Giu SU: Concorso tra circostanze aggravanti privilegiate e attenuanti
CORTE DI CASSAZIONE, SEZIONI UNITE - SENTENZA 18 novembre 2021 N. 42414
Massima
Le circostanze attenuanti che concorrono sia con circostanze aggravanti soggette a giudizio di comparazione ai sensi dell'art. 69 c.p., che con circostanza che invece non lo ammette in modo assoluto, devono essere previamente sottoposte a tale giudizio e, se sono ritenute equivalenti, si applica la pena che sarebbe inflitta - per il reato aggravato da circostanza "privilegiata" se non ricorresse alcuna di dette circostanze.

Casus Decisus
Viene rimessa alle Sezioni unite la seguente questione: "Se le circostanze attenuanti, pur riconosciute in giudizio di equivalenza nel bilanciamento con circostanze aggravanti non privilegiate, debbano produrre in ogni caso il proprio effetto di attenuazione della pena risultante dal computo dell'aggravamento dovuto a circostanze aggravanti privilegiate, contestate e ravvisate."

Testo della sentenza
CORTE DI CASSAZIONE, SEZIONI UNITE - SENTENZA 18 novembre 2021 N. 42414 Pres. Cassano – est. Rosi

RITENUTO IN FATTO

 

1. Con sentenza del 2 ottobre 2019 la Corte di appello di Milano confermava la decisione di condanna pronunciata dal Tribunale di Milano, in composizione monocratica, in data 6 marzo 2019, con la quale, a seguito di giudizio abbreviato, C.A., C.L. e R.F. erano stati condannati per il reato di concorso in furto in abitazione aggravato, ex artt. 110 c.p., art. 624 bis c.p., art. 625 c.p., n. 2, 4 e 5, art. 61 c.p. n. 5, commesso in Milano, il 22 febbraio 2019.

In particolare, C.L., dopo essersi introdotta con l'inganno all'interno dell'abitazione di una persona anziana, fingendosi una impiegata della banca incaricata di verificare il numero seriale delle banconote detenute, in procinto di essere dichiarate fuori corso legale e convincendo in tale modo la persona offesa a mostrarle il denaro contenuto in cassaforte, si impossessava di una busta di banconote ivi custodita, sostituendola con un'altra contenente schedine del lotto, con le aggravanti di avere commesso il fatto con destrezza, con l'uso di un mezzo fraudolento, in tre persone e dell'avere profittato dell'età avanzata della persona offesa (circostanza tale da ostacolare la privata difesa); reato commesso in concorso con C.A. e R.F., che avevano, tra l'altro, svolto il ruolo di "palo" ed atteso la complice all'esterno del palazzo per assicurarle la fuga.

1.1. Il Tribunale di Milano riconosceva le circostanze attenuanti generiche sia all'imputato R.F., anche in ragione della sua incensuratezza, sia agli imputati C.A. e C.L., per il loro corretto comportamento processuale ed in considerazione del risarcimento dei danni materiali e morali patiti dalla vittima, effettuato prima del giudizio; le circostanze attenuanti venivano dichiarate equivalenti alla circostanza aggravante della recidiva qualificata ex art. art. 99 c.p., comma 4, come contestata a C.A. e C.L.. Il computo della pena veniva effettuato partendo dalla pena base per il reato di furto aggravato di cui agli artt. 624 bis e 625 c.p., secondo il seguente calcolo: pena base di anni quattro e mesi otto di reclusione ed Euro 1.200,00 di multa per C.A., di anni cinque di reclusione ed Euro 1.500.00 di multa per C.L. e di anni quattro di reclusione ed Euro 1.000,00 di multa per R.F., pena soltanto per quest'ultimo ridotta ex art. 62 bis c.p., applicando poi a tutti la riduzione di un terzo per la scelta del rito. Di conseguenza la pena veniva determinata in anni tre, mesi uno e giorni venti di reclusione ed Euro 800,00 di multa per C.A., anni tre e mesi quattro di reclusione ed Euro 1.000,00 di multa per C.L. ed anni due di reclusione ed Euro 540,00 di multa per R.F., con il beneficio per quest'ultimo della sospensione condizionale della pena.

2. Avverso tale decisione l'Avv. William Voarino, del foro di Torino, difensore di fiducia dell'imputato C.A., propone ricorso per cassazione, chiedendo l'annullamento della sentenza impugnata sulla base di due motivi di doglianza.

2.1. Con il primo motivo deduce il difetto di motivazione del provvedimento o comunque motivazione apparente, in relazione all'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), per mancata risposta alle argomentazioni mosse con il secondo motivo di appello rubricato: "erroneo bilanciamento e/o erronea applicazione delle riconosciute attenuanti generiche con le contestate ritenute circostanze aggravanti ad effetto speciale" e "in ogni caso, violazione dell'art. 624 bis c.p., ultimo comma,".

Il giudice di merito avrebbe errato nel determinare il trattamento sanzionatorio, in quanto nel concorso di due o più circostanze aggravanti ad effetto speciale - e "privilegiate" - con le circostanze attenuanti riconosciute sussistenti, ha tenuto conto dell'orientamento (non consolidato) espresso dalla Corte di cassazione con sentenza n. 47519 del 17/09/2018 Rv. 274181, limitando il giudizio di comparazione ex art. 69 c.p. solo alle circostanze disomogenee non privilegiate in modo assoluto, per poi applicare, in ragione della equivalenza, la pena determinata sulla base della circostanza aggravante privilegiata di cui all'art. 624-bis, comma 3, c.p., sottratta alla comparazione.

Il ricorrente osserva di avere già evidenziato, nel motivo formulato in appello, che tale indirizzo non costituisce giurisprudenza consolidata, non è stato avallato dalle Sezioni Unite e risulta contrario al disposto dell'art. 624 bis c.p., comma 4. Rileva, inoltre, che in considerazione del criterio moderatore previsto dall'art. 99 c.p., comma 6, la circostanza aggravante ad effetto speciale della recidiva reiterata di cui all'art. 99 c.p., comma 4, risulta in concreto meno grave di quella prevista dall'art. 624 bis c.p., comma 3, atteso che la pena avrebbe potuto essere aumentata per effetto della recidiva solo nella misura di un anno e mesi sei di reclusione.

2.2. Con il secondo motivo deduce la medesima argomentazione sotto il profilo della violazione dell'art. 606, comma 1, lett. b), c.p.p., denunciando l'erronea applicazione del disposto degli artt. 62ì bis c.p., art. 69 c.p., art. 99 c.p., comma 4, art. 624 bis, comma 4 e art. 625 c.p., Osserva che, applicando l'opzione ermeneutica tratta dal richiamato orientamento giurisprudenziale, in caso di contestazione della recidiva reiterata all'imputato del delitto di furto in abitazione, aggravato ai sensi dell'art. 625 c.p., al giudice sarebbe impedita una modulazione della pena per effetto dell'eventuale riconoscimento di circostanze attenuanti, con conseguente inoperatività della regola di calcolo, ispirata al favor rei, di cui all'art. 63 c.p., comma 4, che disciplina il concorso di circostanze aggravanti ad effetto speciale privilegiate e non privilegiate. Tale disposizione risulterebbe, quindi, applicabile solo nel caso in cui non venga riconosciuta alcuna circostanza attenuante, ovvero la stessa sia ritenuta sub-valente. Il ricorrente conclude osservando come dalla formulazione dell'art. 624-bis c.p. discende piuttosto un duplice effetto vincolante per il giudice, obbligato alla riduzione della pena per ciascuna delle eventuali attenuanti riconosciute e all'applicazione di tale riduzione - in assenza di una esplicita regola che subordini l'operatività delle attenuanti al giudizio di bilanciamento - sulla pena determinata dalla circostanza aggravante privilegiata. Di qui la prospettata soluzione secondo cui, nel caso di concorso tra circostanze aggravanti privilegiate e soggette a bilanciamento ex art. 69 c.p., con una o più circostanze attenuanti, per ciascuna tipologia di aggravante deve operare il regime normativo proprio.

Tali argomentazioni sono tanto più valide in un caso, come quello di specie, in cui nel concorso della recidiva reiterata (art. 99, comma 4, c.p.), avente natura di circostanza ad effetto speciale, con altre omologhe circostanze aggravanti, trova applicazione la regola di contemperamento di cui all'art. 63 c.p., comma 4, salvo il limite del rispetto del minimo edittale previsto dall'aggravante speciale soccombente. Quindi, nel caso di concorso delle circostanze di cui all'art. 624 bis c.p. e art. 99 c.p., comma 4, deve essere applicata per prima la circostanza aggravata privilegiata, in quanto più grave, poi vanno operate le diminuzioni di pena per le circostanze attenuanti riconosciute dal giudice ed infine vanno effettuati gli aumenti di pena corrispondenti a quelli delle circostanze aggravanti da porre in bilanciamento, senza che tale giudizio possa mai essere di prevalenza delle circostanze attenuanti, in quanto già applicate.

3. Il difensore di fiducia di C.L., avv. Riccardo Passeggi del foro di Genova, lamenta l'erronea applicazione dell'art. 624 bis c.p., atteso che la persona offesa è stata tratta in inganno con artifizi e raggiri e ha perso la disponibilità del denaro non già a seguito di sottrazione, e conseguente impossessamento, bensì in conseguenza degli artifizi e raggiri posti in essere dalla ricorrente.

4. L'Avv. Guido Colella del foro di Genova, difensore di fiducia dell'imputato R.F., deduce la nullità della sentenza per inosservanza di norme processuali stabilite a pena di nullità, in particolare degli artt. 178 c.p.p., comma 2, lett. c) e art. 179 c.p.p., comma 1, per assenza del difensore dell'imputato all'udienza di appello. Rileva che dalla stessa intestazione della sentenza di appello risulta l'assenza del ricorrente, assistito dal difensore fiduciario Avv. Riccardo Passeggi del foro di Genova "rinunciante al mandato". Risulta altresì che gli avvocati indicati nell'intestazione hanno concluso "come da verbale d'udienza", anche se non sono specificamente indicati i nominativi dei difensori che hanno svolto le conclusioni per l'imputato, né risulta che nell'interesse dello stesso sia stato nominato un difensore di ufficio ex art. 97 c.p.p., Tale contraddizione non è risolta dal verbale dell'udienza del 2 ottobre 2019, da cui emerge che l'Avv. Passeggi aveva rinunciato al mandato difensivo, con dichiarazione inviata tramite posta certificata sin dal 24 settembre 2019. In mancanza di altra nomina fiduciaria da parte dell'imputato la Corte di appello avrebbe dovuto nominare un difensore di ufficio, a pena di nullità assoluta ed insanabile ex art. 179 c.p.p., comma 1. Ne' si può ritenere che sussista una ultrattività della rappresentanza difensiva ex art. 107 c.p.p., comma 3, consentita solo per sette giorni in relazione alla durata prevista per il termine a difesa ex art. 108 c.p.p..

4.1. Con il secondo motivo deduce erronea applicazione della legge penale in relazione alla mancata qualificazione del fatto-reato come ipotesi di truffa, essendovi stata una cooperazione della vittima in conseguenza degli artifici e raggiri posti in essere dalla coimputata C.L., la quale aveva indotto l'anziana a farla entrare in casa ed a mostrarle e consegnarle le buste contenenti il denaro.

4.2. Con il terzo motivo, infine, deduce violazione di legge per erronea applicazione della legge penale in relazione al mancato riconoscimento della circostanza attenuante della minima partecipazione di cui all'art. 114 c.p., considerato che R. ha svolto un compito del tutto marginale, di talché la sua partecipazione può essere considerata irrilevante, essendo stato lo stesso presente nelle vicinanze del palazzo senza prestare alcun aiuto specifico agli altri imputati, ai quali non ha fornito neppure alcun contributo morale.

5. Con nota in data 1 marzo 2021 il Coordinatore dell'Ufficio spoglio della Quinta Sezione penale ha segnalato al Presidente Aggiunto, per l'eventuale esercizio dei poteri di cui all'art. 610 comma 2, c.p.p., la trattazione dei ricorsi in ragione del contrasto interpretativo oggetto di uno dei motivi di ricorso proposti da C.A., relativo alla possibilità che le circostanze attenuanti, riconosciute in bilanciamento equivalenti con le circostanze aggravanti non privilegiate, producano in ogni caso l'effetto di attenuazione della pena, calcolata tenendo conto dell'aggravamento conseguente alla ritenuta sussistenza delle circostanze aggravanti privilegiate, sottratte a bilanciamento ex art. 69 c.p..

Nel provvedimento si espongono sinteticamente gli orientamenti giurisprudenziali in contrasto.

5.1. Un primo indirizzo esegetico, espresso da Sez. 5, n. 47519 del 17/09/2018, P., Rv. 274181-01, al quale la sentenza impugnata e le deduzioni della difesa del ricorrente fanno esplicito richiamo, ha affermato il principio di diritto, così massimato: "in tema di furto in abitazione, qualora più circostanze aggravanti ed attenuanti, soggette a giudizio di comparazione, concorrano con la circostanza aggravante ad effetto speciale di cui agli art. 624-bis, comma 3 e 625 c.p. (esclusa dal giudizio di bilanciamento), deve essere previamente effettuato il giudizio di comparazione ex art. 69 c.p. e nel caso in cui risultino prevalenti una o più circostanze ad effetto speciale torna applicabile, anche quanto alla aggravante "privilegiata" di cui agli art. 624 bis c.p., comma 3 e art. 625 c.p., il regime del cumulo giuridico di cui all'art. 63 c.p., comma 4, ". Nella citata decisione si osserva, in particolare, che, nella ipotesi di concorso tra aggravante privilegiata ed ulteriori circostanze aggravanti e attenuanti, occorre procedere prima al giudizio di comparazione ai sensi dell'art. 69 c.p., tra circostanze "bilanciabili e, sul risultato così ottenuto, applicare le ulteriori regole di calcolo dettate per l'aggravante privilegiata Li". Si ritiene che non sia consentito prescindere dalla comparazione tra circostanze disomogenee suscettibili di bilanciamento, perché, diversamente, "si perverrebbe al risultato incongruo per cui la sola presenza di una circostanza "privilegiata" determinerebbe una estensione del regime di "privilegio" a tutte le altre circostanze coesistenti, sottraendole al bilanciamento."

L'orientamento ravvisa una identità di ratio rispetto al caso di concorso eterogeneo nel quale sia coinvolta una circostanza attenuante "privilegiata" e richiama la soluzione espressa dalle Sezioni Unite (Sez. U, n. 10713 del 25/02/2010, Contaldo, Rv. 245930 - 01) con riferimento alla cosiddetta attenuante della "dissociazione attuosa" (art. 8 del D.L. 13 maggio 1991 n. 152, convertito dalla L. 12 luglio 1991 n. 203). Le Sezioni Unite hanno affermato che, in caso di riconoscimento di tale attenuante ad effetto speciale, ove ricorrano altre circostanze attenuanti in concorso con circostanze aggravanti soggette al giudizio di comparazione, nella determinazione della pena il giudizio di bilanciamento deve sempre precedere l'applicazione della attenuante privilegiata. Tale opzione ermeneutica, in adesione ai principi già espressi da Sez. U n. 38518 del 27/11/2014, dep. 2015, Ventrici, Rv. 264674-01, afferma che "l'applicazione di criteri di bilanciamento degli elementi circostanziali del reato ex art. 69 c.p., è pregiudiziale rispetto alla regola di cui all'art. 63 c.p., comma 4, ". Pertanto, in caso di concorso tra circostanze disomogenee, l'eventuale riconoscimento di una circostanza attenuante, ove valutata nel giudizio di bilanciamento in termini di equivalenza rispetto ad una o più circostanze aggravanti non privilegiate, non può comportare alcuna diminuzione della pena determinata tenendo conto dell'aggravante privilegiata.

5.2. L'Ufficio Spoglio remittente osserva, poi, che tra i possibili esiti della comparazione, quello che presenta maggiore criticità è rappresentato proprio dal giudizio di equivalenza tra la circostanza attenuante e una o più circostanze aggravanti non privilegiate, con la conseguente neutralizzazione degli effetti sulla determinazione della pena, nel cui computo non si può prescindere dalla contemporanea sussistenza di una aggravante privilegiata.

Un opposto e più recente orientamento - maturato successivamente alla proposizione del ricorso - espresso da Sez. 5, n. 19083 del 26/02/2020, Raidich, Rv. 279209-01, sempre in tema di furto in abitazione ex art. 624-bis c.p., si pone in consapevole dissenso con il precedente. In tale ultima decisione si prospetta una diversa soluzione, preservando l'incidenza degli effetti dell'applicazione delle eventuali circostanze attenuanti riconosciute - anche ove assorbite nel giudizio di comparazione con le circostanze aggravanti non privilegiate - sulla pena determinata in via autonoma per effetto della concorrente circostanza aggravante privilegiata (di cui agli artt. 624-bis c.p., terzo comma e art. 625 c.p.), sottratta al preliminare giudizio di comparazione. In altri termini, il riconoscimento di un'eventuale circostanza attenuante, posta in bilanciamento con una o più circostanze aggravanti non privilegiate, comporterà comunque - tranne che sia ritenuta minusvalente - una diminuzione della pena autonomamente determinata in forza della aggravante privilegiata, esclusa per legge dalla comparazione.

La soluzione proposta da Sez. 5, "Raidich" è fondata su una interpretazione costituzionalmente orientata della norma introduttiva del "privilegio", che disarticola il carattere unitario del giudizio di bilanciamento, assegnando valore preminente alle autonome regole che governano il concorso delle circostanze aggravanti speciali con altre circostanze di segno opposto, strumentali alla determinazione del disvalore complessivo dell'azione delittuosa, allo "scopo di quantificare la pena nel modo più aderente al caso concreto". Vengono in tal modo circoscritti gli effetti del giudizio di bilanciamento tra le attenuanti e le aggravanti non assistite dal "privilegio", così da consentire poi alle attenuanti, in caso di giudizio di equivalenza, di "incidere sulla commisurazione della pena determinata in riferimento all'aggravante privilegiata - a maggior ragione quando tale esito sia normativamente imposto, come nel caso previsto dal comma 4 dell'art. 69 c.p., "In ossequio alla deroga normativamente imposta all'unitarietà del giudizio di bilanciamento ed alla necessità di far riferimento alla disciplina normativa prevista per l'aggravante "blindata" nel rapporto con le attenuanti riconosciute, si osserva che "l'art. 624 bis c.p., comma 4, per l'appunto prevede che sulla pena determinata ai sensi del comma 3 dello stesso articolo debba essere applicata la diminuzione relativa a queste ultime".

6. Con decreto del 2 marzo 2021 il Presidente Aggiunto ha assegnato il ricorso alle Sezioni Unite penali, fissandone la trattazione all'udienza del 29 aprile 2021, che si è tenuta in data odierna nelle forme dell'udienza pubblica a seguito della richiesta di trattazione orale presentata dalla Procura generale in data 23 marzo 2021.

7. In data 22 aprile 2021 il Procuratore generale nella persona del Dott. Giulio Romano, ha depositato articolate note d'udienza con le quali ha argomentato la correttezza del computo effettuato dai giudici di merito, dovendosi escludere che le circostanze attenuanti, riconosciute in giudizio di equivalenza con circostanze aggravanti non privilegiate, possano produrre un ulteriore effetto di attenuazione della pena come risultante dal computo dell'aggravamento dovuto a circostanze aggravanti privilegiate.

 

Diritto

 

1. La questione rimessa alle Sezioni unite è stata formulata nei seguenti termini: "Se le circostanze attenuanti, pur riconosciute in giudizio di equivalenza nel bilanciamento con circostanze aggravanti non privilegiate, debbano produrre in ogni caso il proprio effetto di attenuazione della pena risultante dal computo dell'aggravamento dovuto a circostanze aggravanti privilegiate, contestate e ravvisate."

Il Collegio è chiamato a stabilire se, una volta che siano riconosciute le circostanze attenuanti, queste debbano in concreto operare, incidendo sulla pena del reato aggravato da una circostanza aggravante privilegiata, anche nel caso in cui vi siano circostanze aggravanti non ugualmente privilegiate, cioè aggravanti destinate ad essere sottoposte al bilanciamento ex art. 69 c.p., con le attenuanti.

1.1. La norma che viene in considerazione per la soluzione della questione e', innanzitutto la disposizione di cui all'art. 624 bis, comma 4, c.p., introdotta dalla L. 23 giugno 2017, n. 103, che regola il funzionamento della circostanza aggravante privilegiata, stabilendo che, in caso di furto in abitazione (e furto con strappo) aggravato dalle circostanze di cui all'art. 625 c.p., le attenuanti (salvo che si tratti delle attenuanti di cui agli artt. 98 e 625-bis c.p.) si computano, in assenza di altre aggravanti, solo dopo la determinazione della pena per il reato aggravato. La circostanza aggravante prevista nell'art. 624-bis c.p. va quindi inclusa nella categoria delle circostanze aggravanti privilegiate, ossia a c.d. blindatura forte.

1.2. Invero, non può essere individuata una categoria unitaria di circostanze privilegiate, dal momento che le stesse sono poste a tutela di beni giuridici differenti, sia pure considerati primari.

Rientrano, infatti, tra le circostanze privilegiate quelle previste in tema di terrorismo (D.L. 15 dicembre 1979, n. 625, art. 1, comma 3, convertito dalla L. 6 febbraio 1980, n. 15, art. 280 c.p., comma 5 e, dal 2003, art. 280 bis, comma 5, c.p.), di falsità finalizzate all'indebito conseguimento di contributi statali disposti a favore delle popolazioni colpite dagli eventi sismici in Irpinia (D.L. 26 novembre 1980, n. 776, art. 15 quater, convertito dalla L. 22 dicembre 1980 n. 874), di reati di stampo mafioso (D.L. 13 maggio 1991, n. 152, art. 7, convertito dalla L. 12 luglio 1991, n. 203, ora art. 416 bis.1 c.p.), di contrabbando di tabacchi lavorati esteri (D.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, art. 291 ter, comma 3, ove però il regime di privilegio è limitato al caso di concorso tra le aggravanti di cui alla lettera a del comma 2 della medesima disposizione e le circostanze attenuanti generiche). Alla medesima categoria è riconducibile l'aggravante prevista dalla D.L. 31 dicembre 1991, n. 419, art. 7, convertito dalla L. 8 febbraio 1992, n. 172, in relazione ai delitti elencati nell'art. 275, comma 3, c.p.p., nel caso in cui il determinatore sia stato il genitore che esercita la potestà genitoriale o il fratello o la sorella.

Nel 1993 il legislatore ha accordato il particolare "privilegio" nel giudizio di bilanciamento anche alla circostanza aggravante della discriminazione razziale (art. 3, D.L. 26 aprile 1993, n. 112, convertito dalla L. 25 giugno 1993, n. 205, ora art. 604-ter c.p.).

Nel 2002 sono state "blindate" anche le circostanze aggravanti del reato di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina (art. 12, comma 3-quater, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286) e, successivamente, quelle relative ai reati di riduzione in schiavitù, di tratta e di prostituzione e pornografia minorile (art. 600-sexies c.p., ora 602-ter, comma 10, c.p.), ai reati transnazionali (L. 16 marzo 2006, n. 146, art. 4, ora art. 61 bis, c.p.), alla recidiva reiterata (art. 69 c.p., comma 4), ai reati di omicidio e lesioni colpose causate da chi in versa in uno stato di ebbrezza alcolica in violazione della normativa del Codice della strada (art. 590 quater, c.p.) e all'illecito utilizzo delle tecniche di sperimentazione sugli embrioni (L. 19 febbraio 2004, n. 40, art. 13).

Il catalogo delle circostanze aggravanti dotate di "privilegio", del cui regime edittale viene garantita ex lege l'applicazione nel confronto con concorrenti circostanze di segno opposto, è stato successivamente ampliato in modo significativo per effetto della L. 15 luglio 2009, n. 94, recante "disposizioni in materia di sicurezza pubblica", che le ha previste per i reati posti a tutela del patrimonio, in relazione a condotte aggressive particolarmente violente o insidiose, come nel caso delle ipotesi aggravate di rapina od estorsione, oppure nuovamente in tema di sicurezza stradale con riferimento a condotte di guida particolarmente pericolose per l'incolumità altrui (D.Lgs. n. 30 aprile 1992, n. 295, artt. 186, comma 2-sexies e art. 187, comma 1-quater).

1.3. Nella tipizzazione di una circostanza aggravante "privilegiata" il legislatore enuncia il divieto di prevalenza e di equivalenza delle concorrenti circostanze attenuanti e dispone che "le diminuzioni di pena si operano sulla quantità della stessa risultante dall'aumento conseguente alla predetta aggravante", dizione utilizzata anche nell'art. 624 bis c.p., ultimo comma, applicato nel caso qui all'esame.

La formula normativa recepisce le indicazioni dettate dalla Corte costituzionale con le sentenze n. 38 del 1985 e n. 194 del 1985, sentenze che hanno escluso la illegittimità costituzionale di un'aggravante "privilegiata" (nel primo caso, quella della finalità di terrorismo che il D.L. 15 dicembre 1979, n. 625, art. 1, comma 3, convertito dalla L. 6 febbraio 1980, n. 15 ha stabilito non sia bilanciabile con circostanze eterogenee; nel secondo quella prevista dall'art. 280 c.p., ultimo comma), ritenendo che anche rispetto ad essa le circostanze attenuanti possono operare, non in virtù del bilanciamento - vietato a favore delle attenuanti - ma in virtù del disposto dell'art. 63 c.p., comma 3, che, in caso di riconoscimento di circostanze ad effetto speciale, stabilisce che l'aumento o la diminuzione di pena conseguenti ad altre circostanze non operino sulla pena ordinaria del reato, ma sulla pena stabilita per la circostanza anzidetta.

Va ricordato che il Giudice delle leggi ha offerto in tali occasioni anche un'interpretazione correttiva, finalizzata ad individuare un eventuale spazio di applicazione delle circostanze attenuanti nel caso di concorso con un'aggravante privilegiata, rimettendo al giudice l'alternativa se effettuare il bilanciamento, dall'esito vincolato ope legis in favore dell'aggravante, oppure non effettuarlo ed applicare congiuntamente gli aumenti e le diminuzioni di pena ex art. 63 c.p. Secondo tale prospettazione, la discrezionalità del giudice attiene non al contenuto della valutazione comparativa delle circostanze, ma alla fase antecedente, ossia al momento della scelta se procedere o meno al giudizio di bilanciamento, posponendo l'operatività del vincolo normativo di prevalenza dell'aggravante "blindata" ad una fase successiva. Nelle citate decisioni si sottolinea che il vincolo imposto dalla legge alla circostanza "privilegiata" altera il "perfetto equilibrio valutativo" fondato sulla possibilità per il giudice di addivenire ad uno dei tre esiti della valutazione comparativa (in termini di prevalenza, soccombenza o equivalenza), per cui tale giudizio non può più essere considerato obbligatorio, pena l'assoluta irrazionalità del sistema, ma facoltativo, con possibilità per il giudice di applicare disgiuntamente attenuanti ed aggravanti.

1.4. Come detto, la norma cardine da applicare in caso di concorso tra circostanze eterogenee è l'art. 69 c.p., che prevede che il giudice effettui il giudizio di bilanciamento tra le stesse, concludendo per l'equivalenza, ovvero la prevalenza o minusvalenza delle circostanze attenuanti poste in bilanciamento con le circostanze aggravanti. Un vincolo alla discrezionalità del giudizio di bilanciamento previsto da tale disposizione è stato introdotto dalla L. 5 dicembre 2005, n. 251 (nota come c.d. ex-Cirielli), che, modificando l'art. 69 c.p., comma 4, ha stabilito il divieto di prevalenza delle circostanze attenuanti rispetto alla recidiva reiterata, limitando la comparazione favorevole all'imputato alla sola equivalenza. La recidiva ex art. 99 c.p., comma 4, ha, pertanto, carattere di circostanza a "privilegio" parziale, ovvero a c.d. blindatura debole, nel senso che si sottrae al bilanciamento in termini di minusvalenza, ma ha resistenza parzialmente vincibile mediante la neutralizzazione del possibile aumento a seguito di un giudizio di equivalenza con le circostanze attenuanti.

1.5. La disposizione dell'art. 63 c.p., comma 3, stabilisce, come detto, che in presenza di circostanze aggravanti ad effetto speciale - definite tali in quanto comportano un aumento della pena superiore ad un terzo - l'aumento (o la diminuzione) per altre circostanze concorrenti non opera sulla pena ordinaria del reato, ma sulla pena stabilita per la circostanza stessa, con la precisazione, stabilita nel comma 4 della medesima disposizione, che, in caso si tratti di concorso tra circostanze aggravanti ad effetto speciale, vige la regola del computo obbligatorio della sola circostanza più grave, restando facoltativo un aumento per la meno grave, nei limiti di un terzo della pena.

2. Premesse tali basi normative, vanno analizzati i fondamentali passaggi logici delle sentenze che hanno dato vita al contrasto, a seguito di una diversa valutazione delle scansioni temporali del procedimento di computo della pena per il reato di furto in abitazione, in presenza di circostanze aggravanti privilegiate con altri elementi circostanziali attenuanti.

2.1. La decisione Sez. 5, n. 47519 del 17/09/2018, P., Rv. 274181-01 si pone in continuità con l'indirizzo che esclude in radice ogni incidenza di circostanze attenuanti, "neutralizzate" da un precedente valutazione di equivalenza rispetto alle circostanze aggravanti, sul computo della pena indicata in relazione all'aggravante "privilegiata". Infatti, la sottrazione della circostanza aggravante "privilegiata" al bilanciamento, il quale opera solo tra le circostanze attenuanti e le circostanze aggravanti "non privilegiate" in modo assoluto, comporta che la pena determinata per effetto della aggravante "privilegiata" può essere diminuita solo nel caso in cui il giudizio di bilanciamento tra circostanze parimenti bilanciabili si sia concluso valutando prevalente la circostanza attenuante sulle aggravanti. Tale soluzione si muove nel rispetto della ratio sottesa alla previsione del "privilegio", che è quella di impedire la neutralizzazione dell'elemento circostanziale, qualificante in misura aggravata la pena e dotato dal legislatore di particolare "resistenza", attraverso il giudizio di bilanciamento con circostanze attenuanti: quindi, secondo tale orientamento, la diminuzione della pena sull'entità di essa, risultante dall'aumento relativo alla aggravante privilegiata, opererebbe solo nel caso in cui l'attenuante risulti prevalente.

La sentenza n. 47519 del 2018 precisa che, in ipotesi di furto in abitazione, "qualora più circostanze aggravanti ed attenuanti, soggette a giudizio di comparazione, concorrano con la circostanza aggravante ad effetto speciale di cui agli art. 624-bis, comma 3, e 625 c.p. (esclusa dal giudizio di bilanciamento), deve essere previamente effettuato il giudizio di comparazione ex art. 69 c.p. e nel caso in cui risultino prevalenti una o più circostanze ad effetto speciale torna applicabile, anche quanto alla aggravante "privilegiata" di cui agli artt. 624 bis c.p., comma 3 e art. 625 c.p., il regime del cumulo giuridico di cui all'art. 63 c.p., comma 4, ". Nella parte motiva i giudici osservano che, in caso di concorso omogeneo con ulteriori aggravanti, va applicato il "cumulo giuridico" di cui all'art. 63 c.p., comma 4, con facoltà del giudice di apportare un ulteriore aumento sulla pena stabilita per la circostanza più grave. Al contrario, in caso di concorso tra una circostanza aggravante "privilegiata" ed ulteriori circostanze aggravanti e attenuanti, il giudice deve procedere prima al giudizio di comparazione ai sensi dell'art. 69 c.p., tra le circostanze eterogenee bilanciabili, per poi applicare, sul risultato così ottenuto, le ulteriori regole di calcolo dettate per l'aggravante "privilegiata". Diversamente "la sola presenza di una circostanza "privilegiata" determinerebbe una estensione del regime di "privilegio" a tutte le altre circostanze coesistenti, sottraendole al bilanciamento". A tale proposito va ricordato che la giurisprudenza di legittimità ha già censurato l'estensione da parte del giudice di merito della deroga alla disciplina di cui all'art. 69 c.p., prevista per un'aggravante "privilegiata", ad altra non "privilegiata" (così Sez. 4, n. 53280 del 21/09/2017, Bruni, Rv. 271354 - 01, in riferimento all'aggravante "privilegiata" di cui all'art. 186, comma 2-sexies C.d.S.), ribadendo che all'aumento della pena per la circostanza "privilegiata" deve far seguito la comparazione dell'aggravante ulteriore con le attenuanti riconosciute, che potranno ridurre la pena complessiva, solo in quanto ritenute prevalenti all'esito del giudizio di bilanciamento.

2.2. Tale indirizzo è stato confermato anche da Sez. 5, n. 15690 del 04/05/2020, Cuomo, non mass., Sez. 2, n. 29601 del 09/04/2019, Vitanostra, Rv. 276575 - 01 (pronuncia relativa alla circostanza aggravante privilegiata di cui all'art. 628, comma 3, n. 3-bis, c.p.) e Sez. 2, n. 36870 del 17/04/2018, Di Sarno, Rv. 273431 - 01, non massimata sul punto, sempre con riferimento al delitto di rapina commessa in luogo di privata dimora. Nel medesimo senso si è pronunciata anche Sez. 5, n. 2484 del 5/11/2020, Loiodice e altri, non mass., secondo la quale "anche laddove il giudizio di bilanciamento avesse condotto al risultato più favorevole per l'imputato consentito dall'art. 69, ultimo comma, c.p., ossia quello dell'equivalenza, la pena avrebbe dovuto essere pari a quella conseguente all'applicazione del solo aumento previsto dall'art. 624 bis c.p., comma 3".

2.3. Il punto di forza di questo orientamento è costituito dal principio affermato da Sez. U, n. 10713 del 25/02/2010, Contaldo, Rv. 245930 - 01, relativo all'ipotesi speculare del concorso di circostanze disomogenee con l'attenuante "privilegiata" della "dissociazione attuosa", prevista dall'art. 8, D.L. 13 maggio 1991 n. 152, convertito dalla L. 12 luglio 1991 n. 203. Secondo le Sezioni Unite, ove ricorrano altre circostanze attenuanti ed aggravanti, il giudizio di comparazione deve sempre precedere l'applicazione dell'attenuante "privilegiata". In particolare tale decisione prefigura, ai fini della applicazione della circostanza "privilegiata", tre possibili evenienze, in funzione dell'esito del giudizio di comparazione tra le circostanze attenuanti e le aggravanti bilanciabili. In caso di prevalenza delle circostanze attenuanti le relative diminuzioni di pena opereranno sulla quantità di pena risultante dall'aumento previsto ed applicato per l'aggravante "privilegiata", cui viene garantita piena operatività; in caso di esito di equivalenza, invece, le attenuanti non potranno incidere sulla pena determinata dall'aggravante "privilegiata", per effetto della elisione con le circostanze aggravanti ad effetto speciale e, del pari, non potrà trovare applicazione il disposto di cui all'art. 63 c.p., comma 4; le disposizioni di cui all'art. 63, terzo e comma 4, c.p., torneranno applicabili nel caso di prevalenza delle circostanze aggravanti.

3. L'opposto orientamento (affermato da Sez. 5, n. 19083 del 26/02/2020, Raidich, Rv. 279209-01) ritiene, invece, che alla pena, determinata in relazione alla circostanza aggravante "privilegiata", sia applicabile la diminuzione per le circostanze attenuanti, pur se ritenute equivalenti all'esito di un giudizio di bilanciamento con circostanze aggravanti diverse da quella "privilegiata". Si è così posto in consapevole dissenso con il precedente indirizzo, affermando il seguente principio di diritto: "In tema di furto in abitazione, qualora più circostanze aggravanti ed attenuanti soggette a giudizio di comparazione concorrano con la circostanza aggravante privilegiata di cui agli artt. 624 bis c.p., comma 3, e art. 625 c.p., sulla pena determinata in ragione dell'aumento applicato per questa, sottratta al giudizio di comparazione, deve essere calcolata la diminuzione per le eventuali attenuanti riconosciute, ancorché queste siano state separatamente assorbite con giudizio di equivalenza nel bilanciamento con altre aggravanti non privilegiate".

Tale indirizzo ritiene che non debba mai essere vanificato l'effetto mitigatore delle circostanze attenuanti sulla circostanza aggravante "privilegiata", salva l'ipotesi di una loro dichiarata minusvalenza, in ossequio al principio di proporzionalità della pena al quale deve essere ricondotta anche la disciplina delle circostanze "privilegiate". In tal modo il giudizio di bilanciamento tra circostanze viene scisso e riservato alle sole circostanze aggravanti ed attenuanti non assistite dal "privilegio" e viene valorizzata per ciascuna circostanza aggravante "privilegiata" la propria disciplina di riferimento nel rapporto con le circostanze attenuanti riconosciute. Secondo tale impostazione la pena può essere quantificata nel modo più aderente al caso concreto, seguendo un'interpretazione costituzionalmente orientata.

3.1. Tale indirizzo è stato recentemente ribadito anche da Sez. 5, n. 7246 del 13/01/2021, Cannavò, Rv. 280475-01 e da Sez.5, n. 34317 del 18/09/202, Cruz, non mass. che, nel ritenere illegale la pena determinata in violazione del divieto di bilanciamento per l'aggravante di cui all'art. 624-bis c.p., hanno richiamato il principio espresso da Sez. 5, "Raidich".

Le citate sentenze giustificano il loro approdo ermeneutico con la necessità di una interpretazione costituzionalmente conforme della disciplina dei rapporti tra circostanze "privilegiate" e senza "privilegio": "In un'ottica costituzionalmente orientata, le norme che configurano il "privilegio" in relazione ad alcune aggravanti (oltre all'art. 624 bis c.p., comma 4, l'art. 628 c.p., comma 5, l'art. 416 bis.1 c.p., comma 2, l'art. 604 ter c.p., comma 2, l'art. 186 septies C.d.S., comma 2) possono e devono dunque essere interpretate nel senso per cui, una volta sottratta l'aggravante ad un compiuto giudizio di bilanciamento, comunque sulla pena determinata in ragione dell'aumento applicato per la stessa deve essere calcolata la diminuzione per le eventuali attenuanti riconosciute, ancorché queste siano state separatamente assorbite con giudizio di equivalenza nel bilanciamento con altre aggravanti non privilegiate." (in tal senso Sez.5, n. 19083 del 26/02/2020, cit.).

4. La Corte ritiene che la questione sottoposta al suo esame vada risolta in adesione al primo indirizzo. Essa presuppone una riflessione sui rapporti tra principio di legalità e discrezionalità del giudice, rapporto il cui dispiegarsi ha animato le modifiche normative in tema di circostanze del reato che si sono succedute nel tempo.

In base all'originaria formulazione dell'art. 69, comma 4, c.p., era previsto un regime differenziato per le circostanze aggravanti per le quali la legge stabiliva una pena di specie diversa o determinava la misura della pena in modo indipendente da quella ordinaria del reato (cosiddette circostanze indipendenti o ad effetto speciale), che erano sottratte al bilanciamento. La successiva riforma apportata alla disposizione con il D.L. 11 aprile 1974, n. 99, contenente provvedimenti urgenti sulla giustizia penale, convertito dalla L. 7 giugno 1974, n. 220, ampliava, invece, l'ambito della discrezionalità del giudice estendendo il giudizio di bilanciamento a qualsiasi circostanza (anche a quelle per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa o determina la misura della pena in modo indipendente da quella ordinaria del reato.)

4.1. Successivamente il legislatore ha nuovamente introdotto l'esclusione dal meccanismo della comparazione tra circostanze eterogenee in riferimento ad alcune aggravanti, qualificate come "privilegiate", al fine di perseguire una politica di più rigoroso contrasto di alcune condotte delittuose. E' stato così limitato l'ambito della discrezionalità del giudice che, in presenza delle circostanze aggravanti "privilegiate", potrà tenere conto delle circostanze attenuanti solo dopo aver calcolato l'aggravamento di pena previsto per le citate aggravanti.

In tale prospettiva si richiamano il D.L. 15 dicembre 1979, n. 625, concernente misure urgenti per la tutela dell'ordine democratico e della sicurezza pubblica, convertito dalla L. 6 febbraio 1980, n. 15, relativo ai reati commessi con finalità di terrorismo e di eversione e la L. 31 luglio 1984, n. 400, recante "Nuove norme sulla competenza penale" (che ha introdotto modifiche all' art. 63 c.p., comma 3), e le altre leggi già menzionate al par. 1.2., le quali hanno tipizzato specifiche circostanze aggravanti "privilegiate", sottratte al giudizio di bilanciamento.

5. La deroga al bilanciamento in caso di circostanza aggravante "privilegiata", come detto (cfr. par. 1.3.), è stata ritenuta legittima dal Giudice delle leggi con la sentenza n. 38 del 1985, dove la Corte costituzionale ha affermato che "(n)ell'art. 69 cod. pen (...) l'obbligatorietà del giudizio di bilanciamento ha una sua razionalità nell'essenza stessa di quella valutazione, che è giudizio di valore globale del fatto. Ma il legislatore può sospendere l'applicazione dell'art. 69 c.p., togliendo al giudice il potere discrezionale di operare il bilanciamento a compensazione delle aggravanti o a favore delle attenuanti in un'ottica di inasprimento sanzionatorio. Si tratta di una "grave limitazione" che in sé non è illegittima, ma non può accompagnarsi anche alla irrilevanza ex lege delle circostanze attenuanti. Con questa limitazione, si è quindi riconosciuto che appartiene alla discrezionalità del legislatore introdurre speciali ipotesi di circostanze aggravanti privilegiate che siano sottratte al bilanciamento di cui all'art. 69 c.p., ". Tale principio è stato puntualmente ribadito nella sentenza n. 88 del 2019.

Se è del tutto corretto considerare il giudizio di bilanciamento tra circostanze eterogenee una valutazione globale del fatto e un momento di esercizio della discrezionalità del giudice, è parimenti in linea con i principi costituzionali che tale discrezionalità sia limitata, ovvero, rectius, vincolata, dal legislatore in riferimento alla presenza di circostanze aggravanti "privilegiate".

Quindi, una volta che il giudice, nell'ambito della sua discrezionalità, abbia individuato i profili costitutivi di una circostanza aggravante "privilegiata", egli è vincolato nel meccanismo di calcolo della pena secondo quanto previsto dalla specifica disposizione e, in presenza di altre circostanze eterogenee, non può scegliere un itinerario di commisurazione della sanzione diverso da quello disegnato dagli artt. 69 e 63 c.p.: deve, perciò, operare il giudizio bilanciamento tra circostanze aggravanti che lo consentono e circostanze attenuanti e stabilire all'esito la pena conseguente all'applicazione dell'art. 63, comma 4, c.p., in caso di minusvalenza, ovvero dell'art. 63, comma 5, in caso di prevalenza delle circostanze attenuanti.

5.1. Del resto le Sezioni Unite Contaldo, nell'occuparsi della circostanza attenuante "privilegiata" D.L. 13 maggio 1991, n. 152, ex art. 8 (la c.d. dissociazione attuosa), hanno evidenziato la necessità che le esigenze sottostanti alla premialità non obliterino il fatto di reato nella sua oggettiva gravità, la quale deve sempre essere rimessa alla valutazione del giudice, anche attraverso il giudizio di comparazione tra le circostanze.

Quindi, specularmente, il giudice può ritenere prevalenti le circostanze attenuanti a seguito del giudizio di bilanciamento, con possibilità di mitigare la pena stabilita per il fatto di reato aggravato dalla circostanza munita di "privilegio", tenendo in pari considerazione sia la particolare gravità ritenuta dal legislatore che l'esigenza di valutazione dello specifico fatto sotto il profilo della sua concreta offensività.

L'assunto ha trovato conferma anche in Sez. U, n. 38518 del 27/11/2014 - dep. 2015 - Ventrici, Rv. 264674 - 01, che hanno sottolineato la necessità di salvaguardare i criteri di bilanciamento previsti dall'art. 69 c.p., per il concorso di circostanze eterogenee e quelli di cui all'art. 63 c.p., per l'ipotesi di concorso omogeneo di circostanze, derivanti dalla coesistenza di più circostanze aggravanti ad effetto speciale, ovvero di più circostanze attenuanti ad effetto speciale.

6. Per quanto appena illustrato non risulta corretta la prospettazione suggerita dal diverso itinerario interpretativo della sentenza "Raidich", che evoca la problematica della proporzionalità della pena, dalla quale fa discendere la necessaria operatività delle circostanze attenuanti sulla pena derivante dall'applicazione della circostanza aggravante "privilegiata", anche all'esito di un giudizio di mera equivalenza delle attenuanti con altra circostanza aggravante bilanciabile. Ad avviso del Collegio, tale pronuncia rischia di vanificare il giudizio di bilanciamento che rappresenta, come detto, la valutazione di gravità del fatto operata in concreto dal giudice. Non appare, inoltre, rispettosa della chiara volontà del legislatore che, con scelta espressiva della sua ragionata discrezionalità, ha inteso porre limiti alla discrezionalità giudiziale nella commisurazione della pena con riguardo a delitti connotati da obiettiva gravità. Non si confronta, inoltre, con l'insegnamento della Corte costituzionale (sentenze nn. 38 e 194 del 1985 e n. 88 del 2019) che ha chiarito che "ben può il legislatore dare un diverso ordine al gioco delle circostanze", con l'obiettivo di una maggiore individualizzazione e senza irrigidimenti (così la sentenza n. 88 del 2019).

Occorre, altresì, osservare che, a seguire il disatteso orientamento, sia le circostanze attenuanti ritenute prevalenti che quelle giudicate solo equivalenti all'esito del giudizio di bilanciamento avrebbero la medesima incidenza sulla pena da comminare al reato di furto aggravato; inoltre, in questo secondo caso, si assisterebbe ad un'applicazione "duplice" della circostanza, destinata ad operare, contestualmente, con effetti "neutri" all'esito del giudizio di bilanciamento e con effetti invece "concreti", in forza del disposto di cui all'art. 624 bis c.p., comma 4, concepito per il diverso caso in cui non venga in considerazione la necessità di bilanciamento delle attenuanti con aggravanti diverse da quella ivi prevista.

La soluzione della sentenza "Raidich" risulta non convincente anche sotto altro profilo. Infatti il sistema delle circostanze del reato, che disciplina l'applicazione degli aumenti o diminuzioni di pena in caso di circostanze omogenee ex art. 63 cod. pen ed il bilanciamento in caso di concorso di circostanze eterogenee ex art. 69 c.p., non consente di sottrarre al giudizio di bilanciamento le circostanze attenuanti e le circostanze aggravanti che non risultino munite di "privilegio", fermo restando il vincolo indicato all'art. 69, comma 4, c.p. Pertanto, nel caso in cui tale bilanciamento si concluda, in applicazione del disposto di cui all'art. 69 c.p., comma 4, con un giudizio di equivalenza tra le circostanze attenuanti generiche e la recidiva, il computo finale deve arrestarsi alla modulazione della pena edittale prevista ex art. 624 bis, comma 4, c.p..

Peraltro, sembra quasi superfluo osservare che gli elementi mitigatori che sono stati riconosciuti quali circostanze attenuanti generiche, "neutralizzate" dalla recidiva reiterata, possono pur sempre trovare considerazione nell'ambito dei criteri di commisurazione della pena di cui all'art. 133 c.p., quando il giudice ritenga che il giudizio di equivalenza non abbia esaurito la portata attenuatrice delle circostanze riconosciute all'imputato nel caso specifico.

7. La peculiarità del caso di specie, nel quale la circostanza aggravante concorrente con quella "privilegiata" di cui all'art. 624 bis c.p., comma 4, è la recidiva reiterata, impone le seguenti ulteriori osservazioni.

Come già illustrato, a seguito della riforma della L. 5 dicembre 2005, n. 251, c.d. ex Cirielli, il giudizio di bilanciamento delle circostanze attenuanti rispetto alla circostanza aggravante della recidiva ex art. 99 c.p., comma 4, è stato limitato, seppure solo parzialmente, avendo il legislatore escluso la possibilità di dichiarare le circostanze attenuanti prevalenti su tale circostanza aggravante ad effetto speciale, con le sole eccezioni per quelle espressamente incluse dalle sentenze pronunciate dalla Corte costituzionale, che hanno dichiarato l'illegittimità parziale della disposizione proprio laddove prevede il divieto di prevalenza per alcune specifiche circostanze attenuanti (tra esse, l'attenuante di cui all'art. 648, comma 2, c.p. e quella di cui all'art. 609 bis c.p., comma 3, l'attenuante di cui al D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 73, comma 7, e quella di cui al R.D. 16 marzo 1942, n. 267, art. 219, comma 3).

A tale proposito va sottolineato che la questione di legittimità costituzionale riguardante il divieto di prevalenza delle circostanze attenuanti generiche rispetto alla recidiva ex art. 99 c.p., comma 4, è stata ritenuta manifestamente infondata da Sez. 6, n. 16487 del 23/03/2017, Giordano, Rv. 269522 - 01, secondo cui tale deroga alla ordinaria disciplina del bilanciamento non determina una manifesta sproporzione del trattamento sanzionatorio, limitandosi a "valorizzare, in misura contenuta, la componente soggettiva del reato, qualificata dalla plurima ricaduta del reo in condotte trasgressive di precetti penalmente sanzionati", senza risultare manifestamente irragionevole, secondo quanto evidenziato nelle sentenze della Corte costituzionale, che hanno affermato che le deroghe al bilanciamento, possibili e rientranti nell'ambito delle scelte del legislatore, sono sindacabili solo "ove trasmodino nella manifesta irragionevolezza o nell'arbitrio" (sent. n. 68 del 2012; in senso conforme sent. n. 251 del 2012, n. 105 del 2014, n. 106 del 2014).

7.1. La recidiva, al pari di altri elementi circostanziali, esplica un'efficacia extraedittale, atteso che è idonea a condurre la sanzione penale oltre i tetti di pena fissati dalla comminatoria edittale e, al contempo, assolve alla funzione di commisurazione della pena, fungendo da strumento di adeguamento della sanzione al fatto, considerato sia nella sua obiettiva espressione che nella relazione qualificata con il suo autore. In tal senso depone tutta la complessa ed articolata elaborazione giurisprudenziale di questa Corte, successiva all'entrata in vigore della L. n. 251 del 2005, a partire dalla problematica concernente la natura della recidiva reiterata (art. 99 c.p., comma 4) e la sua incidenza sul giudizio di valenza ex art. 69 c.p., comma 4. Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, la recidiva è una circostanza pertinente al reato che richiede un accertamento, nel caso concreto, della relazione qualificata tra l'autore e il fatto che deve risultare sintomatico, in riferimento alla tipologia dei reati pregressi e all'epoca della loro consumazione, sia sul piano della colpevolezza che su quello della pericolosità sociale (Sez. U, n. 35738 del 27/05/2010, Calibe'; Sez. U, n. 20798 del 24/02/2011, Indelicato). Da qui il ripudio di qualsiasi automatismo, ossia dell'instaurazione presuntiva di una relazione qualificata tra status della persona e reato commesso e il recupero della valutazione discrezionale cui è correlato uno specifico obbligo motivazionale (Sez. U, n. 20798 del 2011, Indelicato, cit; Corte Cost. sent. n. 192 del 2007; ord. n. 409 del 2007, n. 33 del 2008, n. 90 del 2008, n. 193 del 2008, n. 257 del 2008; sent. n. 291 del 2010).

Ne consegue che, una volta ritenuta sussistente e concretamente applicata dal giudice, la recidiva determina l'operatività del bilanciamento disciplinato dall'art. 69 c.p., con piena conformità del trattamento sanzionatorio al principio di proporzionalità della pena (art. 27 Cost.)

7.2. In tema di giudizio di bilanciamento tra le circostanze attenuanti e la recidiva ex art. 99 c.p., comma 4, la Corte ritiene che non sia affatto irragionevole la disciplina dettata dall'art. 69 c.p., comma 4, che non consente una valutazione di prevalenza delle circostanze attenuanti, ma solo di minusvalenza od equivalenza, atteso che non sussiste alcun automatismo nel riconoscimento della sussistenza della recidiva, la quale, come detto, non corrisponde ad un mero status desumibile dal certificato penale, ma rappresenta una concreta espressione di una maggiore colpevolezza o pericolosità sociale in relazione al reato commesso, ove ritenuta sussistente dal giudice. In tal caso, quindi, risulta coerente che la stessa possa produrre un sostanziale aggravamento della risposta punitiva, quanto meno neutralizzando l'incidenza delle circostanze attenuanti.

8. Le considerazioni sinora svolte consentono di ribadire la valutazione di ragionevolezza del vincolo alla discrezionalità del giudice, imposto con le circostanze aggravanti "privilegiate" previste nell'art. 624 bis c.p., rispetto alle quali appare ragionevole la imposizione del vincolo di prevalenza e il ridotto ambito di efficacia di circostanze attenuanti ritenute sussistenti dal giudice.

La Corte costituzionale, con la sentenza n. 117 del 2021, emessa all'esito della camera di consiglio del 12 maggio 2021 e depositata il 7 giugno 2021 nelle more della redazione della presente motivazione, ha dichiarato infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 624 bis c.p., nel testo vigente, quanto alla previsione derogatoria del giudizio di bilanciamento con le circostanze attenuanti. Il Giudice delle leggi ha osservato che da un lato "e' precluso anche il giudizio di equivalenza oltre che di prevalenza, così rafforzandosi il ‘privilegiò delle aggravanti", ma, per altro verso, ha osservato che è stabilito che le diminuzioni di pena per le circostanze attenuanti riconosciute siano apportate a valere "sulla quantità della stessa risultante dall'aumento conseguente alle predette circostanze aggravanti" ed ha ritenuto che nella fattispecie del furto in abitazione "il divieto di bilanciamento è posto a servizio di un bene giuridico di primario valore - l'intimità della persona raccolta nella sua abitazione -, al quale il legislatore ha scelto di assegnare una tutela rafforzata, con opzione discrezionale e non irragionevole".

9. Nel caso di specie i giudici di merito hanno sviluppato una motivazione esaustiva e puntuale sia in punto di riconoscimento della recidiva in capo agli imputati C.A. e C.L. (ritenuta la sussistenza della recidiva reiterata specifica per C.A. e reiterata specifica ed infra-quinquennale per C.L.), sia quanto alle ragioni del giudizio di equivalenza tra la stessa e le circostanze attenuanti generiche, all'esito del quale nessuna ulteriore portata mitigatoria risultava residuare, tenuto anche conto della determinazione della pena base stabilita in riferimento al reato commesso.

Va anche rilevato che il punto specifico della riconosciuta recidiva non è stato riproposto in questa sede di legittimità dai ricorrenti C.A. e C.L., che pure avevano censurato il tema innanzi ai giudici di appello. E comunque è solo C.A. a proporre doglianza in merito alle modalità del computo della pena perché, nonostante il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, ritenute equivalenti alla recidiva, le stesse non avevano avuto alcun effetto mitigatorio sulla pena complessiva stabilita per il furto in abitazione con l'aggravante privilegiata ex art. 624 bis c.p., comma 3.

10. In riferimento al quesito come proposto deve pertanto essere affermato il seguente principio di diritto:

"Le circostanze attenuanti che concorrono sia con circostanze aggravanti soggette a giudizio di comparazione ai sensi dell'art. 69 c.p., che con circostanza che invece non lo ammette in modo assoluto, devono essere previamente sottoposte a tale giudizio e, se sono ritenute equivalenti, si applica la pena che sarebbe inflitta - per il reato aggravato da circostanza "privilegiata" se non ricorresse alcuna di dette circostanze."

11. All'esito della disamina svolta, risulta evidente l'infondatezza delle censure avanzate da C.A.. Nessun errore di diritto è stato compiuto nella sentenza impugnata in relazione al computo della pena per avere effettuato il giudizio di bilanciamento tra le circostanze attenuanti generiche e la recidiva ex art. 99 c.p., comma 4.

Non assume alcuna rilevanza la considerazione svolta dal ricorrente sul fatto che la pena, per effetto della recidiva, avrebbe potuto essere aumentata solo nella misura di un anno e sei mesi di reclusione, in virtù del disposto dell'ultimo comma dell'art. 99 c.p., posto che la circostanza aggravante della recidiva reiterata specifica, addebitata al ricorrente, è stata neutralizzata dal giudizio di bilanciamento.

Deve, infatti, osservarsi che il computo suggerito nel ricorso, mediante l'applicazione della norma che facoltizza il giudice ad operare un aumento in caso di plurime circostanze aggravanti, non considera gli effetti del riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, che può comportare una diminuzione della pena (fino ad un terzo, ma anche di un solo giorno), di talché l'ipotesi formulata dal ricorrente di un più benevolo trattamento sanzionatorio risulta del tutto astratta e non si confronta con le specifiche motivazioni in punto di dosimetria sanzionatoria già contenute nella sentenza di primo grado e fatte proprie dai giudici dell'appello.

Pertanto i motivi di ricorso proposti da C.A. vanno respinti, con conseguente condanna dello stesso al pagamento delle spese del procedimento.

12. Quanto al ricorso proposto da C.L., va rilevato che lo stesso risulta manifestamente infondato. Deve essere, infatti, evidenziato che la ricorrente ripropone la richiesta di riqualificare il reato ascritto nell'ipotesi di truffa, senza alcun confronto con la sentenza impugnata che, in risposta al medesimo motivo proposto in appello - con argomentazioni del tutto sovrapponibili a quelle qui svolte -, ha evidenziato come l'apprensione delle banconote fosse conseguenza non già di una condotta ingannatoria, che era stata funzionale solo a carpire la fiducia nell'anziana - la quale aveva perciò consentito l'ingresso della donna nella sua abitazione -, ma dell'azione di impossessamento posta in essere da C.L., previo abile scambio del contenuto della busta che conteneva il denaro.

12.1. La qualificazione giuridica, che attiene alla ricostruzione del fatto operata all'esito dei giudizi di merito e non è censurabile in sede di legittimità, risulta in linea con l'orientamento giurisprudenziale secondo il quale è configurabile il delitto di furto aggravato dall'uso del mezzo fraudolento allorquando lo spossessamento si verifica invito domino, mentre ricorre la truffa nel caso in cui il trasferimento del possesso della res si realizza con il consenso, seppure viziato dagli altrui artifici o raggiri, della vittima (cfr., ex multis, Sez.4, n. 5435 del 09/11/2018, dep. 2019, Morabito, Rv. 275019 - 01, che ha ritenuto e integrato il reato di furto aggravato in quanto l'imputato, dopo avere determinato la vittima ad introdurre gioielli prelevati dalla propria abitazione in una borsetta, ed averla fatta salire sulla propria autovettura, la aveva poi indotta a scendere con una scusa e si era allontanato con la borsetta ed il suo contenuto), ossia quando nella fase risolutiva del processo causale il risultato dell'impossessamento sia il risultato della condotta dell'autore del reato con carattere di usurpazione unilaterale (in tal senso, da ultimo, Sez. 5, n. 36864 del 23/10/2020, Fuzio, Rv. 280323 - 01; Sez. 2, n. 29567 del 27/03/2019, Bevilacqua, Rv. 276113 - 02).

13. Infine per quello che riguarda il ricorso avanzato da R.F., il primo motivo risulta manifestamente infondato ed è aspecifico. Il ricorrente si duole di non essere stato assistito in grado di appello dal difensore di fiducia rinunciante al mandato e di non avere fruito della nomina di un difensore di ufficio per la discussione. Orbene è principio consolidato che la rinuncia al mandato difensivo (art. 107 c.p.p., comma 3) non ha effetto fino a quando l'imputato non abbia nominato un nuovo difensore di fiducia o, in mancanza, non sia stato designato dal giudice un difensore d'ufficio (in tal senso, cfr. Sez.1, n. 46435 del 13/09/2019, Lapadat, Rv.277795 - 01; Sez.5, n. 3094 del 19/11/2015, dep. 2016, Arnoldo, Rv. 266052 - 01).

Nel caso di specie, dall'esame degli atti, consentito in presenza della deduzione di un error in procedendo ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c) (S.U. n. 42792 del 31/10/2001, Policastro, Rv. 220092 - 01), risulta che:

- la rinuncia al mandato era stata comunicata alla cancelleria via pec una settimana prima dell'udienza di discussione;

- il difensore rinunciante, Avv. Riccardo Passeggi, al momento della costituzione del rapporto processuale in appello, all'udienza del 2 ottobre 2019 non fece alcuna eccezione e formulò le conclusioni, riportandosi ai motivi di appello e chiedendone l'accoglimento, così come emerge dal verbale d'udienza.

In tale modo il difensore ha continuato ad esercitare il suo mandato, così come prescritto dall'art. 107 c.p.p., comma 3, e non si è verificata alcuna lesione del diritto di difesa dell'imputato. Il ricorrente, d'altra parte, non specifica le conseguenze per lui negative asseritamente verificatesi nel caso concreto, in ragione della mancata nomina di un difensore di ufficio.

13.1. Per quanto attiene al secondo motivo, lo stesso risulta generico, oltre che manifestamente infondato, per le ragioni già in precedenza illustrate con riferimento alla posizione della coimputata C.L. (cfr. paragrafo 11) cui si fa integrale rinvio.

13.2. Anche il terzo motivo è manifestamente infondato.

Non sussiste alcuna erronea applicazione della legge penale in ordine al mancato riconoscimento della circostanza attenuante della minima partecipazione di cui all'art. 114 c.p., connessa al ruolo di "palo" svolto dallo stesso.

La sentenza impugnata ha, infatti, richiamato l'indirizzo giurisprudenziale consolidato secondo cui, ai fini della integrazione della circostanza attenuante della minima partecipazione (art. 114 c.p.), non è sufficiente una minima efficacia causale dell'attività prestata da un correo rispetto an quella realizzata dagli altri, in quanto è necessario che il contributo fornito si sia concretizzato nell'assunzione di un ruolo di rilevanza del tutto marginale, ossia di efficacia causale così lieve da risultare trascurabile nell'economia generale dell'iter criminoso. Di conseguenza, ai fini dell'applicazione dell'attenuante in questione, non è sufficiente procedere ad una mera comparazione tra le condotte dei vari soggetti concorrenti, ma occorre accertare - attraverso una valutazione della tipologia del fatto criminoso perpetrato in concreto con tutte le sue componenti soggettive, oggettive ed ambientali - il grado di efficienza causale, sia materiale che psicologico, dei singoli comportamenti rispetto alla produzione dell'evento, configurandosi la minima partecipazione solo quando la condotta del correo abbia inciso sul risultato finale dell'impresa criminosa in maniera del tutto marginale, cioè tale da potere essere avulsa, senza apprezzabili conseguenze pratiche, dalla serie causale produttiva dell'evento (da ultimo si vedano Sez.2, n. 21453 del 05/03/2019, Vitiello Rv. 275817 - 01; Sez. 5 n. 21469 del 25/02/2021, Stefani, Rv. 281312 - 02).

La sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione di questi principi, laddove, con motivazione esente da vizi, ha evidenziato, ai fini dell'esclusione dell'attenuante di cui all'art. 114 c.p., che il comportamento di R. ha indubitabilmente rappresentato un rafforzamento del proposito criminoso dei concorrenti nel reato ed un elemento facilitatore dell'esecuzione del delitto. Il ricorso risulta, in realtà, meramente reiterativo di analoga doglianza formulata in appello e non si confronta con le ragioni decisorie espresse in sentenza, ma mira nella sostanza a sollecitare una rilettura del fatto, non ammissibile nella presente sede di legittimità.

14. Alla declaratoria di inammissibilità dei ricorsi proposti da C.L. e R.F. consegue la condanna di ciascuno di essi al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende in mancanza di elementi dimostrativi dell'assenza di colpa nella proposizione del ricorso (Corte Cost. n. 286 del 2009).

Al rigetto del ricorso di C.A. consegue la condanna al pagamento delle spese processuali.

 

P.Q.M.

 

Dichiara inammissibili i ricorsi di C.L. e R.F. e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila ciascuno in favore della Cassa delle ammende. Rigetta il ricorso di C.A. e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.