CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. V PENALE - 26 settembre 2022 N. 36184
Massima
La falsa dichiarazione non può ritenersi irrilevante o innocua quando oltre a trarre in inganno l'ente pubblico su un requisito personale del candidato, abbia avuto anche rilevanza ai fini del conferimento dell'incarico e della determinazione della retribuzione. Dunque, il falso innocuo sussiste quando l'infedele attestazione (nel falso ideologico) o la compiuta alterazione (nel falso materiale) sono del tutto irrilevanti ai fini del significato dell'atto e del suo valore probatorio e, pertanto, non esplicano effetti sulla sua funzione documentale, con la conseguenza che l'innocuità deve essere valutata non con riferimento all'uso che dell'atto falso venga fatto, ma avendo riguardo all'idoneità dello stesso ad ingannare comunque la fede pubblica.
Casus Decisus
Svolgimento del processo
1. La sentenza impugnata è stata pronunziata il 5 novembre 2020 dalla Corte di appello di Roma, che ha confermato la sentenza del Tribunale di Roma, che aveva condannato B.A. per il reato di cui all'art. 483 c.p., per aver falsamente attestato, nella dichiarazione sostituiva di certificazione indirizzata al Dipartimento risorse umane di Roma capitale, di aver conseguito il titolo di studio della laurea in Giurisprudenza.
2. Contro la sentenza della Corte di Appello, l'imputato ha proposto ricorso per cassazione a mezzo del proprio difensore di fiducia.
2.1. Con un primo motivo, deduce il difetto di motivazione e l'inosservanza della legge penale, in relazione agli artt. 49 e 483 c.p..
Rappresenta che la dichiarazione in questione sarebbe stata rilasciata dall'imputato al Dipartimento risorse umane di Roma capitale in occasione dell'instaurazione del rapporto di lavoro con l'ente pubblico, avente a oggetto l'assunzione dell'incarico di responsabile della segreteria del vicesindaco. Il conseguimento della laurea, tuttavia, non costituiva requisito necessario per il conferimento dell'incarico e, pertanto, a parere del ricorrente, la falsa attestazione sarebbe stata priva di qualsiasi utilità e sarebbe, conseguentemente, risultata priva di offensività.
Atteso che nessun evento dannoso e pericoloso sarebbe derivato dalla dichiarazione, a parere del ricorrente, dovrebbe escludersi la rilevanza penale del fatto, trattandosi di falso innocuo.
2.2. Con un secondo motivo, deduce il difetto di motivazione e l'inosservanza della legge penale, in relazione alla sussistenza del dolo.
Rappresenta, al riguardo, che il B. era, sì, consapevole di affermare una circostanza non veritiera, ma nella ferma convinzione che tale circostanza non avesse alcun rilievo ai fini dell'instaurazione del rapporto di lavoro. Non sussisterebbe, pertanto il dolo, mancando l'intenzione di ingannare l'ente che l'avrebbe assunto.
2.3. Con un terzo motivo, deduce il difetto di motivazione e l'inosservanza della legge penale, in relazione all'art. 62-bis c.p..
Lamenta il mancato riconoscimento delle attenuanti generiche e la mancata valorizzazione, a tal fine, delle dichiarazioni rese dall'imputato in sede di interrogatorio.
3. Il Procuratore generale, nelle sue conclusioni scritte, ha chiesto di dichiarare inammissibile il ricorso.
Testo della sentenza
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. V PENALE - 26 settembre 2022 N. 36184
Motivi della decisione
1. Il ricorso è
inammissibile.
1.1. Il primo motivo di ricorso è
manifestamente infondato.
La Corte di appello, invero, con
motivazione adeguata, coerente e priva di vizi logici, ha ritenuto
che la dichiarazione fosse tutt'altro che irrilevante o innocua,
evidenziando che il compenso da attribuire al B. era stato
determinato tenendo conto, tra l'altro, degli specifici requisiti
professionali e dall'alta qualificazione professionale dello
stesso, determinata, inevitabilmente, anche dal titolo di studio
conseguito. La rilevanza del titolo era dimostrata anche dal fatto
che il B. si era dovuto confrontare con figure apicali di vari enti
che miravano al medesimo incarico ed era evidente il rilievo che il
possesso o meno della laurea aveva avuto nella valutazione
comparativa dei canditati.
La falsa dichiarazione, dunque, non
solo aveva tratto in inganno l'ente pubblico su un requisito
personale del candidato, ma aveva avuto anche rilevanza sia ai fini
del conferimento dell'incarico, che della determinazione della
retribuzione.
Appare del tutto infondato, dunque,
il riferimento al falso innocuo, che sussiste "quando l'infedele
attestazione (nel falso ideologico) o la compiuta alterazione (nel
falso materiale) sono del tutto irrilevanti ai fini del significato
dell'atto e del suo valore probatorio e, pertanto, non esplicano
effetti sulla sua funzione documentale, con la conseguenza che
l'innocuità deve essere valutata non con riferimento all'uso che
dell'atto falso venga fatto, ma avendo riguardo all'idoneità dello
stesso ad ingannare comunque la fede pubblica" (Sez. 5, n. 5896 del
29/10/2020, Brisciano, Rv. 280453; Sez. 5, n. 8200 del 15/01/2018,
Franco, Rv. 272419; Sez. 5, n. 52742 del 20/09/2017, Mirabile, Rv.
271465; Sez. 5, n. 47601 del 26/05/2014, Lamberti, Rv.
261812).
1.2. Il secondo motivo è
manifestamente infondato.
E' pacifico, invero, che "il dolo
del reato previsto dall'art. 483 c.p. è generico e consiste
nella volontà cosciente e non coartata di compiere il fatto e nella
consapevolezza di agire contro il dovere giuridico di dichiarare il
vero" (Sez. 5, n. 15901 del 15/02/2021, Pizzuto, Rv.
281041).
1.3. Manifestamente infondato è
anche l'ultimo motivo di ricorso.
Per la consolidata giurisprudenza
di legittimità (Sez. 2, n. 3609 del 18/1/2011, Sermone, Rv. 249163;
Sez. 6, n. 34364 del 16/6/2010, Giovane, Rv. 248244), invero, nel
motivare il diniego delle attenuanti generiche, è sufficiente un
congruo riferimento, da parte del giudice di merito, agli elementi
ritenuti decisivi o rilevanti, come parimenti avvenuto nel caso che
occupa (cfr. pagina 2 della sentenza impugnata).
2. Alla declaratoria di
inammissibilità del ricorso per cassazione, consegue, ai sensi
dell'art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento
delle spese processuali e della sanzione pecuniaria a favore della
Cassa delle Ammende, che deve determinarsi in Euro
3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e
condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della
somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle
Ammende.
Conclusione
Così deciso in Roma, il 05 maggio
2022.
Depositato in Cancelleria il 26
settembre 2022