Giu Infondata la ventilata questione di legittimità costituzionale dell'art. art. 572 c.p. Maltrattamenti contro familiari e conviventi
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. III PENALE - 30 maggio 2022 N. 21024
Massima
La ventilata questione di legittimità costituzionale dell'art. 572, comma 2, c.p., nella parte in cui parifica, a livello sanzionatorio, due ipotesi che si assumono differenti, per contrasto con i principi di ragionevolezza e di uguaglianza, pur ammissibile, in quanto l'imputato è stato condannato per la fattispecie in esame, è manifestamente infondata.

Secondo il consolidato indirizzo assunto dalla Corte costituzionale, la determinazione del trattamento sanzionatorio per i fatti previsti come reato è riservata alla discrezionalità del legislatore, entro il limite della non manifesta irragionevolezza delle scelte legislative: limite che è superato allorchè le pene comminate appaiano manifestamente sproporzionate rispetta alla gravità del fatto previsto quale reato, come avviene a fronte di sperequazioni sanzionatorie tra fattispecie omogenee non sorrette da alcuna ragionevole giustificazione (ex multis, cfr. sent. n. 259 del 2021, n. 136 dei 2020, n. 68 del 2012, n. 161 del 2009 e n. 324 del 2008).

Casus Decisus
1. Con l'impugnata sentenza, la Corte di appello di Roma confermava la decisione emessa dal G.u.p. del Tribunale di Rieti all'esito del giudizio abbreviato e appellata dall'imputato, la quale, esclusa la recidiva e la circostanza aggravante ex art. 61 n. 11-quinquies c.p. di cui al capo D) e riconosciuta la continuazione, aveva condannato P.S. alla pena di sei anni di reclusione, in relazione ai delitti di cui agli artt. 572 c.p., commi 1 e 2, (capo A), artt. 582, 585, 576, 577 c.p., (capo B) e art. 609-bis, 609-ter, comma 1, n. 5-quater c.p. (capo D), commessi in danno della convivente, nonchè degli artt. 582, 585, 576, 577 c.p. (capo C) commesso in danno del figlio minore. 2. Avverso l'indicata sentenza, l'imputato, tramite il difensore di fiducia, propone ricorso per cassazione, affidato a quattro gruppi di motivi. 2.1. Un primo gruppo di censure sono rivolte nei confronti del capo A). 2.1.1. Premesso che non si contestano gli episodi avvenuti dal 29 luglio al 16 agosto 2019 (ad eccezione della violenza sessuale del 29 luglio), il difensore assume che la Corte di merito non avrebbe fatto corretta applicazione dei principi affermati dalla Sezioni Unite con la sentenza n. 41461/2012, secondo cui, in riferimento alle dichiarazioni provenienti dalla persona offesa che sia costituita parte civile, si richiede la sussistenza di riscontri, i quali sono assenti con riferimento alle condotte procedenti (ossia dal 2012), tale non essendo la deposizione della madre della persona offesa, le cui dichiarazioni smentiscono quelle della figlia in relazione alla data in cui le rilevò le presunte violenze. Ad avviso del difensore, con riferimento al periodo precedente al (OMISSIS) gli episodi sarebbero solo due, peraltro vaghi e privi di riscontro, anche considerando che la sentenza di primo grado, con riferimento al capo D), ha escluso la sussistenza dei fatti di violenza sessuali riferiti al 2018 proprio perchè le dichiarazioni della donna sono state ritenute generiche. Applicando tale criterio, alle stesse conclusioni dovrebbe pervenirsi anche in relazione ai fatti in esame, con la conseguenza che, con riferimento ai soli episodi del 29 luglio, 2, 10 e 16 agosto, in ragione della ristrettezza del segmento temporale, si sarebbe in presenza di più fattispecie ex art. 582 c.p., eventualmente aggravate, da porre in continuazione con quelle di cui al capo B). 2.1.2. Sotto altro profilo, ad avviso del difensore la contestazione dovrebbe essere in ogni caso circoscritta al periodo da 29 luglio al 16 agosto (OMISSIS), anche considerando che, per stessa ammissione della persona offesa, gli episodi di violenza sono stati intervallati da periodi di "quiete", quantomeno nel periodo di gravidanza (a tal proposito, vengono riportate per stralcio le dichiarazioni della donna: p. 6 del ricorso), ciò che incide sulla continuità dell'abitualità delle condotte realizzate dall'imputato. 2.1.3. Infine, il difensore chiede di sollevare questione di legittimità costituzionale dell'art. 572 c.p., comma 2, per contrasto con i principi di ragionevolezza e di uguaglianza ex art. 3 Cost. In punto di rilevanza, osserva il difensore che l'imputato è stato condannato per il delitto di cui al capo A) ai sensi dell'art. 572 c.p., comma 2, per essere stato commesso alla presenza del figlio minore. Espone quindi il difensore che, fino al D.L. n. 93 del 1993 l'art. 572 c.p. prevedeva, al comma 2, che, in caso di commissione del reato in danno di un minore di anni quattordici, la pena era aumentata; contestualmente, l'indicato D.L. introdusse, all'art. 61 c.p., il n. 11-quinquies, che, nell'originaria versione, aggravava una serie di delitti, tra cui quello di cui all'art. 572 c.p., se commesso in danno o in presenza di un minore. A seguito delle modifiche apportate dalla L. n. 69 del (OMISSIS) (cd. "Codice Rosso"), per un verso dall'aggravante ex art. 61, n. 11-quinquies, c.p. è stato espunto il riferimento all'art. 572, e, per altro verso, è stato modificato il comma 2 di tale ultima disposizione, il quale ora prevede l'aumento di pena fino alla metà se il fatto è commesso in presenza o in danno di un minore. Ciò posto, secondo il difensore il Legislatore avrebbe operato una ingiustificata parificazione sanzionatoria tra due ipotesi ben distinte - la commissione di un delitto "in presenza" di un minore e la commissione di un delitto "in danno" di un minore - in violazione dei principi di eguaglianza e di ragionevolezza. 2.2. Un secondo gruppo di censure riguarda il capo C). 2.2.1. In primo luogo, evidenzia il difensore come sia emersa una versione alternativa, secondo cui il minore si sarebbe procurato le lesioni al volto cadendo per strada, come riferito dalla teste S., versione che i giudici di merito hanno escluso con una motivazione carente posto che: 1) la S. non possiede la competenze di un medico; 2) l'assenza di certificazione medica è irrilevante; 3) la diagnosi del referto medico è compatibile con una caduta frontale. 2.2.2. In secondo luogo, il difensore critica la motivazione, laddove ha ravvisato il dolo eventuale, essendo pacificamente emerso che le lesioni sono state cagionate del tutto fortuitamente, essendo la compagna, e non il minore, la destinatario della collera dell'imputato. In ogni caso, difetterebbero gli indici per ravvisare il dolo eventuale, anzichè la colpa cosciente, quali la durata e la ripetizione dell'azione, il fatto che l'agente non si sarebbe trattenuto dalla condotta illecita se avesse avuto certezza della sicura verificazione dell'evento, posto che l'imputato si è sempre astenuto dal commettere gli abusi sessuali sulla moglie quando i figli erano svegli. 2.2.3. In subordine, il difensore chiede l'esclusione dell'aggravante dei futili motivi, essendo la motivazione illogica, laddove ha ritenuto che tale situazione sia ravvisabile nel fatto che l'imputato sospettasse che la compagna fosse incinta e volesse interrompere la gravidanza, situazione che non riguarda il minore. 3. Con un terzo motivo si contesta la sussistenza della violenza sessuale contestata al capo D). Evidenzia il difensore che, con riferimento al fatto avvenuto il 29 luglio (OMISSIS), la persona offesa ha riferito tre versioni differenti dell'accaduto, come emerge da brani delle dichiarazioni della donna riportate per stralcio nel ricorso (p. 14-15), in relazione, in particolare, al fatto che il figlio minore fosse o meno sveglio e all'entità della costrizione, e non valendo, quale riscontro, il certificato medico, che si limita a dar conto della presenza di una lacerazione vaginale, senza indicarne le ragioni. In ogni caso, sulla base degli elementi accertati, tra cui il "falso" consenso prestato dalla donna a pregressi rapporti con il compagno, il fatto sarebbe riconducibile nello schema dell'art. 609-bis, comma 3, c.p.. 4. Infine, il difensore contesta il trattamento sanzionatorio. 4.1. In primo luogo, si censura la motivazione laddove, con riferimento al diniego delle circostanze attenuanti generiche, ha considerato i soli elementi avversi, senza valutare le scuse fatte dall'imputato sia in sede di spontanee dichiarazioni, sia con lettera consegnata al difensore in occasione dell'udienza del 6 novembre (OMISSIS), e la circostanza che, cori riferimento alla condotta del 16 agosto (OMISSIS), l'imputato ha agito nella convinzione che la compagna dovesse andare ad interrompere la gravidanza. 4.2. In secondo luogo, il difensore contesta il calcolo della pena, posto che, all'epoca del fatto, reato più grave era quello previsto dall'art. 572 c.p., anzichè l'ipotesi di cui agli artt. 609-bis, 609-ter c.p..

Testo della sentenza
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. III PENALE - 30 maggio 2022 N. 21024

Motivi della decisione

1. Il ricorso è, nel complesso, infondato.

2. In primo luogo occorre premettere una considerazione di carattere generale, ossia una evidente scollatura tra i motivi dedotti con l'atto appello e quelli articolati con il ricorso per cassazione, peraltro redatto da un differente difensore.

A tal proposito, va richiamato l'indirizzo, costantemente predicato da questa Corte di legittimità, secondo cui non possono essere dedotte con il ricorso per cassazione questioni sulle quali il giudice di appello abbia correttamente omesso di pronunciare, perchè non devolute alla sua cognizione (ex multis, Sez. 2, n. 13826 del 17/02/2017, dep. 21/03/2017, Bolognese, Rv. 269745; Sez. 3, n. 16610 del 24/01/2017, dep. 04/04/2017, Costa e altro, Rv. 269632; Sez. 5, n. 28514 del 23/04/2013, dep. 02/07/2013, Grazioli Gauthier, Rv, 255577), tranne che si tratti di questioni rilevabili di ufficio in ogni stato e grado del giudizio o che non sarebbe stato possibile dedurre in precedenza (Sez. 2, n. 6131 del 29/01/2016, dep. 15/02/2016, Menna, Rv. 266202), dovendosi evitare il rischio che in sede di legittimità sia annullato l provvedimento impugnato con riferimento ad un punto della decisione rispetto al quale si configura a priori un inevitabile difetto di motivazione per essere stato intenzionalmente sottratto alla cognizione del giudice di appello (Sez. 2, n. 29707 del 08/03/2017, dep. 14/06/2017, Galdi, Rv. 270316).

In tale ultima decisione, si è condivisibilmente evidenziato che il parametro dei poteri di cognizione del giudice di legittimità è delineato dall'art. 609 c.p.p, comma 1, il quale ribadisce, in forma esplicita, un principio già enucleato dal sistema, e cioè la commisurazione della cognizione di detto giudice ai motivi di ricorso proposti, i quali - contrassegnati dall'inderogabile "indicazione specifica delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto" che sorreggono ogni atto d'impugnazione ex artt. 581 c.p.p., comma 1, lett. c), e art. 591 c.p.p., comma 1, lett. c) - sono funzionali alla delimitazione dell'oggetto della decisione impugnata e all'indicazione delle relative questioni, con modalità specifiche al ricorso per cassazione.

La disposizione in esame deve infatti essere letta in correlazione con quella dell'art. 606 c.p.p., comma 3, nella parte in cui prevede la non deducibilità in cassazione delle questioni non prospettate nei motivi di appello.

Il combinato disposto delle due norme impedisce perciò la proponibilità in cassazione di qualsiasi questione non prospettata in appello e costituisce un rimedio contro il rischio concreto di un annullamento, in sede di cassazione, del provvedimento impugnato, in relazione ad un punto intenzionalmente sottratto alla cognizione del giudice di appello e, quindi, sottratto alla verifica giurisdizionale.

3. Il primo motivo di ricorso, nelle due sotto articolazioni con le quali si contesta l'attendibilità della persona offesa, sì da limitare la sussistenza degli episodi di violenza ad un segmento temporale ristretto, incompatibile con la condotta abituale richiesta dall'art. 572 c.p., eventualmente previa riqualificazione dei fatti ai sensi dell'art. 582 c.p., è inammissibile.

4. Quanto all'argomentazione diretta a censurare la valutazione di attendibilità della persona offesa, costituitasi parte civile, in assenza di riscontri, si rammenta che, secondo la sentenza delle Sezioni Unite Bell'Arte, indicata dal ricorrente, alle dichiarazioni della persona offesa non si applicano le regole fissate dall'art. 192 c.p.p., comma 3, ed esse possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell'affermazione di penale responsabilità dell'imputato, sottoponendo a preventiva e motivata verifica la credibilità soggettiva del dichiarante e l'attendibilità intrinseca del narrato, che deve tuttavia effettuarsi in modo più penetrante e rigoroso rispetto a quello cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone, aggiungendo che, in caso di costituzione di parte civile della persona offesa, può essere opportuno procedere anche al riscontro di tali dichiarazioni con altri elementi (Sez. U, n. 41461 del 19/7/2012, Bell'Arte, Rv. 253214).

Il senso di tale ultimo chiarimento è quello di imporre un vaglio rinforzato dell'attendibilità del testimone portatore di un astratto interesse a rilasciare dichiarazioni etero accusatorie e non certo quello di negare l'autonomo valore probatorio delle stesse, ciò che contraddirebbe il principio, parimenti enunciato dalle Sezioni Unite, secondo cui le dichiarazioni della persona offesa sono sottratte dall'applicazione della disciplina prevista dall'art. 192, comma 3, c.p.p..

Peraltro, come già affermato da questa Corte, qualora risulti opportuna l'acquisizione di riscontri estrinseci, questi possono consistere in qualsiasi elemento idoneo a escludere l'intento calunniatorio del dichiarante, non dovendo risolversi in autonome prove del fatto, nè assistere ogni segmento della narrazione (Sez. 5, n. 21135 dei 26/3/2019, S., Rv. 275312), posto che la loro funzione è sostanzialmente quella di asseverare esclusivamente ed in via generale la sua credibilità soggettiva; è quindi erronea la prospettiva indicata dal ricorrente, laddove pretende ogni singolo episodio riferito dalla persona offesa sia assistito da riscontri esterni, proprio perchè, come detto, gli elementi di riscontro che il giudice può opportunamente accertare attengono ai profili della credibilità soggettiva del teste, alle cui dichiarazioni cui non si applica, si ripete, lo statuto previsto dall'art. 192 c.p.p., comma 3.

5. Nel caso di specie, i giudici di merito hanno ritenuto l'attendibilità della persona offesa, evidenziando, in ciò conformandosi con i principi dinanzi evocati, come le dichiarazioni della persona offesa" già prive di profili interni di incongruità, contraddizione o inverosimiglianza, siano sempre state coerentemente riportate nella molteplici occasioni dichiarative, durante le quali la donna non ha mai manifesto alcun moto di animosità o risentimento nei confronti del compagno, del quale ha anche riconosciuto alcune qualità personali, come l'affettuoso e amorevole attaccamento al figlio più piccolo. E su questi aspetti, tesi a dimostrare l'attendibilità soggettiva della persona offesa, il ricorrente non muove alcuna censura.

Oltre a ciò, in coerenza con il principio affermato dalle Sezioni Unite, i giudici di merito hanno indicato una serie di elementi che, addirittura, riscontrato non solo la credibilità soggettiva della donna, ma anche il narrato reso da costei, quali la documentazione medica in atti, l'annotazione di p.g., le riprese fotografiche, le dichiarazioni rese dalla madre.

6. Su queste basi, la Corte di merito, come già aveva fatto il Tribunale, ha ritenuto che l'imputato, per anni e senza apprezzabile soluzione di continuità, abbia consapevolmente sottoposto la compagna ad una serie crescente di vessazioni, umiliazioni, insulti, aggressioni, intimidazioni, percosse, culminati con i fatti occorsi il 16 agosto (OMISSIS), documentati da riprese fotografiche e dall'annotazione di p.g., in cui la donna, alle ore 1,10 circa, richiese l'intervento dei carabinieri perchè aggredita dal compagno, rifugiandosi nell'attigua abitazione dei suoceri, mentre l'imputato, che inizialmente si era barricato in casa con il figlio più piccolo, era poi fuggito dalla finestra e fu fermato dalla pattuglia operante verso le ore 2.30 a poca distanza dal luogo dei fatti; nel frattempo, la compagna e il figlioletto, che avevano riportato lesioni giudicate guaribili rispettivamente, in sette e in quindici giorni, furono curati presso il pronto soccorso dell'ospedale di Rieti.

Orbene, diversamente da quanto opinato dal difensore e nuovamente riproposto in questa sede ancorchè con un apparato argomentativo più diffuso, la Corte d'appello, sulla base dell'ampio e analitico racconto riferito dalla persona offesa, ha ritenuto che non si trattò di isolati, sporadici e contigui episodi agostani di veemente contrasto tra i due partner, bensì di una prolungata e unitaria sequenza di violenze, fisiche e morali, perpetrate dall'imputato nei confronti della compagna a far tempo dal 2012.

Le cesure difensive, a ben vedere, scivolano nel merito, e; a fronte di una motivazione adeguata, coerente con i dati probatori ed esente da profili di illogicità manifesta, esse non possono trovare ingresso nel giudizio di legittimità.

7. La ventilata questione di legittimità costituzionale dell'art. 572, comma 2, c.p., nella parte in cui parifica, a livello sanzionatorio, due ipotesi che si assumono differenti, per contrasto con i principi di ragionevolezza e di uguaglianza, pur ammissibile, in quanto l'imputato è stato condannato per la fattispecie in esame, è manifestamente infondata.

7.1. Secondo il consolidato indirizzo assunto dalla Corte costituzionale, la determinazione del trattamento sanzionatorio per i fatti previsti come reato è riservata alla discrezionalità del legislatore, entro il limite della non manifesta irragionevolezza delle scelte legislative: limite che è superato allorchè le pene comminate appaiano manifestamente sproporzionate rispetta alla gravità del fatto previsto quale reato, come avviene a fronte di sperequazioni sanzionatorie tra fattispecie omogenee non sorrette da alcuna ragionevole giustificazione (ex multis, cfr. sent. n. 259 del 2021, n. 136 dei 2020, n. 68 del 2012, n. 161 del 2009 e n. 324 del 2008).

7.2. Orbene, nel caso di specie non è dato ravvisare alcun profilo di manifesta irragionevolezza, laddove il legislatore, nella fattispecie censurata, ha accomunato i fatti di maltrattamento commessi "in presenza" e "in danno" del minore.

7.2.1. Sotto un primo profilo, si osserva il fatto commesso in presenza di un minore, soggetto "debole" per definizione, non è certamente privo di un significato offensivo nei confronti del minore medesimo, la cui integrità psichica, nel breve e/o nel lungo periodo, può essere seriamente compromessa dalla diretta percezione di gravi episodi di violenza commessi in ambito familiare.

La ratio dell'aggravante si correla, infatti, all'esigenza di elevare la soglia di protezione di soggetti i quali, proprio a cagione dell'incompletezza del loro sviluppo psico-fisico, risultino più sensibili ai riflessi dell'altrui azione aggressiva, specie se commessa da un genitore in danno dell'altro, e possano così rimanerne vulnerati, esito che riflette gli approdi ormai adeguatamente consolidati della scienza psicologica, secondo cui anche bambini molti piccoli sono negativamente influenzati dagli eventi traumatici verificatisi nell'ambiente che li circonda.

Non è perciò affatto irragionevole che Legislatore abbia considerato, nella medesima disposizione, i fatti di maltrattamento commessi "in presenza" o "in danno" di un minore in quanto sono espressione della medesima ratio: la tutela dell'integrità del minore, nelle sue componenti di integrità psichica in un caso, che può essere compromessa quando il minore è spettatore di episodi di violenza in ambito familiare, e di integrità fisica, quando il minore è egli stesso vittima di violenza.

7.2.2. Sotto altro profilo, si osserva che l'aumento di pena previsto per l'applicazione dell'aggravante in parole non è determinato in misura fissa, ma può estendersi "fino alla metà"; di conseguenza, nell'esercizio del potere discrezionale ex art. 133 c.p. che preside la determinazione del complessivo trattamento sanzionatorio, il giudice può adeguatamente modulare la risposta punitiva sulla base degli elementi di fatto accertati nel singolo caso concreto.

8. Il terzo motivo, con cui si contesta la sussistenza del reato di cui al capo C), è inammissibile.

Va premesso che, con l'atto di appello (p. 4-6), si era unicamente evidenziata una situazione di dubbio in ordine alla sussistenza fatto, non potendosi escludersi che il bambino avesse sbattuto contro una superficie esterna durante l'aggressione diretta nei confronti della compagna, la quale, nel corso dell'incidente probatorio, aveva dichiarato che in quel frangente non teneva in braccio il figlioletto, e, in ogni caso, si contestava la sussistenza del dolo eventuale.

9. Ricondotte entro queste coordinate ossia nei limiti del devoluto alla Corte d'appello - le prime due cesure dedotte dal ricorrente, si osserva che i giudici di merito hanno concordemente accertato che il minore si trovasse in braccio della madre mentre costei veniva ripetutamente colpita dal compagno, ciò che trova formidabile conferma nella registrazione della chiamata al numero di emergenza 112, da cui risulta la donna riferì all'operatore che stata subendo percosse da parte del compagno mentre aveva un bambino in braccio, non riuscendo a comunicare l'indirizzo di casa perchè era "sotto minaccia" dell'uomo.

Ciò chiarito, la Corte di merito ha ribadito la sussistenza del dolo eventuale, proprio perchè l'imputato aveva la diretta e immediata percezione che la compagna stava tenendo in braccio il figlioletto, sicchè non è affatto implausibile la conclusione cui sono giunti i giudici di merito, laddove hanno ritenuto che l'imputato, nella concreta situazione appena descritta di cui egli aveva piena e chiara contezza, abbia accettato che i colpi indirizzati alla compagna potessero raggiungere il figlio, come è accaduto.

10. Quanto alla richiesta di esclusione dell'aggravante dei futili motivi, essa non era stata dedotta con l'appello sicchè non può essere devoluta per la prima volta nel ricorso per cassazione.

Si osserva che, in ogni caso, tale aggravante non è stata considerata dal Tribunale, il quale, ancorchè non l'abbia formalmente esclusa, come risulta dall'analisi del capo C) non emerge alcuna motivazione in ordine alla sussistenza di detta aggravante (cfr. p. 18 e p. 19 della sentenza Ci primo grado), diversamente dal capo B), in relazione al quale il Tribunale ha espressamente motivato circa la configurabilità dei "futili motivi" (cfr. p. 15 della sentenza di primo grado).

11. Il quarto motivo è inammissibile.

11.1. Come concordemente evidenziato dai giudici di merito, le dichiarazioni della donna - la quale ha riferito che l'imputato, in quel frangente fisicamente impossibilitato di penetrarla, le aveva inserito a forza nella zona vaginale una zucchina, gesto provocato dalla combinazione di incollerita gelosia, di intenti di dispregio e di umiliazione della compagna e dalla frustrazione, come detto, per l'incapacità fisica di penetrala in quel momento - oltre che soggettivamente attendibili per i motivi dinanzi indicati, sono puntualmente riscontrate, diversamente da quanto pretende il ricorrente, dal referto medico del 16 agosto (OMISSIS), da cui emerge una "lacerazione vaginale di circa cm. 1,5 in via di riparazione".

11.2. A fronte di un apparato motivazionale, adeguato e scevro da profili di illogicità manifesta, il ricorrente, a ben vedere, confeziona un motivo con cui sollecita, peraltro in maniera generica, una diversa valutazione delle prove dichiarative: il che, come anticipato, non è consentito in sede di legittimità, perchè il controllo sulla motivazione ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) attiene alla coerenza strutturale della decisione di cui si saggia l'oggettiva tenuta sotto il profilo logico-argomentativo, restando dunque preclusa a questa Corte la possibilità non solo di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi, ma anche di saggiare la tenuta logica della pronuncia portata alla sua cognizione mediante un raffronto tra l'apparato argomentativo che la sorregge ed eventuali altri modelli di ragionamento mutuati dall'esterno (Sez. Un., n. 12 del 31/05/2000, Jakani, Rv. 216260).

12. I motivi relativi al trattamento sanzionatorio sono inammissibili.

12.1. Secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di questa Corte, in tema di attenuanti generiche, il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione è insindacabile in sede di legittimità, purchè sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell'art. 133 c.p., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell'esclusione (ex multis, cfr. Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017 - dep. 22/09/2017, Pettinelli, Rv. 271269; Sez. 2, n. 3896 del 20/01/2016 - dep. 29/01/2016, De Cotiis, Rv. 265826; Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014 - dep. 03/07/2014, Lule, Rv. 259899).

Nel caso in esame, i giudici di merito hanno evidenziato una serie di elementi ostativi alla riduzione di pena: l'inusitata intensità e virulenza della carica di aggressiva brutalità manifestata in più occasioni dall'imputato, i diversi precedenti penali di cui è egli è gravato, la mancanza di chiari segnali di revisione della propria condotta.

Si tratta di una valutazione di fatto sorretta da una motivazione non manifestamente illogica, che non è perciò censurabile in questa sede di legittimità.

12.2. Quanto, infine, all'asserita errore nella determinazione della pena con riferimento all'individuazione del reato più grave, si osserva che la questione non era stata dedotta con l'appello, sicchè, non trattandosi di un'ipotesi di pena illegale, rilevabile d'ufficio, essa non può essere devoluta, per la prima volta, con il ricorso per cassazione.

13. Per i motivi sin qui esposti, il ricorso deve essere rigettato; da ciò consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

L'imputato, infine, deve essere altresì condannato alla refusione delle spese sostenute nel grado dalle parti civili, ammesse al patrocinio a spese dello Stato, con pagamento in favore dello Stato, spese da liquidarsi dalla Corte di appello di Roma mediante l'emissione del decreto di pagamento ai sensi degli artt. 82 e 83 del citato D.P.R. n. (cfr. SU n. 5464 del 26/09/2019, dep. 12/02/2020, De Falco, Rv. 277760).

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Condanna, inoltre, l'imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili ammesse al patrocinio a spese dello Stato, nella misura che sarà liquidata dalla Corte di appello di Roma con separato decreto di pagamento ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, artt. 82 e 83, disponendo il pagamento in favore dello Stato.

In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, in quanto imposto dalla legge.

Conclusione

Così deciso in Roma, il 27 aprile 2022.

Depositato in Cancelleria il 30 maggio 2022