In via preliminare, non occorre procedere a verificare la effettiva e regolare notificazione del libello introduttivo a tutti le parti litisconsorti in grado di appello e non costituite nel presente giudizio di legittimità, stante l’inammissibilità del ricorso per le ragioni in appresso esplicate;
il rispetto del diritto fondamentale ad una ragionevole durata del processo impone infatti al giudice (ai sensi degli artt. 175 e 127 cod. proc. civ.) di evitare e impedire comportamenti che siano di ostacolo ad una sollecita definizione dello stesso, tra i quali rientrano certamente quelli che si traducono in un inutile dispendio di attività processuali e formalità superflue perché non giustificate dalla struttura dialettica del processo e, in particolare, dal rispetto effettivo del principio del contraddittorio, da effettive garanzie di difesa e dal diritto alla partecipazione al processo, in condizioni di parità, dei soggetti nella cui sfera giuridica l'atto finale è destinato ad esplicare i suoi effetti. Ne consegue che, in caso di ricorso per cassazione prima facie infondato o inammissibile, appare superflua, pur potendone sussistere i presupposti, la fissazione del termine per la rinnovazione della notifica del ricorso ad una parte o per l’integrazione del contraddittorio nei riguardi di un litisconsorte pretermesso, atteso che la concessione di esso si tradurrebbe, oltre che in un aggravio di spese, in un allungamento dei tempi di definizione del giudizio di cassazione senza comportare alcun beneficio per la garanzia dell'effettività dei diritti processuali delle parti (cfr., sulla scia di Cass., Sez. U, 22/03/2010, n. 6826, tra le tante, Cass. 13/10/2011, n. 21141; Cass. 17/06/2013, n. 15106; Cass. 10/05/2018, n. 11287; Cass. 21/05/2018, n. 12515; Cass. 15/05/2020, n. 8980; Cass. 20/04/2023, n. 10718);
ancora in via preliminare, è inammissibile per tardività la costituzione della parte controricorrente; applicandosi alla controversia il disposto dell’art. 370 cod. proc. civ. come novellato dal d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, il controricorso risulta depositato nel fascicolo il 22 marzo 2023, elasso il termine di quaranta giorni decorrente dalla notifica del ricorso, avvenuta il giorno 21 gennaio 2023, a nulla rilevando la (non più prevista, nell’attuale ordito normativo) notificazione del controricorso stesso;
l’inammissibilità del controricorso preclude alla Corte la conoscenza dei documenti ad esso allegati nonché della successiva memoria della medesima parte (cfr. Cass. 29/10/2020, n. 23921; Cass. 11/02/2022, n. 4428; Cass. 10/02/2023, n. 4272);
legittima è invece la partecipazione alla discussione orale in pubblica udienza del difensore della parte controricorrente, munito di idonea procura speciale, estrinsecazione della facoltà processuale expresse riconosciuta dall’art. 370, primo comma, ultimo periodo, cod. proc. civ. per l’ipotesi di omesso deposito di rituale controricorso (sul tema, da ultimo, Cass. 25/01/2024, n. 2465, cui si fa integrale relatio anche per gli ulteriori, conformi, precedenti di nomofilachia);
con il primo motivo, lamentando «error in procedendo de iure in iudicando e conseguente nullità della sentenza o del procedimento in relazione all’art. 360, primo comma, num. 4, cod. proc. civ.», parte ricorrente sostiene che la Corte d’appello abbia errato nel ritenere esistente un valido titolo esecutivo a base del procedimento esecutivo, per essere «documentale l’omissione della notifica» del provvedimento ingiuntivo azionato al «litisconsorte necessario/processuale (gruppo Clipper)», cioè al «titolare del contratto di conto corrente bancario»; il motivo è inammissibile;
arrestandosi al rilievo del vizio processuale (inammissibilità) della impugnazione al suo vaglio, la Corte d’appello romana non ha in alcun modo pronunciato sulle questioni di merito sollevate dall’opponente, ed in specie sulla esistenza o validità del titolo esecutivo del procedente; il motivo in scrutinio risulta, pertanto, eccentrico (ed anzi estraneo) alla ratio decidendi della sentenza gravata;
con il secondo motivo, per «violazione e falsa applicazione dell’art. 342 cod. proc. civ. e dell’art. 111 Cost. in relazione all’art. 360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ.», si assume che - non necessarie «forme sacramentali» per la sua redazione - con l’atto di appello in parola si era proceduto a «proporre un telegrafico progetto di sentenza dopo aver ampiamente criticato l’attività del giudice di prime cure»;
il motivo è inammissibile; a giustificazione della declaratoria di inammissibilità dell’appello, la gravata sentenza ha rilevato come l’argomentazione fondante la decisione di prime cure circa la validità ed efficacia del titolo esecutivo azionato dal procedente (poiché circostanze oggetto di precedente accertamento giudiziale) non fosse stata attinta da considerazioni critiche - men che meno puntuali - ad opera dell’appellante; il motivo lapidariamente articolato in questa sede omette in radice di confrontarsi con la riportata argomentazione della Corte d’appello: esso si limita (peraltro nella parte del ricorso dedicata alla esposizione dello svolgimento del processo di secondo grado) a riportare stralci dell’atto di appello contenenti la deduzione di asseriti vizi invalidanti il titolo esecutivo, ma senza prospettare l’avvenuta contestazione della ratio decidendi della sentenza di primo grado, la qual cosa soltanto avrebbe potuto porre in luce un eventuale erroneo apprezzamento sulla ammissibilità dell’appello;
con il terzo motivo, per «violazione e falsa applicazione dell’art. 81 cod. proc. civ. e dell’art. 111 Cost. in relazione all’art. 360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ.», si censura la sentenza impugnata laddove ha «ritenuto tardiva l’eccezione di difetto di legittimatio ad causam» della T. & B. s.r.l., documentata in sede di appello dall’odierno ricorrente mediante la produzione della sentenza del Tribunale di Roma n. 8969/2021 del 24 maggio 2021, passata in cosa giudicata, accertante il difetto di legittimazione ad intervenire nella esecuzione forzata della predetta società;
anche questo motivo è inammissibile, per una duplice ragione; la Corte territoriale ha ritenuto nuova, poiché dedotta per la prima volta in grado di appello, l’eccezione di difetto di legittimazione del creditore intervenuto poiché in thesi privo di titolo esecutivo;
orbene, avverso questa motivazione la doglianza de qua non esprime ragioni di puntuale e preciso dissenso, per essere circoscritta ad apodittiche affermazioni sulla inesistenza di un titolo esecutivo a base dell’intervento spiegato dalla T. & B. s.r.l. e quindi formulata in termini tali da non soddisfare i caratteri di specificità, completezza e riferibilità a quanto pronunciato propri della natura di rimedio a critica vincolata del ricorso per cassazione (Cass., Sez. U, 28/10/2020, n. 23745; Cass. 24/02/2020, n. 4905);
ancora, pur superando l’esposto rilievo, il motivo si risolve nella denuncia di un contrasto della pronuncia impugnata con un precedente giudicato, deducibile quindi con il diverso rimedio della revocazione di cui all’art. 395, primo comma, num. 5, cod. proc. civ., non risultando pronuncia sulla relativa questione;
da ultimo, è inammissibile anche la richiesta del ricorrente di verificare di ufficio in questo giudizio di legittimità l’esistenza di un valido titolo esecutivo in favore del creditore procedente;
il potere – dovere del giudice dell’opposizione all’esecuzione di compiere di ufficio, in ogni stato e grado del giudizio ed anche per la prima volta nel giudizio di cassazione, la verifica sulla esistenza del titolo esecutivo posto alla base dell’azione esecutiva (portato della accezione dinamica del principio nulla executio sine titulo invalsa da tempo nella giurisprudenza di nomofilachia) incontra, infatti, un limite intrinseco nella sua circoscrizione al rilievo formale dell’esistenza o meno di quello e, poi, un altro, estrinseco, nell’avvenuta formazione di un giudicato (interno o esterno) sulla relativa questione; e, nel caso, tale giudicato sussiste per effetto della sentenza resa in prime cure (affermativa della idoneità del decreto ingiuntivo speso dal procedente a fondare la promossa espropriazione) divenuta oramai definitiva in conseguenza della statuita inammissibilità dell’appello, confermata dalla presente decisione; il ricorso è, in definitiva, inammissibile: e, ad avviso del Collegio, non sussistono le condizioni per pronunciare uno o più principi di diritto nell’interesse della legge sulle questioni per le quali era stata disposta la trattazione in pubblica udienza;
il regolamento delle spese del giudizio di legittimità segue la soccombenza, con liquidazione parametrata alle sole attività difensive legittimamente espletate dalla parte controricorrente; atteso l’esito del ricorso, va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali (a tanto limitandosi la declaratoria di questa Corte: Cass., Sez. U, 20/02/2020, n. 4315) per il versamento al competente ufficio di merito da parte del ricorrente - ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 - di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13; p. q. m. dichiara inammissibile il ricorso; condanna parte ricorrente, Marino B., alla refusione in favore di parte controricorrente, T. & B. s.r.l., delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in euro 2.000 per compensi professionali, oltre alle spese forfetarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori, fiscali e previdenziali, di legge;
ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento al competente ufficio di merito da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Terza Sezione