Giu Pagamento di una fattura per errore
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. II PENALE - SENTENZA 01 settembre 2021 N. 32592
Massima
Il appropriazione indebita, qualora oggetto della condotta sia il denaro, sussiste solo quando il denaro consegnato dalla vittima al potenziale autore del reato abbia una precisa destinazione che il reo violi, appropriandosene indebitamente; altrimenti, e cioè quando la consegna del denaro o dei beni è avvenuta senza che gli stessi avessero specifica destinazione di scopo, non sussiste la violazione di carattere penale bensì può configurarsi un mero inadempimento di carattere civilistico. Ne deriva che, in caso di pagamento effettuato per errore, la somma ricevuta dall'accipiens non ha una precisa destinazione ma entra a far parte del suo patrimonio, per cui, pur sussistendo certamente un obbligo di restituzione dell'indebito, la condotta dello stesso che se ne appropri e non effettui la restituzione non integra la fattispecie di appropriazione indebita. (Fattispecie relativa al pagamento di una fattura effettuato per errore perché ripetitivo di altro bonifico precedente).

Casus Decisus
La Corte di Appello di Palermo assolveva F.A. dal reato di appropriazione indebita allo stesso ascritto perché il fatto non sussiste revocando le statuizioni civili della sentenza di primo grado. Avverso detta sentenza proponeva ricorso per cassazione la parte civile P.A., amministratore di condominio, , la quale deduceva, con unico motivo, violazione di legge ex art. 606 c.p.p., lett. b), con riferimento alla interpretazione dell'art. 646 c.p., posto che la somma trasferita dalla ricorrente nella sua qualità di amministratrice del condominio al F. era stata versata con un ben preciso vincolo di scopo, costituito dal pagamento della fattura n. X del 2013 e che, tuttavia, trattandosi di pagamento effettuato per errore perché ripetitivo di altro bonifico precedente, il F. aveva trattenuto violando l'obbligo di restituzione con conseguente violazione dell'art. 646 c.p..

Testo della sentenza
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. II PENALE - SENTENZA 01 settembre 2021 N. 32592 Pres. Cammino – est. Pardo

Ritenuto in fatto

 

1.1 Con sentenza in data 29 novembre 2019, la corte di appello di Palermo, in riforma della pronuncia del tribunale di Palermo del 17 ottobre 2017, assolveva F.A. dal reato di appropriazione indebita allo stesso ascritto perché il fatto non sussiste revocando le statuizioni civili della sentenza di primo grado. 1.2 Avverso detta sentenza proponeva ricorso per cassazione la parte civile P.A. , amministratore del condominio di via (omissis) , tramite il proprio difensore e procuratore speciale avv.to Valeria Minà, la quale deduceva, con unico motivo, violazione di legge ex art. 606 c.p.p., lett. b), con riferimento alla interpretazione dell'art. 646 c.p., posto che la somma trasferita dalla ricorrente nella sua qualità di amministratrice del condominio al F. era stata versata con un ben preciso vincolo di scopo, costituito dal pagamento della fattura n. X del 2013 e che, tuttavia, trattandosi di pagamento effettuato per errore perché ripetitivo di altro bonifico precedente, il F. aveva trattenuto violando l'obbligo di restituzione con conseguente violazione dell'art. 646 c.p.. Con successiva comparsa conclusionale la difesa della parte civile insisteva nei motivi di ricorso rappresentando come il F. aveva ricevuto la somma con un ben preciso vincolo di scopo dallo stesso violato e non avesse mai restituito la stessa a tutt'oggi. 1.3 Con le conclusioni depositate in cancelleria il Procuratore Generale presso questa Corte di cassazione osservava come:" Nel caso di specie, l'imputato ha richiesto il pagamento della fattura per prestazioni professionali già liquidate, condotta a cui hanno fatto seguito il pagamento degli importi fatturati e l'incasso da parte dell'imputato di un compenso in quel momento non dovuto. La somma, dunque, è entrata nella titolarità dell'imputato per effetto di un pagamento a lui diretto, pur se a seguito di una richiesta di pagamento non più dovuto-dopo aver dichiarato il mancato ricevimento del precedente pagamento-sicché non appare ipotizzabile una appropriazione indebita difettandone l'elemento principale relativo alla proprietà della somma".

 

Considerato in diritto

 

2.1 Il ricorso è infondato e deve, pertanto, essere respinto. In termini generali in relazione all'elemento oggettivo della condotta di appropriazione indebita questa Corte di cassazione ha affermato che ai fini della configurabilità del delitto di appropriazione indebita, qualora oggetto della condotta sia il denaro, è necessario che l'agente violi, attraverso l'utilizzo personale o altro tipo di distrazione non autorizzata, la specifica destinazione di scopo che esso può avere, non essendo sufficiente il solo mancato versamento del denaro a chi è in astratto legittimato a riceverlo (Sez. 2, n. 50672 del 24/10/2017, Rv. 271385). Deve pertanto essere riaffermato che il reato sussiste solo quando il denaro consegnato dalla vittima al potenziale autore del reato abbia una precisa destinazione che il reo violi, appropriandosene indebitamente; altrimenti, e cioè quando la consegna del denaro o dei beni è avvenuta senza che gli stessi avessero specifica destinazione di scopo, non sussiste la violazione di carattere penale bensì può configurarsi un mero inadempimento di carattere civilistico. Nè è possibile ritenere che ad ogni inadempimento di obblighi di pagamento segua una condotta di appropriazione indebita posto che scopo della norma penale in commento è quello di punire con la più grave sanzione penale soltanto quelle condotte che siano caratterizzate dalla violazione del mandato sottostante al rapporto tra le parti. Così che, solo quando l'autore della condotta ha ricevuto somme di denaro al fine di destinarle ad un preciso versamento a terzi e se ne appropri, sussiste la più grave condotta penalmente rilevante. Tali principi sono stati recentemente riaffermati anche da altra pronuncia di questa sezione (Sez. 2 n. 8459 del 2019 non massimata) che, chiamata a delibare in ordine all'obbligo di restituzione gravante su un soggetto che aveva ricevuto versamenti di stipendio non dovuti, ha escluso la sussistenza del reato affermando che:" ai fini della configurabilità del delitto di appropriazione indebita, qualora oggetto della condotta sia appunto il denaro, è necessario che l'agente violi, attraverso l'utilizzo personale, la specifica destinazione di scopo ad esso impressa dal proprietario al momento della consegna, non essendo sufficiente il semplice inadempimento all'obbligo di restituire somme in qualunque forma ricevuta.... Nel caso di specie la disposizione di bonifico bancario da parte dell'Ente erogatore dello stipendio, sia pure erroneamente eseguita, ha determinato il trasferimento del denaro sul conto corrente del L. i cui atti dispositivi non possono considerarsi dimostrativi dell'interversio possessionis trattandosi di bene entrato nel patrimonio dell'accipiens, senza destinazione di scopo e configurandosi, in tal caso, solo un obbligo di restituzione dell'indebito. Infatti a seguito della dazione, la somma di denaro è entrata definitivamente a far parte del patrimonio dell'”accipiens” senza alcun vincolo di impiego, con la conseguenza che, venuto meno il rapporto, tra le parti matura solo un obbligo di restituzione che, ove non adempiuto, integra esclusivamente un inadempimento di natura civilistica". L'applicazione del sopra esposto principio, già correttamente richiamato dalla corte di appello di Palermo nella sentenza impugnata, comporta affermare che, in caso di pagamento effettuato per errore, la somma ricevuta dall'accipiens non ha una precisa destinazione ma entra a far parte del suo patrimonio e che, pur sussistendo certamente un obbligo di restituzione dell'indebito, la condotta dello stesso che se ne appropri e non effettui la restituzione non integra la fattispecie di appropriazione indebita. Invero, per sua definizione, il pagamento di una fattura per errore determina il trasferimento della proprietà del denaro al soggetto che la riceve senza che vi sia consegna con vincolo di destinazione. In conclusione, l'impugnazione deve ritenersi infondata; alla relativa declaratoria consegue, per il disposto dell'art. 616 c.p.p., la condanna della ricorrente parte civile al pagamento delle spese processuali.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna la parte civile ricorrente al pagamento delle spese processuali