Motivi della decisione
1. La questione di diritto per la quale il ricorso è stato rimesso alle Sezioni Unite è la seguente: "se, nei procedimenti per reati commessi con violenza alla persona, sia impugnabile con ricorso per cassazione, da parte della persona offesa, l'ordinanza con cui il giudice abbia disposto la revoca o la sostituzione di misura cautelare coercitiva, diversa da quelle del divieto di espatrio o dell'obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria, senza attendere il decorso del termine di due giorni previsto per l'eventuale memoria della stessa persona offesa".
2. Per una più agevole comprensione dei termini del contrasto conviene riassumere, nelle parti di stretto interesse, il quadro normativo di riferimento.
Il D.L. 14 agosto 2013, n. 93 e la legge di conversione - L. 15 ottobre 2013, n. 119 - sotto la spinta dell'aggravarsi progressivo dei fenomeni criminali della violenza domestica e di genere hanno, tra l'altro, modificato l'art. 299 c.p.p., prescrivendo, con la novella dei commi 3 e 4-bis - operata dall'art. 2, comma 1, lett. b), nn. 2) e 3) - che nei procedimenti aventi ad oggetto delitti commessi con violenza alla persona la richiesta di revoca o di sostituzione di una misura cautelare coercitiva, diversa da quelle meno afflittive del divieto di espatrio e dell'obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria, debba essere contestualmente notificata, a cura della parte richiedente e a pena di inammissibilità, presso il difensore della persona offesa o, in mancanza di questo, alla persona offesa, salvo che in quest'ultimo caso non abbia provveduto a dichiarare o eleggere domicilio.
Il difensore e la persona offesa, ricevuta la notifica, possono nei due giorni successivi presentare memorie ai sensi dell'art. 121 c.p.p. Decorso detto termine, il giudice procede decidendo sulla richiesta.
3. Le disposizioni di novella hanno fatto sorgere più di un dubbio interpretativo e hanno comportato la necessità dell'intervento delle Sezioni Unite (Sez. U, n. 17156 del 30/09/2021, dep. 2022, Gallo, Rv. 283042-01-02) per la soluzione di due punti controversi.
E' stato anzitutto chiarito che l'onere di notifica della richiesta di revoca o di sostituzione della misura cautelare in favore della persona offesa sussiste, fuori dei casi in cui abbia provveduto alla nomina del difensore, "a condizione...che essa abbia dichiarato o eletto domicilio". L'inciso normativo "salvo che in quest'ultimo caso essa non abbia dichiarato o eletto domicilio" non può essere inteso nel senso che l'onere di notificazione sussista in ogni caso, con la variazione soltanto delle modalità della notifica, ora al difensore, ora, in assenza del difensore, al domicilio dichiarato o eletto dalla persona offesa, ora, in mancanza di tale dichiarazione o elezione, al domicilio ricavabile dagli atti ai sensi dell'art. 154, comma 1, c.p.p..
E' stato poi stabilito che l'ambito procedimentale entro cui opera l'onere di notifica alla persona offesa attiene a tutti delitti commessi con violenza alla persona, sia essa elemento costitutivo della fattispecie o circostanza aggravante, senza necessità che il delitto sia qualificato dall'esistenza di un pregresso rapporto interpersonale della persona offesa con l'autore del reato o dal pericolo di recidiva specificamente riferito alla persona offesa. Sono state in tal modo rifiutate quelle opzioni interpretative che cercavano di ridurre l'incidenza degli oneri del richiedente, anche in ragione della rigorosa sanzione dell'inammissibilità, valorizzando un aspetto che per il vero non trova fondamento nè nel dato letterale nè nella ratio dell'intento normativo che, come puntualizzato dalle Sezioni Unite, "non consentono (...) limitazioni incidenti sull'ampiezza della previsione, la cui finalità è (...) eminentemente informativa e partecipativa, e non protettiva, della persona offesa (...)".
Se ritiene che l'intervento nel procedimento risponda al suo interesse, la persona offesa, dopo aver nominato un difensore o eletto o dichiarato domicilio, può rappresentare in via diretta al giudice, richiesto della modifica della situazione cautelare, elementi utili ad una migliore decisione.
La premessa è che la misura cautelare coercitiva ha una efficacia di tutela della persona offesa dei delitti commessi con violenza alla persona, perchè inibisce la possibile reiterazione di condotte della medesima natura; si comprende quindi che essa possa essere interessata alle vicende modificative e che possa addurre dati e informazioni valutabili nella prospettiva del mantenimento delle condizioni di restrizione dell'indagato.
4. Sulla questione controversa, incentrata sull'ipotesi della omessa notifica della richiesta alla persona offesa, si registrano nella giurisprudenza di legittimità due opposti orientamenti.
4.1. Secondo un primo indirizzo interpretativo - espresso anzitutto da Sez. 6, n. 6717 del 05/02/2015, Rv. 262272 - la persona offesa che non abbia ricevuto notifica della richiesta, e che quindi non sia stata messa nelle condizioni di rappresentare il contenuto della richiesta, ha diritto di proporre ricorso per cassazione contro l'ordinanza che abbia deciso sulla richiesta invece che dichiararla, come imposto dalla legge, inammissibile.
A un anno circa di distanza, Sez. 6, n. 6864 del 09/02/2016, Rv. 266542 ha affrontato il tema con un maggiore sforzo argomentativo. Ha così affermato che, siccome viene in rilievo un vulnus alle prerogative di legge della persona offesa, deve ritenersi, nel quadro di diritti e facoltà riconosciuti alla vittima di reato, che la stessa sia legittimata al ricorso per cassazione, sulla falsariga delle norme che riconoscono il diritto al contraddittorio cartolare e che ammettono la possibilità di dedurre il vizio derivante dal suo mancato rispetto, secondo quanto previsto dall'art. 409, comma 6, c.p.p. in materia di procedimento di archiviazione - il quadro normativo di riferimento al momento della citata decisione era, però, precedente alla L. 23 giugno 2017, n. 103 -.
Successivamente è intervenuta in favore del diritto al ricorso per cassazione, sia pure senza fornire sul punto motivazione, Sez. 1, n. 51402 del 20/06/2016, Z., non mass. Un articolato ragionamento è stato svolto qualche mese dopo da Sez. 5, n. 7404 del 20/09/2016, dep. 2017, D. P., Rv. 269445.
Questa sentenza ha valorizzato il significato di garanzia della novella codicistica del 2013, con la quale si è inteso assicurare alla vittima di reati commessi con violenza alla persona l'opportunità di apprestare preventivamente le proprie difese fornendo al giudice, in vista della decisione, elementi significativi di situazioni che sconsiglino la revoca o la sostituzione della misura cautelare in atto. Ha poi fatto richiamo allo statuto sovranazionale di garanzia delle vittime di reato, come desumibile dalle previsioni della Convenzione di Istanbul sulla prevenzione e lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica dell'11 maggio 2011 e dalle disposizioni della Direttiva 2012/29/UE, recante norme minime in tema di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato, attuata nell'ordinamento interno dal D.Lgs. n. 15 dicembre 2015, n. 212.
Delineato il contesto normativo, ha osservato che la previsione della sanzione dell'inammissibilità, per l'ipotesi della omessa notifica della richiesta alla persona offesa, implica che il soggetto, in cui favore la sanzione è posta, debba poter farla valere. Siccome il legislatore non si è curato di armonizzare la nuova disposizione con il sistema delle impugnazioni cautelari, che non annovera tra i soggetti legittimati la persona offesa, allora non può che ritenersi esperibile il rimedio del ricorso per cassazione sulla base della prescrizione di carattere generale di cui all'art. 111, comma 7, Cost., per la quale contro le sentenze e contro i provvedimenti sulla libertà personale è sempre ammesso ricorso per cassazione, e che ha piena rispondenza nella disciplina codicistica (art. 568, comma 2, c.p.p.).
4.2. Il contrario orientamento ha, invece, posto attenzione al sistema delle impugnazioni, spostando l'accento dal tema delle garanzie apprestate alla vittima a quello della tassatività dei rimedi e della previsione dei legittimati. Sez. 5, n. 54319 del 17/05/2017, B., Rv. 272005 ha preso atto che nè la disposizione sull'appello nè quella sul ricorso per cassazione annoverano la persona offesa tra i soggetti legittimati all'impugnazione e ha osservato che dette norme non possono essere applicate oltre i casi tassativamente previsti. Ha poi escluso che il diritto al ricorso per cassazione possa trovare diretto fondamento nella previsione costituzionale di cui all'art. 111, comma 7, Cost., perchè, se è pur vero che la norma apre alla impugnabilità di tutte le sentenze e di tutti i provvedimenti sulla libertà personale, è parimenti fuor di dubbio che è di stretta interpretazione, imponendo che legittimati all'impugnazione "siano solo colui che soffre la limitazione della propria libertà (ovvero il suo difensore) e l'organo chiamato a tutelare le ragioni - pubbliche - sottese all'esigenza eccezionale di limitare la libertà altrui".
L'unico rimedio in capo alla vittima, esclusa la potestà di impugnare, resta quello delineato dall'art. 572 c.p.p., che dà facoltà di richiedere al pubblico ministero l'impugnazione del provvedimento adottato in violazione dei diritti di partecipazione della persona offesa. In tal modo il pubblico ministero resta "l'organo istituzionalmente preposto a "mediare" le richieste di impugnazione della vittima.
4.3. Qualche anno prima, Sez. 5, n. 35735 del 31/03/2015, Rv. 265866, S., aveva decretato l'inammissibilità del ricorso per cassazione proposto per saltum dalla persona offesa non già, però, contro l'ordinanza ex art. 299 c.p.p., ma contro il provvedimento di inammissibilità della richiesta che quell'ordinanza fosse revocata appunto perchè adottata in violazione delle prerogative della persona offesa. Si è a tal proposito osservato che contro "i provvedimenti di sostituzione o modifica delle misure cautelari è ammesso esclusivamente il rimedio dell'appello (...), mentre il ricorso immediato per cassazione può essere proposto (...) soltanto contro le ordinanze che dispongono una misura coercitiva e solo nel caso di violazione di legge nonchè, ex art. 568, comma 2, c.p.p., contro i provvedimenti concernenti lo status libertatis non altrimenti impugnabili".
E' appena il caso di osservare che tale pronuncia, benchè abbia negato il diritto al ricorso per cassazione, non può inscriversi nell'orientamento minoritario che esclude una tutela di impugnazione per la persona offesa, in quanto ha affermato che questa avrebbe dovuto impugnare dinnanzi al tribunale il provvedimento di modifica della misura cautelare adottato senza che la richiesta le fosse stata previamente notificata e non già, ha aggiunto, chiedere allo stesso giudice la revoca del provvedimento per poi impugnare la declaratoria di inammissibilità di tale ultima richiesta. Ha in buona sostanza riconosciuto il diritto all'impugnazione, addirittura all'impugnazione di merito dinnanzi al giudice dell'appello cautelare.
5. L'inadempimento dell'onere informativo a carico del soggetto che richieda la revoca o la sostituzione della misura cautelare comporta conseguenze svantaggiose di particolare intensità. E' prevista, lo si è prima detto, l'inammissibilità della richiesta, che è sanzione processuale degli atti di domanda di particolare rigore. Il codice di rito non disciplina in generale, ossia per qualsivoglia tipo di domanda, gli effetti della previsione della inammissibilità; ciò fa soltanto in riferimento a quella particolare domanda che è l'atto di impugnazione, stabilendo, con disposizioni dal valore paradigmatico, che essa è rilevabile anche di ufficio e può essere dichiarata in ogni stato e grado del procedimento (art. 591 c.p.p.).
La giurisprudenza formatasi sulla previsione di inammissibilità per la richiesta di revoca o modifica della misura cautelare ha unanimemente ritenuto che anche su questo terreno la sanzione possa essere rilevata d'ufficio al di fuori dell'oggetto della devoluzione con impugnazione. Sez. 2, n. 29045 del 20/06/2014, Isoldi, Rv. 259984, ha stabilito che "l'inammissibilità dell'istanza di revoca o sostituzione della misura cautelare personale applicata nei procedimenti aventi ad oggetto delitti commessi con violenza alla persona (...), quale conseguenza della mancata notifica della richiesta medesima, a cura della parte richiedente alla persona offesa, è rilevabile d'ufficio e non può essere sanata fino al formarsi del giudicato. (In applicazione del principio, la Corte ha annullato senza rinvio sia il provvedimento di revoca della misura sia quello di rigetto dell'appello cautelare, sebbene la causa di inammissibilità dell'istanza non fosse stata dedotta tra i motivi di impugnazione proposti al Tribunale della libertà ex art. 310, c.p.p.)". Successivamente si sono uniformate al principio varie altre decisioni: Sez. 6, n. 8691 del 14/11/2017, dep. 2018, A., Rv. 272215; Sez. 5, n. 43103 del 12/06/2017, Urso, Rv. 271009; Sez. 2, n. 33576 del 14/07/2016, Fassih, Rv. 267500; Sez. 6, n. 6717 del 05/02/2015, D., Rv. 262272.
Nulla è invece espressamente detto per il caso - di diretto interesse per la soluzione della questione - di richiesta regolarmente notificata, a cui però non segua il rispetto del termine per l'eventuale proposizione di una memoria della persona offesa.
5.1. Di fronte al silenzio della legge non si ritiene percorribile in via interpretativa una soluzione diversa da quella di ritenere che l'inosservanza del termine dilatorio resti priva di conseguenze e che il provvedimento adottato in violazione della disposizione posta a tutela del diritto partecipativo della persona offesa sia comunque valido.
Una suggestione che conduca alla rilevazione se non di un vizio quanto meno di una precaria efficacia della decisione adottata in violazione dei diritti della persona offesa potrebbe giungere dall'idea che il mancato decorso del termine di legge, in assenza ovviamente di una anticipata presentazione della memoria, sia fatto preclusivo al consolidamento degli effetti del provvedimento.
La fattispecie procedimentale iniziata con la richiesta di revoca o di sostituzione non potrebbe dirsi regolarmente completata proprio per l'assenza di un presupposto, ossia l'intero decorso del termine, e la decisione avrebbe, appunto, una efficacia precaria.
Essa sarebbe segnata da un difetto di potere in concreto, che potrebbe dare conto della sua revoca anche al di fuori di un meccanismo di impugnazione, sulla falsariga di quanto previsto per i casi di sopravvenuta inefficacia del provvedimento cautelare (art. 306 c.p.p. per i casi, tra gli altri: di mancato espletamento nel termine di legge dell'interrogatorio di cui all'art. 294 c.p.p., come prescritto dall'art. 302 c.p.p.; di mancato intervento della pronuncia giudiziale di merito entro il termine massimo di fase o complessivo di custodia cautelare, secondo le articolate previsioni dell'art. 303 c.p.p.).
Lungo questa linea si recupererebbe forse a maggior coerenza il disegno legislativo, perchè il rigore sanzionatorio espresso dalla previsione di inammissibilità per una ipotesi sostanzialmente assimilabile quanto alle conseguenze, identificabili pur sempre nella pretermissione del punto di vista della vittima, troverebbe rispondenza in un meccanismo votato in qualche modo a dare effettività alla tutela della sua posizione. E infatti, sia nell'ipotesi in cui la richiesta non venga preliminarmente notificata, sia in quella in cui, notificata la richiesta, il giudice decida prima del decorso del termine concesso per la presentazione di una memoria, l'interesse della persona offesa che viene leso, con lo stesso grado di intensità, è il medesimo, quello alla prospettazione di elementi utili alla decisione, sì da non potersi facilmente spiegare perchè nell'un caso l'omissione sia sanzionata e nell'altro la violazione del termine non sortisca conseguenze.
Del resto, potrebbe dirsi, se il giudice procede e quindi decide sulle richieste di revoca o di modifica delle misure cautelari senza aver dato modo al pubblico ministero di intervenire con il suo parere, la decisione, per consolidata giurisprudenza, è invalida ai sensi dell'art. 178, comma 1, lett. b), c.p.p. (Sez. 4, n. 28192 del 23/06/2021, Ventura, Rv. 282342; Sez. 1, n. 13408 del 08/01/2021, Grande Aracri, Rv. 281056; Sez. 2, n. 11765 del 02/03/2011, Simeone, Rv. 249687; Sez. 6, n. 30422 del 22/06/2010, Lekli, Rv. 248035; Sez. 1, n. 45313 del 11/11/2008, Di Bucci, Rv. 242339; Sez. 2, n. 19549 del 18/05/2006, Nicoletti, Rv. 234209; Sez. 2, n. 39495 del 27/09/2005, Condio, Rv. 232673).
Non dovrebbe allora apparire eccentrico se, nella speculare ipotesi di mancato rispetto del termine per l'intervento della persona offesa, l'ordinamento reagisse assegnando al provvedimento un'efficacia precaria, in vista della sua caducazione per un ri-esercizio del potere decisorio in riferimento alla originaria richiesta.
5.2. La ricostruzione qui appena abbozzata non resiste però alla semplice e non aggirabile osservazione che è proprio l'assenza di una previsione di legge ad impedire simili approdi.
Non vi sono previsioni di sanzioni processuali per la decisione assunta senza il rispetto del termine dilatorio a beneficio della persona offesa, non potendo certo farsi richiamo alla previsione di cui all'art. 178, comma 1, lett. c), c.p.p. di nullità d'ordine generale per l'omessa citazione in giudizio della persona offesa. La citazione in giudizio è fattispecie tutt'affatto diversa, a cui non può essere assimilata una forma di intervento cd. cartolare di tipo meramente informativo e privo del potere di richiesta all'interno di un sub-procedimento avente natura incidentale.
Nulla poi porta a ritenere che il decorso del termine sia stato inteso quale presupposto che qualifichi un legame funzionale con il provvedimento decisorio adottato in violazione di quel termine. Di un'efficacia precaria della decisione sulla richiesta ex art. 299 c.p.p. potrebbe dirsi a condizione di scorgere nel decorso del termine previsto in favore della persona offesa un antecedente non meramente cronologico del provvedimento del giudice, ma tale da condizionare l'esercizio del relativo potere. Per giungere correttamente a tale conclusione occorrerebbe che la qualità di antecedente necessario, se non oggetto di previsione espressa, fosse quanto meno desumibile da univoche indicazioni normative che, però, non si rinvengono.
Ne consegue che la ricerca di rimedi all'assenza di espresse misure di reazione processuale alla violazione, altrimenti destinata a confinarsi nell'area della mera irregolarità (art. 124 c.p.p.), non è seriamente giustificabile, specie in una materia come quella sanzionatoria retta dal principio di tassatività, al pari del resto della materia delle impugnazioni.
E' poi appena il caso di osservare, prima di affrontare l'oggetto del contrasto incentrato sul riconoscimento o meno del diritto all'impugnazione, che l'assenza di una condizione di invalidità del provvedimento comunque assunto limita l'ambito di un eventuale ricorso per cassazione, non potendosi con esso far valere violazioni di legge processuale, quale certamente è il mancato rispetto del termine dilatorio a beneficio della persona offesa, che non siano assistite da previsione di invalidità (art. 606, comma 1, lett. c), c.p.p.).
6. Le Sezioni Unite ritengono di aderire all'indirizzo interpretativo minoritario, che nega alla vittima dei reati commessi con violenza alla persona il potere di impugnare il provvedimento con cui il giudice decide su una richiesta di revoca o di sostituzione di una misura cautelare, tanto nel caso di omessa notifica della richiesta quanto in quello di inosservanza del termine dilatorio di due giorni, accordato per presentare memorie ai sensi dell'art. 121 c.p.p..
Dirimente è il profilo soggettivo del principio di tassatività delle impugnazioni. La legge (art. 568 c.p.p.) non si limita a rivendicare a sè la determinazione dei casi nei quali i provvedimenti sono soggetti ad impugnazione e di indicare il mezzo con cui possono essere impugnati; ma aggiunge, ed è questo il dato che qui soprattutto interessa, che "il diritto di impugnazione spetta soltanto a colui al quale la legge espressamente lo conferisce", per poi immediatamente dopo specificare che "se la legge non distingue tra le diverse parti, tale diritto spetta a ciascuna di esse".
Il senso di queste disposizioni è chiaro: la legge può attribuire il diritto di impugnazione anche a soggetti che non sono parti, ma ciò deve fare espressamente e, quindi, con previsione che non si presta ad interpretazioni estensive e meno che mai ad applicazioni analogiche. Generalmente, invece, il diritto di impugnazione spetta alle parti, tanto che, nel silenzio della legge sui legittimati, deve ritenersi che esso spetti a ciascuna di esse.
Sulla base di queste cogenti precisazioni non può che rilevarsi l'assenza della persona offesa tra i soggetti legittimati all'impugnazione dei provvedimenti adottati sulle richieste di revoca o di sostituzione delle misure cautelari.
L'art. 310 c.p.p. dispone che l'appello contro le ordinanze in materia di misure cautelari personali spetta al pubblico ministero, all'imputato e al suo difensore e non può allora meritare considerazione la tesi, che si è detto essere stata sostenuta sia pure incidentalmente, da un precedente (Sez. 5, n. 35735 del 31/03/2015, cit.), secondo cui l'ordinanza ex art. 299 c.p.p., se emessa in violazione delle disposizioni che consentono l'intervento della persona offesa, può essere appellata dinnanzi al tribunale.
Il successivo art. 311 prevede la possibilità, sempre per gli stessi soggetti, di proporre ricorso per cassazione contro le ordinanze emesse, nella stessa materia, in sede di appello, riservando il ricorso diretto per cassazione, unicamente contro le ordinanze di applicazione delle misure coercitive, all'imputato e al suo difensore, legittimati all'alternativo strumento della richiesta di riesame.
Va pertanto escluso un potere di ricorso per saltum contro le ordinanze di rigetto della richiesta di revoca o di sostituzione della misura cautelare e non solo per la persona offesa. Non si può neanche far richiamo, per eludere la puntuale indicazione dei soggetti legittimati, al disposto dell'art. 111, comma 7, Cost., come invece sostenuto da Sez. 5, n. 7404 del 20/09/2016, dep. 2017, cit., perchè la previsione costituzionale assicura la garanzia oggettiva del controllo di legittimità su ogni provvedimento in materia di libertà personale, ma non in favore di qualsivoglia soggetto: essa non si occupa in alcun modo del tema dei legittimati al ricorso e non può dunque essere utilizzata per ampliarne, in difformità alle previsioni di legge, la platea.
7. Alla mancanza di una previsione espressa non può rimediarsi assegnando alla persona offesa la qualifica di parte del procedimento cautelare.
Se anche si giungesse a tale risultato - comunque, si dirà di qui a breve, non consentito -, occorrerebbe prendere atto che le disposizioni codicistiche di diretto interesse indicano espressamente le parti aventi diritto all'impugnazione, e ciò non consente di ampliare il numero dei legittimati per l'ovvia ragione che la legge li ha espressamente individuati, impedendo che operi la previsione, prima richiamata, secondo cui, "se la legge non distingue tra le diverse parti, tale diritto spetta a ciascuna di esse".
V'è poi un rilievo centrale.
L'attribuzione della qualifica di parte non può costituire la premessa per il riconoscimento del potere di impugnazione, ma deve essere il risultato di un attento esame della fisionomia normativa dei poteri e delle facoltà del soggetto. Sarebbe inficiato da un evidente vizio logico l'argomento che pretendesse di assegnare la qualità di parte in ragione della rafforzata tutela della posizione della vittima, che certo il legislatore della novella del 2013 ha inteso introdurre nel sistema con specifico riguardo al sub-procedimento cautelare iniziato da una richiesta di revoca o di sostituzione, per poi trarre la conclusione in punto di poteri d'impugnazione.
Occorre piuttosto esaminare compiutamente le norme che tracciano il profilo e il ruolo della persona offesa e solo dopo, e conseguentemente, valutare quale sia la qualifica più confacente.
7.1. Con lo sguardo al procedimento cautelare non può che rilevarsi l'assenza di un ruolo partecipativo ad ampio spettro.
La persona offesa non è presente nel momento applicativo delle misure, neanche con poteri meramente sollecitatori dell'iniziativa del pubblico ministero, che invece la qualificano in altri momenti, specificamente in materia di incidente probatorio; e non ha alcuno spazio di interlocuzione ove i provvedimenti di revoca o di sostituzione siano adottati per iniziativa officiosa del giudice all'esito dell'interrogatorio cd. di garanzia, in sede di decisione sulla richiesta di proroga del termine per le indagini preliminari o di assunzione dell'incidente probatorio ovvero, ancora, quando il giudice procede all'udienza preliminare o al giudizio (art. 299, comma 3, ultimo periodo, c.p.p.).
La persona offesa, ancora, non è interpellata in altre situazioni che conducono alla cessazione dello stato di restrizione cautelare, come è quello della perdita di efficacia delle misure, che può essere imputata a varie cause, dal mancato rispetto del termine di legge per l'espletamento dell'interrogatorio cd. di garanzia o per la decisione sulla richiesta di riesame al decorso dei termini massimi di legge.
E - notazione di maggiore interesse per il caso in esame - non interviene nelle vicende modificative connesse all'impugnazione del titolo cautelare. A tal proposito si è correttamente chiarito che "l'obbligo di notifica alla persona offesa dell'istanza sulla libertà proposta dall'imputato, previsto dall'art. 299 c.p.p., non si estende all'appello che egli abbia proposto, ex art. 310 c.p.p., avverso il rigetto della richiesta di revoca o sostituzione della misura cautelare, trattandosi di onere non previsto da alcuna norma di legge" (Sez. 2, n. 33627 del 11/06/2021, Puzio, Rv. 281865; Sez. 5, n. 33909 del 20/06/2018, T., 273896).
Lo spazio che le viene attribuito è quindi episodico, non espressivo di una posizione di interesse che possa giustificare iniziative ben più incisive. Del resto, la cautela legislativa può trovare giustificazione nella dubbia accettabilità di situazioni in cui le limitazioni alla libertà personale, anche se nei confronti di soggetti già raggiunti da restrizioni cautelari, possano essere conseguenza di iniziative non riconducibili alla parte pubblica.
Il rilievo, già articolato nella giurisprudenza di legittimità per dare conto della compatibilità sistematica della mancanza del diritto all'impugnazione in capo alla persona offesa avverso il provvedimento ex art. 299 c.p.p. assunto in violazione del suo diritto di intervento (Sez. 5, n. 54319 del 17/05/2017, cit.), concorre utilmente a motivare l'impossibilità di attribuzione alla persona offesa del ruolo di parte del procedimento cautelare.
7.2. La persona offesa non è parte neanche nel processo principale. Le disposizioni codicistiche, come modificate dal D.Lgs. n. 212 del 2015 che ha attuato la Direttiva 2012/29/UE, le conferiscono in via principale il diritto di presentare memorie e la facoltà, con l'esclusione del giudizio di cassazione, di indicare elementi di prova; e individuano come deroghe a questa generale configurazione l'espressa attribuzione, in determinati momenti procedimentali, di diritti e facoltà aggiuntivi (art. 90 c.p.p.).
La persona offesa deve essere informata in merito ai suoi diritti e facoltà e alle modalità con cui esercitarli e reagire in caso di violazione (art. 90-bis c.p.p.); ha diritto ad essere informata dei provvedimenti di scarcerazione o di cessazione della misura di sicurezza detentiva e, ancora, dell'eventuale evasione dell'imputato o del condannato o della sottrazione dell'internato all'esecuzione della misura di sicurezza, e ciò, ancora una volta, nei procedimenti per delitti commessi con violenza alla persona, se ne ha fatto previamente richiesta (art. 90-ter, comma 1, c.p.p.) e, pur senza previa richiesta, se il procedimento ha ad oggetto reati specificamente elencati (art. 90-ter, comma 1-bis, c.p.p.). Ha diritto di ricevere l'informazione di garanzia (art. 369 c.p.p.), la richiesta di proroga del termine di indagine (art. 406 c.p.p.), l'avviso di conclusione delle indagini preliminari nei procedimenti per il delitto di maltrattamenti in famiglia e per il delitto di atti persecutori (art. 415-bis, comma 1, c.p.p.).
Il diritto all'informazione e il diritto alla presentazione di memorie e di indicazione di elementi di prova non strutturano un ruolo di parte, ma - come affermato da Sez. 2, n. 12325 del 03/02/2016, Spada, Rv. 266435, espressamente richiamata da Sez. U, n. 17156 del 30/09/2021, dep. 2022, cit. di "soggetto processuale la cui partecipazione non condiziona la progressione processuale".
L'affermazione non è messa in crisi dalla considerazione di facoltà e diritti aggiuntivi in determinati momenti del procedimento. Si pensi al diritto di assistere ad alcune operazioni probatorie, dalla perizia che richieda il compimento di atti idonei ad incidere sulla libertà personale (art. 224-bis c.p.p.) all'accertamento tecnico irripetibile (art. 360 c.p.p.) o, ancora, ai più ricchi poteri che le spettano nell'incidente probatorio. In tale ultimo ambito può sollecitare al pubblico ministero la relativa richiesta (art. 394 c.p.p.), ha il diritto alla notifica dell'avviso di udienza per l'assunzione della prova (art. 398, comma 3, c.p.p.), e il diritto a prendere parte, per mezzo del suo difensore, all'udienza (art. 401, comma 1, c.p.p.), oltre che il diritto di assistere all'udienza ove si esamini un testimone o un'altra persona o, negli altri casi, previa autorizzazione del giudice (art. 401, comma 3, c.p.p.), e infine il diritto, per il tramite del suo difensore, di chiedere al giudice di rivolgere domande alle persone sottoposte all'esame (art. 401, comma 5, c.p.p.).
Ancora più intensi sono i poteri che le spettano all'interno del procedimento di archiviazione. Anzitutto, ha diritto di essere informata della proposizione della richiesta: in generale, se ha previamente dichiarato di voler essere informata, e in ogni caso se il procedimento ha ad oggetto un delitto commesso con violenza alla persona o il delitto di cui all'art. 624-bis c.p. (art. 408, commi 2, 3 e 3-bis, c.p.p.) o, ancora, se la richiesta è stata formulata per la particolare tenuità del fatto (art. 411, comma 1-bis, c.p.p.), potendo poi prendere visione degli atti e proporre opposizione (artt. 410 e 411 c.p.p.). Ha poi diritto di prendere parte all'udienza fissata in caso di non accoglimento della richiesta di archiviazione, che si svolge nelle forme dell'art. 127 c.p.p. (art. 409, comma 2, c.p.p.) Inoltre, quale aspetto di maggiore interesse per i fini di questa breve ricognizione normativa, ha diritto di reclamo dinnanzi al tribunale in composizione monocratica nei casi di nullità del decreto di archiviazione, che ricorre nei seguenti casi: quando è emesso senza previa notifica della richiesta o senza attendere che sia decorso il termine per proporre opposizione; oppure, se, proposta l'opposizione, il giudice ometta di pronunciarsi sulla ammissibilità della stessa o la dichiari inammissibile, fuori dei casi in cui l'opposizione non contenga l'indicazione dell'oggetto della investigazione suppletiva e i relativi elementi di prova (art. 410-bis c.p.p.). Infine, la persona offesa ha diritto di reclamo nel caso di nullità dell'ordinanza di archiviazione, configurabile ove non sia stato dato avviso dell'udienza ovvero se all'udienza il soggetto avvisato, regolarmente comparso, non sia stato sentito o, infine, se l'udienza non sia stata rinviata pur in presenza di un legittimo impedimento.
La persona offesa ha dunque il potere di impugnazione mediante reclamo, per il caso in cui sia stato violato il suo diritto di intervento nel procedimento.
Ciò potrebbe far ritenere che questo modulo sia trasferibile ad ogni altra evenienza, come quella di diretto interesse, in cui le sia impedito di intervenire sia pure solo con la presentazione di una memoria.
L'applicazione analogica di una disposizione di tal fatta non sarebbe però operazione corretta, atteso che la legge definisce in generale un ruolo che si segnala per diritti di informazione e di intervento meramente sollecitatorio per mezzo di memorie e, al contempo, chiarisce che quanto di volta in volta previsto aggiuntivamente per determinate scansioni procedimentali è oggetto di riconoscimenti espressi e come tali non estensibili a situazioni ritenute simili o analoghe.
Lo stesso preclusivo rilievo impedisce di fare riferimento al potere di impugnazione che è riconosciuto nei confronti della sentenza di non luogo a procedere, che può essere appellata dalla persona offesa, ma solo per far valere la nullità derivante dalla omessa notificazione dell'avviso dell'udienza preliminare (art. 428, comma 2, e art. 419, comma 7, c.p.p.). E' appena il caso di aggiungere, in senso contrario alla tesi ampliativa, che la limitazione delle ragioni dell'impugnazione alla sola violazione del diritto di partecipazione e di intervento in udienza è un altro segnale che si è di fronte a previsioni che non autorizzano l'attribuzione di parte.
La persona offesa diventa parte soltanto con la costituzione di parte civile, perchè facendo valere l'interesse risarcitorio/restitutorio - che pure non è elemento indefettibile della sua natura di titolare dell'interesse protetto dalla norma incriminatrice - assume poteri di incidenza sulla progressione processuale, in quanto può esercitare il diritto alla prova e poi quello di impugnazione delle statuizioni che riguardano la sua azione e, quindi, il tema della responsabilità civile.
Per il resto, come ricordato da Corte Cost., sent. n. 353 del 1991, alla titolarità dell'interesse protetto dalla norma penale si collegano "plurimi diritti o facoltà, in "una sfera di azione" che se certamente "non può in alcun modo, restare subordinata alla rilevanza di pretese di natura extra penale, tende a realizzare, mediante forme di ‘adesionè all'attività del pubblico ministero ovvero di ‘controllò su di essa, una sorta di contributo all'esercizio dell'azione penale, secondo un principio puntualmente ricavabile dall'art. 2, n. 2 e n. 51 della legge-delega" (così la Relazione al progetto preliminare, pag. 41)".
8. L'esclusione del potere di impugnazione non pone il sistema in frizione con la normativa sovranazionale, che negli ultimi anni ha rafforzato ed ampliato il corredo di diritti e facoltà della persona offesa. La Direttiva 2012/29/UE si limita ad osservare che "le vittime dovrebbero essere informate in merito all'eventuale diritto di presentare ricorso avverso una decisione di scarcerazione dell'autore del reato, se tale diritto esiste nell'ordinamento nazionale" (Considerando 33). Ha dunque rimesso alla scelta dei singoli ordinamenti nazionali l'attribuzione del diritto all'impugnazione del provvedimento in materia di libertà personale, che non si impone come requisito minimo di garanzia delle ragioni della vittima.
Allo stesso modo, la Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, cd. Convenzione di Istanbul, dell'11 maggio 2011, sottoscritta dall'Italia il 27 settembre 2012 (autorizzazione alla ratifica con la L. 27 giugno 2013, n. 77) fa carico agli Stati di adottare le misure necessarie a garantire alle vittime non solo di essere ascoltate, di poter fornire elementi di prova e di presentare le loro opinioni, esigenze e preoccupazioni, ma anche che "i loro pareri siano esaminati e presi in considerazione". Quest'ultimo ulteriore presidio, che rafforza il diritto all'ascolto e all'intervento informativo, non si traduce per necessità nella previsione del potere di impugnazione, ben potendo trovare negli ordinamenti statuali altre forme di concretizzazione.
Non può neanche dubitarsi della compatibilità costituzionale della soluzione accolta. La scelta di non assegnare alla persona offesa il potere di impugnazione delle ordinanze emesse ai sensi dell'art. 299 c.p.p. è frutto di una insindacabile discrezionalità legislativa, perchè i modi e le forme con cui realizzare la tutela della posizione della vittima - che, come da qui a breve si dirà, non è trascurata - devono coniugarsi con l'esigenza di riservare alla parte pubblica l'iniziativa per l'assunzione di decisioni che comprimano il bene fondamentale della libertà personale.
9. Nell'ordinamento interno, lo strumento processuale per garantire alla persona offesa che le sue deduzioni in ordine alla restrizione cautelare dell'indagato siano prese in considerazione si rinviene nella disposizione dell'art. 572 c.p.p., a norma del quale sia la parte civile che la persona offesa non costituita parte civile - oltre che gli enti e le associazioni intervenuti ai sensi degli artt. 93 e 94 stesso codice - possono proporre al pubblico ministero richiesta motivata di impugnazione ad ogni effetto penale.
Se il Giudice decide in violazione del diritto della persona offesa di intervenire prospettando fatti e argomenti meritevoli di considerazione ai fini della decisione sulla richiesta di revoca o di sostituzione della misura cautelare, il pubblico ministero, a tal fine sollecitato, può impugnare, con gli ordinari mezzi previsti dalla legge, l'ordinanza, facendo valere, ora, l'inammissibilità della richiesta se non previamente notificata alla persona offesa, ora, eventuali carenze del merito decisorio rilevabili alla luce delle prospettazioni della memoria pretermessa.
Per il caso in cui ritenga di non raccogliere la sollecitazione, deve spiegarne le ragioni con decreto motivato - come previsto dallo stesso art. 572 c.p.p. -, e in tal modo soddisfa l'esigenza, di cui anche le fonti sovranazionali dicono, che sia data contezza dell'effettivo esame del contributo della persona offesa.
E' appena il caso di osservare conclusivamente che una più intensa protezione del diritto di intervento di quest'ultima non può che essere rimessa alla discrezionalità legislativa, a cui spetta ogni valutazione in ordine alla sufficienza o meno di uno strumento di reazione alle violazioni procedimentali di cui la persona offesa non ha diretta disponibilità, dovendosi affidare necessariamente alla mediazione della parte pubblica.
10. Deve conseguentemente essere enunciato, a norma dell'art. 173, comma 3, disp. att. c.p.p., il seguente principio di diritto:
"La persona offesa non è legittimata ad impugnare, neanche con il ricorso per cassazione, l'ordinanza che, nei procedimenti per reati commessi con violenza alla persona, disponga la revoca o la sostituzione della misura cautelare coercitiva, diversa da quelle del divieto di espatrio o dell'obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria, in violazione del diritto di intervento per mezzo di memorie riconosciutole dall'art. 299, comma 3, c.p.p., ma può chiedere al pubblico ministero, ai sensi dell'art. 572 c.p.p., di proporre impugnazione".
11. Il ricorso, per le ragioni esposte, deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali, ma senza condanna al pagamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, perchè la questione di diritto con esso rimessa all'esame della Corte è di particolare complessità, sì da aver dato luogo ad un contrasto interpretativo. La ricorrente ha pertanto agito senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (v. Corte Cost., sent. n. 186 del 2000 e Sez. U, n. 43055 del 30/09/2010, Dalla Serra, Rv. 248380).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003 art. 52 in quanto imposto dalla legge.
Conclusione
Così deciso in Roma, il 14 luglio 2022.
Depositato in Cancelleria il 28 settembre 2022