Giu reato di abuso di mezzi di correzione - le condotte connotate da modalità aggressive sono incompatibili con l'esercizio lecito del potere correttivo ed educativo
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. VI PENALE - 12 agosto 2022 N. 31028
Massima
Il reato di abuso di mezzi di correzione presuppone l'uso non appropriato di metodi o comportamenti correttivi, in via ordinaria consentiti, da cui consegua l'insorgenza di un pericolo di una malattia nel corpo o nella mente, con esclusione, dunque, dell'uso della violenza, quand'anche esercitata per fini correttivi o educativi (Sez. 6, n. 11777 del 21/01/2020, Rv. 278744). Esula, infatti, dal perimetro applicativo di tale fattispecie incriminatrice qualunque forma di violenza fisica o psichica, ancorchè sostenuta da "animus corrigendi", atteso che, secondo la linea evolutiva tracciata dalla Convenzione dell'ONU sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza, approvata dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 20 novembre 1989, le condotte connotate da modalità aggressive sono incompatibili con l'esercizio lecito del potere correttivo ed educativo - che mai deve deprimere l'armonico sviluppo della personalità del minore - lì dove l'abuso ex art. 571 c.p., presuppone l'eccesso nell'uso di mezzi che siano in sè giuridicamente leciti (Sez. 6, n. 13145 del 03/03/2022, Rv. 283110).

Testo della sentenza
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. VI PENALE - 12 agosto 2022 N. 31028

Motivi della decisione

1. Il ricorso è fondato limitatamente al terzo motivo di ricorso, mentre va rigettato nel resto per le ragioni di seguito esposte.

2. Osserva preliminarmente il Collegio che la sentenza impugnata va considerata quale doppia conforme della decisione di primo grado, cosicchè le due sentenze di merito possono essere lette congiuntamente, costituendo un unico corpo argomentativo. Ricorrono, infatti, nel caso in esame i parametri elaborati dalla giurisprudenza di legittimità ai fini della configurabilità della doppia conforme, posto che la sentenza impugnata, nell'esaminare la censure dell'appellante, ha adottato criteri di valutazione della prova omogenei a quelli adottati dal primo giudice ed operato frequenti riferimenti ai passaggi logico giuridici della prima sentenza (Sez. 2, n. 37295 del 12/6/2019, E., Rv. 277218; Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, Argentieri, Rv. 257595).

3. Ciò premesso, il primo motivo di ricorso è inammissibile in quanto non specificamente dedotto in appello e, comunque, manifestamente infondato.

Il reato di cui all'art. 572 c.p., ha natura di reato abituale e consiste nella sottoposizione dei familiari ad una serie di atti di vessazione continui e tali da cagionare sofferenze, privazioni, umiliazioni, le quali costituiscono fonte di un disagio continuo ed incompatibile con normali condizioni di vita (Sez. 6, n. 7192 del 04/12/2003, Camiscia, Rv. 228461).

In considerazione della natura abituale del reato di maltrattamenti, ai fini della sua rituale contestazione, non è necessario che il capo d'imputazione rechi la precisa indicazione del luogo e della data di ogni singolo episodio, essendo sufficiente a consentire un'adeguata difesa la descrizione in sequenza dei comportamenti tenuti, la loro collocazione temporale di massima e le eventuali conseguenze per la persona offesa (si veda, in tema di atti persecutori, Sez. 5, n. 35588 del 03/04/2017, Rv. 271206).

Con riferimento alla fattispecie in esame, rileva il Collegio che, a fronte di una contestazione aperta del reato di maltrattamenti, descritto attraverso il riferimento a reiterate vessazioni morali e violenze fisiche poste in essere dal ricorrente ai danni della moglie ed alla presenza dei figli minori, esemplificate attraverso la descrizione di quanto occorso il 28 agosto 2020, le due sentenze di merito, con motivazione immune da vizi e fondata su una coerente analisi del compendio istruttorio, hanno ricostruito la condotta tenuta dal ricorrente non solo in occasione di tale ultimo episodio, ma in un più ampio arco temporale, iniziato nel 2013 secondo l'approfondita analisi delle dichiarazioni della Z. contenuta nella sentenza impugnata.

In particolare, diversamente da quanto dedotto dal ricorrente, anche la sentenza di primo grado ha considerato le dichiarazioni rese dalla Z. in merito alle reiterate vessazioni subite dal marito, iniziate già prima del matrimonio con il ricorrente (v. p. 3 della sentenza di primo grado).

Pertanto, in considerazione della formulazione aperta del capo di imputazione e del suo contenuto sufficientemente descrittivo delle condotte rilevanti, ritiene il Collegio che la sentenza impugnata non sia incorsa in alcuna violazione dell'art. 521 c.p.p., non avendo operato alcun mutamento del fatto contestato. Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, cui il Collegio intende dare continuità, in tema di correlazione tra imputazione contestata e sentenza, per aversi mutamento del fatto occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l'ipotesi astratta prevista dalla legge, in modo che si configuri un'incertezza sull'oggetto dell'imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa (Sez. U, n. 36551 del 15/07/2010, Carelli, Rv. 248051).

4. Il secondo motivo di ricordo è infondato. La sentenza impugnata, con motivazione immune da vizi logici e giuridici ha ricostruito l'abitualità delle condotte ascritte al ricorrente, basandosi su una coerente analisi del compendio probatorio agli atti. Ha, in particolare, posto l'accento sulle dichiarazioni rese dalla Z. nella querela orale, successivamente confermata con le sommarie informazioni rese il 10 settembre 2020, in cui la donna ha riferito delle reiterate condotte vessatorie ed umilianti poste in essere dal marito, anche alla presenza dei figli minori, a partire dal 2013. In tale anno la donna ha collocato, infatti, il primo episodio di violenza fisica subita dal ricorrente il quale, mentre si trovavano in auto insieme ai due figli, l'ha ingiuriata con epiteti quali "pezza di merda, indegna, cretina", tirata dai capelli e colpita con due pugni, accusandola di avere dimenticato il suo portafogli a casa della zia.

La donna ha aggiunto che in più occasioni il ricorrente aveva percosso il figlio T., il quale ha confermato sia tale circostanza ("...Mi ha messo le mani addosso in diverse occasioni..") che le violenze fisiche e verbali patite dalla madre, ed ha raccontato di un episodio in cui, dopo aver fatto la doccia ed aver fatto cadere accidentalmente dell'acqua per terra facendo, così, scivolare il fratello più piccolo, il padre lo aveva colpito dandogli diversi schiaffi e gli aveva sputato addosso.

Risulta, inoltre, dalla sentenza impugnata che anche la vicina di casa, B.C., delle cui dichiarazioni il ricorrente propone una lettura parziale e riduttiva, ha dichiarato di avere spesso sentito urla e rumori forti provenire dall'abitazione del ricorrente e di avere udito i figli piangere e tentare "di far desistere il padre".

E' stata, infine, considerata, l'annotazione di polizia giudiziaria, redatta in occasione dell'intervento del 28 agosto 2020, da cui risulta che gli operanti hanno effettivamente constatato i danneggiamenti riferiti dalla Z. ed hanno sentito i due figli minori i quali hanno dichiarato di non volere più il padre con loro in casa in quanto erano stanchi dei suoi atteggiamenti violenti e degli insulti e delle minacce nei confronti della madre.

Privo di pregio è, infine, l'ulteriore profilo di censura relativo alla carenza di prova delle lesioni fisiche subite dalla Z.. Va, al riguardo ribadito, che il delitto di maltrattamenti può essere integrato anche mediante il compimento di atti che, di per sè, non costituiscono reato (Sez. 6, n. 13422 del 10/03/2016, Rv. 267270) potendo, a tal fine rilevare non solo atti quali percosse, lesioni, ingiurie, minacce, privazioni e umiliazioni imposte alla vittima, ma anche dagli atti di disprezzo e di offesa alla sua dignità, che si risolvano in vere e proprie sofferenze morali (Sez. 6, n. 44700 del 08/10/2013, Rv. 256962).

4.1 Anche la richiesta subordinata di riqualificazione della condotta tenuta nei confronti del figlio minore nel reato di abuso di mezzi di correzione non merita accoglimento. Tale reato presuppone, infatti, l'uso non appropriato di metodi o comportamenti correttivi, in via ordinaria consentiti, da cui consegua l'insorgenza di un pericolo di una malattia nel corpo o nella mente, con esclusione, dunque, dell'uso della violenza, ricorrente nella fattispecie in esame, quand'anche esercitata per fini correttivi o educativi (Sez. 6,n. 11777 del 21/01/2020, Rv. 278744). Esula, infatti, dal perimetro applicativo di tale fattispecie incriminatrice qualunque forma di violenza fisica o psichica, ancorchè sostenuta da "animus corrigendi", atteso che, secondo la linea evolutiva tracciata dalla Convenzione dell'ONU sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza, approvata dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 20 novembre 1989, le condotte connotate da modalità aggressive sono incompatibili con l'esercizio lecito del potere correttivo ed educativo - che mai deve deprimere l'armonico sviluppo della personalità del minore - lì dove l'abuso ex art. 571 c.p., presuppone l'eccesso nell'uso di mezzi che siano in sè giuridicamente leciti (Sez. 6, n. 13145 del 03/03/2022, Rv. 283110).

3. E' invece, fondato il terzo motivo di ricorso.

Va, infatti, considerato che in caso di appello proposto, come nel caso in esame, dal solo imputato, non solo opera il divieto di reformatio in peius, ma, in caso di accoglimento dell'impugnazione relativa a circostanze o a reati concorrenti, anche se unificati sotto il vincolo della continuazione, la pena complessiva deve essere complessivamente diminuita (art. 597 c.p.p., comma 4).

Le Sezioni Unite di questa Corte, pronunciandosi in merito a questione concernente la pena illegale di favore, hanno recentemente chiarito che la disciplina contenuta all'art. 597 c.p.p., comma 4, ha una valenza "integrativa" e "rafforzativa" del divieto di reformatio in peius stabilito dal comma 3, prevedendo l'inderogabile applicazione degli effetti sanzionatori favorevoli derivanti dall'accoglimento dell'appello dell'imputato che abbia comportato l'esclusione di reati concorrenti o di circostanze aggravanti, ovvero il riconoscimento di circostanze attenuanti. Alla luce della lettura congiunta di tali disposizioni e del principio devolutivo che delimita la cognizione del giudizio di secondo grado, il Supremo Consesso ha, pertanto, chiarito che l'accoglimento dell'impugnazione proposta dal solo imputato in merito ad una delle componenti del trattamento sanzionatorio non può essere in alcun modo neutralizzato da improprie forme di "compensazione" con altro punto ad esso inerente, quale l'erronea individuazione della pena in violazione dei minimi edittali, non devoluto alla cognizione del giudice.

Applicando tali criteri ermeneutici alla fattispecie in esame, coglie, dunque, nel segno la censura formulata dal ricorrente. Va, infatti, considerato che sebbene il reato sia stato contestato come commesso in danno anche dei figli minori, con la sentenza di primo grado non è stato applicato alcun aumento per il concorso formale dei reati. In assenza di un appello del Pubblico Ministero, e dinanzi all'accoglimento dell'impugnazione dell'imputato in merito alla eccessività della pena base sulla quale era stata calcolata la riduzione per il rito, la Corte territoriale ha illegittimamente applicato l'aumento di pena a titolo di concorso formale, pronunciandosi sostanzialmente su una questione non devoluta e in violazione del divieto di reformatio in peius.

4. Il quarto motivo è inammissibile in quanto non deduce alcun vizio ed invoca un nuovo giudizio di bilanciamento che non rientra nell'ambito del sindacato di legittimità.

5. Alla luce delle considerazioni sopra esposte, la sentenza impugnata va annullata senza rinvio limitatamente all'aumento di pena per la continuazione, pari a mesi due di reclusione, che va eliminato dal trattamento sanzionatorio. Il ricorso va rigettato nel resto. L'imputato va, infine, condannato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile Z.R., che si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente all'aumento di pena per la continuazione, pari a mesi due di reclusione, aumento che elimina. Rigetta nel resto il ricorso. Condanna, inoltre, l'imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile Z.R., che liquida in complessivi Euro 3.510, oltre accessori di legge.

Conclusione

Così deciso in Roma, il 20 maggio 2022.

Depositato in Cancelleria il 12 agosto 2022