Giu Il rito di appello nella fase emergenziale imposta dalla pandemia
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. VI PENALE - 10 agosto 2022 N. 30921
Massima
In considerazione del carattere eccezionale e derogatorio che riveste in generale la normativa emergenziale epidemiologica rispetto alle ordinarie regole di svolgimento del processo penale e delle conseguenti limitazioni che essa introduce anche alla garanzia della pubblica udienza, con deviazione dal modello processuale ordinario in cui la partecipazione dell'imputato è prevista come necessaria nel caso di udienza pubblica, la stessa deve essere necessariamente interpretata in termini restrittivi, per non pregiudicare il fondamentale diritto dell'interessato di partecipare personalmente al giudizio e di essere presente soprattutto se egli sia sottoposto a restrizioni della libertà personale.

Testo della sentenza
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. VI PENALE - 10 agosto 2022 N. 30921

Motivi della decisione

1. Il secondo motivo di ricorso è fondato, con conseguente assorbimento dei residui motivi.

Dagli atti allegati al ricorso si evince che il ricorrente, ristretto in stato di detenzione presso la Casa circondariale di (OMISSIS), ha avanzato personalmente tramite l'Ufficio Matricola in data 4 ottobre 2021, a norma del D.L. n. 18 del 17 marzo 2020, art. 83, comma 12, conv., con modificazioni, dalla L. 24 aprile 2020, n. 27, la richiesta di partecipazione a distanza all'udienza mediante videoconferenza fissata per il giorno 20 ottobre 2021 per la trattazione dell'appello.

Dal verbale della sopra menzionata udienza, svoltasi nella forma del contraddittorio cartolare, si evince che l'indagato non è stato presente all'udienza e neppure viene dato atto della sua partecipazione a distanza, conformemente a quanto disposto dal D.Lgs. n.271 del 28 luglio 1989, art. 146-bis, comma 6, richiamato dall'art. 83 del D.L. 17 marzo 2020, n. 18, conv., con modificazioni, dalla L. n. 27 del 24 aprile 2020.

E' stato già affermato nella giurisprudenza di legittimità che giudizio di appello, nel vigore della disciplina emergenziale relativa alla pandemia da Covid-19, la richiesta dell'imputato di partecipazione personale all'udienza determina l'applicazione del rito ordinario, non essendo necessaria la richiesta di discussione orale da parte del difensore ove sia stato l'imputato a manifestare la volontà di partecipare all'udienza (Sez. 6 n. 1167 del 30/11/2021, G., R.v. 282400).

La L. n. 176 del 18 dicembre 2020 art. 23-bis, espressamente dedicato al processo penale di appello, prevede, infatti, che ad eccezione dei casi di rinnovazione dell'istruzione dibattimentale ex art. 603 c.p.p., le udienze di appello si celebrano in camera di consiglio, senza la partecipazione del pubblico ministero e dei difensori, salvo che le parti private o il p.m. espressamente richiedano la discussione orale ovvero che "l'imputato manifesti la volontà di comparire" (comma 1).

Il comma 4 del cit. art., nel regolare le modalità e le forme della richiesta di discussione e partecipazione all'udienza dispone poi, testualmente, che "La richiesta di discussione orale è formulata per iscritto dal pubblico ministero o dal difensore entro il termine perentorio di quindici giorni liberi prima dell'udienza ed è trasmessa alla cancelleria della corte di appello attraverso i canali di comunicazione, notificazione e deposito rispettivamente previsti dal comma 2. Entro lo stesso termine perentorio e con le medesime modalità l'imputato formula, a mezzo del difensore, la richiesta di partecipare all'udienza".

La questione se la richiesta presentata tempestivamente dall'imputato, ma personalmente e non in via telematica tramite il proprio difensore, debba ritenersi inammissibile è stata già oggetto di decisioni contrastanti nella giurisprudenza di questa Corte di cassazione.

2. Secondo un primo orientamento (Sez. 3, n. 3958 del 12/11/2021, D., Rv. 282888) è stato affermato che l'omessa traduzione dell'imputato detenuto, che abbia richiesto di comparire all'udienza determina una nullità assoluta ed insanabile del giudizio e della relativa sentenza, solamente se la richiesta da parte dell'imputato sia stata presentata per il tramite del difensore e nelle forme previste, non essendo consentito nè previsto che l'imputato possa provvedervi personalmente, anche in considerazione della necessità della trasmissione telematica ai sensi dell'art. 24 del decreto medesimo, prevista dal comma 2 dell'art. 23-bis cit.

Secondo l'opposto orientamento, si è affermato, invece, che ritenere, anche in assenza di una previsione espressa, la richiesta inammissibile o preclusa, introdurrebbe delle limitazioni non consentite al diritto dell'imputato di partecipare al processo (Sez. 6, n. 15139 del 2022, Zitouni, non mass.).

3. Il collegio ritiene senz'altro preferibile questo secondo orientamento che appare in linea con la decisione delle Sezioni Unite, che in relazione al giudizio di appello di un processo celebrato nelle forme del rito abbreviato, hanno affermato che il diritto fondamentale dell'imputato di essere presente nel giudizio camerale in cui si decide sulla sua responsabilità non può essere sottoposto a limitazioni di forma, essendosi affermato che la mancata traduzione all'udienza camerale d'appello, perchè non disposta o non eseguita, dell'imputato che abbia tempestivamente manifestato "in qualsiasi modo" la volontà di comparire e che si trovi detenuto o soggetto a misure limitative della libertà personale, determina la nullità assoluta e insanabile del giudizio camerate e della relativa sentenza (Sez. U., n. 35399 del 24/06/2010, F., RV. 247836).

D'altra parte, il diritto-dovere del giudice di sentire personalmente l'imputato, e il diritto di quest'ultimo di essere ascoltato dal giudice che dovrà giudicarlo, rientrano nei principi generali d'immediatezza e di oralità cui s'informa l'attuale sistema processuale ed è conforme ai principi enucleabili dall'art. 111 Cost., dall'art. 6, comma 3, lett. c), d) ed e), della Cedu, dall'art. 14, comma terzo, lett. d), e) ed f) del Patto internazionale sui diritti civili e politici e da quanto affermato da Corte Cost. nella sentenza n. 45 del 1991.

Il rito di appello nella fase emergenziale imposta dalla pandemia si svolge in udienza camerale senza la presenza del pubblico, senza la presenza delle parti e dell'imputato, per le ovvie ragioni di contenimento del rischio di diffusione del contagio, in deroga alle forme ordinarie previste dal codice di procedura penale, e quindi, in via generale, della pubblica udienza soggetta alle stesse regole del giudizio di primo grado ex art. 598 c.p.p., e del rito camerale partecipato ex art. 127 c.p.p. nei soli casi indicati dall'art. 599 c.p.p. oltre che nel caso dell'appello proposto avverso le sentenze emesse nel giudizio abbreviato, secondo il disposto dell'art. 443, comma 4, c.p.p..

Conseguentemente, in considerazione del carattere eccezionale e derogatorio che riveste in generale la normativa emergenziale epidemiologica rispetto alle ordinarie regole di svolgimento del processo penale e delle conseguenti limitazioni che essa introduce anche alla garanzia della pubblica udienza, con deviazione dal modello processuale ordinario in cui la partecipazione dell'imputato è prevista come necessaria nel caso di udienza pubblica, la stessa deve essere necessariamente interpretata in termini restrittivi, per non pregiudicare il fondamentale diritto dell'interessato di partecipare personalmente al giudizio e di essere presente soprattutto se egli sia sottoposto a restrizioni della libertà personale.

3. Pertanto, sebbene non risulti che il difensore abbia eccepito prima dell'udienza la mancata attivazione della videoconferenza, la violazione del diritto dell'imputato di partecipare all'udienza integra una nullità assoluta, allorchè la richiesta di presenziare, sia pure a mezzo di videoconferenza e nei casi consentiti, sia pervenuta in tempo utile per predisporre i necessari collegamenti audiovisivi, come avvenuto incontestabilmente nel caso in esame, tenuto conto della sua presentazione sedici giorni prima dell'udienza.

Come precisato dalle Sezioni Unite con la citata sentenza n. 35399 del 24/06/2010, Rv. 247836, la mancata traduzione all'udienza d'appello, perchè non disposta o non eseguita, dell'imputato che si trovi detenuto o soggetto a misure limitative della libertà personale, e che abbia tempestivamente manifestato in qualsiasi modo la volontà di comparire e che si trovi detenuto o soggetto a misure limitative della libertà personale, determina la nullità assoluta e insanabile del giudizio camerale e della relativa sentenza, rilevabile anche d'ufficio in ogni stato e grado del procedimento.

Conseguentemente, essendo nel periodo interessato in vigore la disciplina emergenziale per il contenimento della diffusione dell'epidemia da covid-19, che all'art. 83 del D.L. 18/2020 cit. prevede che la partecipazione a qualsiasi udienza delle persone detenute, o in stato di custodia cautelare, deve essere assicurata, ove possibile, mediante videoconferenze o con collegamenti da remoto, ne deriva che la mancata attivazione della videoconferenza e degli altri mezzi di collegamento da remoto è da equipararsi all'omessa traduzione, perchè ugualmente lesiva del diritto di partecipazione.

In assenza dell'attivazione di detti mezzi, infatti, come già affermato nel caso di omessa traduzione, l'avviso non può svollgere in concreto runica funzione che gli è propria, quella della vocatio in iudicium che può definirsi tale solo in quanto rivolta a chi ad essa sia in grado di rispondere (Sez. U. n. 35399 del 254/06/2010, Rv. 247836).

Ne consegue la nullità dell'udienza e della sentenza impugnata, che va dunque annullata con rinvio e trasmissione degli atti ad altra sezione della Corte di appello di Torino per nuovo giudizio.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Torino.

Conclusione

Così deciso in Roma, il 9 giugno 2022.

Depositato in Cancelleria il 10 agosto 2022