Giu I requisiti del reato di Possesso di segni distintivi contraffatti
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. V PENALE - 14 settembre 2022 N. 33912
Massima
L'art. 497-ter c.p., punisce, tra l'altro, chiunque "illecitamente detiene segni distintivi, contrassegni o documenti di identificazione in uso ai Corpi di polizia, ovvero oggetti o documenti che ne simulano la funzione". Nella struttura della fattispecie sono compresi, quindi, sia la detenzione di oggetti che identificano un corpo di polizia o ne simulano la funzione, sia l'illiceità della detenzione.

Nel primo requisito rientrano i segni, contrassegni, documenti od oggetti che rimandano, inequivocabilmente, ai corpi di polizia, perchè li identificano nel sociale o costituiscono strumenti attraverso cui si esplica la funzione ad essi demandata. Deve trattarsi, cioè, di elementi che conducono a identificare il portatore o detentore come soggetto appartenente a Forze di polizia o esplicante una funzione di polizia.

Il secondo requisito è integrato dall'illiceità della detenzione, che ricorre ogniqualvolta la detenzione non sia sorretta da un valido titolo di legittimazione. E' illecita, quindi, non solo la detenzione acquisita attraverso la commissione di un reato, ma anche quella che avviene sine titulo, perchè riservata a soggetti specificamente individuati dall'ordinamento. Sebbene, infatti, la rubrica dell'articolo parli di "possesso di segni distintivi contraffatti", non è l'autenticità degli oggetti che viene tutelata dall'ordinamento, ma la riserva alle Forze di polizia dei segni e degli oggetti che identificano le stesse, perchè attraverso di essi avviene il riconoscimento del personale investito della funzione (Sez. 5, n. 6784 del 16/01/2015, Arba, Rv. 262321).

Testo della sentenza
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. V PENALE - 14 settembre 2022 N. 33912

Motivi della decisione

1. Il ricorso, unitariamente considerato, presenta profili di inammissibilità.

Le questioni giuridiche sollevate con i due motivi sono manifestamente infondate sia perchè sviluppano censure replicanti i motivi di gravame, prive di concreti rilievi critici sul percorso decisorio della sentenza di appello, sia perchè attinenti a profili di merito imperniati su una lettura alternativa e una reinterpretazione dei dati processuali e delle fonti di prova meramente fattuali, estranee al giudizio di legittimità, tenuto conto anche della coerenza logica e della corretta applicazione dei canoni di valutazione della prova che connotano sia la decisione di appello che la decisione di primo grado.

Va anche osservato che nel caso in cui le sentenze di primo e secondo grado concordino nell'analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento delle rispettive decisioni, la struttura motivazionale della sentenza di appello si salda con quella precedente e forma con essa un unico complessivo corpo argomentativo (cfr. Sez. 4, n. 15227 dell'11/4/2008, Baratti, Rv. 239735; Sez. 6, n. 1307 del 14/1/2003, Delvai, Rv. 223061). Tale integrazione tra le due motivazioni si verifica allorchè i giudici di secondo grado abbiano esaminato le censure proposte dall'appellante con criteri omogenei a quelli usati dal primo giudice e con frequenti riferimenti alle determinazioni ivi prese ed ai passaggi logico-giuridici della decisione e, a maggior ragione, quando i motivi di appello non abbiano riguardato elementi nuovi, ma si siano limitati a prospettare circostanze già esaminate ed ampiamente chiarite nella decisione di primo grado (Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218 - 01; Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, Argentieri, Rv. 257595 - 01; Sez. 3, n. 13926 del 01/12/2011, dep. 2012, Valerio, Rv. 252615 - 01).

2. A.D.V.S. è stato tratto a giudizio per aver istallato a bordo del veicolo, a lui intestato, sul quale viaggiava, lampeggianti stroboscopici, uguali a quelli in uso alle Forze dell'Ordine in servizio di scorta, azionabili dall'interno del mezzo.

3. Condannato in primo grado, l'imputato è stato ritenuto responsabile del delitto ascrittogli anche in sede di giudizio di appello.

4. Privo di pregio è il primo motivo di ricorso.

L'art. 497-ter c.p., punisce, tra l'altro, chiunque "illecitamente detiene segni distintivi, contrassegni o documenti di identificazione in uso ai Corpi di polizia, ovvero oggetti o documenti che ne simulano la funzione". Nella struttura della fattispecie sono compresi, quindi, sia la detenzione di oggetti che identificano un corpo di polizia o ne simulano la funzione, sia l'illiceità della detenzione.

Nel primo requisito rientrano i segni, contrassegni, documenti od oggetti che rimandano, inequivocabilmente, ai corpi di polizia, perchè li identificano nel sociale o costituiscono strumenti attraverso cui si esplica la funzione ad essi demandata. Deve trattarsi, cioè, di elementi che conducono a identificare il portatore o detentore come soggetto appartenente a Forze di polizia o esplicante una funzione di polizia.

Il secondo requisito è integrato dall'illiceità della detenzione, che ricorre ogniqualvolta la detenzione non sia sorretta da un valido titolo di legittimazione. E' illecita, quindi, non solo la detenzione acquisita attraverso la commissione di un reato, ma anche quella che avviene sine titulo, perchè riservata a soggetti specificamente individuati dall'ordinamento. Sebbene, infatti, la rubrica dell'articolo parli di "possesso di segni distintivi contraffatti", non è l'autenticità degli oggetti che viene tutelata dall'ordinamento, ma la riserva alle Forze di polizia dei segni e degli oggetti che identificano le stesse, perchè attraverso di essi avviene il riconoscimento del personale investito della funzione (Sez. 5, n. 6784 del 16/01/2015, Arba, Rv. 262321).

Orbene, nel caso di specie, A.D.V.S. è stato fermato mentre circolava a bordo di un veicolo, a lui intestato, sul quale era istallato e funzionante un dispositivo lampeggiante di colore blu, normalmente in uso alle forze in servizio di ordine pubblico che, allorchè usato, esonera dall'osservanza degli obblighi, dei divieti e delle limitazioni relativi alla circolazione stradale e porta a identificare il suo detentore con un soggetto in servizio di ordine pubblico, idoneo, quindi, a trarre in inganno sulle qualità personali di chi lo detiene e sul potere connesso all'uso dello stesso, l'accertamento della cui idoneità ingannatrice rappresenta un giudizio di merito che - per essere sorretto da logica motivazione - non è censurabile in cassazione.

3. Nella specie, il dispositivo non era lecitamente detenuto.

Il ricorrente insiste sul fatto che si tratta di lampeggiante oggetto di libera vendita e che del veicolo egli faceva un uso se +e solo saltuario, in quanto, di regola, utilizzato dal padre.

Ciò non toglie che, come correttamente argomentato dai giudici di merito, il ricorrente sia stato trovato a bordo del veicolo, peraltro a lui intestato,senza essere legittimato nè all'uso, nè alla detenzione di un dispositivo in uso alle Forze di polizia, acquistato privatamente.

Nè, ai fini della configurabilità, rileva che il dispositivo sia in uso, cioè acceso, perchè ciò che conta è la sua detenzione.

Peraltro, la corte territoriale ha sottolineato che il lampeggiante era attivabile dall'interno del mezzo, da cui la sufficienza, ai fini dell'integrazione del delitto, della mera collocazione sul tettuccio dell'autovettura.

Priva di vizi logici e conforme al diritto è la motivazione relativa all'elemento soggettivo integrato dal dolo generico, a nulla rilevando l'errore circa la liceità della detenzione che si risolve in errore di diritto, la cui scusabilità non è nemmeno argomentata dal ricorrente.

t. Nè opera, nella specie, il principio di specialità posto dall'art. 9, L. n. 689 del 1981, astrattamente invocabile sul rilievo che l'art. 177, comma 4, D.Lgs. n. 285 del 1992 punisce l'uso del lampeggiante fuori dei casi previsti dal comma 1 dello stesso articolo. La norma si riferisce, infatti, ai casi di uso improprio da parte di un soggetto legittimato, quindi all'uso improprio che ne faccia un appartenente alle forze dell'ordine o uno degli altri soggetti indicati nell'art. 177 cit., ma non anche alla detenzione illegittimamente acquisita da un soggetto, appartenente o meno ad uno dei Corpi specificati dalla norma.

Manifestamente infondato è anche il secondo motivo di ricorso.

Nel corpo motivazionale del provvedimento in verifica, con sufficienza argomentativa, la corte di appello ha individuato nella istallazione permanente del lampeggiante sul tettuccio del mezzo, il cui funzionamento era governabile dall'interno, e, dunque, nel potenziale uso non infrequente cui il bene era destinato, le ragioni per le quali la vicenda non è inquadrabile nella previsione normativa di cui all'art. 131-bis c.p..

Dalle ragioni esposte deriva la declaratoria di inammissibilità del ricorso, cui consegue, ex art. 606 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese di procedimento, nonchè al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che si ritiene equo e congruo determinare in Euro 3.000,00 in relazione alla entità delle questioni trattate.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

Conclusione

Così deciso in Roma, il 9 maggio 2022.

Depositato in Cancelleria il 14 settembre 2022