Giu La sanzione di nullità colpisce anche le sentenze che contengono una motivazione meramente apparente
CORTE DI CASSAZIONE - SEZIONE LAVORO - ORDINANZA 26 settembre 2024 N. 25743
Massima
La sanzione di nullità colpisce non solo le sentenze che siano del tutto prive di motivazione dal punto di vista grafico (ipotesi di scuola) o quelle che presentano un «contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili» e che presentano una «motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile» (Cass. sez. un. n. 8053/2014), ma pure quelle che contengono una motivazione meramente apparente, del tutto equiparabile alla prima più grave forma di vizio, perché dietro la parvenza di una giustificazione della decisione assunta, la motivazione addotta dal giudice è tale da non consentire «di comprendere le ragioni e, quindi, le basi della sua genesi e l'iter logico seguito per pervenire da essi al risultato enunciato» (Cass. n. 4448/ 2014), venendo quindi meno alla finalità sua propria, che è quella di esternare un «ragionamento che, partendo da determinate premesse pervenga con un certo procedimento enunciativo», logico e consequenziale, «a spiegare il risultato cui si perviene sulla res decidendi» (Cass. sez. un. n. 22232/2016; Cass. ord. n. 14297/2017).

Casus Decisus
1.- Domenico L.G. era stato dipendente di S.S.I. s.c.p.a. fino al 19/10/2018, quando era stato licenziato per ragioni disciplinari oggetto della contestazione disciplinare del 10/10/2018.  L’impugnazione del licenziamento veniva rigettata dal Tribunale di Napoli, all’esito sia della fase c.d. sommaria, sia di quella di opposizione. 2.- Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte d’Appello rigettava il reclamo interposto da L.G.. Per quanto ancora rileva in questa sede, a sostegno della sua decisione la Corte territoriale affermava: a) la contestazione disciplinare conteneva l’indicazione specifica ed analitica delle condotte addebitate; b) in sede di giustificazioni il lavoratore ha preso espressa posizione, sicché non sussiste alcuna violazione del diritto di difesa; c) la sua richiesta di accesso alla documentazione è stata avanzata a procedimento disciplinare ormai concluso; d) la prova dei fatti addebitati risulta acquisita sia sul piano documentale, sia su quello testimoniale nel primo grado di giudizio; e) dunque deve ritenersi dimostrato che il L.G., avvalendosi della divisa di sorvegliante, quindi con una condotta che seppur non aggressiva era idonea a condizionare l’altro dipendente, otteneva il montaggio di un accessorio opzionale non indicato sulla specifica dell’ordine redatto in sede di contratto di acquisto e nel c.d. quality book; f) trattasi di una grave violazione degli obblighi di diligenza e di fedeltà, nonché delle regole di correttezza e di buona fede, tali da ledere in via definitiva il vincolo fiduciario e da rendere proporzionata la sanzione irrogata. 3.- Avverso tale sentenza L.G. Domenico ha proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi. 4.- F.S. s.c.p.a. (già S.S.I. s.c.p.a.) ha resistito con controricorso ed ha poi depositato memoria. 5.- Il Collegio si è riservata la motivazione nei termini di legge.

Testo della sentenza
CORTE DI CASSAZIONE - SEZIONE LAVORO - ORDINANZA 26 settembre 2024 N. 25743 ESPOSITO LUCIA

1.- Con il primo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. il ricorrente lamenta “violazione e/o falsa applicazione” degli artt. 7 e 18 L. n. 300/1970 per avere la Corte territoriale ritenuto specifica la contestazione disciplinare e rispettato il diritto di difesa.

Il motivo è inammissibile, perché sollecita a questa Corte una diversa valutazione sia della contestazione disciplinare, sia della lettera contenente le sue giustificazioni, interdetta in sede di legittimità, in quanto riservata al giudice di merito. Il motivo è altresì inammissibile, perché sotto la veste di una violazione o falsa applicazione di norme di diritto, perviene poi confusamente a prospettare un “travisamento della prova” (v. ricorso per cassazione, p. 12) e la “decisività dell’errore”, che attengono a tutt’altra tipologia di motivo di ricorso per cassazione.

2.- Con il secondo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 5), c.p.c. il ricorrente lamenta “violazione e/o falsa applicazione” degli artt. 2119 c.c., 115 e 116 c.p.c., 7 L. n. 300/1970 per avere la Corte territoriale travisato le risultanze istruttorie e per aver in tal modo ritenuto assolto l’onere della prova a carico del datore di lavoro. Il motivo è inammissibile sia per la mescolanza di doglianze, sia perché precluso dalla c.d. doppia conforme (art. 360, penult. co., c.p.c.), sia perché sollecita a questa Corte una diversa valutazione delle risultanze istruttorie, interdetta in sede di legittimità.

3.- Con il terzo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. il ricorrente lamenta la violazione degli artt. 101 e 115 c.p.c. per avere la Corte territoriale fondato il proprio convincimento su prove illegittime, ossia su documenti che non erano stati indicati nella contestazione disciplinare e sono stati acquisiti dalla società in difetto di contraddittorio. Il motivo è infondato. La contestazione disciplinare non deve contenere anche la specifica indicazione dei documenti sui quali essa si fonda. Trattandosi di un onere di natura processuale, esso va assolto nel giudizio eventualmente proposto. E così è avvenuto, sicché la doglianza di violazione del contraddittorio e del diritto di difesa del lavoratore è infondata. Il rinvenimento del report veicoli del 26/09/2018 nell’armadietto in uso al L.G. è un elemento che la Corte territoriale ha valorizzato solo ad abundantiam, poiché ha espressamente affermato che a dimostrazione della conoscenza, da parte del lavoratore, del numero di telaio del suo veicolo all’epoca dei fatti stanno “le chiare dichiarazioni del teste” (v. sentenza impugnata, p. 6). Ne consegue che anche senza quell’elemento probatorio – utilizzato solo ad ulteriore conferma del convincimento già raggiunto – la decisione sarebbe stata identica.

4.- Con il quarto motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 4), c.p.c. il ricorrente lamenta “violazione e/o falsa applicazione” dell’obbligo di motivazione ex art. 132, co. 2, n 4), c.p.c. con riguardo alla ritenuta proporzionalità del licenziamento, ai sensi degli artt. 2106 c.c. e 7 L. n. 300/1970. Il motivo è infondato: sebbene sintetica, la motivazione della ritenuta proporzionalità sussiste ed è articolata con riguardo alla ritenuta grave violazione degli obblighi fondamentali del dipendente (diligenza, fedeltà, correttezza e buona fede). Tanto rispetta il c.d. minimo costituzionale di motivazione. Infatti, il vizio di motivazione meramente apparente della sentenza ricorre allorquando il giudice, in violazione del preciso obbligo di legge costituzionalmente imposto (art. 116 Cost.) e cioè dell'art. 132, co. 2, n. 4, c.p.c. omette di esporre concisamente i motivi in fatto e diritto della decisione, di specificare o illustrare le ragioni e l'iter logico seguito per pervenire alla decisione assunta e cioè di chiarire su quali prove ha fondato il proprio convincimento e sulla base di quali argomentazioni è pervenuto alla propria determinazione, in tal modo consentendo anche di verificare se abbia effettivamente giudicato iuxta alligata et probata. Quest'obbligo del giudice «di specificare le ragioni del suo convincimento», quale «elemento essenziale di ogni decisione di carattere giurisdizionale» è affermazione che ha origine lontane nella giurisprudenza di questa Corte (Cass. sez. un. n. 1093/1947).

Alla stregua di tali principi consegue che la sanzione di nullità colpisce non solo le sentenze che siano del tutto prive di motivazione dal punto di vista grafico (ipotesi di scuola) o quelle che presentano un «contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili» e che presentano una «motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile» (Cass. sez. un. n. 8053/2014), ma pure quelle che contengono una motivazione meramente apparente, del tutto equiparabile alla prima più grave forma di vizio, perché dietro la parvenza di una giustificazione della decisione assunta, la motivazione addotta dal giudice è tale da non consentire «di comprendere le ragioni e, quindi, le basi della sua genesi e l'iter logico seguito per pervenire da essi al risultato enunciato» (Cass. n. 4448/ 2014), venendo quindi meno alla finalità sua propria, che è quella di esternare un «ragionamento che, partendo da determinate premesse pervenga con un certo procedimento enunciativo», logico e consequenziale, «a spiegare il risultato cui si perviene sulla res decidendi» (Cass. sez. un. n. 22232/2016; Cass. ord. n. 14297/2017).

La riformulazione dell'art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c., disposta dall'art. 54 del d.l. n. 83/2012, conv. in legge n. 134/2012, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall'art. 12 delle preleggi, come riduzione al "minimo costituzionale" del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l'anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all'esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella "mancanza assoluta di motivi sotto l'aspetto materiale e grafico", nella "motivazione apparente", nel "contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili" e nella "motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile", esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di "sufficienza" della motivazione» (Cass. sez. un. n. 8053/2014; Cass. n.13977/2019). Nessuna di tali anomalie ricorre nella sentenza impugnata.

5.- Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente a rimborsare alla controricorrente le spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in euro 4.500,00, oltre euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfettario delle spese generali e accessori di legge. Dà atto che sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115/2002 pari a quello per il ricorso a norma dell’art. 13, co. 1 bis, d.P.R. cit., se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione lavoro