Giu L'intimazione di pagamento che faccia seguito ad un atto impositivo divenuto definitivo per mancata impugnazione non integra un nuovo ed autonomo atto impositivo, con la conseguenza che resta sindacabile solo per vizi propri
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. V CIVILE - ORDINANZA 29 agosto 2024 N. 23346
Massima
L'intimazione di pagamento che faccia seguito ad un atto impositivo divenuto definitivo per mancata impugnazione non integra un nuovo ed autonomo atto impositivo, con la conseguenza che, in base all'art. 19, comma 3, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, esso resta sindacabile in giudizio solo per vizi propri e non per questioni attinenti all'atto impositivo da cui è sorto il debito. Ne consegue che tali ultimi vizi non possono essere fatti valere con l'impugnazione dell'intimazione di pagamento, salvo che il contribuente non sia venuto a conoscenza della pretesa impositiva solo con la notificazione dell'intimazione predetta (Cass., Sez. V, 11 dicembre 2023, n. 34416; Cass., Sez. V, 14 giugno 2023, n. 17073; Cass., Sez. VI, 28 aprile 2022, n. 13252; Cass., Sez. V, 29 luglio 2011, n. 16641; Cass., Sez. VI, 16 febbraio 2021, n. 3937; Cass., Sez. VI, 19 gennaio 2021, n. 847; Cass., Sez. V, 4 ottobre 2018, nn. 24311 e 24312; Cass., Sez. V, 11 maggio 2017, n. 11610; Cass., Sez. VI, 11 marzo 2015, n. 4818; Cass., Sez. V, 29 luglio 2011, n. 16641; Cass., Sez. V, 29 marzo 2006, n. 7310; Cass., Sez. V, 6 settembre 2004, n. 17937).

Casus Decisus
1. Il contribuente C. PASQUALE ha impugnato un atto di pignoramento presso terzi avente ad oggetto crediti erariali e non erariali; pignoramento notificato successivamente a una intimazione di pagamento, precedentemente notificata in data 11 giugno 2016. Il ricorso ha fatto seguito alla declaratoria del difetto di giurisdizione avverso la proposizione di opposizione agli atti esecutivi davanti al giudice ordinario e alla conseguente riassunzione del giudizio davanti al giudice tributario. Il contribuente – nell’allegare l’intervenuta dichiarazione del fallimento personale e la successiva chiusura del fallimento medesimo - ha dedotto l’inopponibilità delle cartelle di pagamento, in quanto notificate al solo curatore del fallimento e non anche al debitore dichiarato fallito. 2. La CTP di Potenza ha accolto il ricorso, con sentenza confermata dalla CTR della Basilicata, qui impugnata, che ha ritenuto prescritta la pretesa erariale. 3. Propone ricorso per cassazione l’Agente della riscossione, affidato a un unico motivo; resiste con controricorso il contribuente che deposita memoria.

Testo della sentenza
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. V CIVILE - ORDINANZA 29 agosto 2024 N. 23346 LUCIOTTI LUCIO

1. Con l’unico motivo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4 cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 21 d. lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, per non avere il giudice di appello ritenuto tardivo e inammissibile il ricorso introduttivo. Osserva parte ricorrente che il contribuente era stato raggiunto da diverse intimazioni di pagamento prima della notificazione del pignoramento presso terzi e, al riguardo, trascrive la cartolina di ritorno relativa a una delle intimazioni di pagamento relativa alle cartelle precedentemente notificate al curatore del fallimento e oggetto di impugnazione da parte del contribuente, intimazione la cui mancata impugnazione ha determinato il consolidamento della pretesa tributaria.

2. Va rigettata la preliminare eccezione di inammissibilità del ricorso, essendo le censure chiaramente evincibili, al pari del paradigma normativo, dal contesto del ricorso.

3. Parimenti va rigettata l’eccezione di inammissibilità del ricorso per novità della censura di tardività dell’originario ricorso. L’Agente della riscossione ha contestato, sin dal primo grado di giudizio, l’inammissibilità del ricorso, introdotto con opposizione davanti al giudice ordinario, per mancata impugnazione dell’intimazione di pagamento, notificata quest’ultima in data 11 giugno 2016. Il ricorrente, del resto, non risulta avere fatto valere vizi propri dell’atto di pignoramento, bensì vizi degli atti presupposti (cartelle di pagamento) per omessa notificazione delle stesse al debitore contribuente, in relazione alla cui censura l’Ufficio ha dedotto l’inammissibilità per omessa impugnazione dell’atto ad esse successivo (intimazione di pagamento).

4. Sul punto, va dichiarata inammissibile per difetto di specificità l’eccezione di nullità del controricorrente relativa alla notificazione dell’intimazione di pagamento, in quanto – in disparte la novità dell’eccezione – non sono stati trascritti gli atti relativi alla dedotta notificazione.

5. Il ricorso è fondato, risultando accertato che l’intimazione di pagamento successiva alla notificazione delle cartelle è stata notificata in data 11 giugno 2016. Per effetto della mancata impugnazione dell’intimazione nel termine di sessanta giorni ex art. 21 del d.lgs. n. 546 del 1992 discende, da un lato, che è irrilevante la questione della irregolarità della notifica delle prodromiche cartelle di pagamento, e, dall’altro, che al contribuente è ugualmente preclusa l’impugnazione del successivo atto di pignoramento per far valere i suddetti vizi delle cartelle di pagamento.

6. Sulla base di tali principi e con riferimento ad un caso analogo a quello in esame questa Corte ha affermato che l’intimazione di pagamento che faccia seguito ad un atto impositivo divenuto definitivo per mancata impugnazione non integra un nuovo ed autonomo atto impositivo, con la conseguenza che, in base all'art. 19, comma 3, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, esso resta sindacabile in giudizio solo per vizi propri e non per questioni attinenti all'atto impositivo da cui è sorto il debito. Ne consegue che tali ultimi vizi non possono essere fatti valere con l'impugnazione dell'intimazione di pagamento, salvo che il contribuente non sia venuto a conoscenza della pretesa impositiva solo con la notificazione dell'intimazione predetta (Cass., Sez. V, 11 dicembre 2023, n. 34416; Cass., Sez. V, 14 giugno 2023, n. 17073; Cass., Sez. VI, 28 aprile 2022, n. 13252; Cass., Sez. V, 29 luglio 2011, n. 16641; Cass., Sez. VI, 16 febbraio 2021, n. 3937; Cass., Sez. VI, 19 gennaio 2021, n. 847; Cass., Sez. V, 4 ottobre 2018, nn. 24311 e 24312; Cass., Sez. V, 11 maggio 2017, n. 11610; Cass., Sez. VI, 11 marzo 2015, n. 4818; Cass., Sez. V, 29 luglio 2011, n. 16641; Cass., Sez. V, 29 marzo 2006, n. 7310; Cass., Sez. V, 6 settembre 2004, n. 17937).

7. Essendo il contribuente, in tesi, venuto a conoscenza della pretesa impositiva, già azionata con le cartelle, con la successiva intimazione di pagamento, egli non avrebbe potuto impugnare i vizi relativi alle cartelle di pagamento se non impugnando l’intimazione notificata. Non si è, pertanto, in presenza di una decadenza dall’impugnazione ma di un caso di inammissibilità dell’impugnazione – come dedotto sin dal primo grado dall’Agente della riscossione - perché azionata nei confronti di atti prodromici (intimazione di pagamento) mai impugnati.

8. Il ricorso va, pertanto, accolto, cassandosi la sentenza impugnata e, non essendovi ulteriori accertamenti in fatto, la causa può essere decisa nel merito ex art. 384 cod. proc. civ., dichiarandosi inammissibile l’originario ricorso. Le spese del doppio grado di giudizio sono compensate tra le parti attesa l’evoluzione della giurisprudenza di legittimità. Le spese del giudizio di legittimità sono regolate dalla soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P. Q. M.

La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e, decidendo la causa nel merito, dichiara inammissibile l’originario ricorso; compensa le spese processuali del doppio grado di merito; condanna il controricorrente al pagamento delle spese processuali del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi € 4.300,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, in data 28 giugno 2024