Giu Il ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità, non il potere di riesaminare il merito della intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, ma la sola facoltà di controllo delle argomentazioni del giudice di merito
CORTE DI CASSAZIONE - SEZIONE LAVORO - ORDINANZA 29 agosto 2024 N. 23347
Massima
Il ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità, non il potere di riesaminare il merito della intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, ma la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico - formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l'attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando così liberamente prevalenza all'uno o all'altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (Cass. n. 19547/2017; Cass. n. 29404/2017).

Casus Decisus
1. Giancarlo S., sulla premessa di avere svolto attività di agente senza rappresentanza per la società T. 2 arl, nella zona di Viterbo e provincia, e che il rapporto era cessato nel 2009, adiva il Tribunale di Viterbo chiedendo la condanna della società al pagamento del complessivo importo di euro 79.578,66, oltre accessori, a titolo di: mancato pagamento delle provvigioni (come quantificate nell’ultimo contratto intercorso tra le parti) di cui alle fatture n. 9, 15, 17 e 19 del 2009; mancata corresponsione dell’indennità di mancato preavviso ex art. 10 CCNL di categoria; mancata corresponsione della indennità suppletiva di clientela di cui all’art. 12 CCNL di categoria. 2. Il Tribunale di Viterbo, nel contraddittorio delle parti, accoglieva parzialmente la domanda riconoscendo allo S. il solo diritto al pagamento delle ultime provvigioni del 2009 rideterminandole, tuttavia, nella minor somma di euro 12.921,66 in applicazione della percentuale del 3% anziché in quella del 4,8%; dichiarava, altresì, legittimo il mancato pagamento, da parte della società, delle altre indennità collegate alla cessazione del rapporto. 3. La Corte di appello di Roma, con la sentenza n. 2568/2019, confermava la pronuncia di primo grado evidenziando che: a) per la determinazione delle provvigioni occorreva avere riguardo, come accertato dal Tribunale, all’ultimo dei contratti stipulati dalle parti nel 2005 ove la misura era stata quantificata nel 3%; b) non spettavano le altre indennità richieste vertendosi in una ipotesi di recesso per giusta causa da parte della società che non era tenuta alla sua immediata specificazione, potendo la prova essere fornita anche in giudizio; c) gli esiti della prova assunta non erano stati impugnati dall’agente in modo specifico. 4. Avverso la sentenza di secondo grado proponeva ricorso per cassazione Giancarlo S. affidato a due motivi cui resisteva con controricorso la società T. 2 srl. 5. Le parti hanno depositato memorie. 6. Il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nei termini di legge ex art. 380 bis 1 cpc.

Testo della sentenza
CORTE DI CASSAZIONE - SEZIONE LAVORO - ORDINANZA 29 agosto 2024 N. 23347 ESPOSITO LUCIA

1. I motivi possono essere così sintetizzati.

2. Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cpc, la violazione dell’art. 4 dell’AEC 26/2/2002 del settore Commercio, in relazione all’art. 360 co. 1 n. 3 cpc, l’omesso esame di fatti decisivi che sono stati oggetto di discussione nonché la motivazione contraddittoria e apparente, in relazione all’art. 360 co. 1 nn. 3 e 5 cpc, per non avere la Corte territoriale valutato gli elementi di prova (assunti in particolare sulla riconosciuta provvigione del 4,8%) così violando: l’art. 1362 cc in tema di interpretazione della volontà delle parti; l’art. 2730 cc, perché negli atti difensivi della società vi era stata una confessione sulla misura della percentuale del 4,8% da applicare alle provvigioni; gli artt. 115 e 116 cpc, per essere stati valorizzati, ai fini della decisione, il complesso degli elementi acquisiti in giudizio, con particolare riguardo alla deposizione del teste Lanzi; le disposizioni in tema di motivazione assente per l’inadeguato, illogico e completamente incoerente ragionamento posto a base della decisione.

3. Con il secondo motivo si censura la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1750 e 1751 cc, degli artt. 10 e 14 dell’AEC Accordo Economico Collettivo del 26.2.2002 (disciplina del rapporto di agenzia e rappresentanza commerciale nel settore commercio), la violazione dell’art. 112 cpc, dell’art. 2697 cc nonché l’omessa valutazione delle prove, il tutto ai sensi dell’art. 360 co. 1 nn. 3 e 5 cpc, per avere la Corte territoriale erroneamente ritenuto non dovute le chieste indennità, pur non sussistendo i requisiti per il loro mancato riconoscimento previsti dalle disposizioni del codice civile e dell’AEC del 2002 e pur essendo stato ammesso dalle parti che la risoluzione del rapporto era avvenuta in modo consensuale e che l’accertamento della giusta causa non rientrava nelle conclusioni avanzate in sede giudiziaria dalla società, così incorrendo la gravata sentenza nel vizio di ultra-petizione e nella violazione dell’art. 2697 cc in tema di onere della prova.

4. Il primo motivo è inammissibile.

5. Le censure formulate, infatti, al di là delle denunziate violazioni di legge, si limitano, in sostanza, in una richiesta di riesame del merito della causa, attraverso una nuova valutazione delle risultanze processuali, in quanto sono appunto finalizzate ad ottenere una revisione degli accertamenti di fatto compiuti dalla Corte territoriale (Cass. n. 6519/2019) che è giunta alla conclusione che per la determinazione della percentuale sulle provvigioni occorreva avere riguardo, come accertato dal Tribunale, all’ultimo dei contratti stipulati dalle parti nel 2005 ove la misura era quantificata nel 3%.

6. E’ un principio ormai consolidato quello secondo cui il ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità, non il potere di riesaminare il merito della intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, ma la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico - formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l'attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando così liberamente prevalenza all'uno o all'altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (Cass. n. 19547/2017; Cass. n. 29404/2017).

7. In particolare, poi, in tema di ricorso per cassazione, una censura relativa alla violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma solo se si alleghi che quest'ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d'ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione: ipotesi, queste, non ravvisabili nel caso in esame (Cass. n. 29867/2020; Cass. n. 27000/2016; Cass. n. 13960/2014).

8. Inoltre, l’omesso esame di elementi istruttori non integra di per sé il vizio di omesso esame di un fatto decisivo se i fatti storici, come detto nel caso in esame, sono stati comunque presi in considerazione (Cass. n. 19881/2014; Cass. n. 27415/2018) avendo la Corte territoriale motivato adeguatamente sulle problematiche della misura della percentuale da riconoscere allo S..

9. Infine, nell'interpretazione degli atti processuali delle parti occorre fare riferimento ai criteri di ermeneutica di cui all'art. 1362 c.c. che valorizzano l'intenzione delle parti e che, pur essendo dettati in materia di contratti, hanno portata generale (Cass. n. 25826/2022).

10. Orbene, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, l'interpretazione del contratto e degli atti di autonomia privata costituisce un'attività riservata al giudice di merito, ed è censurabile in sede di legittimità soltanto per violazione dei criteri legali di ermeneutica contrattuale ovvero per vizi di motivazione, qualora la stessa risulti contraria a logica o incongrua, cioè tale da non consentire il controllo del procedimento logico seguito per giungere alla decisione; è stato pure puntualizzato che, ai fini della censura di violazione dei canoni ermeneutici, non è sufficiente l'astratto riferimento alle regole legali di interpretazione, ma è necessaria la specificazione dei canoni in concreto violati, con la precisazione del modo e delle considerazioni attraverso i quali il giudice se ne è discostato, mentre la denuncia del vizio di motivazione dev'essere effettuata mediante la precisa indicazione delle lacune argomentative, ovvero delle illogicità consistenti nell'attribuzione agli elementi di giudizio di un significato estraneo al senso comune, oppure con l'indicazione dei punti inficiati da mancanza di coerenza logica, e cioè connotati da un'assoluta incompatibilità razionale degli argomenti, sempre che questi vizi emergano appunto dal ragionamento logico svolto dal giudice di merito, quale risulta dalla sentenza. In ogni caso, per sottrarsi al sindacato di legittimità, non è necessario che quella data dal giudice sia l'unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, sicché, quando di una clausola siano possibili due o più nterpretazioni, non è consentito alla parte, che aveva proposto l'interpretazione disattesa dal giudice, dolersi in sede di legittimità del fatto che è stata privilegiata un'altra (Cass. n. 19044/2010, Cass. n. 15604/2007, in motivazione; Cass. n. 4178/2007) dovendosi escludere che la semplice contrapposizione dell’interpretazione proposta dal ricorrente a quella accolta nella sentenza impugnata rilevi ai fini dell'annullamento di quest'ultima (Cass. n. 14318/2013, Cass. n. 23635/2010).

11. Le censure in concreto articolate con il motivo in esame non sono coerenti con le richiamate indicazioni del giudice di legittimità in quanto prospettano, secondo una modalità di mera contrapposizione, una diversa e più favorevole interpretazione della memoria di costituzione di primo grado della società, relativamente alla ammissione del riconoscimento di una provvigione al 4,8%, senza veicolarla in modo idoneo attraverso la individuazione delle modalità con le quali la Corte di merito si è discostata dalle richiamate regole legali di interpretazione e senza evidenziare specifiche implausibilità o illogicità della motivazione esibita dal giudice di appello nel pervenire al contestato approdo ermeneutico.

12. Nello specifico, la Corte di merito ha ritenuto, infatti, con motivazione esente dai vizi di cui all’art. 360 co. 1 n. 5 cpc nuova formulazione, ratione temporis applicabile, che, alla luce del materiale probatorio processualmente acquisito, l’indicazione della società (nella memoria) di una provvigione al 4,8% era connessa alla ulteriore prospettazione dell’intervenuta modifica delle pattuizioni contrattuale, in forza delle quali la T. 2 srl sosteneva di avere riconosciuto a tale Lanzi una percentuale complessiva del 4,8%, di cui il 2,8% fatturato a quest’ultimo e l’altro 2% allo S., indicato sub agente del primo.

13. La Corte distrettuale, poi, conformemente al primo giudice, in una situazione, pertanto, di cd. “doppia conforme”, ha ritenuto che sia la tesi della società che quella dell’agente non fossero condivisibili, considerando invece corretta la percentuale applicabile del 3% come prevista dall’ultimo contratto stipulato tra le parti del 2005.

14. Si tratta di un accertamento di merito, effettuato sulla base degli atti processuali e delle prove raccolte, adeguatamente e logicamente motivato e, in quanto tale, insindacabile in sede di legittimità.

15. Anche il secondo motivo è inammissibile.

16. Sulla interpretazione degli atti processuali (anche in questo caso il ricorrente, a differenza di quanto ritenuto dai giudici di merito, obietta che la società mai aveva mosso contestazioni all’operato dell’agente e nelle memorie difensive aveva affermato che la risoluzione del rapporto era avvenuto consensualmente), si è già detto con riguardo al primo motivo.

17. La Corte territoriale ha rilevato che, a fronte di una motivazione ampia e capillare del primo giudice sulla sussistenza di una causa di recesso, gli aspetti valutati degli esiti della prova non erano stati impugnati specificamente in appello, avendo l’agente focalizzato le doglianze su altri profili, rispetto ai quali aveva fornito una diversa ricostruzione delle pretese responsabilità nello svolgimento dell’attività lavorativa riguardante l’ordine in relazione al quale era stata ravvisata una risoluzione del rapporto per giusta causa da parte della società.

18. Anche in questo caso, si verte, pertanto, in una ipotesi di diversa richiesta di ricostruzione in fatto delle vicende processuali e di rivalutazione delle prove che non può trovare risposta in sede di giudizio di cassazione.

19. Alla stregua di quanto esposto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

20. Alla declaratoria di inammissibilità segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano come da dispositivo, con distrazione.

21. Ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali, sempre come da dispositivo. Corte di Cassazione - copia non ufficiale 8 P.Q.M. La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in euro 4.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge, con distrazione in favore in favore dei Difensori della controricorrente. Ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 12 giugno 2024