma 3 dell'art. 2621 del codice civile (Sez. 5, n. 26343 del 15/06/2006, Rv. 235322; Relazione governativa al decreto delegato di riforma: "...per tutte le ipotesi in cui non è possibile utilizzare tali soglie, varrà la generale formula della non alterazione sensibile della rappresentazione della situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società o del gruppo al quale essa appartiene...").

E tanto, d'altronde, è coerente con il disposto di cui all'art. 2427 c.c., che, al punto 1, prevede in applicazione del principio di chiarezza e verità, che la nota integrativa indichi gli impegni non risultanti dallo stato patrimoniale e le notizie sulla composizione e natura di tali impegni e dei conti d'ordine, la cui conoscenza sia utile per valutare la situazione patrimoniale e finanziaria della società.

Nè, in ultimo, appare significativa l'ulteriore deduzione secondo cui l'impegno nei confronti delle società controllate sarebbe stato comunque ricavabile dal bilancio consolidato, non in ragione della necessaria eliminazione delle operazioni infragruppo (presupposto logico della necessaria consolidazione), ma per l'innegabile autonomia dei due diversi documenti contabili. Cosicchè l'esatta indicazione contenuta in uno di essi non esclude la falsità contenuta nell'altro.

5. Il quarto motivo, afferente al trattamento sanzionatorio, è invece manifestamente infondato.

Sotto tale profilo, è sufficiente rilevare la determinazione sia della pena principale (quantificata in anni tre e mesi sei di reclusione), che di quella accessoria (rideterminata in anni tre) è sorretta da specifica motivazione, coerente con i criteri di cui all'art. 133 c.p., indicati, in concreto, per la pena principale, nella significativa gravità del fatto (alla luce del passivo fallimentare della capogruppo, di oltre 40 milioni di Euro e di un attivo di poco superiore ai 5 milioni) e nella condotta assunta dagli imputati (che, nonostante il dissesto, hanno continuato a percepire significativi compensi), e, per la pena accessoria, nella notevole estensione del gruppo e nella posizione apicale assunta dai ricorrenti.

La circostanza per cui, secondo l'assunto difensivo, la corte ha valutato un fatto non adeguatamente vagliato (in quanto oggetto di un capo d'imputazione prescritto) è del tutto inconsistente, atteso che non si discute della responsabilità degli imputati per la percezione dei compensi, ma del solo fatto storico, non contestato neanche dagli stessi ricorrenti.

6. In conclusione, con riferimento alla posizione di S.G., la sentenza deve essere annullata senza rinvio, essendosi i reati estinti per morte dell'imputato; il ricorso proposto da S.P., invece, deve essere rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, con riferimento alla posizione di S.G., essendosi i reati estinti per morte dell'imputato.

Rigetta il ricorso proposto da S.P. e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Conclusione

Così deciso in Roma, il 14 luglio 2022.

Depositato in Cancelleria il 23 settembre 2022