Vengono proposti tre motivi di ricorso.
Con il primo motivo si prospetta censura i sensi dell'articolo 360 numero 3 del codice di procedura civile per violazione e falsa applicazione dell'articolo 12 della legge numero 212 del 2000. In buona sostanza, si contesta che l'atto impositivo non abbia tenuto conto dell'apporto istruttorio del privato contribuente, sostanziandosi nella produzione di memorie alle quali nulla viene controdedotto dall'Amministrazione finanziaria in sede di avviso di accertamento.
Con il secondo motivo si profila denuncia ai sensi dell'articolo 360 numero 3 del codice di procedura civile per violazione fase applicazione dell'articolo 112 del medesimo codice, nonché ancora dell'articolo 7 della legge numero 212 del 2000. In buona sostanza, lamenta che sia stata surrettiziamente introdotta nel corso del giudizio la qualifica della ripresa a tassazione in applicazione dell'articolo 173 del DPR numero 917 del 1986. Detto in altri termini, la parte contribuente evidenzia come fin da subito, cioè dal momento della redazione del processo verbale di constatazione, sia sempre solo stato fatto riferimento all'omesso versamento di somme dovute, per indebito utilizzo di credito d'imposta lucrato ai sensi dell'articolo 8, comma 7, lettera B, della legge numero 388 del 2000, laddove la sentenza in scrutinio ha rigettato l'appello della parte privata e confermato la legittimità dell'atto di recupero originariamente impugnato ferma la ritenuta violazione dell'articolo 173 del citato DPR numero 917 del 1986, cioè per una norma del tutto distinta da quella posta alla base del citato atto di recupero.
Con il terzo motivo si profila violazione dell'articolo 360 numero 3 del codice di procedura civile per violazione dell'articolo 112 del medesimo codice, nonché dell'articolo 57 del decreto legislativo numero 546 del 1992. In altri termini, si contesta la prospettazione di un nuovo thema decidendum e dell'introduzione di domande nuove in appello, laddove è stata fatta applicazione dell'articolo 173 del DPR numero 917 del 1986, fino ad allora non menzionato, comunque eccentrico al pvc e all'originario atto di ripresa a tassazione. Il primo motivo non può essere accolto. Ed infatti, il dovere di tenere in considerazione le osservazioni del privato non si traduce -in ogni caso- nel dovere di controdedurre alle stesse in sede di atto definitivo. Anche per l'atto impositivo, così come per le sentenze, vale la regola per cui gli argomenti non fatti propri debbono ritenersi implicitamente respinti, dando prevalenza alla tesi opposta che è quella tradotta in motivazione.
Più specificamente, in tema di atto amministrativo finale di imposizione tributaria, nella specie avviso di rettifica di modello unico, la motivazione "per relationem", con rinvio alle conclusioni contenute nel verbale redatto dalla Guardia di Finanza dell'esercizio dei poteri di polizia tributaria, non è illegittima, per mancanza di autonoma valutazione da parte dell'Ufficio degli elementi da quella acquisiti, significando semplicemente che l'Ufficio stesso, condividendone le conclusioni, ha inteso realizzare una economia di scrittura che, avuto riguardo alla circostanza che si tratta di elementi già noti al contribuente, non arreca alcun pregiudizio al corretto svolgimento del contraddittorio. (Sez. V, n. 30560 del 2017 (Rv. 646303 - 01; in termini analoghi Sez. V, n. 28060 del 2017, Rv. 646225). Più precisamente, la sentenza in scrutinio -pagina uno, ultimo capoverso- evidenzia come la parte contribuente non abbia rappresentato l'essenzialità delle proprie argomentazioni, in tesi non considerate dalla pubblica Amministrazione e in questo la sentenza in scrutinio ha fatto buon governo e i principi enunciati da questa Corte.
Va ricordato che le Sezioni Unite di questa Corte (Cass. 9 dicembre 2015, n. 24823), premesso che l'art. 12, comma 7 della l. n. 212/2000 si applica ai soli casi di accesso ed ispezioni e verifiche nei tributi armonizzati, questi ultimi soggetti al diritto dell'Unione europea, hanno chiarito che «in tema di tributi c.d. non armonizzati, l'obbligo dell'Amministrazione di attivare il contraddittorio endoproceclimentale, pena l'invalidità dell'atto, sussiste esclusivamente in relazione alle ipotesi, per le quali siffatto obbligo risulti specificamente sancito; mentre in tema di tributi cd. armonizzati, avendo luogo la diretta applicazione del diritto dell'Unione, la violazione del contraddittorio endoprocedimentale da parte dell'Amministrazione comporta in ogni caso, anche in campo tributario, l'invalidità dell'atto, purché, in giudizio, il contribuente assolva l'onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere, qualora il contraddittorio fosse stato tempestivamente attivato, e che l'opposizione di dette ragioni (valutate con riferimento al momento del mancato contraddittorio), si riveli non puramente pretestuosa e tale da configurare, in relazione al canone generale di correttezza e buona fede ed al principio di lealtà processuale, sviamento dello strumento difensivo rispetto alla finalità di corretta tutela dell'interesse sostanziale, per le quali è stato predisposto» (tra la successiva giurisprudenza conforme si vedano, tra le altre, Cass. sez. 5, 3 febbraio 2017, n. 2875; Cass. sez. 6-5, ord. 20 aprile 2017, n. 10030; Cass. sez. 6-5, ord. 5 settembre 2017, n. 20799; Cass. sez. 6-5, ord. 11 settembre 2017, n. 21071; Cass. sez. 6-5, ord. 14 novembre 2017, n. 26943).
Il collegio d’appello ha altresì rilevato che la memoria prodotta non costituisce aspetto istruttorio, con apporto probatorio, ma si traduce in controdeduzione ai rilievi della Guardia di Finanza, risultando quindi recessiva nella ponderazione degli argomenti, delle ragioni proposte, delle osservazioni avanzate, senza per questo bisogno di ulteriore specifica controdeduzione da parte dell’Ufficio. Il secondo e terzo motivo possono essere trattati congiuntamente, stante la loro palese connessione, e sono parimenti infondati. Vi si contesta la surrettizia introduzione di cui all'articolo 173 del DPR numero 917 del 1986, l'ampliamento dell'oggetto del giudizio, l'introduzione di domande nuove ed il vizio di ultra-petizione. Giova premettere che l'articolo 173 menzionato riguardi le scissioni di società, ed è stato ritenuto rilevante dal collegio d’appello, ove ha distinto la società E., dalla beneficiaria Seven srl, che risulta dalla scissione di un ramo d'azienda della prima.
Appare dunque evidente che il richiamato articolo è funzionale all'individuazione del soggetto a cui spetti il beneficio fiscale del credito d'imposta per avere realizzato gli interventi incentivanti l’occupazione in aree svantaggiate, se l’originario o lo scisso che contiene in sé il ramo d’azienda inerente l’intervento incentivato. Si tratta semmai della qualificazione giuridica del fatto che spetta al giudice, nella fattispecie in esame la corretta individuazione del titolare del credito d'imposta all'esito di una scissione societaria.
Ciò vale per ogni autorità giudiziaria, ma in modo più pregnante per la giurisdizione tributaria, in cui il giudice non deve limitarsi alla resezione dell'atto impositivo, ma deve procedere alla corretta qualificazione dell'obbligazione tributaria. La natura impugnatoria accertatoria della giurisdizione tributaria, si riflette nel suo carattere misto oggettivo e soggettivo e muove da un atto introduttivo teso alla demolizione di un provvedimento amministrativo a contenuto impositivo al fine di accertare l’esatto perimetro dell’obbligazione tributaria, sicché resta preclusa al giudice di merito la sola cognizione di vizi del provvedimento non esplicitamente prospettati nel termine decadenziale fissato per la notifica del ricorso. (cfr. Cass. V, n. 10779/2007; n. 13742/2015; Cass.VI – 5, n. 11223/2016; n. 15769/2017).
Pertanto, il giudice tributario, nell'ambito di un processo a cognizione piena diretto ad una decisione sostitutiva tendente all'accertamento sostanziale del rapporto controverso, quando ravvisi l'infondatezza parziale della pretesa dell'Amministrazione, non deve, né può, limitarsi ad annullare "in toto" l'atto impositivo, ma deve accertare e quantificare entro i limiti posti dal "petitum" delle parti l'entità della pretesa fiscale, dandone un contenuto quantitativo diverso da quello sostenuto dai contendenti, avvalendosi degli ordinari poteri di indagine e di valutazione dei fatti e delle prove consentiti dagli artt. 115 e 116 c.p.c. in tal modo determinando l'ammontare effettivo delle imposte e delle sanzioni dovute dal contribuente, senza che ciò violi il principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato e senza che ciò costituisca attività amministrativa di nuovo accertamento, rappresentando invece soltanto l'esercizio dei poteri di controllo, di valutazione e di determinazione del "quantum" della pretesa tributaria (cfr. Cass. V, n. 3080/2021).
Né può parlarsi di domanda nuova, introdotta mediante la rilevanza dell’art. 173 DPR n. 917/1986. Per insegnamento costante di questa Corte, secondo categorie risalenti, può esserci domanda nuova solo con l'introduzione di un petitum sostanziale o processuale ulteriore diverso dall'originario, ovvero di una nuova causa petendi (cfr. Cass. III, n. 13982/2005; L. n. 23481/2014). Neppure il secondo e terzo motivo possono, quindi, essere accolti. Pertanto, il ricorso è infondato e deve essere rigettato.
Le spese seguono la regola della soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in €.cinquemilaseicento/00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, il 19/09/2024.