Ritenuto in fatto
1. La Corte d’Appello di Ancona, con la decisione impugnata, emessa il 11.4.2019, in parziale riforma della sentenza del 26.5.2017 del Tribunale di Ascoli Piceno, ha rideterminato soltanto il trattamento sanzionatorio nei confronti di M.G. , condannato per due reati di furto aggravato dal mezzo fraudolento, aventi ad oggetto due telefoni cellulari, commessi in continuazione tra loro; la sanzione è stata indicata in mesi dieci di reclusione ed Euro 150 di multa, concessa l’attenuante di cui all’art. 62 c.p., comma 1, n. 4, ritenuta equivalente alla contestata aggravante.
2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso l’imputato, mediante atto depositato dal difensore, avv. Voltattorni.
L’unico motivo di censura attinge la qualificazione giuridica dei fatti che, a giudizio del ricorrente, integrerebbero due reati di truffa piuttosto che di furto aggravato dal mezzo fraudolento.
In entrambi gli episodi delittuosi il ricorrente ha utilizzato lo stratagemma di chiedere alle sue vittime di consegnargli i propri telefoni cellulari per fare una chiamata urgente e, avuta la consegna grazie a tale raggiro, e dunque grazie al consenso viziato della vittima e non in ragione della sottrazione invito domino della res, se ne impossessava non restituendoli alle vittime ma fuggendo via (in un caso) ovvero allontanandosi comunque dalla loro vigilanza (nella seconda fattispecie).
La difesa cita giurisprudenza della Corte di cassazione in tal senso, tra cui Sez. 5, n. 18968 del 18/1/2017.
3. Il Sostituto PG Lucia Odello ha chiesto l’inammissibilità del ricorso con requisitoria scritta.
Considerato in diritto
1. Il ricorso è infondato.
2. La questione posta dal ricorrente, pur centrando uno dei temi interpretativi più frequenti in tema di furto, tuttavia non ha pregio nel caso di specie.
La giurisprudenza di legittimità ha tracciato da anni alcune linee di confine tra le fattispecie di reati contro il patrimonio del furto e della truffa, nel tentativo di rispondere adeguatamente ad alcune possibili sovrapposizioni applicative.
Si è così stabilito, anzitutto, che è configurabile il delitto di furto aggravato dall’uso del mezzo fraudolento allorquando lo spossessamento si verifica "invito domino", mentre ricorre la truffa nel caso in cui il trasferimento del possesso della "res" si realizza con il consenso, seppure viziato dagli altrui artifici o raggiri, della vittima (ex multis Sez. 4, n. 14609 del 22/2/2017, Piramide, Rv. 269537; Sez. 4, n. 5435 del 9/11/2018, dep. 2019, Morabito, Rv. 275019).
In generale, quando l’apprensione della "res" deriva da un atto di disposizione viziato dagli altrui artifizi e o raggiri, si è in presenza di una condotta inscrivibile nella tipicità della fattispecie di truffa, mentre quando lo spossessamento avvenga comunque contro la volontà del soggetto passivo, cioè senza il suo consenso sia pur artificiosamente carpito, si configura il delitto di furto, aggravato dal mezzo fraudolento.
Nella fenomenologia dei reati, diverse sono state le opzioni ermeneutiche di volta in volta adottate e si è anche già avuto modo di analizzare l’ipotesi concreta che costituisce anche il fulcro del giudizio sottoposto al Collegio, come correttamente richiamato dalla Corte d’Appello.
La sentenza Sez. 4, n. 2340 del 29/11/2017, dep. 2018, D S., Rv. 271757, proprio in un caso in cui l’imputato, con un pretesto, si era fatto consegnare il telefono dalla persona offesa e se ne era poi impossessato allontanandosi repentinamente, ha, infatti, chiarito che l’approfittamento di una condizione favorevole appositamente creata dall’agente per allentare la sorveglianza da parte del possessore e neutralizzarne gli effetti integra il reato di furto, aggravato dall’uso del mezzo fraudolento, in presenza di particolare scaltrezza nell’attività preparatoria, concertata ed attuata mediante qualche comportamento richiedente la presenza del possessore, idonea ad eluderne la vigilanza ed i mezzi approntati a difesa dei suoi beni; mentre integra il reato di furto, aggravato dalla circostanza della destrezza, in caso di rapidità dell’azione nell’impossessamento, non potuto percepire dalla persona offesa appositamente distratta.
Nella stessa linea interpretativa si innestano Sez. 5, n. 18655 del 24/2/2017, Suffer, Rv. 269640 e Sez. 5, n. 6412 del 28/10/2014, dep. 2015, Labellarte, Rv. 262725, pronunce con le quali la Corte di cassazione aveva già evidenziato come dovesse ritenersi integrato il delitto di furto aggravato dall’uso del mezzo fraudolento - e non quello di truffa - nel caso della condotta di colui che, simulando una qualità personale (nelle due fattispecie, rispettivamente, quella di incaricato di pubblico servizio e quella di agente di polizia), abbia addotto false ragioni per ottenere la consegna di beni da parte della persona offesa al fine di impadronirsene, in quanto una consegna siffatta non costituisce sintomo della volontà di quest’ultima di spossessarsene definitivamente, nè tantomeno di acconsentire ad una definitiva uscita del bene dalla propria sfera patrimoniale, in virtù di un atto di disposizione viziato dagli altrui artifizi e o raggiri (nella specie, l’agente, fingendosi un tecnico dell’acquedotto incaricato di verificare il grado di inquinamento dell’acqua, aveva chiesto alle vittime, persone anziane, di depositare il denaro contante, di cui si sarebbe poi impossessato, nel frigorifero e, allarmandole con un inesistente rischio di incendio, si era fatto consegnare i gioielli, assumendo di doverli portare al di fuori dell’abitazione per campionarli e bonificarli).
Viceversa, è stato affermato che integra un’ipotesi di truffa, e non di furto aggravato dal mezzo fraudolento, la condotta di chi acquisti un prodotto al supermercato pagando un prezzo inferiore al dovuto mediante sostituzione dell’etichetta recante il codice a barre con quella applicata ad un prodotto meno costoso, atteso che, in tal caso, l’impossessamento non si realizza "invito domino", ma con il consenso pur viziato del cassiere (Sez. 5, n. 22842 del 17/4/2019, Fusto, Rv. 275555).
In questo caso, è evidente che gli artifici e raggiri, commessi prima dell’apprensione del bene, hanno avuto un effetto determinante della volontà del cassiere di consentire al pagamento del prezzo in misura inferiore a quella dovuta, sicché l’impossessamento è avvenuto proprio grazie all’aver condotto artificiosamente il soggetto passivo a scegliere di cedere il possesso della "res".
L’impostazione seguita dal giudice d’appello in diritto, nel caso della condotta contestata al ricorrente, dunque, è corretta e coglie il nucleo essenziale della giurisprudenza di legittimità quanto ai rapporti tra truffa e furto con aggravante del mezzo fraudolento.
Un ulteriore parametro valutativo, poi, è emerso dallo sforzo nomofilattico, ed egualmente depone per l’esattezza dell’esito decisorio cui è giunto il provvedimento impugnato dal ricorrente: la cesura tra le condotte artificiose e l’impossessamento della "res", mediante un’usurpazione unilaterale.
In tale ottica interpretativa, questa Corte regolatrice ha affermato che, in tema di reati contro il patrimonio, la differenza tra il delitto di furto aggravato dal mezzo fraudolento e quello di truffa si individua nella fase risolutiva del processo causale, che qualifica il carattere dell’offesa, cosicché integra l’ipotesi di furto, e non di truffa, la realizzazione da parte dell’autore di attività preparatorie finalizzate ad operare il trasferimento a sé del bene col ricorso a mezzi fraudolenti nei confronti della vittima, quando tra l’atto dispositivo di questa ed il risultato dell’impossessamento si inserisca l’azione del predetto con carattere di usurpazione unilaterale (Sez. 5, n. 36864 del 23/10/2020, Fuzio, Rv. 280323, che, un applicazione del principio, ha ritenuto che correttamente i giudici di merito avessero qualificato come furto aggravato, anziché come truffa, la condotta dell’imputato il quale, avendo esibito un assegno provento di furto all’atto del pagamento, richiesto di giustificare la propria identità per completare la transazione, si impossessava della merce dandosi alla fuga; in senso conforme, in precedenza, Sez. 2, n. 29567 del 27/3/2019, Bevilacqua, Rv. 276113; nonché Sez. 2, n. 3710 del 21/1/2009, Busato, Rv. 242678; Sez. 5, n. 36905 del 17/6/2008, Jacovitti, Rv. 241588 e, più risalente, Sez. 2, n. 1109 del 21/6/1966, Ambrosi, Rv. 103018).
2.1. Orbene, dalla ricostruzione dei giudici di merito, risulta che il ricorrente, in entrambi i casi, ha, dapprima, attuato condotte che potrebbero essere iscritte nell’alveo concettuale degli artifizi e raggiri - lasciando intendere alla persona offesa di aver bisogno momentaneamente del telefono cellulare e chiedendolo in prestito per cortesia umana - e, successivamente, dopo la consegna, ha attuato un’azione di spossessamento unilaterale, dandosi alla fuga con la res sottratta, agendo del tutto al di fuori di qualsiasi volontà dispositiva del soggetto passivo e realizzando, pertanto, una vera e propria apprensione dei beni "invito domino".
In ogni caso - come si è, altresì, chiarito - una consegna siffatta non può certo costituire sintomo della volontà della persona offesa di spossessarsi definitivamente del bene, nè tantomeno di acconsentire ad una sua definitiva uscita dalla propria sfera patrimoniale, poiché l’atto di disposizione è radicalmente viziato dagli altrui artifizi e o raggiri.
La doglianza proposta, pertanto, in ultima analisi, si rivela infondata avuto riguardo ad entrambe le fattispecie di furto aggravato ascritte al ricorrente.
3. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente alle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.