Giu Reato di "fuga"
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. IV PENALE - SENTENZA 30 giugno 2021 N. 24913
Massima
Mentre nel reato di "fuga" previsto dall’art. 189 C.d.S., comma 6, è sufficiente che si verifichi un incidente riconducibile al proprio comportamento che sia concretamente idoneo a produrre eventi lesivi, senza che debba riscontrarsi l’esistenza di un effettivo danno alle persone, per il reato di omissione di assistenza, di cui al comma 7, dello stesso articolo, si richiede che sia effettivo il bisogno dell’investito. L’effettività può essere reputata insussistente nel caso di assenza di lesioni o di morte o allorché altri abbia già provveduto e non risulti più necessario l’intervento dell’obbligato. Certamente, l’assenza di lesioni o morte o la presenza di un soccorso prestato da altri non possono essere conosciute "ex post" dall’investitore, dovendo questi essersene reso conto in base ad obiettiva constatazione prima dell’allontanamento.

Casus Decisus
La Corte di Appello di Roma, con sentenza del 19 aprile 2019, ha parzialmente riformato la sentenza di primo grado del Tribunale di Roma, pronunciata nei confronti di U.M. , dichiarando la prescrizione del reato di cui all’art. 186 C.d.S., comma 2, lett. c) e confermando la penale responsabilità dell’imputato in ordine al reato di cui all’art. 189 c.p., commi 6 e 7, per avere alla guida di un autoveicolo, cagionato un incidente stradale senza arrestarsi per fornire le proprie generalità e dandosi alla fuga, omettendo di prestare assistenza a V.V. , il cui motociclo aveva tamponato. Avverso la decisione propone ricorso l’imputato.

Testo della sentenza
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. IV PENALE - SENTENZA 30 giugno 2021 N. 24913 Pres. Fumu – est. Nardin

Ritenuto in fatto

 

1. La Corte di Appello di Roma, con sentenza del 19 aprile 2019, ha parzialmente riformato la sentenza di primo grado del Tribunale di Roma, pronunciata nei confronti di U.M. , dichiarando la prescrizione del reato di cui all’art. 186 C.d.S., comma 2, lett. c) e confermando la penale responsabilità dell’imputato in ordine al reato di cui all’art. 189 c.p., commi 6 e 7, per avere alla guida di un autoveicolo, cagionato un incidente stradale senza arrestarsi per fornire le proprie generalità e dandosi alla fuga, omettendo di prestare assistenza a V.V. , il cui motociclo aveva tamponato.

2. Avverso la decisione propone ricorso l’imputato, a mezzo del suo difensore, affidandolo a due motivi.

3. Con il primo lamenta la violazione della legge penale, in relazione al disposto dell’art. 189 C.d.S. ed il vizio di motivazione della sentenza impugnata, sotto il profilo della carenza e della manifesta illogicità. Assume che la Corte territoriale non offre, a sostegno della condanna, un apparato argomentativo adeguato, in ordine alla sussistenza dell’elemento soggettivo del reato. Rileva che la Corte ha ritenuto volontario l’allontanamento del conducente dell’auto, senza la doverosa valutazione di tutte le dichiarazioni testimoniali, dando esclusivo rilievo alle dichiarazioni del teste R., agente di Polizia giudiziaria, indotto dal Pubblico ministero, giunto sul luogo successivamente al fatto, senza tenere in considerazione quanto riferito dall’imputato e dal teste S., con cui il primo ritornò sui luoghi dopo essersi allontanato. Ricorda che il sinistro intervenne su una strada a scorrimento veloce, priva di illuminazione ed in presenza di avverse condizioni meteorologiche. Assume che proprio per queste circostanze U.M. non si rese conto di quanto accaduto, credendo di avere urtato contro il guard-rail e, non avendo con sé il telefono cellulare per chiamare i soccorsi, decise di avviarsi a piedi verso la propria abitazione, poco distante, e fare ritorno, in sicurezza, successivamente sul luogo del sinistro, solo allora realizzando di aver tamponato un motociclo. Siffatta versione, confermata dal teste della difesa, deve condurre ad escludere la sussistenza del dolo, anche nella forma eventuale, posto che l’elemento soggettivo va valutato in relazione alle circostanze concretamente rappresentate e percepite dall’agente nel momento in cui pone in essere la condotta. Invero, l’errore sul fatto che costituisce reato, esclude la punibilità, ai sensi dell’art. 47 c.p., in forza dell’alterazione degli elementi essenziali della fattispecie tipica. Nondimeno, pur sollecitata, la Corte territoriale ha omesso di rispondere alle articolate argomentazioni difensive, ricorrendo a pure formule di stile sulla sussistenza della consapevolezza in capo ad U. di avere cagionato danno a terze persone, dandosi alla fuga. Sostiene che la decisione impugnata a conferma della ritenuta sussistenza dell’elemento soggettivo richiesto dalla norma incriminatrice, pone alcune considerazioni inerenti fatti mai accertati in giudizio, quali l’incompatibilità dei danni riportati dall’autovettura condotta dall’imputato con uno scontro contro il guardrail. La carenza di risposta sui rilievi difensivi formulati comporta il difetto di motivazione sotto il profilo dell’omissione.

4. Con il secondo motivo di duole dell’erronea applicazione dell’art. 133 c.p. e del vizio di motivazione in ordine alle censure devolute sul trattamento sanzionatorio. Sottolinea l’irragionevolezza della pena inflitta, in misura superiore al minimo edittale, in assenza di opportuna valutazione del buon comportamento processuale del ricorrente e della modesta gravità del fatto, evidenziata dalla mancata partecipazione della persona offesa al giudizio. Conclude per l’annullamento della sentenza impugnata.

5. Con requisitoria scritta ai sensi del D.L. n. 137 del 2020, art. 23 il Procuratore generale ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.

 

Considerato in diritto

 

1. Il ricorso è inammissibile.

2. Il primo motivo è manifestamente infondato.

3. Secondo quanto più volte ribadito dalla giurisprudenza di legittimità "il reato di fuga dopo un investimento e quello di mancata prestazione dell’assistenza occorrente, previsti rispettivamente al sesto e dell’art. 189 C.d.S., comma 7, hanno diversa oggettività giuridica, essendo la prima previsione finalizzata a garantire l’identificazione dei soggetti coinvolti nell’investimento e la ricostruzione delle modalità del sinistro, mentre la seconda è finalizzata a garantire che le persone ferite non rimangano prive della necessaria assistenza (Sez. 4, Sentenza n. 6306 del 15/01/2008, Rv. 239038; Sez. 4, n. 23177 del 15/03/2016, Rv. 266969).

L’elemento soggettivo del reato previsto dall’art. 189 C.d.S., comma 6, è integrato anche in presenza del dolo eventuale, ravvisabile in capo all’utente della strada il quale, in caso di incidente comunque ricollegabile al suo comportamento ed avente connotazioni tali da evidenziare in termini di immediatezza la concreta eventualità che dall’incidente sia derivato danno alle persone, non ottemperi all’obbligo di fermarsi. Dunque, per le modalità di verificazione del sinistro e per le complessive circostanze della vicenda, l’agente deve rappresentarsi la semplice possibilità che dall’incidente sia derivato un danno alle persone (Sez. 4, n. 34335 del 03/06/2009, Rizzante, Rv. 245354; Sez. 4, n. 17220 del 06/03/2012, Turcan, Rv. 252374; Sez. 6, n. 21414 del 12/03/2013, Rv. 255429.)

4. Ne consegue che, mentre nel reato di "fuga" previsto dall’art. 189 C.d.S., comma 6, è sufficiente che si verifichi un incidente riconducibile al proprio comportamento che sia concretamente idoneo a produrre eventi lesivi, senza che debba riscontrarsi l’esistenza di un effettivo danno alle persone (Sez. 4, n. 34335 del 03/06/2009, Rizzante, Rv. 245354; Sez. 4, n. 17220 del 06/03/2012, Turcan, Rv. 252374; Sez. 6, n. 21414 del 12/03/2013, Rv. 255429), per il reato di omissione di assistenza, di cui al comma 7, dello stesso articolo, si richiede che sia effettivo il bisogno dell’investito. Effettività che si è in passato reputata insussistente nel caso di assenza di lesioni o di morte o allorché altri abbia già provveduto e non risulti più necessario l’intervento dell’obbligato. Certamente, l’assenza di lesioni o morte o la presenza di un soccorso prestato da altri non possono essere conosciute "ex post" dall’investitore, dovendo questi essersene reso conto in base ad obiettiva constatazione prima dell’allontanamento (Sez. 4, n. 5416 del 25/11/1999 - dep. 09/05/2000, Sitia e altri, Rv. 216465; Sez. 4, n. 4380 del 02/12/1994 - dep. 24/04/1995, Prestigiacomo, Rv. 201501).

5. Nel caso di specie, nel formulare la prima doglianza il ricorrente contesta l’insussistenza del dolo -apparentemente in relazione ad entrambi i reati, posto che non introduce alcuna distinzione fra il reato del comma 6 e quello di cui al comma 7 dell’art. 189 C.d.S. - facendo riferimento all’errore sul fatto, consistito nel non essersi avveduto di avere tamponato un motociclista, ritenendo di avere urtato contro la barriera protettiva. Con la conseguenza che l’allontanamento non era assistito dalla coscienza e volontà, neppure eventuale, di non ottemperare all’obbligo di fermarsi e fornire le proprie generalità, nè di non soccorrere i feriti.

6. Ora, va ricordato che "Ai fini dell’applicazione dell’art. 47 c.p., non è sufficiente che l’imputato affermi di non avere avuto la consapevolezza su un elemento costitutivo del reato che caratterizza il fatto tipico, ricadendo su chi invoca l’errore l’onere di provare - o almeno di allegare elementi specifici che consentano una verifica dell’assunto - di aver agito presupponendo una realtà diversa da quella effettiva" (ex multis Sez. 3, Sentenza n. 949 del 07/10/2014, dep. 13/01/2015, Rv. 261782).

7. Ebbene, la Corte territoriale si fa carico di motivare le ragioni dell’infondatezza dell’assunto, non assistito da valide allegazioni -nè tantomeno da prove che consentano il suo accoglimento- chiarendo che il compendio probatorio offre dati oggettivi dai quali trarre che l’imputato ebbe piena consapevolezza non di non avere urtato il guard-rail, ciò essendo incompatibile con la tipologia di danni subiti dall’autovettura, essendo la parte più alta del mezzo e le fiancate rimaste integre. Ciononostante, egli si allontanò, accettando il rischio di avere urtato contro un altro veicolo e di avere cagionato danni alle persone, cui non prestava soccorso. Secondo il giudice del gravame, inoltre, la ricostruzione è corroborata anche dalla condotta tenuta successivamente, quando l’imputato ritornò sui luoghi, un’ora e mezza dopo lo scontro, accompagnato dal teste S., essendosi evidentemente rappresentato di avere causato un incidente con danno alle persone.

Rispetto a siffatta motivazione il ricorrente si limita a ribadire gli argomenti già sottoposti al giudice del gravame, aggiungendo unicamente che manca in giudizio un accertamento sull’incompatibilità dei danni riportati dall’autovettura con un urto contro il guard rail. Ma, anche siffatta censura è priva di pregio, posto che la Corte territoriale, analiticamente descrivendo i danni riportati dall’autoveicolo, riguardanti il gruppo ottico anteriore destro, la ruota destra e lo spigolo posteriore sinistro, nonché la ruota sinistra, risultata divelta, ha applicato la massima esperienziale secondo la quale l’urto con una barriera produce danni sul lato interessato per la sua lunghezza, mentre le fiancate del mezzo sono rimaste integre.

8. Il terzo secondo motivo è parimenti manifestamente infondato. La pena inflitta, infatti, decurtata della sanzione inflitta per il reato di cui all’art. 186 C.d.S., comma 2, lett. b), estinto per prescrizione, è stata rideterminata in mesi sei e giorni venti di reclusione ed Euro mille di multa, ritenuta congrua in relazione alla ritenuta gravità della condotta e dei danni cagionati a V.V.. Dunque, non solo la Corte territoriale motiva sulla misura della pena inflitta, ma la medesima, tenuto conto dei limiti edittali di cui all’art. 189 C.d.S., comma 6 e 7, si pone ben al di sotto della medietà della cornice edittale, ciò non imponendo particolari oneri motivazionali (moltissime sono le pronunce che distinguono l’obbligo motivazionale fra il caso di applicazione della sanzione minima o media e quello dell’irrogazione della sanzione superiore e più prossima al massimo edittale, da ultimo: Sez. 2, Sentenza n. 36104 del 27/04/2017, Rv. 271243; Sez. 4, Sentenza n. 27959 del 18/06/2013 Rv. 258356).

9. All’inammissibilità del ricorso consegue la condanna al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma di Euro duemila in favore della Cassa delle Ammende.

 

P.Q.M.

 

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila alla cassa delle ammende.